CALTANISSETTA - I carabinieri hanno trovato in alcuni ovili, casolari di campagna, abitazioni e garage di Riesi e Butera armi presumibilmente utilizzate dalle cosche mafiose locali. Si tratta di una carabina Colt calibro 44 a ripetizione ordinaria, tipo a pompa, con matricola cancellata; un fucile a pompa calibro 12, con matricola cancellata; un revolver calibro 357 magnum a sei colpi, risultata rubata; una pistola semiautomatica, calibro 9x21, con matricola cancellata, completa di caricatore; munizionamento di vario tipo e calibro e due passamontagna.
Alcune di queste armi, secondo gli investigatori, sono probabilmente quelle utilizzate per l'omicidio dei fratelli Salvatore e Calogero D'Alessandro, avvenuto durante la guerra di mafia degli anni Novanta, che vide contrapposti i fratelli Cammarata, spalleggiati dal clan Emmanuello, collegati ai fratelli D'Alessandro, al clan Madonia.I fucili a pompa e le pistole trovate verranno inviate al Reparto investigazioni scientifiche di Messina per gli esami di laboratorio per stabilire se sono state utilizzate per commettere omicidi. Dall'indagine "Discovery" che stamani ha portato all'esecuzione di 20 ordinanze di custodia cautelare nel nisseno, emerge che gli esponenti criminali potevano contare su una notevole quantità di armi, "pulite". L'inchiesta punta a far luce su alcuni delitti avvenuti alla fine degli anni Novanta, durante lo scontro fra i clan legati a Cosa nostra che si contrapponevano a quelli della "Stidda" per il controllo del territorio. L'operazione è stata condotta dal Reparto operativo di Caltanissetta e dalla Compagnia di Gela con il supporto delle unità del Nucleo cinofili di Palermo e di un elicottero dell'Elinucleo di Palermo.
29/06/2006
Fonte: La Sicilia
Se pensi che la mafia possa essere in qualche modo positiva o possa aiutare la Sicilia per favore esci da questo blog!
giovedì, giugno 29, 2006
37 arresti nel catanese
CATANIA - Associazione mafiosa, traffico di sostanze stupefacenti, riciclaggio, usura e detenzione abusiva di armi: questi i capi di accusa contenuti nelle ordinanze di custodia cautelare emesse contro 37 persone legate alla cosca catanese Pillera Puntina. I provvedimenti restrittivi nei loro confronti sono stati emessi su richiesta della Dda di Catania. I magistrati hanno inoltre disposto il sequestro di 17 note aziende. A portare agli arresti, le indagini della squadra mobile di Catania sui traffici del clan mafioso confermati da 2 collaboratori di giustizia. Gli investigatori hanno già eseguito ingenti sequestri di cocaina, armi e, in collaborazione con la guardia di finanza, di esercizi commerciali avviati con i proventi delle attività illecite.Arrestato a Roma, in un lussuoso albergo della capitale, anche il capo della cosca. Il boss era alloggiato in un hotel della centralissima via Veneto.
29/06/2006
Fonte: la Sicilia
29/06/2006
Fonte: la Sicilia
martedì, giugno 27, 2006
Contrasti all'interno della mafia etnea
CATANIA - Non è servito neppure il "carisma" e l'autorevolezza di un presunto boss di grande prestigio come gli investigatori ritengono sia Eugenio Galea, a ricomporre la frattura esistente all'interno di cosa nostra a Catania dove due opposte fazioni della stessa famiglia si contendono la leadership, soprattutto nel settore delle estorsioni.È quanto emerge dalle indagini dei carabinieri del Raggruppamento operativo speciale di Catania, avviate nel 2004 dopo la scarcerazione dell'indagato, che sono culminate con l'arresto del presunto capo mafia e di un suo luogotenente di fiducia, Biagio Greco di 37 anni. L'ordine restrittivo, che ipotizza i reati di associazione mafiosa e estorsione, è stato emesso dall' ufficio del Gip etneo su richiesta della locale Procura antimafia.Secondo i militari del Ros, Galea, arrestato nel 1995 dopo due anni di latitanza, indicato come rappresentante provinciale di cosa nostra a Catania, dopo la scarcerazione, nel 2004, ha assunto il ruolo di "supervisore" nella spartizione delle "entrate" della cosca. Ma neppure la sua gestione, più "flessibile" e "moderata" rispetto a quella precedente del presunto boss Alfio Mirabile, avrebbe ricomposto la frattura nella "famiglia". Le frazioni infatti, lo storico gruppo Ercolano-Mangion-Santapaola da una parte e i fratelli e un nipote del capomafia Benedetto Santapaola e il boss Francesco La Rocca dall'altra, sarebbero ancora in forte contrapposizione tra loro.Tra le estorsioni scoperte dagli investigatori del Ros contestate a Galea c'è quella all'impresa Ira costruzioni i cui rapporti era stati delegati a Biagio Greco. La riscossione del pizzo avveniva in maniera indiretta, secondo l'accusa, ovvero con rapporti di forniture e di subappalto che consentivano di dissimulare, anche contabilmente, il pagamento della tangente.L'arresto di Galea e Greco rappresenta il proseguo dell'operazione Dionisio dei carabinieri del Ros realizzata nel luglio del 2005 contro 83 presunti appartenenti a cosa nostra della Sicilia orientale. Le indagini misero in luce i rapporti rapporti di cosa nostra di Catania con le articolazioni mafiose di Enna (tramite Raffaele Bevilacqua), Agrigento (Maurizio Di Gati), Gela (Daniele Emanuello), Messina e Mistretta (Sebastiano Rampulla).
27/06/2006
Fonte: La Sicilia
27/06/2006
Fonte: La Sicilia
Arrestato il "ministro degli esteri" di Cosa Nostra
CATANIA - Eugenio Galea, 62 anni, indicato dagli investigatori come affiliato alla 'famiglia' Santapaola e ritenuto il responsabile di Cosa nostra a Catania e provincia, è stato arrestato dai carabinieri del comando provinciale etneo. Nei suoi confronti è stato emesso un ordine di carcerazione dal gip di Catania su richiesta della Procura distrettuale antimafia per associazione mafiosa e estorsione aggravata. Gli stessi reati sono stati ipotizzati per Biagio Greco, 36 anni, anche lui arrestato dai militari dell'Arma di Catania. I due arresti rientrano nell'ambito dell'operazione denominata Dionisio, condotta dai carabinieri del Ros nel luglio del 2005, con 83 arresti nella Sicilia orientale.Secondo quanto si è appreso, Galea sarebbe stato arrestato dai carabinieri del Ros di Catania per dei tentativi di estorsioni a grosse imprese edili. Galea era tornato da molto tempo in libertà. Titolare di un'azienda di conservazione di prodotti agricoli, l'indagato era stato arrestato la prima volta il 13 gennaio del 1995, dopo due anni di latitanza. Quella volta Galea fu definito dalla Procura della Repubblica il "ministro degli esteri di Cosa nostra di Catania" per i suoi presunti investimenti in attività immobiliari e case da gioco nei Paesi dell'Est Europa, e in particolare in Romania."L'attività svolta dal comando provinciale dei carabinieri di Catania merita riconoscimento e gratitudine", ha commentato il segretario di Alleanza siciliana, l'eurodeputato Nello Musumeci. Secondo il leader di As "questo risultato ottenuto nell'ambito della lotta alla mafia è un segnale importante per l'affermazione della legalità. La criminalità organizzata è ancora presente sul nostro territorio. Pertanto la lotta alla mafia deve continuare senza abbassare la guardia, garantendo mezzi e strumenti idonei a chi da sempre lavora per garantire la tutela e la sicurezza del cittadino"."L'arresto di Galea rappresenta un ulteriore passo in avanti sul sentiero della legalità". È stato questo il commento del sindaco di Catania Umberto Scapagnini alla notizia dell'arresto da parte dei carabinieri del presunto reggente di cosa nostra nel capoluogo etneo. "Senza legalità non può esserci nessun vero sviluppo - afferma il sindaco - ed è quindi necessario tenere sempre alta la guardia e continuare con forza, decisione e coraggio la lotta alla mafia ed alla criminalità organizzata. Importanti risultati sono stati ottenuti, è vero, ma non bisogna assolutamente fermarsi"."Un plauso e un sentito ringraziamento va all'Arma dei Carabinieri - conclude - per la brillante operazione portata a termine ma il loro impegno, insieme a quello di tutte le altre forze dell'Ordine, deve essere sempre sostenuto da tutte le forze sane della nostra società, da quelle politiche a quelle imprenditoriali, sindacali, sociali e da ogni singolo cittadino. Un pericolo così grande può e deve essere sconfitto con il contributo di tutti, ognuno nel suo ruolo e nelle sue competenze".
27/06/2006
Fonte: La Sicilia
27/06/2006
Fonte: La Sicilia
lunedì, giugno 26, 2006
Trovato il cadavere del padre killer Livatino
PALMA DI MONTECHIARO (AGRIGENTO) - Il cadavere semicarbonizzato di un uomo è stato trovato in un appezzamento di terreno nei pressi di Palma di Montechiaro. Si tratta di Salvatore Puzzangaro, 79 anni, padre di Gaetano, uno dei killer del giudice Rosario Livatino, assassinato ad Agrigento il 21 settembre del 1990. L'anziano è stato rinvenuto in un terreno di sua proprietà in contrada Burrainiti, in territorio di Agrigento. La morte potrebbe essere stata accidentale. Puzzangaro, secondo una ricostruzione degli investigatori, avrebbe dato fuoco a delle sterpaglie e sarebbe svenuto per l'esalazioni del fumo. Successivamente sarebbe stato investito dalle fiamme. Un'inchiesta è stata aperta dalla procura di Agrigento che ha disposto l'autopsia. 26/06/2006
Fonte:La Sicilia
Fonte:La Sicilia
domenica, giugno 25, 2006
Ottimo segno...
AGRIGENTO - Si è costituito ai carabinieri Vladimiro Gueli, 40 anni, ricercato da mercoledì scorso nell'ambito dell'operazione antimafia in cui è stato già arrestato il padre, Calogero Gueli, sindaco diessino di Campobello di Licata, accusato di concorso in associazione mafiosa.Vladimiro Gueli si è presentato nella caserma dei carabinieri di Campobello di Licata da dove è stato poi condotto nel carcere Ucciardone di Palermo. Nella operazione della Dda di Palermo sono coinvolte oltre al sindaco Gueli ed al figlio altri otto presunti boss e gregari della mafia agrigentina ritenuti appartenenti alle cosche di Campobello di Licata, Ravanusa, e Canicattì. Tra i reati che vengono contestati a Vladimiro Gueli c'è l'estorsione aggravata: secondo gli inquirenti avrebbe tentato di far cedere ad una impresa ritenuta vicina alla mafia una parte dei lavori di costruzione di 22 villette nel territorio di Campobello di Licata.
24/06/2006
Fonte: La Sicilia
24/06/2006
Fonte: La Sicilia
venerdì, giugno 23, 2006
Arrestato l'autista di Brusca
ALTOFONTE (PALERMO) - I carabinieri di Altofonte hanno arrestato Giuseppe Antonio Vassallo, 45 anni, che stava già scontando un residuo pena in regime di detenzione domiciliare dal 12 gennaio 2006. Vassallo, condannato per mafia, era l'autista del boss Giovanni Brusca. I carabinieri durante i controlli nell'abitazione di Vassallo, per verificare il rispetto delle prescrizioni dalla magistratura, lo hanno trovato in diverse occasioni insieme a persone condannate.
Il tribunale di sorveglianza ha accolto le istanze carabinieri che hanno richiesto un irrigidimento del regime detentivo. Vassallo è stato portato nel carcere dell'Ucciardone.
23/06/2006
Fonte: La Sicilia
Il tribunale di sorveglianza ha accolto le istanze carabinieri che hanno richiesto un irrigidimento del regime detentivo. Vassallo è stato portato nel carcere dell'Ucciardone.
23/06/2006
Fonte: La Sicilia
Operazione "Gotha"
PALERMO - Dopo gli interrogatori il gip Maria Pino ha convalidato il fermo dei 45 presunti mafiosi arrestati nell'operazione "Gotha" della polizia di Stato. Nelle prossime ore il gip emetterà ordine di custodia cautelare nei confronti degli indagati, che rimangono in carcere. Quasi tutti i presunti mafiosi, alcuni dei quali già condannati e riconosciuti colpevoli di omicidio, estorsioni, mafia, davanti ai magistrati si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.
Il decreto di fermo della Dda di Palermo riguardava 52 persone: 45 erano state arrestate dalla polizia, una si era costituita il giorno dopo l'operazione. Uno dei fermati Rosario Rizzuto era stato arrestato per errore ed è stato rilasciato. Il vero indagato nell'inchiesta antimafia è Eugenio Rizzuto che è ricercato.
23/06/2006
Fonte: La Sicilia
Il decreto di fermo della Dda di Palermo riguardava 52 persone: 45 erano state arrestate dalla polizia, una si era costituita il giorno dopo l'operazione. Uno dei fermati Rosario Rizzuto era stato arrestato per errore ed è stato rilasciato. Il vero indagato nell'inchiesta antimafia è Eugenio Rizzuto che è ricercato.
23/06/2006
Fonte: La Sicilia
Beni confiscati
PALERMO - Beni per un valore di oltre due milioni di euro sono stati confiscati dalla Dia a Palermo e provincia. I provvedimenti hanno colpito il capomafia di Ciminna, Onofrio Catalano; un ex bancario, Antonino Lo Verde; Luigi Giacalone, della famiglia mafiosa di Brancaccio e l'imprenditore di Misilmeri, Giuseppe Di Pisa.
Latitante fino al '95, dopo aver subito una serie di condanne, Catalano, 70 anni, si era costituito nel '95 per paura di essere ucciso dalle cosche rivali. Gli sono stati confiscati un terreno e una ditta intestati al figlio Giuseppe. Lo Verde, 63 anni, era stato arrestato la prima volta nel '95. La confisca riguarda tre appartamenti a Palermo, un box e conti correnti. A Giacalone, 52 anni, vicino alla famiglia Graviano di Brancaccio e coinvolto nell'omicidio di padre Pino Puglisi e negli attentati di Roma, Milano e Firenze, è stata confiscata una casa in costruzione nel comune di Campobello di Mazara, nel trapanese.
Di Pisa, 53 anni, arrestato per estorsione, ha avuto notificato un decreto di confisca di un terreno e tre fabbricati. Le indagini che hanno portato alle confische sono state disposte dalla Dia a dal procuratore aggiunto di Palermo, Roberto Scarpinato.
23/06/2006
Latitante fino al '95, dopo aver subito una serie di condanne, Catalano, 70 anni, si era costituito nel '95 per paura di essere ucciso dalle cosche rivali. Gli sono stati confiscati un terreno e una ditta intestati al figlio Giuseppe. Lo Verde, 63 anni, era stato arrestato la prima volta nel '95. La confisca riguarda tre appartamenti a Palermo, un box e conti correnti. A Giacalone, 52 anni, vicino alla famiglia Graviano di Brancaccio e coinvolto nell'omicidio di padre Pino Puglisi e negli attentati di Roma, Milano e Firenze, è stata confiscata una casa in costruzione nel comune di Campobello di Mazara, nel trapanese.
Di Pisa, 53 anni, arrestato per estorsione, ha avuto notificato un decreto di confisca di un terreno e tre fabbricati. Le indagini che hanno portato alle confische sono state disposte dalla Dia a dal procuratore aggiunto di Palermo, Roberto Scarpinato.
