mercoledì, ottobre 31, 2007

Causa a Bagarella e Brusca

PALERMO - Furono uccisi perché sospettati di avere partecipato a un complotto contro i figli di Totò Riina, uno dei quali, Giovanni, è stato ritenuto mandante dei delitti e condannato all'ergastolo. Adesso Caterina Somellini, la madre delle due vittime, che è anche nonna di due orfani, fa causa ai sicari: il boss Leoluca Bagarella e il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca. Chiede il pagamento dei danni per due milioni di euro.
A intentare la causa è la mamma di Giuseppe e Giovanna Giammona, quest'ultima moglie di Francesco Saporito, uccisi a trentatrè giorni di distanza, tra il 25 gennaio e il 28 febbraio 1995. Caterina Somellini, che perse i due figli, oggi accudisce i nipotini, rimasti orfani di mamma e papà.
La causa civile inizierà a febbraio, davanti al giudice Maura Cannella, della sezione distaccata di Corleone del tribunale di Termini Imerese, ed è stata promossa dagli avvocati Carmelo Franco e Mario Milone, che già avevano assistito la Somellini nei processi penali, in cui era stata sempre parte civile. I danni che saranno eventualmente liquidati nella causa civile saranno pagati con il fondo di solidarietà per le vittime della mafia, alimentato dai beni confiscati ai boss.
La signora Somellini non è mai voluta andare via da Corleone. Giuseppe Giammona fu assassinato nel proprio negozio di abbigliamento, la sorella Giovanna, poco più di un mese dopo, all'interno della propria autovettura, assieme al marito Francesco Saporito. Il commando era composto da Bagarella, Brusca e Vito Vitale.
La donna protesse col proprio corpo il figlio che teneva in braccio, sul sedile anteriore. Il bambino, che allora aveva un anno e mezzo, rimase miracolosamente illeso, così come il fratellino, di quattro anni, che dormiva sul sedile posteriore dell'auto.

30/10/2007
Fonte: La Sicilia

A questo punto meglio la confisca...Assurdo...

SICULIANA (AGRIGENTO) - Tante stranezze in Sicilia con situazioni al limite del paradosso. Terreni e beni mai confiscati e beni confiscati che restano tali soltanto sulla carta. I beni al boss mafioso Gerlando Caruana li hanno confiscati nel 1993, ma lui li utilizza, anzi, nell'abitazione di Siculiana che da 14 anni è di proprietà dello Stato, ci vive ancora.
Nel paese dell'agrigentino, in cui ieri la polizia ha arrestato undici persone su ordine della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, che ha portato in cella politici, imprenditori ed esattori del pizzo, il bene immobile dello Stato è ancora abitato dal mafioso.
L'inchiesta condotta dalla Squadra mobile di Agrigento ha portato anche a far emergere il coraggio degli imprenditori a denunciare di aver pagare il pizzo alla cosca locale. Ma davanti ad un'azione di coraggio come quella avuta dalle vittime del racket, si passa a vedere in questo piccolo paese simboli dell'illegalità che sono sotto gli occhi della gente.
In via Roma al numero 230, a Siculiana, ci abita Gerlando Caruana, è un immobile confiscato al 50%, perché in comproprietà con la moglie, Maria Silvana Parisi, impiegata all'Ufficio Affari generali del Comune di Siculiana, lo stesso in cui sono indagati il sindaco ed il comandante dei Vigili urbani per concorso esterno in associazione mafiosa. Il bene, che dieci anni fa è stato affidato al Comune, è in comproprietà con la moglie e quindi non può essere venduto dallo Stato nè tantomeno affidato per uso sociale.
Prefettura ed investigatori, che su questa vicenda da alcuni mesi hanno avviato accertamenti, hanno scoperto che a Caruana nessuno ha mai fatto pagare nemmeno l'affitto.
Nel 2001 il caso è stato sollevato dalla Squadra mobile con una informativa inviata alla Procura di Agrigento per evidenziare eventuali omissioni da parte dei responsabili.

30/10/2007
Fonte: La Sicilia

Povero Mercadante, è depresso...

PALERMO - La seconda sezione del Tribunale, presieduta da Antonio Prestipino, ha disposto il ripristino della detenzione in carcere dell'ex deputato regionale di Forza Italia, Giovanni Mercadante, sotto processo per associazione mafiosa. Rigettando le istanze difensive, il Tribunale nel provvedimento sostiene che sono da considerarsi "esaurite" le necessità terapeutiche che giustificarono il ricovero di Mercadante in una casa di cura romana.
Secondo il collegio presieduto da Prestipino, "le condizioni di salute dell'imputato possono essere trattate adeguatamente presso strutture penitenziarie attrezzate, anche con interventi di psicoterapia interpersonale". A Mercadante vennero concessi gli arresti ospedalieri in seguito ad una diagnosi di "sindrome depressiva".
Il Tribunale ha stabilito il rientro in carcere a partire dal 15 novembre per consentire l'individuazione di un istituto penitenziario che sia adeguatamente attrezzato per accogliere il detenuto.

31/10/2007
Fonte: La Sicilia

Arrestato il "formaggino"

CATANIA - Il latitante Giovanni Fontanino, di 49 anni, ritenuto affiliato alla cosca Santapaola, irreperibile dal 24 settembre scorso, è stato arrestato dalla polizia. L'uomo deve scontare una condanna definitiva a 21 anni di reclusione per omicidio. Il ricercato è stato trovato dalla Squadra mobile all'interno della sede di un Centro assistenza fiscale gestito da un suo cugino, Mario Tipo, di 50 anni, che è infermiere
nell'ospedale Garibaldi e che è stato arrestato per procurata inosservanza della pena.
Secondo l'accusa Fontanino, noto come "Formaggino", avrebbe avuto un ruolo nell'uccisione, l'8 marzo del 1984, di Agatino Giuseppe Cannavò, maturato in ambienti mafiosi. In particolare, il latitante avrebbe indicato la vittima all'esecutore materiale della vittima, il sicario della cosca Santapaola Maurizio Avola, che è successivamente diventato collaboratore di giustizia.

31/10/2007
Fonte: La Sicilia

Arrestati due estortori

MESSINA - I carabinieri hanno arrestato una coppia di coniugi messinesi, Mario Fisichella, 41 anni e Santina Assenzio, di 38, con l'accusa di estorsione aggravata. Secondo i militari del'Arma, i due avrebbero estorto denaro ad alcuni imprenditori e commercianti di Milazzo, millantando l'appartenenza al clan catanese dei Santapaola. L'uomo pretendeva il versamento che andava da un importo minimo di 500 euro ad un massimo di 2mila euro al mese e doveva essere effettuato tramite vaglia postale.
Nell'abitazione della coppia, i carabinieri hanno rinvenuto ben 95mila euro che, secondo gli inquirenti, provengono dall'attività estorsiva. I soldi erano nascosti nel cassone della serranda.

31/10/2007
Fonte: La Sicilia

lunedì, ottobre 29, 2007

Arrestata una "personcina a modo"

MISTERBIANCO (CATANIA) - Agenti della Squadra Mobile di Catania hanno catturato Vincenzo La Rosa, di 35 anni, ritenuto dagli investigatori elemento di spicco del clan Santapaola, latitante dal 23 marzo del 2006 dopo una condanna a ventidue anni di reclusione per omicidio aggravato volontario, detenzione e porto illegale di armi da fuoco. L'arresto è avvenuto sabato scorso ma è stato reso noto solamente stamane. La Rosa, che ha precedenti per associazione mafiosa, è stato sorpreso in uno stabile di corso Matteotti, a Misterbianco, alle porte di Catania, dove abita un suo nipote. L'uomo, scalzo, ha tentato di fuggire per i tetti ma è stato raggiunto. Nei confronti dell'uomo la IV sezione della Corte di Assise di Catania aveva emesso una ordinanza restrittiva che ne disponeva la custodia cautelare in carcere dopo una sentenza che lo aveva condannato perchè riconosciuto tra gli esecutori dell'omicidio di Giovanni Indelicato e del tentativo di omicidio di Santi Ferlito, entrambi ritenuti esponenti del clan dei cursoti milanesi, avvenuto a Catania il 13 maggio del 1996. Durante la latitanza nei confronti di La Rosa il 21 settembre dello scorso anno dal gip del Tribunale di Catania è stata emessa un' altra ordinanza di custodia cautelare in carcere perchè indiziato, in concorso con altri, del duplice omicidio di Paolo Contino ed Orazio Papale, ritenuti elementi del clan mafioso dei Ceusi, avvenuto il 3 giugno del 1997 a Misterbianco.
29/10/2007
Fonte: La Sicilia

Indagato anche il sindaco...