23/06/2006
giovedì, giugno 22, 2006
Botta e risposta Cuffaro - Lumìa
PALERMO - In Sicilia "ci sono due cittadini che vengono trattati in maniera diversa a seconda di chi sono: io vengo rinviato a giudizio e processato per violazione di segreto d'ufficio, l'onorevole Lumia viene addirittura giustificato e non viene neppure indagato". Lo ha detto il presidente della Regione Siciliana, Salvatore Cuffaro, intervenendo in una trasmissione televisiva."Campanella - sottolinea Cuffaro - dice di me che avrei dato a lui l'informazione che era indagato; dice pure che queste stesse informazioni le ha date il sindaco di Bagheria perchè a lui le aveva date per due volte consecutive l'onorevole Giuseppe Lumia, però nei mie confronti c'è una richiesta di rinvio a giudizio e un processo e gli stessi pubblici ministeri nei confronti dell'onorevole Lumia non hanno inteso far niente. Poi le dichiarazioni di Campanella passano al vaglio di chi fa le indagini e chi fa le indagini ritiene che alcune volte le cose che dice Campanella siano da indagare e da sviluppare in un processo e invece su altre persone ritiene che non siano vere""Cuffaro è sempre più disperato per l'andamento del processo aperto contro di lui e cerca di infangarmi quando non sono presente. Dal processo in corso a Palermo e da altri procedimenti in corso che vedono coinvolti suoi ex assessori emerge sempre di più un sistema Cuffaro che si è nutrito di rapporti con cosa nostra". Il deputato nazionale dei Ds, Beppe Lumia, replica così a Salvatore Cuffaro.'Nell'ultima udienza del suo processo - aggiunge Lumia - Cuffaro è giunto a sostenere come pienamente legittimo per un presidente di Regione frequentare persone già condannate per mafia. A differenza di Cuffaro io la considero una cosa ignobile". A proposito delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Campanella, Lumia ricorda "che non riportano mai elementi che possano neanche lontanamente far ipotizzare sue presunte collusioni". Lumia ricorda anche di aver già dichiarato di non essere stato a conoscenza di indagini in corso su Campanella "ma di avere espresso giudizi netti e precisi sulla sua attività politica, sulle sue parentele e sui suoi rapporti con ambienti mafiosi da prima che si aprisse qualsiasi indagine grazie alle informazioni contenute negli atti della Commissione Antimafia".Per quanto riguarda i suoi rapporti con il pentito "è Cuffaro stesso - sostiene il deputato Ds - che suggerisce a Campanella di cercare di entrare in contatto con lui". Lumia cita le parole di Campanella nella sua deposizione del 17 gennaio a Firenze nel processo: "Anche Cuffaro mi parlò di Lumia, mi disse di stringerci un rapporto perchè contava negli ambienti giudiziari". Ecco, invece, cosa successe, è sempre Campanella che parla: "La cosa non andò avanti, ho cercato di stringere rapporti senza riuscirci perchè Lumia diceva peste e corna di me". Su questo punto può autorevolmente testimoniare Cristina Matranga che da Campanella fu ingannata. L'on. Lumia ha già richiesto all'emittente televisiva che ha trasmesso l'intervista copia della trasmissione ed ha affidato all'avv. Fabio Repice il compito di individuare gli estremi per sporgere querela in sede penale e richiesta di risarcimento dei danni morali e patrimoniali in sede civile.
22/06/2006
Fonte: La Sicilia
22/06/2006
Fonte: La Sicilia
Sindaco DS arrestato
CAMPBELLO DI LICATA (AGRIGENTO) - Il sindaco Ds di Campobello di Licata ed ex deputato regionale del Pci, Calogero Gueli, è stato arrestato dai Carabinieri, nell'ambito di una operazione antimafia della Dda di Palermo, con l'accusa di estorsione.Dalle indagini sarebbe emerso anche il ruolo di un insospettabile, l'ex bancario Giovanni Lauria residente a Licata, accusato di concorso in associazione mafiosa. Grazie a intercettazioni ambientali e telefoniche i carabinieri del comando provinciale di Agrigento hanno ricostruito numerose estorsioni e danneggiamenti compiuti nella zona compresa fra Licata, Campobello di Licata e Ravanusa.L'operazione, denominata "Saraceno", ha portato in carcere anche presunti esponenti mafiosi appartenenti alle famiglie di Campobello di Licata, Ravanusa, Licata, Favara e Canicattì. Nell'ambito della stessa operazione sono stati eseguiti altri nove ordini di custodia emessi dal gip del Tribunale di Palermo su richiesta della Direzione distrettuale antimafia. Uno dei dieci destinatari dell'ordinanza si è al momento reso irreperibile. Le ipotesi di reato contestate sono di associazione mafiosa, estorsione e danneggiamenti finalizzati all'acquisizione del controllo diretto e indiretto di attività economiche, quali appalti e servizi pubblici, nonchè costruzione di manufatti edilizi, contestati a vario titolo ad appartenenti alle cosche di Campobello di Licata, Ravanusa, Licata, Favara e Canicattì, e a persone ritenute a loro contigue.
22/06/2006
Fonte: La Sicilia
22/06/2006
Fonte: La Sicilia
mercoledì, giugno 21, 2006
Totò Cuffaro in contatto con Guttadauro? Che novità....
PALERMO - Il nome del presidente della Regione, Salvatore Cuffaro, emerge dall'intercettazione effettuata a casa del boss di Brancaccio, Giuseppe Guttadauro, poco prima che il capomafia scoprisse l'esistenza di una microspia nella propria abitazione. È il 15 giugno 2001 e la cimice registra: "Ragiuni avia (ragione aveva, ndr) Totò Cuffaro". La circostanza è emersa oggi durante la deposizione in aula del perito del tribunale nominato per esaminare la bobina dell'intercettazione nel processo all'ex assessore comunale, Domenico Miceli, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa. Il perito ha sottolineato che la conversazione era molto disturbata, ma ascoltando più volte la registrazione l'esperto nominato dai giudici è riuscito a concludere che quella frase è stata detta. La vicenda si inserisce, secondo la procura, nell'inchiesta sulle talpe "istituzionali" che hanno portato a rivelare al boss l'esistenza di microfoni piazzati dai carabinieri del Ros nel proprio appartamento. I giudici del tribunale, dopo aver ascoltato la deposizione del perito che sostiene l'esistenza della frase in cui è citato il nome del presidente della regione, Salvatore Cuffaro, ha disposto una nuova perizia. Il collegio ha affidato l'incarico ad un esperto della polizia scientifica di Roma. Il consulente della difesa di Domenico Miceli, che ha prodotto anche lui una relazione sull'intercettazione, ha detto ai giudici di non aver sentito la frase in cui si farebbe riferimento al Governatore. La requisitoria del processo a Miceli, prevista per il 26 giugno, in seguito a questa nuova perizia è stata rinviata a data da destinarsi.
21/06/2006
Fonte: La Sicilia
21/06/2006
Fonte: La Sicilia
CDL = Libertà in tutto, anche in associazione mafiosa...
PALERMO - È indagato per concorso esterno in associazione mafiosa il deputato regionale, Giovanni Mercadante (Forza Italia). L'iscrizione del politico nel registro degli indagati della Dda ha trovato conferme in ambienti giudiziari. Mercadante è primario di Radiologia all'ospedale Civico di Palermo e il suo nome compare diverse volte nelle intercettazioni ambientali che hanno portato ieri in carcere i boss mafiosi nell'inchiesta "Gotha". Il politico, che è nipote del capomafia di Prizzi, Masino Cannella, secondo quanto emerge dalle intercettazioni, aveva contatti con il boss Nino Cinà e con Antonino Rotolo, entrambi finiti in cella. Nel 2003 Mercadante era stato indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. L'inchiesta, collegata alle indagini per la ricerca dell'allora latitante Bernardo Provenzano, dopo due anni è stata archiviata su richiesta della procura.
Ecco l'ennesimo deputato, indagato all'interno di una classe dirigente che sta distruggendo la Sicilia e ne sta minimizzando la legalità.
Ricordiamo che il "caro" Mercadante è nipote di Cannella, dunque primario a Palermo, dunque deputato; questa è la Sicilia.
Saverio Fuccillo.
21/06/2006
Ecco l'ennesimo deputato, indagato all'interno di una classe dirigente che sta distruggendo la Sicilia e ne sta minimizzando la legalità.
Ricordiamo che il "caro" Mercadante è nipote di Cannella, dunque primario a Palermo, dunque deputato; questa è la Sicilia.
Saverio Fuccillo.
21/06/2006
Addiopizzo anche in Spagna
Una nueva esperanza se está gestando en la Palermo de la legalidad y de la libertad, sobre todo cívica: se llama Addiopizzo.
Este movimiento nació en la noche del 29 junio del 2004 cuando unos chicos llenaron muros, farolas y cabinas telefónicas con un mensaje para sensibilizar los ciudadanos contra el "pizzo", el impuesto que los comerciantes pagan cada mes a la mafia. Hoy Addiopizzo está compuesto por más de 50 activistas, más de 100 comerciantes que se oponen a la extorsión no pagando nunca el "pizzo" o denunciando a los extorsionadores, y casi 8000 ciudadanos-consumidores que se comprometen a comprar en estas tiendas y empresas que no pagan el "pizzo". La idea fundamental es crear un hilo directo entre los comerciantes que se oponen al impuesto mafioso y los ciudadanos que, sumándose a la iniciativa, hacen la compra en estas tiendas. Se llama "Consumo Crítico Addiopizzo".
Cada uno de nosotros, con sus propias compras y decisiones de consumo, puede activar un circuito económico que beneficie a estos comerciantes que no se someten a la extorsión, animando a la denuncia a quien todavía paga de modo que entre también en la lista de las tiendas pizzo free. En total 103 han efectuado el primer paso, y otros se irán añadiendo cada semana después del éxito de la fiesta en la plaza Magione en Palermo: el 5 de mayo se presentaron a la ciudad en la primera exposición (feria) de "Consumo Crítico", con una maravillosa respuesta de la gente.
Claramente la decisión no es sencilla. Recordemos que hablamos de luchar contra la mafia, y Addiopizzo no podrá hacer mucho si no entran en la lista otros actores importantes. Por eso la policía y las istituciones prepuestas se han comprometidos a garantizar la seguridad vigilando de manera discreta y sensible. La solidaridad y el afecto de muchos cuidadanos, no sólo sicilianos, es la verdadera fuerza de Addiopizzo, que cada día ve incrementarse el número de mensajes de apoyo en el guestbook de su página web (www.addiopizzo.org). Los mismos comerciantes
ya se muestran satisfechos de su adhesión a la campaña no sólo por el aumento de las ventas sino también por el cariño que los ciudadanos les muestran con un simple abrazo. ¿Y el miedo? "Tengo miedo, pero tengo también muchas ganas de no pagar, que son más fuertes que el miedo", dice uno de ellos. "Vivo en una democracia donde soy libre de iniciar una actividad económica. Así que no pago el pizzo. Si yo no doy el primer paso, con otros 100, no lo dará nadie". La campaña está aún en sus comienzos: la lista está circulando entre los ciudadanos, aunque todavía no se ha hecho nada para que el "consumo crítico" llegue a ser una costumbre cotidiana. El trabajo del Comité Addiopizzo será precisamente ése: hacer que la gente continúe frecuentando estas tiendas. "Es un moviemiento de ciudadanos conscientes, que se comprometen a un gesto concreto de solidaridad, simplemente orientando sus compras de cada
día", explica Vincenzo. "De Antimafia se habla demasiado: ahora es el momento de hacer todos algo concreto, con un comportamiento que cualquier persona puede seguir. Claro que no es la única idea posible". No es un movimento de jóvenes utópicos, sino de grupos activos de apoyo; una costumbre que se amplía cada día más, a cualquier persona que reconozca la calidad de la iniciativa.
Fonte: Succoacido
Este movimiento nació en la noche del 29 junio del 2004 cuando unos chicos llenaron muros, farolas y cabinas telefónicas con un mensaje para sensibilizar los ciudadanos contra el "pizzo", el impuesto que los comerciantes pagan cada mes a la mafia. Hoy Addiopizzo está compuesto por más de 50 activistas, más de 100 comerciantes que se oponen a la extorsión no pagando nunca el "pizzo" o denunciando a los extorsionadores, y casi 8000 ciudadanos-consumidores que se comprometen a comprar en estas tiendas y empresas que no pagan el "pizzo". La idea fundamental es crear un hilo directo entre los comerciantes que se oponen al impuesto mafioso y los ciudadanos que, sumándose a la iniciativa, hacen la compra en estas tiendas. Se llama "Consumo Crítico Addiopizzo".
Cada uno de nosotros, con sus propias compras y decisiones de consumo, puede activar un circuito económico que beneficie a estos comerciantes que no se someten a la extorsión, animando a la denuncia a quien todavía paga de modo que entre también en la lista de las tiendas pizzo free. En total 103 han efectuado el primer paso, y otros se irán añadiendo cada semana después del éxito de la fiesta en la plaza Magione en Palermo: el 5 de mayo se presentaron a la ciudad en la primera exposición (feria) de "Consumo Crítico", con una maravillosa respuesta de la gente.
Claramente la decisión no es sencilla. Recordemos que hablamos de luchar contra la mafia, y Addiopizzo no podrá hacer mucho si no entran en la lista otros actores importantes. Por eso la policía y las istituciones prepuestas se han comprometidos a garantizar la seguridad vigilando de manera discreta y sensible. La solidaridad y el afecto de muchos cuidadanos, no sólo sicilianos, es la verdadera fuerza de Addiopizzo, que cada día ve incrementarse el número de mensajes de apoyo en el guestbook de su página web (www.addiopizzo.org). Los mismos comerciantes
ya se muestran satisfechos de su adhesión a la campaña no sólo por el aumento de las ventas sino también por el cariño que los ciudadanos les muestran con un simple abrazo. ¿Y el miedo? "Tengo miedo, pero tengo también muchas ganas de no pagar, que son más fuertes que el miedo", dice uno de ellos. "Vivo en una democracia donde soy libre de iniciar una actividad económica. Así que no pago el pizzo. Si yo no doy el primer paso, con otros 100, no lo dará nadie". La campaña está aún en sus comienzos: la lista está circulando entre los ciudadanos, aunque todavía no se ha hecho nada para que el "consumo crítico" llegue a ser una costumbre cotidiana. El trabajo del Comité Addiopizzo será precisamente ése: hacer que la gente continúe frecuentando estas tiendas. "Es un moviemiento de ciudadanos conscientes, que se comprometen a un gesto concreto de solidaridad, simplemente orientando sus compras de cada
día", explica Vincenzo. "De Antimafia se habla demasiado: ahora es el momento de hacer todos algo concreto, con un comportamiento que cualquier persona puede seguir. Claro que no es la única idea posible". No es un movimento de jóvenes utópicos, sino de grupos activos de apoyo; una costumbre que se amplía cada día más, a cualquier persona que reconozca la calidad de la iniciativa.
Fonte: Succoacido
Ancora Totò "il campione" in aula
PALERMO - Per circa 3 ore il presidente della Regione, Salvatore Cuffaro, ha risposto alle domande dei pm Nino Di Matteo e Maurizio De Lucia. Si tratta dell'esame reso dal governatore nel processo in cui è imputato di favoreggiamento alla mafia. È la seconda udienza che i giudici dedicano all'interrogatorio di Cuffaro. L'esame di oggi è stato puntato dai pm sui presunti contatti che Cuffaro avrebbe avuto con esponenti di cosa nostra. Il governatore ha respinto tutte le accuse. I difensori hanno rinunciato al controesame e l'udienza è stata rinviata al 27 giugno prossimo. Nel corso dell'interrogatorio il presidente della Regione, Salvatore Cuffaro, ha chiarito subito ai giudici del tribunale di aver studiato bene le carte del suo processo in modo "da evitare i non ricordo" a cui spesso la scorsa settimana aveva fatto ricorso alle domande dei pm.
Il pm Maurizio De Lucia ha rivolto al governatore domande sulle dichiarazioni rese dal pentito Francesco Campanella, ex consigliere comunale di Villabate. Cuffaro ha respinto seccamente l'accusa di aver chiesto una tangente da cinque miliardi di vecchie lire per la realizzazione dell'ipermercato di Villabate. Secondo Campanella, Cuffaro avrebbe accennato alla richiesta della tangente durante una riunione con varie persone. "È un'accusa assurda, che mi offende - ha detto Cuffaro - e poi, lo avrei mai detto davanti a tutti?".
Il presidente della Regione ha trovato anche lo spazio per inserire una frecciata polemica, quando ha sottolineato di non voler utilizzare la frase "non ricordo" perchè, ha spiegato, "se lo dico poi i giornali ci fanno i titoli. Ci sono molte circostanze, però, che non mi risultano". A Cuffaro è stato chiesto di chiarire le 57 telefonate da lui ricevute e provenienti da numeri del Sismi, il servizio segreto militare. Il governatore ha spiegato di essere in rapporti di amicizia con un colonnello dei carabinieri che lavora nell'intelligence.
20/06/2006
Fonte: La Sicilia
Il pm Maurizio De Lucia ha rivolto al governatore domande sulle dichiarazioni rese dal pentito Francesco Campanella, ex consigliere comunale di Villabate. Cuffaro ha respinto seccamente l'accusa di aver chiesto una tangente da cinque miliardi di vecchie lire per la realizzazione dell'ipermercato di Villabate. Secondo Campanella, Cuffaro avrebbe accennato alla richiesta della tangente durante una riunione con varie persone. "È un'accusa assurda, che mi offende - ha detto Cuffaro - e poi, lo avrei mai detto davanti a tutti?".
Il presidente della Regione ha trovato anche lo spazio per inserire una frecciata polemica, quando ha sottolineato di non voler utilizzare la frase "non ricordo" perchè, ha spiegato, "se lo dico poi i giornali ci fanno i titoli. Ci sono molte circostanze, però, che non mi risultano". A Cuffaro è stato chiesto di chiarire le 57 telefonate da lui ricevute e provenienti da numeri del Sismi, il servizio segreto militare. Il governatore ha spiegato di essere in rapporti di amicizia con un colonnello dei carabinieri che lavora nell'intelligence.
20/06/2006
Fonte: La Sicilia
martedì, giugno 20, 2006
I boss contro il Papa
PALERMO - Le conversazioni dei boss registrate durante i summit che si sono svolti nel box in lamiera prendono in esame pure la ricostruzione storica delle vicende di mafia degli ultimi 25 anni. I filmati e le centinaia di ore di conversazione sono inseriti nell'inchiesta della Dda di Palermo denominata "Gotha", che stamani ha portato all'arresto di decine di persone.
Dentro il piccolo capannone, del tipo utilizzato nei cantieri edili, che è situato in un residence, i boss discutevano degli argomenti più disparati, spaziando dalla censura di Papa Giovanni Paolo II per la dura condanna della mafia fatta nella Valle dei Templi ad Agrigento, alla ricerca di una raccomandazione per un esame universitario, alla valutazione sull'opportunità di procedere all'uccisione di un capofamiglia la cui nomina veniva ritenuta "illegittima". Ma anche di politica e di uomini politici "amici".
Le conversazioni sono state registrate sia all'interno che nei pressi del box in lamiera che era in uso a Nino Rotolo. Ascoltando le conversazioni, si nota l'assoluta serenità delle persone che dialogano di omicidi e affari criminali. La tranquillità delle conversazioni è diretta conseguenza della sicurezza di Rotolo di non essere intercettato, grazie al fatto che attivava un congegno elettronico che, nella sua convinzione, era capace di impedire ogni tipo di trasmissione radio.
20/06/2006
Fonte: La Sicilia
Dentro il piccolo capannone, del tipo utilizzato nei cantieri edili, che è situato in un residence, i boss discutevano degli argomenti più disparati, spaziando dalla censura di Papa Giovanni Paolo II per la dura condanna della mafia fatta nella Valle dei Templi ad Agrigento, alla ricerca di una raccomandazione per un esame universitario, alla valutazione sull'opportunità di procedere all'uccisione di un capofamiglia la cui nomina veniva ritenuta "illegittima". Ma anche di politica e di uomini politici "amici".
Le conversazioni sono state registrate sia all'interno che nei pressi del box in lamiera che era in uso a Nino Rotolo. Ascoltando le conversazioni, si nota l'assoluta serenità delle persone che dialogano di omicidi e affari criminali. La tranquillità delle conversazioni è diretta conseguenza della sicurezza di Rotolo di non essere intercettato, grazie al fatto che attivava un congegno elettronico che, nella sua convinzione, era capace di impedire ogni tipo di trasmissione radio.
20/06/2006
Fonte: La Sicilia
Decrittati i pizzini
PALERMO - Le intercettazioni effettuate per due anni nel box in lamiera in cui i capimafia effettuavano i summit hanno contribuito a decrittare i "pizzini" trovati nel covo di Bernardo Provenzano. In molte lettere esaminate dai pm e dalla polizia, sono stati trovati tanti punti che corrispondono alle conversazioni registrate dagli investigatori.
In alcuni casi sono stati gli stessi boss, in particolare Nino Rotolo, a svelare inconsapevolmente alle microspie il numero con il quale si identificava nelle lettere che inviava a Provenzano. Emerge così che Rotolo era il numero "25", mentre il medico Antonino Cinà il "164" e Pietro Badagliacca, arrestato anche lui stamani, il numero "64". Con il "30" e il "31" venivano contraddistinti i boss latitanti Salvatore e Sandro Lo Piccolo. Gli inquirenti hanno identificato anche altri numeri che sono inseriti nei "pizzini".
Dalle intercettazioni emerge che Bernardo Provenzano, fino al giorno del suo arresto, avvenuto lo scorso 11 aprile, era il "capo supremo di cosa nostra", il punto di equilibrio tra tutte le sue varie componenti ed il riferimento essenziale attraverso il quale passavano tutte le decisioni sulle questioni di interesse generale o, comunque, di maggior rilievo.
20/06/2006
Fonte: La Sicilia
In alcuni casi sono stati gli stessi boss, in particolare Nino Rotolo, a svelare inconsapevolmente alle microspie il numero con il quale si identificava nelle lettere che inviava a Provenzano. Emerge così che Rotolo era il numero "25", mentre il medico Antonino Cinà il "164" e Pietro Badagliacca, arrestato anche lui stamani, il numero "64". Con il "30" e il "31" venivano contraddistinti i boss latitanti Salvatore e Sandro Lo Piccolo. Gli inquirenti hanno identificato anche altri numeri che sono inseriti nei "pizzini".
Dalle intercettazioni emerge che Bernardo Provenzano, fino al giorno del suo arresto, avvenuto lo scorso 11 aprile, era il "capo supremo di cosa nostra", il punto di equilibrio tra tutte le sue varie componenti ed il riferimento essenziale attraverso il quale passavano tutte le decisioni sulle questioni di interesse generale o, comunque, di maggior rilievo.
20/06/2006
Fonte: La Sicilia
I rapporti con i politici
PALERMO - "Rapporti tra gli affiliati alle cosche con imprenditori e uomini politici sono emersi dall'inchiesta che ha portato alla scoperta del direttorio di cosa nostra". Lo afferma il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, commentando l'operazione "Gotha" che stamani ha portato all'arresto di decine di persone fermate su ordine del pool di pm guidato dal procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone. "Tali rapporti - spiega il procuratore - si concretizzano nel perseguimento di una strategia diretta non solo ad appoggiare nelle competizioni elettorali candidati ritenuti di assoluta fiducia, ma ad ottenere anche l'inserimento nelle liste dei candidati di persone ancora più affidabili perchè legate agli stessi uomini d'onore da vincoli di parentela o da rapporti diretti".
"Ancora una volta si dimostra - prosegue Grasso - la capacità di Cosa nostra di tentare di sfruttare a proprio favore le dinamiche virtuose della società civile. Grazie alle tecnologie più avanzate è stato comunque possibile acquisire un numero impressionante di conversazioni ambientali che per il livello degli interlocutori e per gli argomenti trattati ha ben pochi precedenti per la comprensione ed il contrasto a cosa nostra".
"L'indagine - rivela il capo della Dna - conferma ancora il ruolo di vertice di Bernardo Provenzano, punto di riferimento e di equilibrio in una situazione magmatica, sempre pronta ad esplodere. Queste conversazioni - aggiunge Grasso - hanno consentito di tracciare l'attuale organigramma dell'associazione mafiosa palermitana; ma anche i rapporti tra le sue diverse articolazioni e i loro esponenti di vertice, mostrando un divenire assai complesso ed estremamente fluido di alleanze, di contrasti e di contrapposizioni".
Il procuratore antimafia sottolinea che: "Sono stati arrestati i reggenti di 13 famiglie mafiose e di sei mandamenti". "La caratteristica particolare - precisa Grasso - è che questi capimafia arrestati sono stati in passato quasi tutti condannati per mafia ed hanno già scontato la pena. Una volta pagato il loro debito con la giustizia, sono però ritornati a delinquere, prendendo in mano le redini delle cosche".
Grasso conclude elogiando le forze dell'ordine: "Grazie alla genialità investigativa, alla grande professionalità e all'estremo spirito di sacrificio degli uomini della Sezione criminalità organizzata della squadra mobile di Palermo, coadiuvati dal servizio centrale operativo e dalla sezione catturandi della Mobile, si è arrivati a scoprire gli attuali retroscena di Cosa nostra palermitana".
"Sono stati acquisiti elementi significativi sui rapporti degli esponenti di vertice dell'organizzazione, in particolare Antonino Rotolo, Antonino Cinà e Francesco Bonura, con esponenti del mondo politico". Lo scrivono i pm nel provvedimento firmato stamane nell'ambito dell'operazione "Gotha".
Dall'inchiesta emerge che i boss arrestati avevano già trovato gli uomini da inserire nelle liste elettorali di due partiti che fanno parte della Cdl, che dovranno concorrere per le elezioni amministrative di Palermo del prossimo anno.
20/06/2006
"Ancora una volta si dimostra - prosegue Grasso - la capacità di Cosa nostra di tentare di sfruttare a proprio favore le dinamiche virtuose della società civile. Grazie alle tecnologie più avanzate è stato comunque possibile acquisire un numero impressionante di conversazioni ambientali che per il livello degli interlocutori e per gli argomenti trattati ha ben pochi precedenti per la comprensione ed il contrasto a cosa nostra".
"L'indagine - rivela il capo della Dna - conferma ancora il ruolo di vertice di Bernardo Provenzano, punto di riferimento e di equilibrio in una situazione magmatica, sempre pronta ad esplodere. Queste conversazioni - aggiunge Grasso - hanno consentito di tracciare l'attuale organigramma dell'associazione mafiosa palermitana; ma anche i rapporti tra le sue diverse articolazioni e i loro esponenti di vertice, mostrando un divenire assai complesso ed estremamente fluido di alleanze, di contrasti e di contrapposizioni".
Il procuratore antimafia sottolinea che: "Sono stati arrestati i reggenti di 13 famiglie mafiose e di sei mandamenti". "La caratteristica particolare - precisa Grasso - è che questi capimafia arrestati sono stati in passato quasi tutti condannati per mafia ed hanno già scontato la pena. Una volta pagato il loro debito con la giustizia, sono però ritornati a delinquere, prendendo in mano le redini delle cosche".
Grasso conclude elogiando le forze dell'ordine: "Grazie alla genialità investigativa, alla grande professionalità e all'estremo spirito di sacrificio degli uomini della Sezione criminalità organizzata della squadra mobile di Palermo, coadiuvati dal servizio centrale operativo e dalla sezione catturandi della Mobile, si è arrivati a scoprire gli attuali retroscena di Cosa nostra palermitana".
"Sono stati acquisiti elementi significativi sui rapporti degli esponenti di vertice dell'organizzazione, in particolare Antonino Rotolo, Antonino Cinà e Francesco Bonura, con esponenti del mondo politico". Lo scrivono i pm nel provvedimento firmato stamane nell'ambito dell'operazione "Gotha".
Dall'inchiesta emerge che i boss arrestati avevano già trovato gli uomini da inserire nelle liste elettorali di due partiti che fanno parte della Cdl, che dovranno concorrere per le elezioni amministrative di Palermo del prossimo anno.
20/06/2006
Ecco i nomi degli arrestati
PALERMO - Fino ad ora sono stati eseguiti 45 arresti sui 52 richiesti nell'ambito dell'operazione "Gotha", condotta dalla polizia e coordinata dalla dda di Palermo. Altre sette persone sono ancora ricercate.
Questo l'elenco degli arrestati: Gerlando Alberto, 79 anni, Filippo Annatelli, 43 anni, Angelo Badagliacca, 33 anni, Pietro Badagliacca, 52 anni, Gaetano Badagliacca, 51 anni, Girolamo Biondino, 48 anni, Francesco Bonura, 56 anni, Vincenzo Brusca, 52 anni, Carmelo Cancemi, 54 anni, Giovanni Cancemi, 35 anni, Giuseppe Cappello, 69 anni, Calogero Caruso, 69 anni, Antonino Cinà, 51 anni, Salvatore Davì, 48 anni, Antonino Di Maggio, 52 anni, Lorenzo Di Maggio, 55 anni, Vincenzo Di Maio, 62 anni, Pietro Di Napoli, 67 anni, Mario Grizzaffi, 40 anni, Salvatore Gioeli, 40 anni, Francesco Inzerillo, 50 anni, Francesco Inzerillo, 49 anni, Rosario Inzerillo, 52 anni, Tommaso Inzerillo, 57 anni, Emanuele Lipari, 45 anni, Alessandro Mannino, 46 anni, Calogero Mannino, 66 anni, Giovanni Marcianò, 64 anni, Settimo Mineo, 68 anni, Giovanni Nicoletti, 56 anni, Michele Oliveri, 75 anni, Angelo Parisi, 27 anni, Pietro Parisi, 56 anni, Antonino Pipitone, 77 anni, Salvatore Pispicia, 41 anni, Rosario Rizzuto, 49 anni, Antonino Rotolo, 60 anni, Gaetano Sansone, 56 anni, Giuseppe Sansone, 58 anni, Giovanni Sirchia, 32 anni, Francesco Stassi, 72 anni, Vincenzo Vallelunga, 56 anni.
Sette persone sono ancora ricercate. Gli arrestati devono rispondere, a vario titolo, di associazione mafiosa ed estorsione.
20/06/2006
Fonte:la Sicilia
Questo l'elenco degli arrestati: Gerlando Alberto, 79 anni, Filippo Annatelli, 43 anni, Angelo Badagliacca, 33 anni, Pietro Badagliacca, 52 anni, Gaetano Badagliacca, 51 anni, Girolamo Biondino, 48 anni, Francesco Bonura, 56 anni, Vincenzo Brusca, 52 anni, Carmelo Cancemi, 54 anni, Giovanni Cancemi, 35 anni, Giuseppe Cappello, 69 anni, Calogero Caruso, 69 anni, Antonino Cinà, 51 anni, Salvatore Davì, 48 anni, Antonino Di Maggio, 52 anni, Lorenzo Di Maggio, 55 anni, Vincenzo Di Maio, 62 anni, Pietro Di Napoli, 67 anni, Mario Grizzaffi, 40 anni, Salvatore Gioeli, 40 anni, Francesco Inzerillo, 50 anni, Francesco Inzerillo, 49 anni, Rosario Inzerillo, 52 anni, Tommaso Inzerillo, 57 anni, Emanuele Lipari, 45 anni, Alessandro Mannino, 46 anni, Calogero Mannino, 66 anni, Giovanni Marcianò, 64 anni, Settimo Mineo, 68 anni, Giovanni Nicoletti, 56 anni, Michele Oliveri, 75 anni, Angelo Parisi, 27 anni, Pietro Parisi, 56 anni, Antonino Pipitone, 77 anni, Salvatore Pispicia, 41 anni, Rosario Rizzuto, 49 anni, Antonino Rotolo, 60 anni, Gaetano Sansone, 56 anni, Giuseppe Sansone, 58 anni, Giovanni Sirchia, 32 anni, Francesco Stassi, 72 anni, Vincenzo Vallelunga, 56 anni.
Sette persone sono ancora ricercate. Gli arrestati devono rispondere, a vario titolo, di associazione mafiosa ed estorsione.
20/06/2006
Fonte:la Sicilia
52 arresti dalla dda
PALERMO - Agenti della polizia di Stato hanno eseguito 45 dei 52 ordini di arresto indicati dai pm della Dda di Palermo. Il pool di magistrati guidati dal procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone ha disposto il fermo dei componenti delle cosche che da alcuni anni sono al vertice delle famiglie mafiose del capoluogo siciliano. Sono accusati di associazione mafiosa ed estorsione. Sette le persone sfuggite alla cattura e dunque da considerare latitanti.
Dall'indagine condotta dalla squadra mobile emerge la nuova mappa della mafia che ha messo le mani sulla città. Gli arresti disposti stamani dai pm hanno "decapitato gli attuali capi di cosa nostra" che erano in contatto, attraverso i "pizzini", con Bernardo Provenzano. I boss progettavano attentati e omicidi e ordinavano estorsioni a imprese e grosse attività commerciali.
L'inchiesta, che ha pure portato a decrittare i "pizzini" trovati nel covo di Provenzano dopo il suo arresto, e scoprire l'identità di alcuni favoreggiatori i cui nomi erano nascosti da numeri, è coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone e dai pm Maurizio De Lucia, Michele Prestipino, Roberta Buzzolani, Nino Di Matteo e Domenico Gozzo, e si basa in gran parte su intercettazioni effettuate per due anni in un box in lamiera in cui si svolgevano i summit dei capimafia, che si trova nei pressi di viale Michelangelo, alla periferia della città.
Tra i 52 fermi disposti dalla Dda vi sono anche 16 indagati accusati di essere gli attuali capi delle famiglie mafiose di Palermo, tre dei quali sono considerati in posizione "sovraordinata" rispetto agli altri. Una sorta di direttorio ristretto di cosa nostra di cui faceva parte, secondo l'accusa, Antonino Rotolo, 60 anni, indicato a capo del mandamento mafioso di Pagliarelli, che partecipava ai summit nonostante fosse agli arresti domiciliari. L'uomo, bloccato stamani dagli agenti della Squadra Mobile, era stato condannato all'ergastolo per una serie di omicidi, ma aveva ottenuto alcuni anni fa la detenzione in casa per via di problemi di salute.
Del direttorio avrebbe fatto parte anche il dottore Antonino Cinà, di 61 anni, che in passato è stato il medico di Totò Riina ed ha già scontato una condanna per associazione mafiosa. Il terzo boss a sovrintendere sugli altri 16 sarebbe Francesco Bonura, di 64 anni, indicato come il capomafia di Uditore. Tutti e tre sono stati arrestati stamani su ordine del procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone a capo del pool formato dai pm De Lucia, Prestipino, Buzzolani, Di Matteo e Gozzo.