AGRIGENTO - Confermano di avere pagato alle cosche mafiose il pizzo, di essersi piegati al racket delle estorsioni nell'Agrigentino. Lo hanno fatto cinque imprenditori del settore dei rifiuti e dell'edilizia, che hanno riscontrato con la propria testimonianza le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e le indagini della polizia. Il coraggio degli imprenditori emerge dall'inchiesta che stamani ha portato all'arresto di undci persone per associazione mafiosa ed estorsioni e ad iscrivere nel registro degli indagati per fatti di mafia il sindaco di Siculiana, Giuseppe Sinaguglia ed il comandante dei vigili urbani del paese, Giuseppe Callea. Fra gli arrestati, invece, un consigliere comunale, Francesco Gucciardo. Due degli imprenditori che hanno confermato il pagamento del pizzo erano stati indagati nel 2002 dalla Dda di Palermo perché avevano negato di aver versato somme di denaro alla mafia. E per questo avevano patteggiato la pena. Adesso invece collaborano. Durante l'operazione, in cui sono stati impegnati un centinaio di agenti di polizia, sono state eseguite pure perquisizioni dirette alla ricerca del boss latitante Gerlandino Messina, di 35 anni, di Porto Empedocle, ritenuto il vice capo della provincia mafiosa di Agrigento. Alle operazioni hanno preso parte anche reparti del Genio militare di Palermo. All'inchiesta che stamani ha portato all'arresto di undici persone hanno contribuito anche le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Maurizio Di Gati. In seguito alle sue dichiarazioni, la polizia ha sequestrato anche numerose armi, fra cui pistole 44 magnum, fucili e centinaia di munizioni trovate in alcune abitazioni. Fra gli imprenditori che hanno ammesso di aver versato alla mafia agrigentina somme di denaro c'è anche il presidente di Confindustria di Agrigento, Giuseppe Catanzaro. Secondo quanto emerge dall'inchiesta, l'imprenditore sarebbe stato costretto a pagato 75mila euro alla famiglia mafiosa di Siculiana per la protezione dei propri cantieri. Su disposizione dei Pm della Direzione distrettuale antimafia, Fernando Asaro, Gianfranco Scarfò e Giuseppe Fici, la polizia ha tratto in arresto: Calogero Bruno, 31 anni; Pasquale Di Salvo, di 52; Bruno Doria, di 36; il consigliere comunale di Siculiana, Francesco Gucciardo, di 33, tutti di Siculiana; Calogero, Giuseppe e Stefano Iacono, di 32, 71 e 37, di Realmonte; Carmelo Infantino, 31 anni, di Agrigento; Vincenzo Mangiapane, di 52 di Cammarata; Giovanni Putrone, di 56, di Porto Empedocle e Roberto Renna, di 29 anni.Sono tutti accusati di associazione mafiosa armata ed estorsioni, compiutetra il 1998 e il 2006.
29/10/2007

Fonte: La Sicilia

sabato, ottobre 27, 2007

200 anni di carcere

PALERMO - I giudici della IV sezione del Tribunale di Palermo hanno condannato complessivamente a 2 secoli di carcere 20 tra capimafia ed affiliati alla cosca di Partinico, accusati a vario titolo di associazione mafiosa ed estorsione. Tra gli imputati c'erano diversi esponenti del clan Vitale, storici reggenti del mandamento.
Oltre ai fratelli Leonardo, Vito, Antonina e Michele Vitale, condannati rispettivamente a 15, 12, 7 e 10 anni di reclusione, sotto processo sono finiti il figlio ed il genero di Leonardo, Giovanni Vitale, a cui i giudici hanno inflitto 9 anni e sei mesi e Nicola Lombardo, condannato a 17 anni di reclusione. Assolti invece Gaspare D'Orio, Diego Cusumano, Benedetto Valenza, Giovanni Timpa, Giuseppe Cuccia, Salvatore Bagliesi e Luigi Garofano.

Il dibattimento, celebrato col rito ordinario, nasce da due operazioni antimafia condotte, tra il 2004 e il 2005, dai carabinieri e dal Gico della guardia di finanza. Il processo è cominciato a febbraio del 2006 davanti alla quarta sezione del tribunale presieduta da Anna Fazio.
I giudici hanno anche condannato gli imputati a risarcire i danni alle tre parti civili: il comune di Partinico, la Confcommercio e Sos Impresa, queste ultime assistite dagli avvocati Fabio Lanfranca e Fausto Amato.
Al termine della lettura del dispositivo il tribunale ha emesso una nuova ordinanza di custodia cautelare a carico di uno degli imputati condannati Giuseppe Giambrone, nel frattempo scarcerato. Le pene più alte sono state inflitte a Filippo Riccobono (20 anni), Antonino Primavera (17 anni) e Francesco Rappa (12). Dieci anni la pena decisa per Alessandro Brigati e Michele Vitale; nove per Francesco Nania e Giuseppe Giambrone; otto per Nunzio Cassarà, Giovanni Intravaia, e Antonino La Fata; sette per Ottavio Lo Cricchio, Maurizio Palazzolo, Salvatore Corrao e Salvatore Toia.

27/10/2007
Fonte: La Sicilia

venerdì, ottobre 26, 2007

Pizza connection, si riparte

PALERMO - A distanza di 24 anni dalla sentenza di primo grado si è riaperto questa mattina, davanti alla terza Corte d'Appello, lo storico processo "Pizza connection" nei confronti di Rosario Gambino, accusato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. In primo grado il 6 giugno dell'83, Gambino era stato condannato a 20 anni.
Il procedimento (che aveva avuto il suo regolare seguito con un giudizio di secondo grado concluso con una condanna a 16 anni per Gambino ed un ricorso in Cassazione giudicato inammissibile) è stato riaperto in seguito all'incidente di esecuzione, presentato un anno fa alla Corte d'Appello di Palermo dal legale di Gambino, l' avvocato Daniele Francesco Lelli, del Foro di Roma.
Lelli, in base all'articolo 175 del codice di procedura penale, ha ottenuto la riapertura del processo di secondo grado, sostenendo che Gambino non ha mai avuto conoscenza di nessuno dei gradi di giudizio del procedimento penale su mafia e droga aperto a Palermo nell'83 ed istituito da Giovanni Falcone poiché già all'epoca il narcotrafficante risultava detenuto negli Stati Uniti.
Il reato contestato a Gambino nel processo italiano per la "Pizza connection", è l'associazione a delinquere semplice, proprio perché nell'83 non esisteva ancora il reato di 416 bis.

26/10/2007
Fonte: La Sicilia

Ergastolo chiesto per Bagarella e Agrigento

PALERMO - La condanna all'ergastolo per i boss Leoluca Bagarella e Giuseppe Agrigento è stata chiesta dal Pm Francesco Del Bene, a conclusione della sua requisitoria nel processo per l'omicidio di Ignazio Di Giovanni, l'imprenditore ucciso a S. Cipirello nel '76. Il Pm ha chiesto l'assoluzione, per non aver commesso il fatto, per Antonino Marchese. Il processo, che si tiene davanti alla prima sezione di Corte d'Assise di Palermo, ruota attorno all'uccisione dell'imprenditore, che si era aggiudicato dei lavori in subappalto nell'ambito della realizzazione dello scorrimento veloce Palermo-Sciacca, scontrandosi con gli interessi di Cosa nostra. Il processo è stato rinviato al 6 novembre per le arringhe dei difensori.
26/10/2007
Fonte: La Sicilia

giovedì, ottobre 25, 2007

L'opinione di Vigna

Siena, 23 ott. - "Occorre prevedere l'obbligo giuridico di denuncia delle imprese mafiose, decidere sanzioni interdittive che impediscano attivita' di impresa, per un certo periodo, per chi la mafia non la denuncia. L'impresa non puo' essere neutrale e avere l'atteggiamento di chi, come al tempo delle Br, diceva ne' con lo stato ne' con le Br". Lo ha detto l'ex Procuratore antimafia, Piero Luigi Vigna, parlando dell'influenza della mafia sull'economia del nostro paese, al seminario che si e' svolto questa mattina alla Certosa di Pontignano (Siena), sul tema "I valori e le regole. Legalita', responsabilita', cooperazione e mercati", organizzato dalla Fondazione Caponnetto e dalla facolta' di scienze politiche dell'Universita' di Siena.
"Il mercato sono loro", (la mafia), ha poi detto senza tanti giri di parole Vigna. "Le ragioni della mia affermazione sono varie. Primo per le dimensioni che le organizzazioni mafiose realizzano: un conteggio parla di 90 miliardi di euro, altri analisti di 100- 150 miliardi che penso, vedendo le dimensioni del traffico di stupefacenti, sia la cifra piu' vicina alla realta'. Secondo per i rapporti di condizionamento che le imprese mafiose, gestite attraverso prestanome, sono capaci di imporre a quelle legali".
"Il fine del reinvestimento - ha poi aggiunto Vigna - di parte dei proventi illeciti in attivita' legali, che ora coprono delle dimensioni di tutto rispetto, dalle aziende sanitarie private agli ipermercati, agli insediamenti turistici, condiziona in un duplice modo l'attivita' legale.
Sia attraverso la sottostante minaccia e sia perche' il denaro e' disponile in cassa, senza ricorrere a prestiti bancari. E bisogna tenere conto - ha puntualizzato Vigna - che chi lavora in queste imprese spesso, anzi sempre, viene sottopagato e non si osservano misure di sicurezza che costano anch'esse. Questo rischia di dare, come e' avvenuto in certe zone del territorio, l'oligopolio o il monopolio di certe attivita' economiche legali alle imprese mafiose. E questo non va".
Fonte: Agi.it

Arrestati un po' di "Santapaolesi"

CATANIA - Un ergastolano latitante della cosca Santapaola, Cesare Natale Patti, di 49 anni, è stato arrestato dalla polizia a Catania. Era irreperibile dal 23 marzo del 2006 dopo avere subito una condanna al carcere a vita della quarta sezione della Corte d'Assise etnea per omicidio, tentativo di omicidio e detenzione illegale di armi da fuoco.
La sentenza è stata confermata anche in secondo grado. Agenti della squadra mobile della Questura hanno fatto irruzione in un appartamento di alcuni familiari del ricercato, dove l'uomo si nascondeva, nel rione San Berillo nuovo, dopo complesse indagini coordinate dal procuratore aggiunto Giuseppe Gennaro.

Patti è stato ritenuto nei due gradi di giudizio uno dei componenti il gruppo di fuoco che il 13 maggio del 1996 assassinò Giovanni Indelicato e ferì gravemente Santi Ferlito, entrambi indicati come esponenti della cosca dei Cursoti milanesi 'colpevoli' di non avere voluto restituire un escavatore che era stato rubato a un cantiere protetto da Cosa nostra.
Un altro latitante,
Filippo Crisafulli, 45 anni, indicato come esponente della cosca di Angelo Santapaola e ricercato per associazione mafiosa ed estorsione, è stato fermato dalla polizia di Stato a Misterbianco. A bloccarlo sono stati agenti della squadra mobile della Questura di Catania che hanno seguito la moglie e la figlia che si recavano dal parrucchiere, dove poi li ha raggiunti l'indagato.
Crisafulli è zio acquisito di Nicola Sedici, il guardaspalle di Angelo Santapaola che è stato ucciso lo scorso mese con il suo boss. I corpi carbonizzati delle due vittime sono stati trovati il 30 settembre scorso nelle campagne di Ramacca. L'uomo si era reso irreperibile proprio il giorno dei funerali a Santapaola e Sedici.
Il provvedimento di fermo era stato emesso il 3 ottobre scorso dal procuratore aggiunto Giuseppe Gennaro e dai sostituti procuratori della Direzione distrettuale antimafia di Catania Giovannella Scaminaci e Iole Boscarino.
Agenti della squadra mobile di Catania hanno arrestato due presunti esattori della cosca Santapaola del rione Picanello che, secondo l'accusa, incassavano tangenti dal titolare di un autosalone di un paese della provincia etnea. Sono Lorenzo Pavone, di 37 anni, e Thomas William Calabrese, di 35. Un analogo provvedimento restrittivo è stato notificato in carcere ad altri due indagati nell'ambito della stessa inchiesta ma già detenuti: Giovanni Frazzetta, di 39 anni, e Gaetano Orazio Di Bella, di 47.
Tra i destinatari dell'ordine di arresto c'è anche Filippo Ferrante, di 42 anni, del quale non si hanno più notizie dal 2 febbraio del 2006, giorno in cui i suoi familiari ne hanno denunciato la scomparsa. L'ordine di custodia cautelare è stato emesso dal Gip Antonino Fallone su richiesta del procuratore aggiunto Ugo Rossi e del sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Catania, Francesco Testa.
Un altro presunto esattore della cosca del boss assassinato Angelo Santapaola, Giacomo La Spina, di 50 anni, è stato arrestato da agenti della squadra mobile della Questura di Catania in esecuzione di un ordine di carcerazione emesso dal Gip Alba Sammartino, su richiesta del sostituto procuratore Alessandro Sorrentino. Un secondo destinatario del provvedimento restrittivo è attualmente irreperibile.
Le indagini della polizia sono state avviate dopo la denuncia di un imprenditore al quale, secondo l'accusa, l'arrestato, definendosi come 'inviato' di Angelo Santapaola, aveva chiesto una tangente 'una tantum' di 100 mila euro e un 'pizzo' mensile di 750. Gli incontri estorsivi sono stati filmati dalla polizia di Stato che ha redatto un'informativa sulla vicenda alla Procura della Repubblica.

25/10/2007
Fonte: La Sicilia

Arrestati altri "esattori"

CATANIA - Si allarga l'inchiesta che ha portato nei giorni scorsi all'arresto di Giovanni Frazzetta, 39 anni, sorpreso con le mani nel sacco mentre intascava una busta (contenente 310 euro) dal titolare di un autosalone di un paese della provincia di Catania. La polizia, sempre per estorsione, ha arrestato Lorenzo Pavone, 37 anni, di Catania, sorvegliato speciale e Thomas William Calabrese, 35 anni, di Trecastagni.
I due, raggiunti da ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip del Tribunale di Catania su richiesta dei magistrati della Dda, sono accusati di avere taglieggiato il titolare di un autosalone della provincia etnea con l'aggravante dell'appartenenza all'associazione mafiosa dei Santapaola. Lo stesso provvedimento è stato notificato in carcere a Giovanni Frazzetta ed a Gaetano Orazio Di Bella, di 46 anni.
Le indagini, che nei giorni scorsi hanno portato all'arresto di Frazzetta, hanno consentito agli agenti dello Sco, di accertare che l'azienda, presa di mira del racket del pizzo, era oggetto di estorsione sin dal 1998 ad opera di appartenenti alla cosca Santapaola, gruppo di "Picanello". Tra costoro sono stati individuati Gaetano Orazio Di Bella, tratto in arresto lo scorso 10 settembre per estorsione aggravata ai danni dei titolari di un'altra impresa, Lorenzo Oavine e Thomas William Calabrese, che avevano rivestito nel tempo la figura di esattori per conto della cosca.
Fra i destinatari della misura restrittiva c'è anche Filippo Ferrante, che risulta scomparso dal 2 maggio 2006. Sempre a Catania è finito in manette Giacomo La Spina, 50 anni, accusato di tentata estorsione aggravata. Secondo gli inquirenti, l'uomo era incaricato di riscuotere il pizzo per conto della cosca mafiosa dei Santapaola. L'ordine di carcerazione è stato emesso dal Gip Alba Sammartino. Un secondo destinatario del provvedimento restrittivo è attualmente ricercato. Le indagini sono state avviate la scorsa estate in seguito alla denuncia di un imprenditore.