Le conversazioni fra Cinà, Bonura e Rotolo registrate dalla polizia nel box in cui si svolgevano i summit, sono la colonna portante dell'inchiesta. In questo luogo segreto, che si trova a una decina di metri dalla villa di Rotolo, venivano ricevuti i vari rappresentanti delle famiglie mafiose per affrontare problemi e discutere le strategie criminali. Sono stati gli stessi boss, a loro insaputa, a rivelare segreti e nomi di persone insospettabili che sono affiliati alle varie famiglie della città. Sono così emersi nuovi elementi di spicco di Cosa nostra, nuovi punti di riferimento delle varie zone. Gran parte dei quali sono stati arrestati stamani.
Le intercettazioni confermano ancora una volta che Bernardo Provenzano, fino al giorno del suo arresto, avvenuto l'11 aprile scorso, era il "capo supremo di cosa nostra".
Per i "capifamiglia", il box rappresentava un territorio segreto e inaccessibile agli estranei, dove potevano parlare liberamente degli affari illeciti delle cosche. In questo piccolo ambiente, in cui vi erano otto sedie di plastica attorno ad un piccolo tavolo, i capimafia hanno discusso per due anni delle strategie criminali di cosa nostra e senza che lo sapessero venivano registrati dalla polizia. I boss parlavano tranquillamente, perchè adottavano tante precauzioni: utilizzavano un congegno elettronico che poteva annullare il funzionamento delle microspie o ne rilevava la presenza.
Era Rotolo che prima di ogni riunione effettuava personalmente la bonifica dell'ambiente. Le particolari apparecchiature utilizzate dagli investigatori hanno però superato l'esame ed hanno permesso di non essere scoperte. Un altro accorgimento utilizzato dai boss per non far avvicinare nessuno al box era quello di sistemare un pallone da calcio davanti la porta d'ingresso. Un segnale per avvertire le "sentinelle" che sorvegliavano la zona durante i summit di non far entrare nessuno.
Quasi tutti gli incontri sono stati filmati dalla polizia. Dai video si nota in particolare Rotolo scavalcare le recinzioni della sua villa per arrivare al box, dove veniva atteso dagli altri boss.
Il rientro dagli Usa a Palermo di alcuni componenti della famiglia Inzerillo che per anni sono stati "esiliati" negli Stati Uniti per sfuggire alla "guerra di mafia" dei primi anni Ottanta, ha provocato nei mesi scorsi duri scontri in cosa nostra. I contrasti emergono dall'inchiesta del pool della Dda guidato dal procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone che ha ordinato gli arresti fra cui quello degli Inzerillo.
Il ritorno in Italia degli Inzerillo era stato "caldeggiato" alla commissione mafiosa da Salvatore Lo Piccolo, boss latitante di San Lorenzo. A questa proposta si erano opposti il medico Antonino Cinà e Nino Rotolo, che temevano la ripresa di vecchi rancori e contrasti legati a ipotesi di vendetta per togliere ai corleonesi la leadership dell'organizzazione nel palermitano così com'era fino alla fine degli settanta. Proprio per questo motivo era in corso di elaborazione un piano per l'uccisione di Salvatore e Sandro Lo Piccolo, padre e figlio, entrambi latitanti, e per eliminarli era stata chiesta a Provenzano l'autorizzazione, e per ottenerla avrebbero insinuato sospetti sull'affidabilità dei Lo Piccolo e sulle reali intenzioni degli Inzerillo. Emergono, dunque, vecchi rancori.
Alla fine degli anni Ottanta gli Inzerillo, per mettersi al riparo dalla guerra di mafia, lasciarono Palermo e la Commissione di Cosa nostra decise di non condannarli a morte, ma dovevano restare "in esilio" negli Stati Uniti sotto la responsabilità di esponenti di cosa nostra americana, di cui, secondo gli inquirenti, è confermata l'attualità dei rapporti con i boss palermitani.
Il rientro degli Inzerillo, avvenuto da poco tempo, ha fatto riemergere tutti i contrasti ed i sospetti legati alla "guerra di mafia" ed alle stragi compiute dai corleonesi nei primi anni ottanta. La situazione, secondo quanto scrivono nell'ordinanza i pm, sembra essere stata chiarita durante un incontro che vi è stato lo scorso febbraio fra uno degli Inzerillo, Francesco, con Salvatore Lo Piccolo e il medico Cinà. Tutto ciò emerge dalle lettere trovate a Provenzano, dalle quali sembrerebbe che in qualche modo le tensioni interne all'organizzazione si sono raffreddate e il piano di morte sarebbe stato accantonato.
20/06/2006
Fonte: La Sicilia
Dall'indagine condotta dalla squadra mobile emerge la nuova mappa della mafia che ha messo le mani sulla città. Gli arresti disposti stamani dai pm hanno "decapitato gli attuali capi di cosa nostra" che erano in contatto, attraverso i "pizzini", con Bernardo Provenzano. I boss progettavano attentati e omicidi e ordinavano estorsioni a imprese e grosse attività commerciali.
L'inchiesta, che ha pure portato a decrittare i "pizzini" trovati nel covo di Provenzano dopo il suo arresto, e scoprire l'identità di alcuni favoreggiatori i cui nomi erano nascosti da numeri, è coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone e dai pm Maurizio De Lucia, Michele Prestipino, Roberta Buzzolani, Nino Di Matteo e Domenico Gozzo, e si basa in gran parte su intercettazioni effettuate per due anni in un box in lamiera in cui si svolgevano i summit dei capimafia, che si trova nei pressi di viale Michelangelo, alla periferia della città.
Tra i 52 fermi disposti dalla Dda vi sono anche 16 indagati accusati di essere gli attuali capi delle famiglie mafiose di Palermo, tre dei quali sono considerati in posizione "sovraordinata" rispetto agli altri. Una sorta di direttorio ristretto di cosa nostra di cui faceva parte, secondo l'accusa, Antonino Rotolo, 60 anni, indicato a capo del mandamento mafioso di Pagliarelli, che partecipava ai summit nonostante fosse agli arresti domiciliari. L'uomo, bloccato stamani dagli agenti della Squadra Mobile, era stato condannato all'ergastolo per una serie di omicidi, ma aveva ottenuto alcuni anni fa la detenzione in casa per via di problemi di salute.
Del direttorio avrebbe fatto parte anche il dottore Antonino Cinà, di 61 anni, che in passato è stato il medico di Totò Riina ed ha già scontato una condanna per associazione mafiosa. Il terzo boss a sovrintendere sugli altri 16 sarebbe Francesco Bonura, di 64 anni, indicato come il capomafia di Uditore. Tutti e tre sono stati arrestati stamani su ordine del procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone a capo del pool formato dai pm De Lucia, Prestipino, Buzzolani, Di Matteo e Gozzo.
Le conversazioni fra Cinà, Bonura e Rotolo registrate dalla polizia nel box in cui si svolgevano i summit, sono la colonna portante dell'inchiesta. In questo luogo segreto, che si trova a una decina di metri dalla villa di Rotolo, venivano ricevuti i vari rappresentanti delle famiglie mafiose per affrontare problemi e discutere le strategie criminali. Sono stati gli stessi boss, a loro insaputa, a rivelare segreti e nomi di persone insospettabili che sono affiliati alle varie famiglie della città. Sono così emersi nuovi elementi di spicco di Cosa nostra, nuovi punti di riferimento delle varie zone. Gran parte dei quali sono stati arrestati stamani.
Le intercettazioni confermano ancora una volta che Bernardo Provenzano, fino al giorno del suo arresto, avvenuto l'11 aprile scorso, era il "capo supremo di cosa nostra".
Per i "capifamiglia", il box rappresentava un territorio segreto e inaccessibile agli estranei, dove potevano parlare liberamente degli affari illeciti delle cosche. In questo piccolo ambiente, in cui vi erano otto sedie di plastica attorno ad un piccolo tavolo, i capimafia hanno discusso per due anni delle strategie criminali di cosa nostra e senza che lo sapessero venivano registrati dalla polizia. I boss parlavano tranquillamente, perchè adottavano tante precauzioni: utilizzavano un congegno elettronico che poteva annullare il funzionamento delle microspie o ne rilevava la presenza.
Era Rotolo che prima di ogni riunione effettuava personalmente la bonifica dell'ambiente. Le particolari apparecchiature utilizzate dagli investigatori hanno però superato l'esame ed hanno permesso di non essere scoperte. Un altro accorgimento utilizzato dai boss per non far avvicinare nessuno al box era quello di sistemare un pallone da calcio davanti la porta d'ingresso. Un segnale per avvertire le "sentinelle" che sorvegliavano la zona durante i summit di non far entrare nessuno.
Quasi tutti gli incontri sono stati filmati dalla polizia. Dai video si nota in particolare Rotolo scavalcare le recinzioni della sua villa per arrivare al box, dove veniva atteso dagli altri boss.
Il rientro dagli Usa a Palermo di alcuni componenti della famiglia Inzerillo che per anni sono stati "esiliati" negli Stati Uniti per sfuggire alla "guerra di mafia" dei primi anni Ottanta, ha provocato nei mesi scorsi duri scontri in cosa nostra. I contrasti emergono dall'inchiesta del pool della Dda guidato dal procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone che ha ordinato gli arresti fra cui quello degli Inzerillo.
Il ritorno in Italia degli Inzerillo era stato "caldeggiato" alla commissione mafiosa da Salvatore Lo Piccolo, boss latitante di San Lorenzo. A questa proposta si erano opposti il medico Antonino Cinà e Nino Rotolo, che temevano la ripresa di vecchi rancori e contrasti legati a ipotesi di vendetta per togliere ai corleonesi la leadership dell'organizzazione nel palermitano così com'era fino alla fine degli settanta. Proprio per questo motivo era in corso di elaborazione un piano per l'uccisione di Salvatore e Sandro Lo Piccolo, padre e figlio, entrambi latitanti, e per eliminarli era stata chiesta a Provenzano l'autorizzazione, e per ottenerla avrebbero insinuato sospetti sull'affidabilità dei Lo Piccolo e sulle reali intenzioni degli Inzerillo. Emergono, dunque, vecchi rancori.
Alla fine degli anni Ottanta gli Inzerillo, per mettersi al riparo dalla guerra di mafia, lasciarono Palermo e la Commissione di Cosa nostra decise di non condannarli a morte, ma dovevano restare "in esilio" negli Stati Uniti sotto la responsabilità di esponenti di cosa nostra americana, di cui, secondo gli inquirenti, è confermata l'attualità dei rapporti con i boss palermitani.
Il rientro degli Inzerillo, avvenuto da poco tempo, ha fatto riemergere tutti i contrasti ed i sospetti legati alla "guerra di mafia" ed alle stragi compiute dai corleonesi nei primi anni ottanta. La situazione, secondo quanto scrivono nell'ordinanza i pm, sembra essere stata chiarita durante un incontro che vi è stato lo scorso febbraio fra uno degli Inzerillo, Francesco, con Salvatore Lo Piccolo e il medico Cinà. Tutto ciò emerge dalle lettere trovate a Provenzano, dalle quali sembrerebbe che in qualche modo le tensioni interne all'organizzazione si sono raffreddate e il piano di morte sarebbe stato accantonato.
20/06/2006
Fonte: La Sicilia
lunedì, giugno 19, 2006
Arrestati i mandanti di Paternò
CATANIA - I carabinieri della compagnia di Paternò hanno fermato Salvatore Assinnata, di 34 anni, indicato dagli investigatori come il reggente dell'omonima cosca, perchè accusato di essere il mandante dell'agguato in cui il 18 giugno scorso sono stati uccisi Giuseppe Salvia e Roberto Faro. Nella sparatoria è rimasto ferito il figlio di Salvia, di sette anni, che era in auto con il padre e l'amico dell'uomo. Il piccolo è ancora ricoverato con la prognosi riservata nell'ospedale Cannizzaro di Catania in stato di choc emotivo. Il provvedimento di fermo nei confronti di Salvatore Assinnata, figlio del presunto boss Domenico scarcerato nelle scorse settimane, è stato emesso dai sostituti procuratori Agata Santonocito e Federico Falzone della Direzione distrettuale antimafia etnea. Per l'agguato i carabinieri di Paternò, tre giorni dopo la sparatoria, avevano già fermato i due presunti esecutori materiali dell'agguato, Alfio Scuderi, di 33 anni, e Benedetto Beato, di 24, nei confronti dei quali il Gip Alba Sammartino ha successivamente emesso un ordine di custodia cautelare in carcere. Il legale dei due indagati, l'avvocato Vittorio Lo Presti, ha annunciato che ricorrerà al Tribunale del riesame per chiedere la scarcerazione dei suoi assistiti. Nulla è trapelato ancora sul movente dell' agguato. Gli investigatori si limitano a spiegare che ci sono indagini in corso che rischiano di essere compromesse, ma l'agguato potrebbe essere collegato a uno sgarbo.
19/06/2006
Fonte: La Sicilia
19/06/2006
Fonte: La Sicilia
sabato, giugno 17, 2006
Attentato a Catania
CATANIA - Un uomo di 58 anni, Salvatore Vaccalluzzo con precedenti penali è stato ferito poco fa in un agguato avvenuto dinanzi all' ospedale Ferrarotto di Catania. Due sicari a bordo di uno scooter si sono avvicinati alla vittima e da distanza ravvicinata gli hanno esploso contro diversi colpi di pistola, che lo hanno ferito alla testa. Subito dopo l'uomo è stato ricoverato nell' ospedale Garibaldi in gravissime condizioni ma è morto mentre i medici cercavano di operarlo. Originario di Enna, ma da anni residente a Catania, Vaccalluzzo in passato era stato denunciato per associazione per delinquere, rapine furti e usura. Indagano i carabinieri di Catania.
17/06/2006
Fonte: La Sicilia
17/06/2006
Fonte: La Sicilia
venerdì, giugno 16, 2006
Il DRAMMA dei magistrati siciliani
SIRACUSA - Mancano i soldi per acquistare la carta per la fotocopiatrice e ai magistrati della Procura non resta che tassarsi di alcune decine di euro ciascuno per acquistarne alcune risme. Accade al tribunale di Siracusa dove i problemi causati dalla mancanza di fondi non sono nuovi. Nei mesi scorsi è scesa in campo anche la Camera Penale che ha proclamato a livello territoriale astensioni dalle udienze per la sospensione del servizio di stenotipia. Anche nella Procura distrettuale di Catania, per mancanza di fondi, non c'è carta per i certificati penali: i cittadini che hanno bisogno del documento devono presentarsi muniti di foglio di carta. Non è escluso che da lunedì prossimo il provvedimento venga adottato anche per altri certificati. Negli uffici mancano anche i toner delle stampanti e il Procuratore della Repubblica Mario Busacca ne ha autorizzato l'acquisto uscendo dal budget assegnatogli. Il procuratore aggiunto della Direzione Distrettuale Antimafia di Catania Ugo Rossi è intervenuto sulla vicenda ed ha denunciato il rischio che l'insufficienza dei fondi possa avere ripercussioni anche sui rifornimenti di carburante per le auto di servizio dei magistrati e degli uomini delle scorte. "Ho scritto al Ministero della Giustizia per segnalare le gravi carenze nel settore della cancelleria che rischiano di bloccare l'attività giudiziaria a Catania, chiedendo anche se non ricorra in questo anche l'ipotesi di interruzione di pubblico servizio". Lo ha affermato il procuratore della Repubblica di Catania Mario Busacca, rivelando i contenuti di una missiva inviata al ministero. I tagli nel settore amministrativo a Catania, secondo la Procura, sarebbero di circa l' 80 per cento, e il budget sarebbe passato da 120 mila a 19 mila euro l'anno. "Mi chiedo - ha aggiunto Busacca - se riusciremo a emettere la prossima ordinanza di custodia cautelare in carcere, visto che mancano la carta e l'inchiostro con cui stamparla".
16/06/2006
Fonte: La Sicilia
16/06/2006
Fonte: La Sicilia
giovedì, giugno 15, 2006
Chiesti oltre sessant'anni di carcere
PALERMO - Oltre sessant'anni di carcere sono stati chiesti oggi al gup dai pm della Dda per sette imputati, fra cui imprenditori e commercianti, accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione e danneggiamenti, ritenuti affiliati alla cosca mafiosa delle Madonie.I pm Costantino Derobio, Lia Sava e Roberta Buzzolani hanno chiesto la condannata a 11 anni ciascuno per i fratelli Domenico e Rodolfo Virga, di 42 e 44 anni, entrambi di Gangi, e per Alberto Raccuglia, di 40, ritenuti autori di estorsioni a imprese del palermitano. La condanna a nove anni di carcere è stata avanzata per l'imprenditore Angelo Prisinzano, di 47, di Castelbuono, titolare di una delle più grosse aziende di autotrasporti della Sicilia con interessi economici in molti paesi europei e in Emilia Romagna. Per i pm è accusato di far parte della cosca mafiosa Madonita. Anche per l'imprenditore Salvatore Barbuzza, di 55 anni, sono stati chiesti nove anni di carcere. Per Antonio Manzone i magistrati hanno sollecitato una condanna a sei anni in continuazione con un'altra che ha avuto in precedenza. Infine per Antonio Durante, che è accusato di danneggiamenti, sono stati chiesti tre anni e sei mesi.Il processo si svolge con il rito abbreviato davanti al gup Marco Mazzeo. Fra gli imputati spiccano, in particolare, i fratelli Virga, detenuti, nipoti del capo mandamento di San Mauro Castelverde, Giuseppe Farinella. E poi l'imprenditore Prisinzano, il quale, secondo l'accusa, avrebbe avuto l'aiuto della cosca mafiosa di Villabate e di Bagheria, insieme a quella delle Madonie nella sua attività imprenditoriale. Prisinzano si è inserito più di dieci anni fa negli affari del mercato ortofrutticolo di Vittoria, cercando di monopolizzare il trasporto della frutta dalla Sicilia al Nord Italia. Secondo gli investigatori i boss di Villabate hanno controllato gran parte degli affari del mercato di Vittoria e Prisinzano avrebbe messo a disposizione di cosa nostra la sua azienda.