25/10/2007
Fonte: La Sicilia

mercoledì, ottobre 24, 2007

Dopo 18 anni la soluzione

CATANIA - La Procura di Catania ritiene di avere fatto luce su un caso di 'lupara bianca' avvenuto nel 1989, individuando movente e sicari dell'omicidio. A 18 anni dalla scomparsa di un ventenne sono stati infatti arrestati i presunti esecutori del delitto, anche se il cadavere della vittima non è stato ancora trovato. L'ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata eseguita dalla squadra mobile della Questura di Catania, che ha svolto le indagini. Secondo quanto si è appreso l'omicidio sarebbe maturato nell'ambito di ambienti della criminalità organizzata.
Aveva deciso di collaborare con la giustizia e per questo il suo clan ne decise l'eliminazione. Non sapendo dove si nascondesse, la cosca utilizzò la madre e la sorella per scovarlo e convincerlo ad uscire di casa. È la dinamica dell'uccisione di Sebastiano Mazzeo, nipote del boss Santo Mazzei (i cognomi sono diversi soltanto per un errore di trascrizione all'ufficio anagrafe di Catania) capo della 'famiglia' dei Carcagnusi di Catania, assassinato a 21 anni nel 1989 dai suoi stessi affiliati.
A tradirlo furono la madre, Gaetana Conti, 57 anni, la sorella, Concetta Mazzeo, di 39, che lo fecero uscire da casa e lo consegnarono ai sicari che lo uccisero. Le due donne e un uomo che ha avuto un ruolo nell'omicidio, Agatino Stefano Messina, di 53 anni, sono stati arrestati dalla squadra mobile della Questura di Catania in esecuzione di un ordine di custodia cautelare in carcere. Il provvedimento era stato sollecitato dalla Procura della Repubblica, che aveva chiesto un ordine restrittivo anche per i boss Santo Mazzei e Salvatore Cappello, già detenuti, in qualità di mandanti, ma il Gip ha ritenuto insufficienti le prove a loro carico.
Nell'ambito della stessa inchiesta sono indagati anche due collaboratori di giustizia Salvatore Centorrino, e Alfio Scalia, la cui posizione è stata stralciata. Il corpo di Sebastiano Mazzeo non è stato trovato perchè dopo il 'pentimento' di Scalia la cosca lo avrebbe disseppellito e portato in un altro posto per non fare trovare riscontri alle sue dichiarazioni.
Sebastiano Mazzeo era figlio del boss Francesco, che era rimasto paralizzato dopo una sparatoria avvenuta nel 1981 a Carpi, nel Modenese. L'uomo era stato poi assassinato da un commando nella sua villa di Agnone Bagni, tra Catania e Siracusa, il 25 maggio del 1987 da un commando di mafiosi travestiti da carabinieri. Nella casa, dove era agli arresti domiciliari perchè imputato nel maxiprocesso di Torino alle cosche catanesi, c'erano anche la moglie e la figlia del boss, le stesse indagate per l'omicidio di Sebastiano Mazzeo, che furono arrestate per detenzione illegale di arma da fuoco, perchè nascondevano le armi della vittima.
Proprio l'uccisione del padre sarebbe stata la molla che avrebbe spinto Sebastiano Mazzeo a collaborare con la magistratura, o a fare finta, per potere tornare in libertà: il giovane, che era detenuto per rapina e tentativo di omicidio, scomparve infatti il 7 ottobre del 1989, pochi giorni prima di essere ucciso, mentre era sotto protezione e si era recato nella discoteca 'Piper' di Roma ma non fece rientro a casa. Successivamente mandò una lettera ai giornali spiegando di non essere un 'pentito', ma non fu creduto.
A Catania la cosca tentò di ucciderlo utilizzando un commando di sicari travestiti da militari della guardia di finanza, ma l'agguato fallì perchè Sebastiano Mazzeo capì tutto e riuscì a fuggire. Per questo la cosca decise di fare intervenire la madre e la sorella come 'esca' per farlo uscire dal suo covo nel rione San Cristoforo di Catania.
Sebastiano Mazzeo fu ucciso a colpi di pistola e portato in un luogo segreto, dove fu sepolto ma prima, secondo alcuni pentiti, il corpo fu martoriato con un machete. Tra i mandanti, secondo l'accusa, ci sarebbe stato anche lo zio di Sebastiano, il capomafia Santo Mazzei, uomo d'onore di Cosa nostra e luogotenente di riferimento a Catania di Totò Riina.
Del caso di 'lupara bianca' e del coinvolgimento della madre della vittima la stampa si era già occupata nel 1991, quando trapelarono le prime indiscrezioni sulle deposizioni dei due pentiti che hanno permesso alla Procura di Catania di fare luce sul caso.

24/10/2007
Fonte: La Sicilia

martedì, ottobre 23, 2007

Campanella e l'amico Mastella

FIRENZE - È cominciato con un battibecco tra uno degli avvocati della difesa ed il Pubblico ministero Nino Di Matteo il controesame del collaboratore di giustizia Francesco Campanella, che sta deponendo nel processo per associazione mafiosa e tangenti del complesso commerciale di Villabate (Palermo), per il quale sono imputate 20 persone.
Campanella ha ricordato i suoi rapporti personali e politici con Clemente Mastella. "La mia collocazione politica - ha detto Campanella rispondendo alle domande dell' avvocato Enrico Sanseverino - era quella all'interno dell' Udeur anche se in quel momento non avevo incarichi. Avevo rapporti di particolare vicinanza sul profilo politico e profilo personale con Mastella - ha aggiunto Campanella rispondendo a Sanseverino - al quale riferivo di questioni prettamente politiche come la mia candidatura alle Provinciali 2003".
Il collaboratore di giustizia, sollecitato dall' avvocato Sanseverino (che difende Paolo Marussig), sta ripercorrendo il periodo che ha preceduto la decisione di collaborare con la giustizia, ovvero quando rivestiva il ruolo di uomo di fiducia di Nino e Nicola Mandalà, boss della cosca di Villabate.
Il collaboratore risponde anche a domande sulla sua attività politica, a partire dalla "consulenza" che gli affidò per il piano commerciale ed il piano di sviluppo il sindaco di Villabate Carandino per una somma mensile pari a 4500 euro.

23/10/2007
Fonte: La Sicilia

70 anni di carcere

PALERMO - Pene per oltre 70 anni di carcere e 8 assoluzioni: sono il bilancio della sentenza nei confronti di 20 imputati, accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, riciclaggio e favoreggiamento.
Il processo scaturisce da un'inchiesta del Gico della Guardia di Finanza sulla cosca mafiosa di S. Maria del Gesù che nel 2004 portò all'arresto di 35 persone. Tra gli imputati, oltre ai presunti esponenti della famiglia mafiosa ed ai presunti estorsori, anche otto commercianti di Palermo accusati di favoreggiamento.
La pena più alta, 15 anni di reclusione (la stessa chiesta dal Pm Alessia Sinatra), è stata inflitta a Salvatore Gregoli, l'unico che è attualmente detenuto agli arresti domiciliari. Il Tribunale gli ha inflitto anche una multa di 2.500 euro. La condanna a 13 anni, più 2 mila euro di multa, è stata emessa nei confronti di Giovanni Di Pasquale (il Pm ne aveva chiesti 18).
Condannati a 12 anni di reclusione, più 2 mila euro di multa, Castrenze Lo Jacono; a 10 anni, più 1700 euro di multa, Francesco Paolo Cavallaro; 7 anni di reclusione per Giuseppe Agliuzza, Andrea Ciaramitaro e Girolamo Mondino. La condanna a 4 anni, più 1200 euro di multa, è stata inflitta a Francesca Agliuzza.
Condanne lievi, infine, sono state inflitte ai commercianti che non hanno ammesso di subire il "pizzo", rifiutandosi di collaborare con gli inquirenti: 10 mesi di reclusione per Michele D'Angelo, Cesare Mattaliano e Francesco Fanale.

23/10/2007
Fonte: La Sicilia

Talpe alla DDA, si rimane a Palermo

PALERMO - Il processo alle cosiddette "talpe" della Dda, che vede fra i suoi imputati il presidente della Regione Salvatore Cuffaro (accusato di favoreggiamento a Cosa nostra), prosegue con la discussione delle parti civili.
Lo ha stabilito stamane il presidente della terza sezione del Tribunale Vittorio Alcamo, rilevando di non aver ricevuto alcuna comunicazione ufficiale della decisione presa ieri dall'ufficio di presidenza della Corte di Cassazione che ha ritenuto formalmente ammissibile l'istanza di rimessione del processo presentata dai difensori di Cuffaro. Pertanto il presidente Alcamo ha dato la parola all'avvocato Fausto Amato, legale di parte civile per il Comune di Bagheria.
Ad apertura di udienza il presidente Vittorio Alcamo ha dato la parola alle parti civili. A questo punto l'avvocato Nino Mormino, difensore di Cuffaro, si è alzato in piedi per fare una comunicazione: "La nostra istanza di rimessione avanzata alla Corte di Cassazione è stata già destinata alla sezione ordinaria per la trattazione". Il presidente ha obiettato: "è una notizia che non ci è stata comunicata". Il difensore ha quindi aggiunto: "Noi non chiediamo la sospensione, ma forse si crea un problema ...".
Il presidente lo ha fermato: "Per noi no, perchè il codice parla chiaro. Poichè non risulta alcuna comunicazione della Cassazione, non vi è al momento ragione di modificare l'ordinanza della passata udienza che stabiliva la prosecuzione del processo".
Nei confronti di Cuffaro il pm Maurizio De Lucia e Michele Prestipino hanno chiesto otto anni di reclusione. Per gli altri 12 imputati del processo, tra cui l'imprenditore della sanità Michele Aiello e il maresciallo del Ros Giorgio Riolo, sono stati chiesti complessivamente 70 anni di reclusione.
L'istanza di remissione per "legittima suspicione" è stata presentata dai legali di Cuffaro dopo una polemica esplosa in procura sul reato da contestare al governatore siciliano.
Intanto, dicevamo, il processo continua ed in mattinata il legale dell'Asl 6 di Palermo, Federico Ferina, ha invocato per l'Ente un risarcimento di 80 milioni di euro. "La Asl di Palermo è stata gravemente danneggiata dalle illecite condotte contestate agli imputati - ha detto Ferina - mi riferisco al periodo che va dal '99 al 2002, anni in cui le due società di Aiello Atm e Villa Santa Teresa sono transitate al sistema di assistenza diretta".
Il presidente, Vittorio Alcamo, ha quindi rinviato il processo al prossimo 30 ottobre per la prosecuzione della discussione delle parti civili. Per quella data è prevista la continuazione della discussione delle parti civili.

23/10/2007
Fonte: La Sicilia

lunedì, ottobre 22, 2007

La mafia spa

ROMA - La prima azienda italiana si chiama "Mafia spa" e ha un fatturato annuo di 90 miliardi di euro: il 7% del Pil, pari a cinque manovre finanziarie ed otto volte il Tesoretto. E' quanto emerge dal rapporto Sos impresa della Confesercenti sulla criminalità, presentato questa mattina a Roma, in cui si sottolinea che usura e racket - con 40 miliardi di fatturato - costituiscono il principale business per le associazioni mafiose.
"Dalla filiera alimentare al turismo, dai servizi alle imprese a quelli alla persona, dagli appalti alle forniture pubbliche, al settore immobiliare e finanziario - afferma il rapporto - la presenza della criminalità organizzata si consolida in ogni attività economica".

Cresce il condizionamento esercitato delle organizzazioni criminali di stampo mafioso nel tessuto economico del Paese - prosegue la ricerca -. "Mafia Spa" si conferma la prima azienda italiana, il cui fatturato è alimentato da estorsioni, usura, furti e rapine, contraffazione e contrabbando, imposizione di merce e controllo degli appalti. I commercianti, gli imprenditori subiscono 1300 reati al giorno, praticamente 50 l'ora, quasi uno al minuto".
Nella mappa del pizzo Catania è una “zona rossa”. A rappresentare la città, nella quale “la presenza mafiosa è capillare” e “il pizzo si paga a tappeto”, hanno partecipato i vertici della Confesercenti di Catania e una delegazione dell’Associazione antiracket antiusura etnea.
“In Sicilia - anticipa il rapporto che sarà presentato a breve nella città etnea - sono colpiti 50 mila commercianti e l’80% dei negozi a Catania e Palermo”. “Questi dati - afferma il direttore Confesercenti Alberto Sozzi - diventeranno per noi uno strumento di lavoro per diffondere le informazioni sulla nostra attività e migliorare sempre di più il rapporto con la magistratura e le forze dell’ordine”.

Non ci troviamo di fronte un banchetto di verdura alla Vucciria di Palermo o a una piccola bottega della periferia di Napoli, parliamo di aziende quotate in borsa, con sedi a Milano ed a Torino - sottolinea Sos Impresa -, con amministratori delegati che mai avranno contatti con i malavitosi e, tra l'altro, con relazioni personali ed istituzionali che possono garantire la più ampia sicurezza.
Eppure queste imprese pagano. Perché? Non c'è altra risposta convincente: perchè conviene così! La mafia è forte, fortissima, ma per fortuna c'è una società civile, forse ancora troppo piccola e troppo isolata, che resiste e reagisce. Ci sono imprenditori e commercianti che non si rassegnano. E tutto questo - si legge ancora nel Rapporto 2007- rappresenta la testimonianza concreta che al pizzo ci si può opporre senza essere nè eroi, nè acquiescenti".

22/10/2007
Fonte: La Sicilia

Arrestato latitante in Venezuela

AGRIGENTO - Il latitante agrigentino Francesco Termine, 53 anni, esponente di primo piano della cosca Capizzi di Ribera, è stato catturato da uomini dello Sco e dell'Interpol nella cittadina venezuelana di Valencia. Il boss è stato sorpreso in una villa sorvegliata da molti vigilantes.
Al momento della cattura, per non essere identificato, ha esibito un documento falso intestato ad una persona morta da diversi anni. Francesco Termine, che nel 1991 in Sicilia era scampato ad un grave attentato in cui era rimasto ferito alla gola, aveva avviato in Sudamerica una florida attività imprenditoriale attraverso una serie società di copertura.
Per la "famiglia" aveva il compito di gestire sul territorio venezuelano e colombiano l'approvvigionamento della droga, che inviava in Sicilia in confezioni di succhi di frutta tropicale. Secondo gli investigatori, infatti, Termine avrebbe avuto stretti rapporti con le famiglie mafiose agrigentine dei Cuntrera e dei Caruana. La Direzione centrale della polizia criminale ha già avviato le procedure per l'estradizione.
"L'arresto di un uomo come Termine - osserva il presidente della commissione parlamentare Antimafia, Francesco Forgione - è importante sotto molti profili: si colpisce uno degli snodi fondamentali delle cosche siciliane per il rifornimento di cocaina, si indebolisce la rete di sostegno al potere di Matteo Messina Denaro, si dimostra che non esistono luoghi sicuri per i latitanti".
"Per questo - conclude il presidente della Commissione antimafia - voglio complimentarmi con gli investigatori della polizia di Stato che hanno saputo anche collaborare a pieno con le altre forze di polizia internazionali".

22/10/2007
Fonte: la Sicilia

"Il Lungo" torna a Palermo

Palermo, 19 ott. - La Procura di Palermo ha notificato l'avviso di conclusione delle indagini preliminari a 40 persone coinvolte nell'operazione "Occidente" e stamattina, tra eccezionali misure di sicurezza, un boss detenuto da ormai sedici anni, Salvatore Biondo detto "il Lungo", recluso nel carcere di Secondigliano (Napoli) col regime duro del 41 bis, e' stato portato nel Tribunale del capoluogo siciliano per essere interrogato. Biondo, davanti all'avvocato Giuseppe Di Peri, ha risposto per pochi minuti alle domande del pubblico ministero Domenico Gozzo e subito dopo, sempre con una superscorta, ha ripreso il viaggio per tornare nel supercarcere da cui proveniva. Da almeno dieci anni, da quando sono state istituite le videoconferenze, nessuno dei capimafia sottoposti al regime duro del 41 bis veniva portato a Palermo.
Finora Biondo "il Lungo" (nato nel 1956 e cosi' chiamato per distinguerlo da un cugino omonimo, nato nel 1955 e soprannominato "il Corto"), dopo la notifica delle ordinanze di custodia cautelare o degli atti giudiziari a lui riferiti, era sempre stato sentito per rogatoria, da un Gip o da un Pm di Napoli, delegati dai colleghi di Palermo. Stavolta la Procura ha deciso di sentirlo nel capoluogo dell'Isola, perche' era possibile che durante l'audizione si dovessero consultare atti.
Tra gli scopi del 41 bis (di recente oggetto di polemiche sulla sua presunta inefficacia, ma anche sull'asserita, eccessiva durezza, contestata da un giudice americano) c'e' anche la recisione dei contatti fra i boss e le citta' di origine: a Palermo, cosi', vengono portati solo se e' strettamente necessario. Ad accompagnare Salvatore Biondo, che si muove su una sedia a rotelle, un consistente numero di agenti di polizia penitenziaria. Nell'indagine "Occidente" i pm Gozzo e Gaetano Paci contestano a Salvatore Biondo di avere intestato in maniera fittizia a dei prestanome alcuni magazzini di viale Regione Siciliana, a Palermo. Nell'inchiesta sono coinvolti, tra gli altri, il boss latitante di Tommaso Natale Salvatore Lo Piccolo e i capimafia di Carini, appartenenti alla famiglia Pipitone, alleati di colui che e' ritenuto il nuovo capo di Cosa Nostra, dopo gli arresti di Bernardo Provenzano e dei boss della "triade": Nino Rotolo, Nino Cina' e Franco Bonura.
Fonte: Agi.it

Respinta l'istanza di Bagarella e Marchese

Palermo, 19 ott. - E' stata dichiarata inammissibile, dalla quinta sezione della Corte d'Appello di Palermo, l'istanza di ricusazione dei giudici togati del processo per l'omicidio del vicebrigadiere della polizia penitenziaria Antonino Burrafato, ucciso a termini Imerese (Palermo) il 29 giugno 1982. A presentare l'istanza erano stati i killer Leoluca Bagarella e Antonino Marchese, che avevano sostenuto che il presidente della terza sezione della Corte d'Assise d'appello, Giuseppe Nobile, e - il solo Marchese - anche il giudice a latere Biagio Insacco fossero prevenuti nei loro confronti. Nell'istanza i due imputati si erano lamentati del fatto di essere stati gia' piu' volte giudicati dagli stessi magistrati e avevano segnalato anche, come motivo di "inimicizia" dei giudici contro di loro, il fatto di non avere piu' il gratuito patrocinio, cioe' la difesa a spese dello Stato. Secondo la sezione misure di prevenzione della Corte d'appello, che ha esaminato il caso, l'istanza non e' ammissibile.
Fonte: Agi.it

sabato, ottobre 20, 2007

Un'altra grande uscita del presidente "Minchiè"...