14/06/2006
Fonte: La Sicilia
14/06/2006
Fonte: La Sicilia
Arresto a Siracusa
SIRACUSA - Arrestato dalla polizia a Siracusa, in esecuzione di un ordine di carcerazione, Gaetano Fazio, di 51 anni. Il pregiudicato, raggiunto da un provvedimento della procura generale di Catania, deve scontare una pena di tre mesi di reclusione, in base all'applicazione delle leggi sulle misure di prevenzione antimafia.
14/06/2006
Fonte: La Sicilia
14/06/2006
Fonte: La Sicilia
martedì, giugno 13, 2006
Totò "il campione" ha la memoria corta, tanti i "non ricordo"
PALERMO - Il presidente Salvatore Cuffaro, deponendo oggi in aula per la prima volta nel processo in cui è imputato di favoreggiamento a Cosa nostra e violazione del segreto d'ufficio, ha risposto per quasi quattro ore alle domande dei pm Michele Prestipino, Nino Di Matteo e Maurizio De Lucia. Il governatore ha parlato dei suoi rapporti con Domenico Miceli, ex assessore comunale dell'Udc sotto processo per concorso in associazione mafiosa, e quelli con il medico Salvatore Aragona, anche lui accusato di collusioni con i boss. Ma anche dei suoi rapporti con l'ex maresciallo dei carabinieri, Antonio Borzacchelli, ex deputato regionale dell'Udc ed imputato per concussione. Sono stati molti i "non ricordo" con i quali Cuffaro ha risposto. In alcune circostanze il governatore è stato evasivo su domande che riguardavano alcune intercettazioni inserite nel processo. All'udienza, affollatissima di teleoperatori, fotografi e giornalisti, erano presenti anche gli imputati Michele Aiello e il maresciallo Giorgio Riolo, entrambi agli arresti domiciliari. Il governatore, che è apparso molto sereno, ha detto più volte che le proprie risposte facevano riferimento a quanto era scritto sulle carte processuali. In una sola occasione il presidente del Tribunale, Vittorio Alcamo, lo ha richiamato per sottolineare che avrebbe dovuto dire quello che ricordava dei fatti che gli venivano chiesti dall'accusa. Il governatore siciliano ha più volte lamentato il tipo di domanda posta, rivolgendosi direttamente ai magistrati: "Lei non può chiedermi questo...", oppure "La domanda me l'avrebbe dovuta porre in modo diverso". Fino a quando il pm Maurizio de Lucia non ha chiesto l'intervento del presidente della terza sezione del Tribunale, Vittorio Alcamo. Quest'ultimo ha ricordato a Cuffaro: "Lei può non rispondere alle domande, ma non criticare le domande oppure chiedere di modificarle...". Poi, il pm Maurizio de Lucia, quando il governatore per l'ennesima volta si è rivolto a lui con 'dottor de Lucia' e precedentemente ai pm Michele Prestipino e Antonino Di Matteo con i loro cognomi, gli ha detto: "Gradirei che i pm, visto che l'ufficio è impersonale, non vengano chiamati con i loro cognomi". E Cuffaro, di rimando: "Mi dispiace, le chiedo scusa, ma sa è la prima volta che faccio l'imputato...". Subito dopo, quando il pm de Lucia si è rivolto al governatore chiamandolo 'senatore', è stato il Presidente della Regione Sicilia, Salvatore Cuffaro, a dire: "Ora anche lei mi sta chiamando con il mio titolo...". Il 'siparietto' tra i due si è chiuso con un richiamo del presidente Vittorio Alcamo "Fino a oggi il processo si è sempre svolto in modo sereno, spero che possa continuare così anche adesso". E il processo è proseguito regolarmente.Cuffaro ha parlato anche delle bonifiche che sono state eseguite fra il '97 e il '98 da parte del maresciallo Giorgio Riolo, nel suo ufficio all'Assessorato regionale all'Agricoltura e poi in seguito, nel 2001, nella propria abitazione e alla presidenza della Regione. "Era stata un'idea di Antonio Borzacchelli - afferma Cuffaro - era convinto che tutto quello che ci dicevamo politicamente lo sapevano gli avversari politici e quindi era convinto che qualcuno ci ascoltava". Il pm De Lucia ha quindi chiesto nel '98 cosa facesse Borzacchelli, il governatore ha risposto: "Era un maresciallo dei carabinieri che si occupava di pubblica amministrazione ma aveva già nella sua mente l'idea di fare politica. Ma da lui non ho mai saputo delle indagini che svolgeva". Il presidente della Regione ha inoltre detto di avere conosciuto il maresciallo Giuseppe Ciuro. "Ho rischiato di incontrarlo l'ultima volta - afferma Cuffaro - qualche giorno prima del suo arresto perché ero stato invitato a una cena, alla quale non sono stato, in cui sapevo che erano presenti anche il pm Antonio Ingroia, il manager della sanità Manenti ed Aiello". L'udienza è stata interrotta alle 13 a causa degli impegni in Senato di Cuffaro. L'esame del governatore da parte dei pm proseguirà il 20 giugno prossimo. Il presidente della Regione lasciando l'aula ha detto ai giornalisti che il suo processo è basato su una frase che sarebbe contenuta nelle intercettazioni ambientali effettuate a casa del boss Giuseppe Guttadauro nel momento in cui vennero scoperte le microspie. "Agli atti del processo si fa riferimento a un tale Totò - afferma Cuffaro - ma nelle intercettazioni non vi è questa parte della registrazione". Il governatore ha poi aggiunto: "Ho contribuito con il pm a ricercare la verità e credo di averlo fatto fino in fondo". A chi gli ha chiesto di dire il suo parere sulle dichiarazioni del pentito Francesco Campanella, che saranno oggetto nella prossima udienza dell'esame del pm, Cuffaro ha risposto: "Su Campanella vedremo come andrà a finire, perchè ha detto cose su di me, su Cardinale, su Lumia e su D'Alema. Credo, comunque, che per nessuna di queste persone abbia detto cose vere".
13/06/2006
Fonte: La Sicilia
13/06/2006
Fonte: La Sicilia
Il "campione" al processo "talpe alla dda"
PALERMO - Il presidente della Regione Salvatore Cuffaro si è presentato in aula a Palermo dove è in corso di svolgimento il processo in cui è imputato di favoreggiamento alla mafia e di violazione di segreto d'ufficio. Il governatore, che partecipa ad una udienza per la prima volta dall'inizio del dibattimento, ha risposto alle domande del pm.Prima di entrare in aula, incrociando i giornalisti, il Governatore ha detto: "Sono qui per portare il mio contributo e fare chiarezza in questa vicenda". Cuffaro non ha nascosto "di avere un pò di ansia" e ha riferito ai cronisti che risponderà "a tutte le domande che saranno poste".Il Governatore era accompagnato dai suoi difensori Nino Caleca, Claudio Gallina Montana e Nino Mormino.
13/06/2006
Fonte: La Sicilia
13/06/2006
Fonte: La Sicilia
lunedì, giugno 12, 2006
Dopo Francia e Germania, addiopizzo in Svizzera
Poussés par une bande d'étudiants déterminés à secouer leurs aînés et à sortir le racket mafieux du silence, une centaine de commerçants de Palerme (Sicile) ont décidé de briser l'omerta et d'afficher publiquement leur "non" à l'extorsion.
"Un peuple entier qui paie le +pizzo+ (impôt mafieux) est un peuple sans dignité." Il y a deux ans, par une belle nuit d'été sicilienne, les murs du centre de Palerme furent recouverts de ce slogan provocateur, tamponné noir sur blanc sur des centaines de petits adhésifs anonymes.
A l'origine de l'initiative, une poignée d'étudiants sans complexes et pour la plupart sans appartenance politique, mais décidés à "réveiller les consciences sur un problème que plus personne ne voulait voir à Palerme, alors que selon des estimations, quatre commerçants sur cinq s'acquittent du pizzo", explique Daniele Marannano, 21 ans. Dans la foulée, les médias locaux s'interrogent sur ces messages sans signature et l'opinion publique se partage sur l'opportunité de défier ainsi la mafia locale. Le mystère s'épaissit tellement que le préfet convoque un comité extraordinaire pour la "sécurité et l'ordre public". "Quand on s'est rendu compte que le +coup des autocollants+ avait marché, on est sorti du silence, puis on est allé chercher des commerçants pour les convaincre un par un de continuer l'aventure avec nous", poursuit Barbara Giangravè, étudiante en communication de 24 ans.
Boutique de vêtements, pizzerias, agences de voyage ou services aux entreprises, plus d'une centaine de gérants s'engagent désormais publiquement à refuser le racket mafieux et à dénoncer d'éventuels extorqueurs.
Et si tous savent qu'en 1991, à une époque où Cosa Nostra faisait parler volontiers les armes, l'entrepreneur Libero Grasso avait payé de sa vie ce genre de bravade, les rebelles ont accepté que les noms de leurs enseignes, leurs adresses et numéros de téléphone soient consultables sur internet (www.addiopizzo.org).
"Je ne me sens pas courageuse, juste cohérente. Même si je n'ai jamais eu de problème de racket dans ma petite boutique, j'ai voulu adhérer pour lutter contre un tabou et faire en sorte qu'on puisse parler librement du +pizzo+", explique Loredana Fulco, 45 ans, tablier jaune et mains farineuses, près du plan de travail où elle façonne ses pâtes fraiches.
"Beaucoup se disent qu'ils n'ont jamais été rackettés et se demandent à quoi ça sert de réveiller un chien qui dort. C'est justement contre cette peur qu'il faut se battre, pour soutenir tous ceux qui paient en silence", poursuit-elle. Si le projet a laissé de nombreux commerçants indifférents, quelque 7.400 consommateurs se sont en revanche engagés à faire leurs courses chez les commerçants d'Addio Pizzo (Adieu Racket), et ces derniers reçoivent même des visites plus fréquentes de la police, car la magistrature et les autorités locales se sont à leur tour laissé
convaincre par le projet.
"Les policiers ou les carabiniers viennent une à deux fois par jour me demander si tout va bien, s'il ne s'est rien passé de bizarre. C'est rassurant et j'ai vraiment l'impression qu'ils sont avec nous. Certains m'ont même acheté le tee-shirt de l'association", s'amuse Claudia Villani, 37 ans, dans sa boutique de vêtements recyclés.
Malgré l'intérêt qu'ils ont suscité dans les médias italiens et parfois étrangers, les étudiants d'Addio Pizzo gardent les pieds sur terre.
"Nous savons très bien que la majorité de nos adhérents n'ont jamais été menacés. Le plus dur pour nous sera de vivre dans la durée et, surtout, d'aller dans les quartiers où la mafia est très implantée, là où elle réussit à convaincre les gens qu'ils lui doivent quelque chose", conclut, lucide, Barbara Giangravè.
Fonte: La Tribune de Genève en ligne
"Un peuple entier qui paie le +pizzo+ (impôt mafieux) est un peuple sans dignité." Il y a deux ans, par une belle nuit d'été sicilienne, les murs du centre de Palerme furent recouverts de ce slogan provocateur, tamponné noir sur blanc sur des centaines de petits adhésifs anonymes.
A l'origine de l'initiative, une poignée d'étudiants sans complexes et pour la plupart sans appartenance politique, mais décidés à "réveiller les consciences sur un problème que plus personne ne voulait voir à Palerme, alors que selon des estimations, quatre commerçants sur cinq s'acquittent du pizzo", explique Daniele Marannano, 21 ans. Dans la foulée, les médias locaux s'interrogent sur ces messages sans signature et l'opinion publique se partage sur l'opportunité de défier ainsi la mafia locale. Le mystère s'épaissit tellement que le préfet convoque un comité extraordinaire pour la "sécurité et l'ordre public". "Quand on s'est rendu compte que le +coup des autocollants+ avait marché, on est sorti du silence, puis on est allé chercher des commerçants pour les convaincre un par un de continuer l'aventure avec nous", poursuit Barbara Giangravè, étudiante en communication de 24 ans.
Boutique de vêtements, pizzerias, agences de voyage ou services aux entreprises, plus d'une centaine de gérants s'engagent désormais publiquement à refuser le racket mafieux et à dénoncer d'éventuels extorqueurs.
Et si tous savent qu'en 1991, à une époque où Cosa Nostra faisait parler volontiers les armes, l'entrepreneur Libero Grasso avait payé de sa vie ce genre de bravade, les rebelles ont accepté que les noms de leurs enseignes, leurs adresses et numéros de téléphone soient consultables sur internet (www.addiopizzo.org).
"Je ne me sens pas courageuse, juste cohérente. Même si je n'ai jamais eu de problème de racket dans ma petite boutique, j'ai voulu adhérer pour lutter contre un tabou et faire en sorte qu'on puisse parler librement du +pizzo+", explique Loredana Fulco, 45 ans, tablier jaune et mains farineuses, près du plan de travail où elle façonne ses pâtes fraiches.
"Beaucoup se disent qu'ils n'ont jamais été rackettés et se demandent à quoi ça sert de réveiller un chien qui dort. C'est justement contre cette peur qu'il faut se battre, pour soutenir tous ceux qui paient en silence", poursuit-elle. Si le projet a laissé de nombreux commerçants indifférents, quelque 7.400 consommateurs se sont en revanche engagés à faire leurs courses chez les commerçants d'Addio Pizzo (Adieu Racket), et ces derniers reçoivent même des visites plus fréquentes de la police, car la magistrature et les autorités locales se sont à leur tour laissé
convaincre par le projet.
"Les policiers ou les carabiniers viennent une à deux fois par jour me demander si tout va bien, s'il ne s'est rien passé de bizarre. C'est rassurant et j'ai vraiment l'impression qu'ils sont avec nous. Certains m'ont même acheté le tee-shirt de l'association", s'amuse Claudia Villani, 37 ans, dans sa boutique de vêtements recyclés.
Malgré l'intérêt qu'ils ont suscité dans les médias italiens et parfois étrangers, les étudiants d'Addio Pizzo gardent les pieds sur terre.
"Nous savons très bien que la majorité de nos adhérents n'ont jamais été menacés. Le plus dur pour nous sera de vivre dans la durée et, surtout, d'aller dans les quartiers où la mafia est très implantée, là où elle réussit à convaincre les gens qu'ils lui doivent quelque chose", conclut, lucide, Barbara Giangravè.
Fonte: La Tribune de Genève en ligne
Arrestato membro dei Santapaola
CATANIA - I carabinieri del comando provinciale di Catania hanno sventato un probabile e imminente agguato mafioso. In manette è finito un pregiudicato trentaseienne, Pietro Salvatore Lupo, indicato vicino al clan Santapaola. L'uomo è stato bloccato all'interno di un garage dove sono state trovate tre moto di grossa cilindrata e armi per un commando omicida pronto ad agire. Le indagini sono finalizzate a scoprire quale fosse l'obiettivo. Le armi saranno esaminate dagli esperti del Ris per scoprire se siano state usate in recenti fatti di sangue.
12/06/2006
Fonte: La Sicilia
12/06/2006
Fonte: La Sicilia
domenica, giugno 11, 2006
Omicidio nel catanese
CATANIA - Uno sgarbo maturato nel mondo dello spaccio degli stupefacenti: è la pista privilegiata che stanno battendo i carabinieri per fare luce sull'omicidio di Domenico Farina, 57 anni, ucciso ieri sera a Catania con diversi colpi di arma da fuoco in un agguato in via Pietro Platania, nel quartiere di San Cristoforo. La vittima era a bordo di una moto quando è stato affiancato da un sicario che gli ha sparato sette colpi di pistola al torace e alla testa, uccidendolo sul colpo. almeno due sicari che hanno esploso più colpi di pistola ferendolo mortalmente alla testa e al torace.
Farina, che aveva precedenti penali per reati contro il patrimonio, spaccio di droga e rapina, negli anni 90 era stato denunciato perché ritenuto inserito nel clan Pillera-Cappello. Stamattina sono continuati gli interrogatori dei familiari e degli amici del pregiudicato per tentare di ricostruire le ultime ore di vita della vittima, le sue frequentazioni e i contatti che aveva avuto dopo che nel 2004 era stato scarcerato.
10/06/2006
Fonte: La Sicilia
Farina, che aveva precedenti penali per reati contro il patrimonio, spaccio di droga e rapina, negli anni 90 era stato denunciato perché ritenuto inserito nel clan Pillera-Cappello. Stamattina sono continuati gli interrogatori dei familiari e degli amici del pregiudicato per tentare di ricostruire le ultime ore di vita della vittima, le sue frequentazioni e i contatti che aveva avuto dopo che nel 2004 era stato scarcerato.
10/06/2006
Fonte: La Sicilia
sabato, giugno 10, 2006
Più di un milione di euro di confisca
MESSINA - Beni per un valore complessivo di un milione e 200 mila euro sono stati sequestrati dalla sezione operativa della Dia di Messina. Il provvedimento emesso dai giudici delle Misure di prevenzione del tribunale riguarda Francesco Cannizzo, 46 anni, detenuto perché accusato di essere stato al vertice del clan mafioso dei tortoriciani. Il sequestro riguarda unità immobiliari, fra cui una villa, automobili e conti correnti bancari.
10/06/2006
Fonte: La Sicilia
10/06/2006
Fonte: La Sicilia
Una minorenne la "postina"
GELA (CALTANISSETTA) - Sarebbe un minorenne, non ancora identificato, il "postino" che avrebbe recapitato i "pizzini" con richieste e minacce ai commercianti gelesi e nisseni vittime del pizzo. Il particolare è emerso nell'indagine condotta dalla Dda di Caltanissetta che ha portato all'arresto di sette presunti esponenti dei clan. Gli arrestati avrebbero taglieggiato per 17 anni il proprietario del "567" uno dei fast-food di corso Salvatore Aldisio, a Gela, obbligandolo a pagare inizialmente una somma annua di tre milioni di vecchie lire, successivamente divenuta di 1.500 euro da versare in tre rate, a Natale, Pasqua e Ferragosto.
Oltre al denaro contante, gli estorsori avrebbero preteso, per loro ed i loro amici, consumazioni gratuite. La vittima non avrebbe mai denunciato il ricatto. Secondo gli inquirenti, "il suo stato di soggezione vedeva come uniche alternative alla situazione pagare o abbassare la saracinesca", dunque chiudere l'attività e andare via.
Sono stati i poliziotti, a sua insaputa, a piazzare nel locale alcune microspie ed una telecamera, con cui sono riusciti a identificare i taglieggiatori che si presentavano sempre a nome delle cosche mafiose di appartenenza ("Stidda" e "Cosa Nostra"), riferendo, quasi a giustificarsi, che le somme servivano per sostenere i mafiosi in carcere e le rispettive famiglie. Determinante la collaborazione di un pentito, Salvatore Cassarà, le cui rivelazioni, lo scorso anno, permisero di sventare un attentato al giudice del tribunale di Caltanissetta, Ottavio Sferlazza, che la mafia gelese aveva deciso di eliminare.
I provvedimenti sono stati firmati dal gip del tribunale di Caltanissetta, Sara Di Rienzo, su richiesta dei pm della Dda, Nicolò Marino e Rocco Liguori, coordinati dal procuratore aggiunto Renato Di Natale. Tre provvedimenti sono stati notificati a persone che erano già detenute.
A margine della conferenza stampa in cui sono stati illustrati i particolari dell'operazione che ha permesso di svelare il giro di estorsioni, il capo della Mobile di Caltanissetta, Marco Staffa ha lanciato un appello: "Denunciate i vostri aguzzini. Da anni la polizia è impegnata nella lotta al racket nel territorio di Gela cercando di avvicinarsi alla popolazione per far capire che non bisogna cedere alla pressioni degli estorsori".
"Anche questa notte - ha aggiunto Staffa - abbiamo colpito personaggi vicini alla Stidda e Cosa nostra gelese, in particolare alla cosca degli Emmanuello che per lungo tempo hanno rovinato la vita a un commerciante. Malgrado le vessazioni continue e le pressanti richieste di denaro, però, lo stesso ristoratore non ha voluto collaborare con noi. Lancio - ha concluso - un ennesimo messaggio ai commercianti: non diventate vittime del racket, collaborate con noi".
Dalle indagini ancora una volta è emersa l'alleanza ormai consolidata tra gli esponenti della Stidda e di Cosa nostra nella gestione degli affari illeciti a Gela.
09/06/2006
Oltre al denaro contante, gli estorsori avrebbero preteso, per loro ed i loro amici, consumazioni gratuite. La vittima non avrebbe mai denunciato il ricatto. Secondo gli inquirenti, "il suo stato di soggezione vedeva come uniche alternative alla situazione pagare o abbassare la saracinesca", dunque chiudere l'attività e andare via.
Sono stati i poliziotti, a sua insaputa, a piazzare nel locale alcune microspie ed una telecamera, con cui sono riusciti a identificare i taglieggiatori che si presentavano sempre a nome delle cosche mafiose di appartenenza ("Stidda" e "Cosa Nostra"), riferendo, quasi a giustificarsi, che le somme servivano per sostenere i mafiosi in carcere e le rispettive famiglie. Determinante la collaborazione di un pentito, Salvatore Cassarà, le cui rivelazioni, lo scorso anno, permisero di sventare un attentato al giudice del tribunale di Caltanissetta, Ottavio Sferlazza, che la mafia gelese aveva deciso di eliminare.
I provvedimenti sono stati firmati dal gip del tribunale di Caltanissetta, Sara Di Rienzo, su richiesta dei pm della Dda, Nicolò Marino e Rocco Liguori, coordinati dal procuratore aggiunto Renato Di Natale. Tre provvedimenti sono stati notificati a persone che erano già detenute.
A margine della conferenza stampa in cui sono stati illustrati i particolari dell'operazione che ha permesso di svelare il giro di estorsioni, il capo della Mobile di Caltanissetta, Marco Staffa ha lanciato un appello: "Denunciate i vostri aguzzini. Da anni la polizia è impegnata nella lotta al racket nel territorio di Gela cercando di avvicinarsi alla popolazione per far capire che non bisogna cedere alla pressioni degli estorsori".
"Anche questa notte - ha aggiunto Staffa - abbiamo colpito personaggi vicini alla Stidda e Cosa nostra gelese, in particolare alla cosca degli Emmanuello che per lungo tempo hanno rovinato la vita a un commerciante. Malgrado le vessazioni continue e le pressanti richieste di denaro, però, lo stesso ristoratore non ha voluto collaborare con noi. Lancio - ha concluso - un ennesimo messaggio ai commercianti: non diventate vittime del racket, collaborate con noi".
Dalle indagini ancora una volta è emersa l'alleanza ormai consolidata tra gli esponenti della Stidda e di Cosa nostra nella gestione degli affari illeciti a Gela.
09/06/2006
venerdì, giugno 09, 2006
La mamma dei coglioni è sempre incinta
MAZARA DEL VALLO (TRAPANI) - Una delle due lapidi della via Giuseppe Impastato di Mazara del Vallo è stata distrutta. I frammenti di marmo sono stati trovati per terra, quasi a formare un collage. Il sindaco di Mazara del Vallo Giorgio Macaddino ha espresso sdegno per l'atto vandalico definendolo "un gesto gravissimo". "Nè la distruzione di una lapide nè altri atti inquietanti - ha detto - ci faranno indietreggiare di un solo millimetro nella lotta alla mafia, nelle manifestazioni e azioni improntate alla legalità ed alla trasparenza. Ho già incaricato i nostri uffici di apporre celermente una nuova lapide nella via Giuseppe Impastato". Macaddino annuncia un'altra intitolazione "anche il parco giochi che abbiamo progettato e che nei prossimi mesi realizzeremo nell'area adiacente la scuola di via Bessarione, sarà intitolato alla memoria di Peppino Impastato. Mi auguro - conclude il Sindaco - che le forze dell'ordine possano assicurare alla giustizia gli autori del gesto intimidatorio". La cerimonia d'intitolazione dell'ex via Frà Luchino a Giuseppe Impastato - vittima della mafia, si era svolta il 12 maggio scorso alla presenza del Sindaco, del Prefetto e delle massime autorità civili e militari, con il coinvolgimento di cittadini, studenti e associazioni.
08/06/2006
Fonte: La Sicilia
08/06/2006
Fonte: La Sicilia
Appello, resiste la condanna
Processo "trash", chiamato a deporre Martelli
PALERMO - "La lotta alla mafia fu il perno della campagna elettorale per le politiche del 1987 condotta dal Psi in Sicilia. Non mi è mai stato offerto alcun appoggio elettorale da parte di Cosa nostra e non ho mai conosciuto Angelo Siino". Lo ha detto l'ex ministro Claudio Martelli, deponendo al processo "Trash", che vede imputate 31 persone accusate, a vario titolo, di associazione mafiosa, abuso d'ufficio, turbativa d'asta ed illecita aggiudicazione degli appalti.
Tra gli imputati anche il capomafia Bernardo Provenzano, che ha partecipato al dibattimento in videoconferenza dal supercarcere di Terni, nonché l'ex boss ora collaboratore di giustizia Nino Giuffrè, il "ministro dei lavori pubblici" di cosa nostra Angelo Siino, anche lui pentito, ed il socialista Manlio Orobello, ex sindaco di Palermo.
Martelli, citato come teste a difesa di Orobello, ha negato di avere conosciuto Siino. "Fui scortato - ha detto - durante tutta la campagna elettorale dalla polizia e dai compagni di Partito: come avrei potuto andare a casa di Siino per parlare di voti? Siccome le voci su un mio presunto incontro con Siino continuavano a circolare - ha aggiunto - andai a parlare con Caselli, quando lui era procuratore di Palermo, per chiedergli di fare luce sulla vicenda e di accertare che si trattava di falsità ma lui mi rispose che quella non era una priorità del suo ufficio. Io, però, non mi diedi per vinto - ha spiegato l'ex Guardasigilli - e mi rivolsi all'autorità giudiziaria competente, che era Caltanissetta. Andai dal procuratore Tinebra perchè accertasse se ci fossero state delle omissioni da parte della procura di Palermo. Non ho mai saputo come andò a finire quell'inchiesta ma se lo si volesse davvero accertare non sarebbe difficile scoprirlo".
Martelli ha ribadito, più volte, che la lotta alla mafia fu una delle priorità della campagna elettorale del 1987. "Volevamo dare - ha continuato - un forte segno di rinnovamento, volevamo fugare ogni ombra. Per evitare confusioni, che potevano nascere dal nostro impegno nel referendum sulla "giustizia giusta" e per far capire che la nostra era una battaglia in favore dei diritti e non dei delitti, fummo spinti anche a fare delle scelte. Ad esempio quando Pannella, che era con noi nella campagna referendaria, mi invitò a recarmi all'Ucciardone ad incontrare i detenuti, decisi, anche consigliato dai compagni di partito siciliani come Orobello, di non andare per evitare che in certi ambienti si pensasse che ci recavamo lì a cercare voti".
Martelli ha poi ricordato l'attività legislativa antimafia promossa durante il periodo in cui guidava il ministero della giustizia, "provvedimenti normativi - ha detto - da me firmati su ispirazione anche di Giovanni Falcone". L'ex esponente socialista, smentendo le dichiarazioni del pentito Calogero Pulci, ha negato di avere mai ideato riforme in senso garantista del reato di associazione mafiosa. "Certo - ha aggiunto - fui firmatario del referendum sulla giustizia giusta dopo il caso Tortora e le storture nella gestione del maxiprocesso alla camorra. Si diceva che eravamo particolarmente garantisti, in realtà, sostenevamo la responsabilità civile dei magistrati che avessero commesso errori ed eravamo critici nei confronti dei maxiprocessi anche se, parlando con Falcone, capii che il maxiprocesso di Palermo aveva dietro una cura investigativa ben diversa rispetto a quello di Napoli".
Martelli ha poi ricordato i suoi rapporti con Falcone. "Lo conobbi - ha raccontato - nel 1986. Un pomeriggio nel suo ufficio bunker mi impartì una lezione su cosa fosse la mafia. Io, da milanese, ne avevo un'idea un pò romanzesca, fu lui a spiegarmi che non eravamo davanti a una lobby qualunque ma che si trattava di una associazione che ricatta ed uccide e sull'intimidazione costruisce la sua forza".
Al processo trash oggi avrebbe dovuto deporre anche Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco di Palermo, Vito. Ma il testimone è stato arrestato questa mattina. Alle domande del pm ha risposto anche Giuseppe Biondolillo, che sconta un ergastolo definitivo per omicidio. L'udienza è stata rinviata al 22 giugno prossimo.
08/06/2006
Tra gli imputati anche il capomafia Bernardo Provenzano, che ha partecipato al dibattimento in videoconferenza dal supercarcere di Terni, nonché l'ex boss ora collaboratore di giustizia Nino Giuffrè, il "ministro dei lavori pubblici" di cosa nostra Angelo Siino, anche lui pentito, ed il socialista Manlio Orobello, ex sindaco di Palermo.
Martelli, citato come teste a difesa di Orobello, ha negato di avere conosciuto Siino. "Fui scortato - ha detto - durante tutta la campagna elettorale dalla polizia e dai compagni di Partito: come avrei potuto andare a casa di Siino per parlare di voti? Siccome le voci su un mio presunto incontro con Siino continuavano a circolare - ha aggiunto - andai a parlare con Caselli, quando lui era procuratore di Palermo, per chiedergli di fare luce sulla vicenda e di accertare che si trattava di falsità ma lui mi rispose che quella non era una priorità del suo ufficio. Io, però, non mi diedi per vinto - ha spiegato l'ex Guardasigilli - e mi rivolsi all'autorità giudiziaria competente, che era Caltanissetta. Andai dal procuratore Tinebra perchè accertasse se ci fossero state delle omissioni da parte della procura di Palermo. Non ho mai saputo come andò a finire quell'inchiesta ma se lo si volesse davvero accertare non sarebbe difficile scoprirlo".
Martelli ha ribadito, più volte, che la lotta alla mafia fu una delle priorità della campagna elettorale del 1987. "Volevamo dare - ha continuato - un forte segno di rinnovamento, volevamo fugare ogni ombra. Per evitare confusioni, che potevano nascere dal nostro impegno nel referendum sulla "giustizia giusta" e per far capire che la nostra era una battaglia in favore dei diritti e non dei delitti, fummo spinti anche a fare delle scelte. Ad esempio quando Pannella, che era con noi nella campagna referendaria, mi invitò a recarmi all'Ucciardone ad incontrare i detenuti, decisi, anche consigliato dai compagni di partito siciliani come Orobello, di non andare per evitare che in certi ambienti si pensasse che ci recavamo lì a cercare voti".
Martelli ha poi ricordato l'attività legislativa antimafia promossa durante il periodo in cui guidava il ministero della giustizia, "provvedimenti normativi - ha detto - da me firmati su ispirazione anche di Giovanni Falcone". L'ex esponente socialista, smentendo le dichiarazioni del pentito Calogero Pulci, ha negato di avere mai ideato riforme in senso garantista del reato di associazione mafiosa. "Certo - ha aggiunto - fui firmatario del referendum sulla giustizia giusta dopo il caso Tortora e le storture nella gestione del maxiprocesso alla camorra. Si diceva che eravamo particolarmente garantisti, in realtà, sostenevamo la responsabilità civile dei magistrati che avessero commesso errori ed eravamo critici nei confronti dei maxiprocessi anche se, parlando con Falcone, capii che il maxiprocesso di Palermo aveva dietro una cura investigativa ben diversa rispetto a quello di Napoli".
Martelli ha poi ricordato i suoi rapporti con Falcone. "Lo conobbi - ha raccontato - nel 1986. Un pomeriggio nel suo ufficio bunker mi impartì una lezione su cosa fosse la mafia. Io, da milanese, ne avevo un'idea un pò romanzesca, fu lui a spiegarmi che non eravamo davanti a una lobby qualunque ma che si trattava di una associazione che ricatta ed uccide e sull'intimidazione costruisce la sua forza".
Al processo trash oggi avrebbe dovuto deporre anche Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco di Palermo, Vito. Ma il testimone è stato arrestato questa mattina. Alle domande del pm ha risposto anche Giuseppe Biondolillo, che sconta un ergastolo definitivo per omicidio. L'udienza è stata rinviata al 22 giugno prossimo.
08/06/2006
Arrestato Ciancimino junior
PALERMO - I carabinieri e la guardia di finanza di Palermo hanno arrestato questa mattina Massimo Ciancimino, il giovane imprenditore figlio dell'ex sindaco Vito Ciancimino, condannato per mafia e morto a Roma il 19 novembre 2002. Nel corso delle indagini sono state eseguite numerose perquisizioni a Palermo, Roma e Milano.