(ANSA) -ROMA, 12 OTT- "La Sicilia ha diritto di dichiarare finita' l'emergenza mafiosa". Lo ha detto il presidente dell'assemblea regionale Siciliana, Micciche' .
Il numero 1 dell'Assemblea e' tornato sulla sua discussa frase di quanto sia triste arrivare in Sicilia in un aeroporto dedicato a Falcone e Borsellino.
"Non dobbiamo abbassare l'attenzione verso il fenomeno mafia - ha proseguito - ma non sono piu' i tempi in cui c'era l'esercito. Noi siciliani dobbiamo cominciare a parlare delle cose positive che esistono".

Sequestrato covo di Provenzano

Gli agenti della Squadra mobile di Palermo hanno eseguito il sequestro preventivo del villino di Portella di Mare (Palermo), dove aveva trovato rifugio per alcuni giorni, nel novembre del 2003, Bernardo Provenzano al rientro dalla Francia, dove si era recato per operarsi alla prostata. Il sequestro, richiesto dal procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone, e dai sostituti procuratori Michele Prestipino, Nino Di Matteo, e Lia Sava, ha per oggetto l'edificio a due piani con piscina e il lotto di terreno dove si trova. Il terreno venne acquistato da Mario Cusimano (arrestato nell'ambito dell'operazione "Grande Mandamento" per associazione mafiosa) con il denaro proveniente dalla gestione della Sala Bingo della Enterprise Srl, societa' di diretto riferimento della compagine mafiosa di Villabate e in particolare di Nicola e Antonino Mandala' (arrestati nell'ambito della stessa operazione nel gennaio del 2005). Intestatari fittizi del terreno e della villa successivamente edificata sono risultati essere una sorella e un cognato di Cusimano. La societa' Enterprise srl, attualmente sotto sequestro giudiziario, comprendeva oltre la Sala Bingo di via dei Cantieri anche due agenzie per la raccolta di scommesse site in Villabate ed altre attivita' commerciale.
Fonte: La Repubblica

Decide la Cassazione

PALERMO - L'istanza dei difensori di Salvatore Cuffaro, per la remissione del processo alle cosiddette "talpe" della Dda, potrebbe ottenere una risposta della Cassazione in un arco di tempo che va da dieci giorni a due mesi. Il primo passo che i legali del presidente della Regione siciliana dovranno affrontare è quello di notificare la loro documentazione, depositata oggi al Tribunale, anche a tutte le altre parti del processo. Per questo hanno sette giorni di tempo.
La prossima tappa dell'istanza di remissione, che già stamane è stata trasmessa "con urgenza" dal Tribunale di Palermo alla Suprema Corte, è il vaglio della Settima sezione della Cassazione, che deve deciderne l'eventuale inammissibilità. Per questa prima verifica possono bastare una decina di giorni.
Poi, se la documentazione sarà considerata ammissibile, la richiesta dei difensori di Cuffaro verrà assegnata ad una sezione della Cassazione che finalmente entrerà nel merito della questione per stabilire se vi è stata quella che i legali definiscono una "interferenza esterna" di tale gravità da modificare la "corretta dialettica processuale": ovvero per decidere se il processo alle "talpe" va trasferito ad un altro giudice o se può restare a Palermo.
A questo punto, osservano i "tecnici", i tempi possono variare da venti giorni a due mesi. Nel frattempo, conclusa la requisitoria, il processo, che è giunto alla 118esima udienza, va avanti. Il presidente Vittorio Alcamo ha rinviato la discussione delle parti civili a martedì 23 ottobre, con udienza di mattina e di pomeriggio. Solo nel caso in cui la decisione della Suprema Corte non arrivasse neppure entro la conclusione della fase delle arringhe difensive, il processo alle "talpe" della Dda dovrà essere sospeso ed imporsi uno stop alla vigilia della sentenza.
15/10/2007
Fonte: La Sicilia

Chiesti 8 anni per "vasa vasa"

PALERMO - Il procuratore aggiunto di Palermo, Giuseppe Pignatone, ha chiesto la condanna ad otto anni di carcere per il presidente della Regione, Salvatore Cuffaro, nell'ambito del processo per le talpe in Procura, che vede imputato il Governatore siciliano per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra e rivelazione del segreto d'ufficio.
Chiesta anche la condanna a 18 anni per il manager della sanità privata Michele Aiello, che deve rispondere di associazione mafiosa; nove anni per il maresciallo del Ros Giorgio Riolo, accusato di concorso in associazione mafiosa e cinque anni per il radiologo Aldo Carcione, imputato di concorso in rivelazioni di segreto d'ufficio.
Il procuratore aggiunto, Giuseppe Pignatone, ha avanzato le richieste anche nei confronti degli imputati minori del processo: 4 anni per l'ex segretario della Procura Antonella Buttitta; un anno e quattro mesi per Roberto Rotondo; 3 anni e sei mesi per Giacomo Venezia; 5 anni e mille euro di multa per Michele Giambruno; 4 anni e sei mesi per Domenico Oliveri; nove mesi per SalvatorePresitigiacomo; due anni per Adriana La Barbera e Angelo Calaciura; 5 anni e mille auro di multa per Lorenzo Iannì.
Pene pecuniarie sono state invocate per le società Atm (1 milione e 549 mila euro) e per la Diagnostica per immagini (un milione di euro).
"Questa requisitoria è stata basata su rigorose valutazioni delle risultanze processuali". Lo ha detto il procuratore aggiunto di Palermo, Giuseppe Pignatone, prima di formulare le richieste di pena nel processo alle cosiddette "talpe" della Dda.
La sua presenza in aula, al fianco dei pm Maurizio De Lucia e Michele Prestipino, è stata letta come la volontà di sostenere le loro valutazioni sui profili della contestazione di reato mossa nel processo al governatore Cuffaro, dopo l'ennesima divergenza sorta in Procura nei giorni scorsi.
Pignatone ha preso la parola alla fine della requisitoria, dicendo di voler pronunciare "poche battute conclusive". "Questo è stato definito il processo alle talpe - ha detto - ma questa definizione è riduttiva. Questo processo ha svelato alcuni aspetti strategici e vitali per Cosa nostra, facendo emergere il coacervo di interessi illeciti che hanno accomunato mafiosi, imprenditori, professionisti ed esponenti delle istituzioni, compresi rappresentanti politici.
Mai, come in questo processo - ha aggiunto - è stato ricostruito in un'aula giudiziaria il fenomeno delle fughe di notizie, rivelando un panorama desolante di sistematico tradimento anche da parte di esponenti degli apparati investigativi". Poi, in riferimento alla fuga di notizie attribuita al Governatore siciliano sull'esistenza di intercettazioni a casa del boss Guttadauro, che nel 2001 portò alla rimozione della microspia e alla neutralizzazone dell'indagine, Pignatone ha sottolineato la "gravità della condotta di Cuffaro, che in quei giorni veniva eletto presidente della Regione siciliana".
L' ultima considerazione, Pignatone l'ha dedicata al comportamento processuale degli imputati perché "non è stato possibile ricostruire l'intera catena delle rivelazioni delle notizie riservate e dunque non è stato possibile accertare se vi era una fonte interna alla Procura, e chi era quella persona in diretto collegamento con Roma con cui Cuffaro commentava l'esito delle indagini".
15/10/2007
Fonte: La Sicilia

giovedì, ottobre 18, 2007

2 arresti per pizzo

CATANIA - Alfio Sardo, 42 anni e Filippo Anastasi, 27 anni, sono stati arrestati dalla Squadra mobile di Catania per aver tentato di estorcere denaro per conto della cosca Santapaola ad un imprenditore edile. È stata la stessa vittima a denunciare i tentativi di estorsione, ai danni di un cantiere edile di San Gregorio.
I due malviventi sono stati bloccati dagli agenti, che sorvegliavano il cantiere dopo che avevano avuto un'animata discussione con il titolare dell'impresa. La vittima ha detto agli investigatori che uno dei due, Anastasi, in diverse occasioni e accompagnato da persone diverse, si era presentato nel cantiere per avanzare richieste estorsive.
Sardo ha precedenti penali in materia di stupefacenti, mentre Anastasi ha precedenti per favoreggiamento. Nel 2002 era stato arrestato per aver agevolato la latitanza di Alfio Giovanni Di Bella, 46 anni, considerato dagli investigatori elemento di spicco del clan Santapaola, che allora doveva espiare una condanna definitiva.
Sempre per estorsione, ad Adrano, è finito in carcere un ragazzo di 20 anni, Giuseppe Liotta. Secondo gli inquirenti il giovane, noto alle forze dell'ordine per reati contro la persona, avrebbe estorto del denaro al titolare di un panificio. A denunciare l'accaduto è stato lo stesso imprenditore. L'arrestato è stato bloccato dopo avere riscosso 500 euro dalla vittima. In casa del giovane, gli agenti hanno trovato alcune munizioni.

15/10/2007
Fonte: La Sicilia

Guantanamo e la pena di morte?

LOS ANGELES - Un giudice di Los Angeles ha negato all'Italia l'estradizione di un membro della famiglia mafiosa dei Gambino, sostenendo che il regime di detenzione 41bis a cui sarebbe con ogni probabilità destinato equivale a una forma di tortura e viola la convenzione dell'Onu in materia. Ne dà notizia il Los Angeles Times, ricostruendo la vicenda legale di Rosario Gambino, inseguito da un mandato di cattura italiano e ritenuto un esponente di spicco dell'omonimo clan di Cosa Nostra newyorchese. Gambino ha scontato 22 anni di reclusione per traffico di droga e si trova attualmente in un centro di detenzione per immigrati a San Pedro, in California, dove è stato trasferito in seguito alla richiesta di estradizione italiana. Il giudice federale D.D.Sitgraves però ha bloccato l'estradizione, accogliendo il ricorso del difensore di Gambino, Joseph Sandoval, secondo il quale si tratta di "una questione umanitaria", perché se il presunto mafioso entrasse nel sistema del 41bis italiano "sarebbe in condizioni che ne minaccerebbero la vita". In una sentenza che risale all'11 settembre scorso, ma di cui emerge solo ora l'esistenza, il giudice Sitgraves ha affermato che il sistema carcerario italiano per i boss mafiosi ha caratteristiche "che costituiscono una forma di tortura" e violano la convenzione delle Nazioni Unite in materia. L'agenzia federale per l'immigrazione ha presentato appello contro la decisione e Gambino resterà detenuto in attesa della revisione del caso.
Fonte: La Repubblica

venerdì, ottobre 12, 2007

Ecco le ecomafie...

RIBERA (AGRIGENTO) - I carabinieri di Ribera indagano su un atto intimidatorio messo a segno la notte scorsa ai danni della "Sogeir", la società che gestisce la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti nei 17 comuni dell'Ato Agrigento 1, che ha sede a Sciacca. Qualcuno di notte ha incendiato quattro autocompattatori. I mezzi erano parcheggiati nel piazzale antistante l'autoparco comunale di Ribera. L'entità del danno si aggira sui 250 mila euro. Due degli autocompattatori incendiati erano stati acquistati di recente. "Un fatto inquietante", lo ha definito il presidente della "Sogeir", Vincenzo Marinello.
12/10/2007

Fonte: La sicilia

Rinviata udienza Berlusconi Cuffaro

PALERMO - Il Gup Fabio Licata ha rinviato al prossimo 23 novembre l'udienza per decidere se revocare o meno l'ordine di distruzione delle intercettazioni delle conversazioni telefoniche tra l'ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi e il governatore siciliano, Salvatore Cuffaro. La Procura avrebbe depositato solo ieri le trascrizioni delle bobine e il cd con i brogliacci delle telefonate che sono oggetto dell'istanza di revoca della distruzione firmata dal procuratore di Palermo Francesco Messineo. I difensori di Berlusconi e di Cuffaro hanno pertanto invocato un rinvio. Il Gup ha chiesto che vengano trasmessi gli originali e non le copie delle intercettazioni. 12/10/2007
Fonte: La Sicilia

Arrestato Rallo

MARSALA (TRAPANI) - Antonino Rallo, 54 anni, indicato dagli investigatori come elemento di spicco delle cosche trapanesi e inserito nella lista dei cento latitanti più pericolosi, è stato arrestato dai carabinieri di Marsala. Rallo, ricercato da cinque anni, è stato condannato all'ergastolo per associazione mafiosa, omicidio, detenzione e porto illegale di armi. In manette è finito anche un imprenditore edile di Marsala, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa: Michele Giacalone, di 37 anni. Sarebbe stato lui, secondo gli investigatori, a prendere in locazione, tramite un'agenzia immobiliare di Marsala, la villetta di contrada Fossa Runza di Petrosino dove è stato sorpreso il latitante. Antonino Rallo non aveva armi, nè telefoni cellulari. Nella villetta, i militari hanno trovato soltanto derrate alimentari: tre chili di spaghetti, pomodori e melenzane. Il latitante quando i carabinieri hanno bussato alla porta, ha tentato di darsi alla fuga attraverso una finestra del bagno, sul retro dell'immobile. Ma la casa era circondata e non ha avuto scampo. Nel corso della conferenza stampa - che si è svolta nella sede del comando provinciale di Trapani dei carabinieri ed alla quale ha preso parte anche il sostituto procuratore della Dda Roberto Piscitello, che con l'aggiunto Roberto Scarpinato ha coordinato le indagini - gli inquirenti hanno sottolineato che l'operazione è stata il frutto di dieci mesi di indagine."Con l'arresto di Francesco Vottari a S. Luca e di Antonino Rallo a Marsala si dimostra che la caccia ai latitanti continua con metodo e senza soste". Lo afferma il presidente della Commissione parlamentare antimafia, Francesco Forgione, che si è complimentato con i carabinieri per i due arresti eseguiti. "È uno dei modi più importanti - sottolinea Forgione - per far sentire a chi in quei territori si batte contro le mafie che lo Stato è presente ed è impegnato ai massimi livelli. Non bisogna mai dimenticare che la caccia ai latitanti è forse fra le attività sul territorio più delicate e faticose, perché richiede un impegno continuo di ricerca e di analisi degli elementi. Per questo motivo dobbiamo essere sempre riconoscenti agli uomini ed alle donne delle forze di polizia che fanno parte di questi nuclei anti-latitanti".
12/10/2007
Fonte: La Sicilia

"Il pizzo mi fa schifo"... Da un boss...

PALERMO - "La mafia mi fa schifo. Le estorsioni mi hanno fatto sempre schifo. Perdonatemi per il termine". Lo ha detto Francolino Spadaro, figlio del boss Tommaso, il "re" della Kalsa, deponendo nell'aula del processo per le estorsioni all'Antica Focacceria San Francesco. Francolino Spadaro è imputato con Lorenzo D'Aleo e Giovanni Di Salvo per tentata estorsione aggravata dall'articolo 7 (che configura l'avere agito nell'interesse di Cosa nostra). Con voce pacata, in abito blu, Spadaro ha parlato per più di un ora, rispondendo alle domande del suo difensore Rosanna Vella. Dopo avere ricostruito i suoi precedenti giudiziari, riferendo di essere imputato per concorso in omicidio nel processo per l'uccisione del maresciallo Vito Jevolella, Spadaro ha raccontato la sua versione sulle estorsioni agli imprenditori Vincenzo e Fabio Conticello, titolari dell'Antica Focacceria, cercando di accreditarsi. Riferendo in particolare dell'incontro avuto a Porticello il 9 febbraio 2006 con Vincenzo Conticello, Spadaro ha detto: "Mi manifestò che aveva dei pensieri, delle preoccupazioni. Io lo fermai: non posso darti aiuto, non ho le forze per farlo, pensavo che si trattasse di soldi. Lui precisò ho altri problemi ho ricevuto una richiesta di denaro e minacce estortive. Ma io lo bloccai: non mi interessa, ho pagato le mie pene proprio per queste situazioni, gli dissi. Voglio stare sereno". Spadaro ha poi aggiunto di aver consigliato Conticello di non cedere al ricatto del pizzo. "Se paghi - gli dissi - ti rovini la vita". Il figlio del re della Kalsa ha quindi precisato: "Porto un nome pesante, ma ho espiato le mie colpe".
12/10/2007

Fonte: La Sicilia

Processo "Gotha"