Il provvedimento cautelare è stato firmato dal gip Gioacchino Scaduto e riguarda anche l'avvocato internazionalista Giorgio Ghiron, 73 anni, residente a Roma. Ad entrambi il giudice ha concesso gli arresti domiciliari. Ciancimino e Ghiron sono accusati di riciclaggio, reimpiego di capitali di provenienza illecita e fittizia intestazione di beni.
L'ordine di custodia cautelare è stata notificato a Massimo Ciancimino nella sua abitazione nel centro di Palermo. Secondo gli investigatori il vecchio Ciancimino, considerato molto vicino a Bernardo Provenzano, già nel 1984 aveva intascato, secondo gli inquirenti, decine di miliardi di vecchie lire. Ma a quanto ammonti il tesoro dell'ex sindaco, finora non è riuscito a calcolarlo nessuno.
L'inchiesta condotta dai carabinieri riguarda il "tesoro" accumulato illecitamente negli anni Ottanta da Vito Ciancimino che secondo l'accusa, dopo la sua morte, sarebbe stato gestito dal figlio e dall'avvocato. Entrambi gli arrestati avevano già ricevuto l'avviso di garanzia lo scorso luglio perchè accusati di reimpiego di denaro di provenienza illecita. Il riferimento a Massimo Ciancimino era stato trovato lo scorso 11 aprile dagli investigatori in un "pizzino" inviato dal boss latitante trapanese Matteo Messina Denaro al vecchio padrino corleonese Bernardo Provenzano.
Nel 1991, durante l'udienza di un processo in cui Vito Ciancimino era imputato, rivolgendosi all'allora pm, Giuseppe Pignatone, ammise: "Nell'arco della mia vita ho guadagnato somme più del doppio di quelle che mi sono state sequestrate". Sul tesoro di don Vito per oltre un decennio è poi calato il silenzio, fino a quando il boss Nino Giuffrè ha iniziato a collaborare con la giustizia, svelando alcuni retroscena che hanno portato a riaprire le indagini. Gli investigatori si sono messi sulle tracce di questo tesoro che avrebbe tanti rivoli in conti e società della Spagna, Svizzera, Stati Uniti, Portogallo, Romania, Russia e Ucraina.
Il ruolo dell'avvocato Giorgio Ghiron per gli inquirenti è centrale negli affari di Massimo Ciancimino, soprattutto per quelli legati al commercio del gas di cui si occupa il giovane imprenditore arrestato. Avvocato internazionalista con studio a Roma, Napoli, Londra e New York, Ghiron era legato a Vito Ciancimino sin dagli anni Settanta e in qualche vicenda giudiziaria compare come il suo avvocato difensore. A casa di Ghiron nel luglio scorso, quando gli è stato notificato il primo avviso di garanzia, i pm di Palermo durante la perquisizione hanno trovato una lettera-testamento di Vito Ciancimino, ma soprattutto una scrittura privata che conferma la tesi dei giudici che dietro alcune società come la Fingas e la Sirco che hanno un volume d'affari di milioni di euro, c'è Ciancimino junior.
08/06/2006
Fonte: La Sicilia
Il provvedimento cautelare è stato firmato dal gip Gioacchino Scaduto e riguarda anche l'avvocato internazionalista Giorgio Ghiron, 73 anni, residente a Roma. Ad entrambi il giudice ha concesso gli arresti domiciliari. Ciancimino e Ghiron sono accusati di riciclaggio, reimpiego di capitali di provenienza illecita e fittizia intestazione di beni.
L'ordine di custodia cautelare è stata notificato a Massimo Ciancimino nella sua abitazione nel centro di Palermo. Secondo gli investigatori il vecchio Ciancimino, considerato molto vicino a Bernardo Provenzano, già nel 1984 aveva intascato, secondo gli inquirenti, decine di miliardi di vecchie lire. Ma a quanto ammonti il tesoro dell'ex sindaco, finora non è riuscito a calcolarlo nessuno.
L'inchiesta condotta dai carabinieri riguarda il "tesoro" accumulato illecitamente negli anni Ottanta da Vito Ciancimino che secondo l'accusa, dopo la sua morte, sarebbe stato gestito dal figlio e dall'avvocato. Entrambi gli arrestati avevano già ricevuto l'avviso di garanzia lo scorso luglio perchè accusati di reimpiego di denaro di provenienza illecita. Il riferimento a Massimo Ciancimino era stato trovato lo scorso 11 aprile dagli investigatori in un "pizzino" inviato dal boss latitante trapanese Matteo Messina Denaro al vecchio padrino corleonese Bernardo Provenzano.
Nel 1991, durante l'udienza di un processo in cui Vito Ciancimino era imputato, rivolgendosi all'allora pm, Giuseppe Pignatone, ammise: "Nell'arco della mia vita ho guadagnato somme più del doppio di quelle che mi sono state sequestrate". Sul tesoro di don Vito per oltre un decennio è poi calato il silenzio, fino a quando il boss Nino Giuffrè ha iniziato a collaborare con la giustizia, svelando alcuni retroscena che hanno portato a riaprire le indagini. Gli investigatori si sono messi sulle tracce di questo tesoro che avrebbe tanti rivoli in conti e società della Spagna, Svizzera, Stati Uniti, Portogallo, Romania, Russia e Ucraina.
Il ruolo dell'avvocato Giorgio Ghiron per gli inquirenti è centrale negli affari di Massimo Ciancimino, soprattutto per quelli legati al commercio del gas di cui si occupa il giovane imprenditore arrestato. Avvocato internazionalista con studio a Roma, Napoli, Londra e New York, Ghiron era legato a Vito Ciancimino sin dagli anni Settanta e in qualche vicenda giudiziaria compare come il suo avvocato difensore. A casa di Ghiron nel luglio scorso, quando gli è stato notificato il primo avviso di garanzia, i pm di Palermo durante la perquisizione hanno trovato una lettera-testamento di Vito Ciancimino, ma soprattutto una scrittura privata che conferma la tesi dei giudici che dietro alcune società come la Fingas e la Sirco che hanno un volume d'affari di milioni di euro, c'è Ciancimino junior.
08/06/2006
Fonte: La Sicilia
La Cognata teme solo Dio
CALTAGIRONE (CATANIA) - Il latitante Gioacchino La Cognata, di 31 anni, ricercato dal dicembre dello scorso anno per associazione mafiosa, spaccio di droga e detenzione di armi, è stato arrestato dai carabinieri di Caltagirone in un casolare di contrada Magazzinazzo. Ai 30 carabinieri che hanno fatto irruzione nel covo, l'esponente della 'stidda' di Gela, si è presentato con la Bibbia in mano, sostenendo così di "temere solo Dio". Nei suoi confronti era pendente un ordine di cattura emesso dalla Corte d' appello di Caltanissetta.
08/06/2006
Fonte: La Sicilia
08/06/2006
Fonte: La Sicilia
mercoledì, giugno 07, 2006
Operazione della guardia di finanza nel palermitano
PALERMO - Operazione antiusura della Guardia di Finanza a Palermo. Emesse dalla magistratura otto ordinanze di custodia cautelare in carcere. Compiute 20 perquisizioni domiciliari nei quartieri di Santa Maria di Gesù e della Kalsa. Notificati, inoltre, 2 avvisi di garanzia. Gli accertamenti finanziari hanno confermato che, nel giro di tre mesi, i tassi imposti dagli usurai hanno variato tra il 120 ed il 290%. Per gli inquirenti è stata determinante l'ampia collaborazione delle vittime. Arrestato anche un impiegato dell'Amat, l'ex municipalizzata per il trasporto urbano, perchè accusato di avere prestato somme di denaro a tassi di interesse che arrivavano anche al 160 per cento. L'uomo, secondo gli accertamenti eseguiti dai carabinieri, avrebbe in particolare prestato denaro a imprenditori di Palermo, i quali interrogati dagli investigatori hanno confermato i prestiti a tassi d'usura.
07/06/2006
Fonte: La Sicilia
07/06/2006
Fonte: La Sicilia
lunedì, giugno 05, 2006
Dopo la Francia, Addiopizzo arriva in Germania
Der Mut, einfach Addio zu sagen
In Palermo sind es schon 100: Sizilianische Geschäftsleute haben angefangen, der Mafia die Zahlung von Schutzgeld zu verweigern.
Vor ein paar Wochen funktionierte die Klingel in Maurizio Varas kleinem Hotel nicht mehr.
Der 37 Jahre alte Besitzer ging auf die Straße und sah, dass die Sprechanlage mit Klebstoff verschmiert war. Ein Bubenstück? Keineswegs. Vara erschauerte. Er wusste, wie jeder Sizilianer, was dieses Signal bedeutet: einen Mahnbescheid des Schattenstaates, die Steuern zu zahlen. Der Schattenstaat, das ist die Mafia, und ihre Steuer der „Pizzo“, das Schutzgeld, das sie
von Siziliens Geschäftsleuten verlangt. Bleiben die Mahnbescheide erfolglos, wird vollstreckt, mit Brandanschlägen oder Schlimmerem. Doch Maurizio Vara hat sich
geschworen: „Ich zahle nicht mehr.“ Ein Geschäftsmann, der sich erpressen lasse, verliere seine Freiheit, sagt er mit düsterem Blick. „Das musste ich selbst erleben.“
"Wir geben der Mafia eine Ohrfeige" Der füllige Mann mit der leisen Stimme wirkt nicht gerade wie ein Rebell, wie er hantiert im blitzblanken Frühstücksraum seines Hotels in Palermos
Zentrum. Doch er ist einer. Er gehört zu einer Gruppe von Geschäftsleuten, die der Mafia in aller Öffentlichkeit die Stirn bieten. Mitten in der Altstadt Palermos sagen 100Reisebüros und
Kleidergeschäfte, Bars, Pensionen, Buchläden, Biomärkte, Bäckereien und Sportclubs auf einmal: Addio Pizzo. Die Namen der Betriebe stehen im Internet und auf einem Faltblatt.
Vor kurzem wurden sie auf einer Piazza in Palermo gefeiert. „Wir geben der Mafia eine Ohrfeige“, stand auf einer Banderole. Und die Geschäftsleute verkündeten den staunenden Bürgern: „Wir zahlen kein Schutzgeld mehr.“
Für die Cosa Nostra ein unerhörter Akt. Denn so wird ihre Hoheit über das Territorium offen herausgefordert. Das ist für jeden Staat gefährlich, und besonders für einen Schattenstaat, der auf Einschüchterung und Unterwerfung baut. „Bis jetzt schaut die Mafia noch zu und beobachtet
uns“, sagt Enrico Colajanni, der bei seinem Freund im Hotel vorbeischaut. „Doch wenn wir noch stärker werden, dann schlägt sie zu.“ Colajanni liegt der Widerstand im Blut. Sein Vater Pompeo war ein Partisanenführer während der Nazi-Besatzung Italiens. Der Sohn, ein 55Jahre alter Mann mit Schnurrbart und verwegenem Blick, kämpft nun gegen andere
Okkupatoren. Konsum als Waffe Er gehört zu den Organisatoren der Bewegung „Addiopizzo“. „Wir wollten nicht nur gegen die Mafia protestieren“, sagt er, „sondern auch etwas Konkretes tun.“ Dabei hätten sie die Idee verworfen, Unternehmen zu boykottieren, die Schutzgeld gewähren. Lieber wollten sie jene unterstützen, die den Mut aufbringen, keinen Pizzo zu zahlen. „Die beste Waffe der Bürger ist der Konsum“, sagt Colajanni. Mehr als 7000 Palermitaner hätten sich bereits verpflichtet, bei Addiopizzo-Betrieben einzukaufen. Von der Politik können die Rebellen keine große Hilfe erwarten. Siziliens Regionalpräsident Salvatore Cuffaro bestreitet, dass die meisten Geschäftsleute Pizzo zahlen. Wer das behaupte, gefährde das Image der
Insel. Gerade wurde Cuffaro bei der Regionalwahl bestätigt. In Sachen Pizzo aber ist er kein glaubwürdiger Zeuge. Schließlich steht er in Palermo wegen Begünstigung der Mafia vor Gericht. Der Leiter der nationalen Anti-Mafia-Staatsanwaltschaft, Pietro Grasso, schätzt, 70 bis 80Prozent der Geschäftsleute Siziliens zahlten Schutzgeld. Mit fatalen Folgen. „Die guten Unternehmer gehen weg“, sagt Colajanni. „Andere investieren nicht mehr oder beugen sich der Mafia und verlieren alles.“ Aus dieser Misere ist Addiopizzo entstanden: An einem Junimorgen vor zwei Jahren klebten an Hauswänden, Türen und Ampeln Palermos plötzlich Hunderte weiße Zettel mit schwarzem Trauerrand. „Ein ganzes Volk, das Schutzgeld zahlt, ist ein Volk ohne Würde“, stand darauf. Der Polizeipräfekt berief eine Sondersitzung ein, und die ganze Stadt rätselte über die Urheber. Schon bald traten sie an die Öffentlichkeit: Es waren sieben junge Leute, die nach dem Studium eine Bar aufmachen wollten und auf das Pizzo-Problem stießen. Da beschlossen sie, „ein kleines und zerbrechliches Zeichen des Widerstands“ zu setzen.
Maurizio Vara hat diese Rebellion aufmerksam verfolgt. Schließlich musste er sich angesprochen fühlen. Er selbst hatte einst den Pizzo bezahlt und sich so in einen „teuflischen Schlund begeben, der nicht nur mein ganzes Leben, sondern auch meine Moral verschlang“. Vara hatte bei Palermo einen Metallbetrieb aufgebaut.
Noch während das Gelände eingezäunt wurde, sprach die Mafia vor. Vara zahlte, doch die Verbrecher wollten mehr. Sie zwangen ihn, bestimmte Arbeiter einzustellen und mischten sich in die Geschäfte. „Ich fühlte mich nicht mehr wie der Herr im eigenen Haus, war allein, hatte Angst, gehorchte und habe ihren Hunger so nur noch vergrößert.“ Einmal versuchte er symbolischen Widerstand und zahlte den Pizzo in 1000-Lire-Scheinen. „Da wurden sie sehr wütend.“ "Wir müssen die Augen weit offen halten" Der Konflikt eskalierte. Die Gangster zündeten sein Büro an und versuchten, ihn zu entführen. Vara rettete sich mit einem Sprung aus einem fahrenden Auto, schickte seine Familie nach Norditalien und verbarrikadierte sich im Haus. Dann trieb ihn der Mut der Verzweiflung zur Polizei. Erst als seine Peiniger im Gefängnis saßen, fühlte er sich sicherer. Seine von der Mafia ausgesaugte Firma aber musste er zum Spottpreis verkaufen. Mit dem kleinen Hotel fängt er nun von vorne an. „Amarcord“, heißt das Haus, nach einem Fellini-Film. Der Dialekt-Begriff bedeutet: Ich erinnere mich. Weil sich Maurizio Vara so gut an die Cosa Nostra erinnert, macht er bei Addiopizzo mit. Doch die Mafia lässt nicht locker, wie die Sache mit dem Klebstoff beweist. Andererseits spürt der Hotelier den Rückhalt der 100 Unternehmer. Ihm ergeht es wie einem kleinen Fisch, der im Schwarm viel sicherer vor Räubern lebt als ein Einzelgänger. „Wir haben mit der Polizei abgesprochen, die Aufmerksamkeit auf die Betriebe gleichmäßig zu verteilen“, beschreibt Enrico Colajanni die
Strategie. Zudem hätten sich in den vergangenen Wochen 60 weitere Geschäftsleute bei Addiopizzo beworben. Einige Kandidaten seien jedoch problematisch. „Wir müssen die Augen weit offen halten“, sagt Colajanni.„Denn wenn uns die Mafia unterwandert, ist die Arbeit von Jahren dahin.“
Fonte: Suddeutsche
In Palermo sind es schon 100: Sizilianische Geschäftsleute haben angefangen, der Mafia die Zahlung von Schutzgeld zu verweigern.
Vor ein paar Wochen funktionierte die Klingel in Maurizio Varas kleinem Hotel nicht mehr.
Der 37 Jahre alte Besitzer ging auf die Straße und sah, dass die Sprechanlage mit Klebstoff verschmiert war. Ein Bubenstück? Keineswegs. Vara erschauerte. Er wusste, wie jeder Sizilianer, was dieses Signal bedeutet: einen Mahnbescheid des Schattenstaates, die Steuern zu zahlen. Der Schattenstaat, das ist die Mafia, und ihre Steuer der „Pizzo“, das Schutzgeld, das sie
von Siziliens Geschäftsleuten verlangt. Bleiben die Mahnbescheide erfolglos, wird vollstreckt, mit Brandanschlägen oder Schlimmerem. Doch Maurizio Vara hat sich
geschworen: „Ich zahle nicht mehr.“ Ein Geschäftsmann, der sich erpressen lasse, verliere seine Freiheit, sagt er mit düsterem Blick. „Das musste ich selbst erleben.“
"Wir geben der Mafia eine Ohrfeige" Der füllige Mann mit der leisen Stimme wirkt nicht gerade wie ein Rebell, wie er hantiert im blitzblanken Frühstücksraum seines Hotels in Palermos
Zentrum. Doch er ist einer. Er gehört zu einer Gruppe von Geschäftsleuten, die der Mafia in aller Öffentlichkeit die Stirn bieten. Mitten in der Altstadt Palermos sagen 100Reisebüros und
Kleidergeschäfte, Bars, Pensionen, Buchläden, Biomärkte, Bäckereien und Sportclubs auf einmal: Addio Pizzo. Die Namen der Betriebe stehen im Internet und auf einem Faltblatt.
Vor kurzem wurden sie auf einer Piazza in Palermo gefeiert. „Wir geben der Mafia eine Ohrfeige“, stand auf einer Banderole. Und die Geschäftsleute verkündeten den staunenden Bürgern: „Wir zahlen kein Schutzgeld mehr.“
Für die Cosa Nostra ein unerhörter Akt. Denn so wird ihre Hoheit über das Territorium offen herausgefordert. Das ist für jeden Staat gefährlich, und besonders für einen Schattenstaat, der auf Einschüchterung und Unterwerfung baut. „Bis jetzt schaut die Mafia noch zu und beobachtet
uns“, sagt Enrico Colajanni, der bei seinem Freund im Hotel vorbeischaut. „Doch wenn wir noch stärker werden, dann schlägt sie zu.“ Colajanni liegt der Widerstand im Blut. Sein Vater Pompeo war ein Partisanenführer während der Nazi-Besatzung Italiens. Der Sohn, ein 55Jahre alter Mann mit Schnurrbart und verwegenem Blick, kämpft nun gegen andere
Okkupatoren. Konsum als Waffe Er gehört zu den Organisatoren der Bewegung „Addiopizzo“. „Wir wollten nicht nur gegen die Mafia protestieren“, sagt er, „sondern auch etwas Konkretes tun.“ Dabei hätten sie die Idee verworfen, Unternehmen zu boykottieren, die Schutzgeld gewähren. Lieber wollten sie jene unterstützen, die den Mut aufbringen, keinen Pizzo zu zahlen. „Die beste Waffe der Bürger ist der Konsum“, sagt Colajanni. Mehr als 7000 Palermitaner hätten sich bereits verpflichtet, bei Addiopizzo-Betrieben einzukaufen. Von der Politik können die Rebellen keine große Hilfe erwarten. Siziliens Regionalpräsident Salvatore Cuffaro bestreitet, dass die meisten Geschäftsleute Pizzo zahlen. Wer das behaupte, gefährde das Image der
Insel. Gerade wurde Cuffaro bei der Regionalwahl bestätigt. In Sachen Pizzo aber ist er kein glaubwürdiger Zeuge. Schließlich steht er in Palermo wegen Begünstigung der Mafia vor Gericht. Der Leiter der nationalen Anti-Mafia-Staatsanwaltschaft, Pietro Grasso, schätzt, 70 bis 80Prozent der Geschäftsleute Siziliens zahlten Schutzgeld. Mit fatalen Folgen. „Die guten Unternehmer gehen weg“, sagt Colajanni. „Andere investieren nicht mehr oder beugen sich der Mafia und verlieren alles.“ Aus dieser Misere ist Addiopizzo entstanden: An einem Junimorgen vor zwei Jahren klebten an Hauswänden, Türen und Ampeln Palermos plötzlich Hunderte weiße Zettel mit schwarzem Trauerrand. „Ein ganzes Volk, das Schutzgeld zahlt, ist ein Volk ohne Würde“, stand darauf. Der Polizeipräfekt berief eine Sondersitzung ein, und die ganze Stadt rätselte über die Urheber. Schon bald traten sie an die Öffentlichkeit: Es waren sieben junge Leute, die nach dem Studium eine Bar aufmachen wollten und auf das Pizzo-Problem stießen. Da beschlossen sie, „ein kleines und zerbrechliches Zeichen des Widerstands“ zu setzen.
Maurizio Vara hat diese Rebellion aufmerksam verfolgt. Schließlich musste er sich angesprochen fühlen. Er selbst hatte einst den Pizzo bezahlt und sich so in einen „teuflischen Schlund begeben, der nicht nur mein ganzes Leben, sondern auch meine Moral verschlang“. Vara hatte bei Palermo einen Metallbetrieb aufgebaut.
Noch während das Gelände eingezäunt wurde, sprach die Mafia vor. Vara zahlte, doch die Verbrecher wollten mehr. Sie zwangen ihn, bestimmte Arbeiter einzustellen und mischten sich in die Geschäfte. „Ich fühlte mich nicht mehr wie der Herr im eigenen Haus, war allein, hatte Angst, gehorchte und habe ihren Hunger so nur noch vergrößert.“ Einmal versuchte er symbolischen Widerstand und zahlte den Pizzo in 1000-Lire-Scheinen. „Da wurden sie sehr wütend.“ "Wir müssen die Augen weit offen halten" Der Konflikt eskalierte. Die Gangster zündeten sein Büro an und versuchten, ihn zu entführen. Vara rettete sich mit einem Sprung aus einem fahrenden Auto, schickte seine Familie nach Norditalien und verbarrikadierte sich im Haus. Dann trieb ihn der Mut der Verzweiflung zur Polizei. Erst als seine Peiniger im Gefängnis saßen, fühlte er sich sicherer. Seine von der Mafia ausgesaugte Firma aber musste er zum Spottpreis verkaufen. Mit dem kleinen Hotel fängt er nun von vorne an. „Amarcord“, heißt das Haus, nach einem Fellini-Film. Der Dialekt-Begriff bedeutet: Ich erinnere mich. Weil sich Maurizio Vara so gut an die Cosa Nostra erinnert, macht er bei Addiopizzo mit. Doch die Mafia lässt nicht locker, wie die Sache mit dem Klebstoff beweist. Andererseits spürt der Hotelier den Rückhalt der 100 Unternehmer. Ihm ergeht es wie einem kleinen Fisch, der im Schwarm viel sicherer vor Räubern lebt als ein Einzelgänger. „Wir haben mit der Polizei abgesprochen, die Aufmerksamkeit auf die Betriebe gleichmäßig zu verteilen“, beschreibt Enrico Colajanni die
Strategie. Zudem hätten sich in den vergangenen Wochen 60 weitere Geschäftsleute bei Addiopizzo beworben. Einige Kandidaten seien jedoch problematisch. „Wir müssen die Augen weit offen halten“, sagt Colajanni.„Denn wenn uns die Mafia unterwandert, ist die Arbeit von Jahren dahin.“
Fonte: Suddeutsche
2 arresti nel palermitano
PALERMO - Progettavano l'omicidio di un professionista che non voleva piegarsi alle richieste di pagamento del pizzo nella zona di Partinico, cittadina a trenta chilometri da Palermo. Così la polizia di Stato ha arrestato stamani due persone. I provvedimenti cautelari sono stati firmati dal gip del tribunale, Antonella Consiglio, su richiesta del procuratore aggiunto Alfredo Morvillo e del pm della Dda, Francesco Del Bene. L'inchiesta è stata condotta dagli agenti del Commissariato di Partinico. Gli investigatori hanno scoperto che i due pregiudicati arrestati stamani, avevano iniziato ad imporre il pagamento del pizzo alle imprese della zona dopo che i boss che dominavano il territorio erano finiti nei mesi scorsi in carcere. Il nuovo gruppo stava emergendo in contrasto con i pochi affiliati alla cosca che fino a poco tempo fa dominava Partinico, e cioè quella dei boss Vitale, azzerata in seguito alle inchieste coordinate dai pm della Dda di Palermo. Secondo l'accusa i due arrestati avevano iniziato ad emergere nell'ambiente mafioso, tentando di imporre la propria caratura criminale anche a chi era ritenuto vicino alla famiglia Vitale. Il professionista che il nuovo gruppo voleva uccidere, secondo gli investigatori, sarebbe al servizio di alcuni affiliati alle cosche per conto dei quali - sostiene l'accusa - gestirebbe alcune imprese. All'uomo era stato imposto di pagare una somma, ma si era opposto perchè si sentiva protetto dai boss, e questo rifiuto aveva portato a deliberare l'omicidio. La polizia ha arrestato a Partinico, Giuseppe Speciale, di 32 anni e Giovanni Alduino, di 45. Entrambi hanno avuto in passato familiari che sono stati uccisi nell'ambito di scontri fra le cosche mafiose della zona. Dalle indagini svolte dagli agenti del commissariato di Partinico emerge un quadro inquietante dell'attività criminale della zona. Secondo gli inquirenti, l'arresto di Speciale e Alduino si inserisce nell'ambito delle indagini sulla riorganizzazione del mandamento mafioso di Partinico, in seno al quale, dopo lo scompaginamento della cosca retta dalla famiglia Vitale, si cercano nuovi equilibri e nuovi assetti di potere.
05/06/2006
Fonte: La Sicilia
05/06/2006
Fonte: La Sicilia
domenica, giugno 04, 2006
Giallo nelle campagne catanesi
CATANIA - Un uomo non ancora identificato, dall' apparente età di 35 anni circa, è stato ucciso con diversi colpi di pistola nelle campagne di Calatabiano, al confine con il territorio di Fiumefreddo. Sul posto si sono recati i carabinieri della compagnia di Giarre. Secondo gli investigatori potrebbe trattarsi di un pastore. Nello stesso luogo dove è stato rinvenuto il cadavere è stato trovato un ciclomotore, che potrebbe essere della vittima. Secondo i primi accertamenti l' uomo potrebbe avere avuto un appuntamento con il suo omicida. Non è esclusa l'ipotesi che possa trattarsi di un delitto maturato nell' ambito lavorativo della vittima.
Le indagini dei carabinieri sono coordinate dalla Procura dela Repubblica di Catania. 04/06/2006
Fonte: La Sicilia
Le indagini dei carabinieri sono coordinate dalla Procura dela Repubblica di Catania. 04/06/2006
Fonte: La Sicilia
sabato, giugno 03, 2006
Arrestato per estorsione
CATANIA - I carabinieri del reparto operativo di Catania hanno arrestato un giovane di 31 anni ritenuto vicino al clan Santapaola, Antonio Nigito, con l' accusa di estorsione nei confronti di una ditta della zona industriale. I militari da tempo seguivano il ragazzo, che a scadenza periodica, si presentava ad alcune ditte della Piana di Catania. Nigito è stato bloccato dopo aver riscosso il pizzo da un'azienda. Addosso i militari gli hanno trovato 300 euro. Le indagini, coordinate dal procuratore della Repubblica Carla Santocono, continuano per verificare se Nigito sia coinvolto in altre estorsioni. 03/06/2006
Fonte: La Sicilia
Fonte: La Sicilia
Nuova associazione antiusura
PALERMO - Verrà costituita domani a Termini Imerese la prima associazione antiracket della provincia di Palermo. Ne fanno parte 15 imprenditori edili che nei mesi scorsi denunciarono alla magistratura gli estortori. Il presidente è il costruttore Paolo Balsamo. L'associazione sarà presentata alle 10.30 nella sala conferenze di piazza Sant'Antonio, a Termini Imerese. Saranno presenti il prefetto di Palermo Giosuè Marino, il presidente onorario della Federazione Italiana Antiracket, Tano Grasso, e rappresentanti delle forze dell'ordine, dell'associazionismo siciliano e di Addio Pizzo. "Questa associazione - dice Grasso - nasce dalla denuncia delle vittime che, anche grazie all'aiuto delle forze dell'ordine, sono riuscite a fare condannare i propri estortori". "La modalità di costituzione dell'organizzazione - aggiunge - è sempre riservata e si parte da un numero limitato di associati. Il nostro obiettivo è raggiungere entro la fine dell'anno le 30 o 40 adesioni perchè è necessario costruire con gli operatori economici un rapporto fiduciario che non è possibile in presenza di grandi numeri".
03/06/2006
Fonte: La Sicilia
03/06/2006
Fonte: La Sicilia
4 arresti a Caltanissetta
CALTANISSETTA - I carabinieri hanno eseguito quattro arresti in provincia di Caltanissetta nell'ambito di inchieste sulla cosca mafiosa locale e su alcuni omicidi compiuti negli anni Novanta. Gli investigatori hanno individuato gli autori di alcuni agguati e per questo motivo i pm della Dda di Caltanissetta ne hanno subito ordinato il fermo di polizia giudiziaria.I militari del Reparto operativo del Comando provinciale hanno arrestato Orazio Buonpricipio, di 38 anni, pregiudicato, pasticciere; Giuseppe Toscano, di 52, guardia giurata; Gaetano Scibetta, di 31, commerciante e Calogero Barberi, di 33, bracciante agricolo. I carabinieri hanno effettuato l'operazione fra Riesi e Butera, due paesi del nisseno. I fermi sono stati disposti dai pm Nicolò Marino, Rocco Liguori e Alessandro Picchi, coordinati dal procuratore Francesco Messineo e dall'aggiunto Renato Di Natale. Gli indagati sono accusati di associazione mafiosa e sono sospettati di essere tra gli autori di alcuni degli omicidi commessi nell'ambito della guerra di mafia per il predominio sul mandamento di Riesi. In particolare quelli dei fratelli Salvatore D'Alessandro, avvenuto a Riesi il 17 giugno 1996, e Calogero D'Alessandro, compiuto sempre a Riesi il 21 ottobre 1996. Tra i reati di cui sono accusati i fermati, vi è anche il tentato omicidio dell'ex sindaco di Riesi Rosario Pistone, avvenuto il 19 aprile 1998. Il politico allora venne ferito ad un occhio. Durante l'operazione sono state effettuate perquisizioni in abitazioni, ovili e case di campagna in cui sono stati trovati e sequestrati cinque fucili calibro 12, un fucile a pompa, un revolver, una pistola semiautomatica e migliaia di cartucce di vario calibro.Fra i delitti di cui sono accusati i quattro indagati c' è quello di Michele Fantauzza, scomparso il 27 febbraio del 1997. L'uomo sarebbe stato attirato in un casolare da appartenenti al clan mafioso dei Cammarata di Riesi. Prima di essere ucciso, è stato torturato perchè la cosca rivale voleva conoscere il luogo in cui si nascondeva Calogero Riggio, capo dell' omonima famiglia, nemico dei Cammarata. È stato ricostruito anche il tentativo di omicidio dell'ex sindaco di Riesi, Rosario Pistone. Secondo gli inquirenti il delitto sarebbe stato deciso perchè le cosche sospettavano che il politico avesse favorito i Riggio durante la guerra con i Cammarata. Alla base dell'operazione ci sarebbero le rivelazioni di un pentito, appartenente alla cosca di Riesi, del quale gli investigatori mantengono l'anonimato.
03/06/2006
Fonte: La Sicilia
03/06/2006
Fonte: La Sicilia
venerdì, giugno 02, 2006
Tre ergastoli a Palermo
PALERMO - La Corte di Assise di Palermo ha condannato all'ergastolo i capimafia Mario Capizzi, Giovanni Pollari e Salvatore Fragapane. Sono accusati di avere avuto un ruolo nel sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del collaboratore di giustizia Mario Santo, rapito nel '93 ed assassinato dopo due anni di prigionia. In particolare gli imputati avrebbero tenuto nascosto il bambino quando il boss Giovanni Brusca lo porto nell'agrigentino.
I giudici hanno, invece, condannato a 14 anni il pentito Ciro Vara. Assolti Salvatore Longo, Alfonso Cozzari, Daniele ed Alessandro Emmanuello e Giuseppe Fanara.
02/06/2006
Fonte: La Sicilia
I giudici hanno, invece, condannato a 14 anni il pentito Ciro Vara. Assolti Salvatore Longo, Alfonso Cozzari, Daniele ed Alessandro Emmanuello e Giuseppe Fanara.
02/06/2006
Fonte: La Sicilia
Imprenditore siciliano denuncia
AGRIGENTO - "Troppi rischi per gli imprenditori del Sud, senza alcuna garanzia". Si rivolge al ministro dell'Interno, Giuliano Amato con una lettera, Salvatore Moncada, l'imprenditore fino a qualche settimana fa sotto protezione per avere denunciato alcuni estortori di Gela, dopo l'incendio di una pala meccanica della sua ditta in contrada Crocifisso Ciccobriglio nel comune di Campobello di Licata. L'impresa è impegnata nella costruzione di un impianto eolico. "Io - scrive Moncada - investo tanto denaro e offro occupazione. Nessuna attenzione però da parte delle Istituzioni al contrario invece di quanto accade quando in Sicilia investe un imprenditore straniero, per esempio a Sciacca, per il progetto Sir Rocco Forte, dove vi è stata una mobilitazione di massa, tra protocolli di legalità e contributi pubblici. A chi investe di tasca propria, come me, solo le briciole, e l'assedio della criminalità". 01/06/2006
Fonte: La Sicilia
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