PALERMO - Ci sono molti politici, alcuni pentiti, decine di medici e persino un sacerdote tra i testi che i difensori di Antonino Cinà e dell'ex deputato regionale di Fi Giovanni Mercadante, entrambi accusati di associazione mafiosa, vogliono portare in aula nei due processi "paralleli" che si apriranno il prossimo 18 ottobre, a carico dei loro assistiti, entrambi davanti alla seconda sezione del Tribunale di Palermo. Si tratta di due procedimenti scaturiti dall'operazione "Gotha". In uno è imputato il solo Cinà, assistito dall'avvocato Mimmo La Blasca. Nell'altro, Mercadante è imputato con altre sette persone: il boss Bernardo Provenzano, Lorenzo Di Maggio, Marcello Parisi, Maurizio e Paolo Buscemi, Calogero Immordino e Vito Lo Scrudato. In questo processo era imputato anche Nicola Ingarao, il boss di Palermo-centro, assassinato il 13 giugno scorso a colpi di pistola. Non è escluso che i due processi saranno unificati. Il difensore di Cinà ha chiesto di citare il boss Provenzano, imputato nel processo "parallelo" per riferire "sulla sua conoscenza di Cinà e sui rapporti intercorsi tra loro". Per Mercadante, che si trova agli arresti ospedalieri in una struttura sanitaria di Roma, i difensori Nino Mormino e Roberto Tricoli hanno chiesto la citazione, tra i politici, del presidente dell'Ars Gianfranco Miccichè, dell'on. Giuseppe Fallica e di Francesco Licata di Baucina, direttore generale del "Civico" di Palermo per riferire sul concorso di primariato di neurochirurgia svoltosi tra il 2005 e il 2006. Per Mercadante è stata chiesta la citazione di Emilio Arcuri, di Antonello Cracolici e del deputato di Italia dei Valori Leoluca Orlando. Tra i testi invocati c'è anche padre Giorgio Leone, della parrocchia del Sacro Cuore, chiamato a riferire, quale "componente della segreteria organizzativa", su quanto a sua conoscenza sulle regionali del 2006. Tra i pentiti, i difensori di Mercadante chiedono la citazione di Giovanni Brusca, Francesco Campanella, Nino Giuffrè e di Angelo Siino. Il legale di Cinà chiede la citazione dei collaboratori Angelo Fontana, Isidoro Cracolici e dello stesso Giuffrè.
12/10/2007

Fonte: La Sicilia

Anche la frutta...

GELA (CALTANISSETTA) - Le famiglie mafiose di Cosa nostra e quelle della "stidda" di Gela avrebbero avviato, insieme, un'agenzia che gestiva in monopolio il trasporto nel nisseno della frutta dalla Sicilia alle altre regioni. La polizia ha eseguito quattro ordini di custodia cautelare emessi dal Gip del Tribunale di Caltanissetta, Giovambattista Tona. I provvedimenti sono stati richiesti dal procuratore aggiunto Renato De Natale, e dai sostituti della Dda, Nicolò Marino, Rocco Liguori e Alessandro Picchi. Le ordinanze riguardano: Michele Giuseppe Valenti, di 50 anni, Gaetano Morteo, di 56, Nicolò Bartolotta, di 52 e Orazio Cosenza, di 43, quest'ultimo già detenuto. Secondo l'accusa avrebbero imposto a tutte le ditte del settore ortofrutticolo di Gela di servirsi dei mezzi e delle attività dell'agenzia che i presunti boss avevano costituito già nel 1997, che era stata chiamata "agenzia Valenti". In questo modo avrebbero alterato il libero mercato del trasporto dell'ortofrutta a Gela. Il giudice ha disposto anche il sequestro di una decina di Tir."È un importante risultato che mette in luce ancora una volta la necessità di colpire l'intermediazione parassitaria mafiosa che uccide i produttori e impoverisce i consumatori". Il vicepresidente della Commissione parlamentare Antimafia Giuseppe Lumia (Ds) commenta così l'operazione antimafia di Gela, dove le cosche avrebbero gestito il trasporto dell'ortofrutta. "Un meccanismo perverso - osserva - che non è estraneo all'ingiustificato aumento dei prezzi al consumo di questi anni, come più volte denunciato dalle stesse organizzazioni di categoria, in questo come in altri settori". Per Lumia "continuare su questa strada significa liberare veramente l'economia di interi territori e incidere concretamente sulla politica dei prezzi al consumo. Alle forze di polizia ed alla Dda di Caltanissetta - conclude - vanno le mie congratulazioni per la brillante operazione condotta con la consueta professionalità e competenza".
12/10/2007
Fonte: La Sicilia

I collaboratori di giustizia

Roma, 11 ott. (Adnkronos) - Sono 794 i collaboratori di giustizia sottoposti a misure di protezione. Di questi, 159 sono attualmente in istituti penitenziari, per 316 sono previste misure alternative al carcere e 319 sono liberi. E' stato il ministro dell'Interno, Giuliano Amato, a fornire il quadro aggiornato della situazione dei 'pentiti' intervenendo in commissione parlamentare Antimafia. Per quanto riguarda la caccia ai latitanti, tra il 1 gennaio e il 3 ottobre sono stati catturati dalle forze dell'ordine 51 grandi ricercati, di cui due inseriti nella speciale lista dei 30 latitanti piu' pericolosi.
Fonte: Adnkronos

giovedì, ottobre 11, 2007

Miccichè vai affanculo!!!

CATANIA - Fanno discutere le dichiarazioni rilasciate ieri dal presidente dell'Ars, Gianfranco Miccichè, in merito all'immagine che i siciliani all'estero e al ruolo di promiozione del marchio regionale legato alle numerose "Casa Sicilia" sparse per il mondo. Per Miccichè "un messaggio sempre negativo" legato alla peculiarità della presenza della mafia. "Ad esempio - aveva detto il presidente dell'Ars - se qualcuno, in viaggio per Palermo in aereo, non ricorda che l'immagine della Sicilia è legata alla mafia noi la evidenziamo subito già con il nome dell'aeroporto"."Le recenti dichiarazioni di Miccichè sono tanto inopportune quanto insensate. Se la Sicilia esporta troppo spesso un'immagine negativa non è certo perchè si è deciso, giustamente, di intitolare l'aeroporto di Palermo a Falcone e Borsellino". Tuona Pino Apprendi, deputato regionale Ds"La Sicilia - prosegue - è afflitta da mali profondamente radicati nel tessuto socio-economico. Solo sconfiggendo la mafia possiamo pensare di esportare un'immagine finalmente positiva. Fino ad allora dobbiamo impegnarci tutti, ognuno per ciò che attiene il proprio ruolo, per raggiungere questo obiettivo"."Il Presidente dell'Assemblea regionale siciliana dovrebbe chiedere scusa alla Sicilia intera e non solo ai familiari di Falcone e Borsellino per questa sua frase infelice. Per fortuna in tutto il mondo l'immagine buona e pulita della Sicilia è immortalata nella foto in cui i due magistrati siciliani sorridono". Commenta il presidente della Commissione antimafia, Francesco Forgione (Prc). "Per me - aggiunge Forgione - è davvero imbarazzante dover replicare ad affermazioni che ogni cittadino siciliano non avrebbe voluto ascoltare"."Il nome di Falcone e Borsellino in tutto il mondo ricorda la Sicilia pulita che ha lottato e lotta contro la mafia. L'immagine della Sicilia è danneggiata dalla mafia e non dall'antimafia". Aggiunge Giuseppe Lumia (Ds), vice Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia. "Questo dovrebbe essere ormai chiaro a tutti e per questo spero che l'on. Miccichè - aggiunge - ritiri questa dichiarazione che ancora una volta non da centralità ad un impegno comune e prioritario nella lotta alla mafia"."È paradossale che secondo il presidente dell'Assemblea regionale siciliana, la Sicilia debba curare la propria immagine cancellando il nome dell'aeroporto Falcone-Borsellino. Tutto questo mentre si svolge un processo per mafia che vede tra gli imputati il presidente della Regione". Dice Rita Borsellino, leader dell'Unione all'Ars. Sottolineando l'importanza di questo momento storico "in cui molti imprenditori stanno trovando il coraggio di denunciare gli estorsori", la Borsellino ha ribadito la necessità di intervenire "bene e presto. Il dibattito - ha aggiunto - si sta avvitando su esercito sì esercito no. Il punto vero su cui l'Assemblea deve confrontarsi è invece come si può fare ad assicurare subito maggiore protezione a chi denuncia e non fare sfumare questo momento particolarmente positivo". "Miccichè dimostra ancora una volta di non poter rappresentare la Sicilia e i siciliani". Rincara a nome del gruppo di Sinistra democratica alla Camera, Angelo Lomaglio. "Falcone e Borsellino, proprio all'opposto di quanto pensa Miccichè, sono il simbolo di una Sicilia che non si arrende alla mafia. Di una Sicilia abitata da gente che ha il coraggio di lottare, ogni giorno, perchè la mafia sia sconfitta. Di gente onesta che non ha paura di rischiare la propria vita, proprio come fecero Falcone e Borsellino". Per Lomaglio "è stato tanto doloroso leggere la sua volgare e insulsa dichiarazione. Particolarmente grave è il momento in cui Miccichè dice queste cose mentre i giovani, gli imprenditori e il popolo siciliano cominciano una nuova ribellione contro il potere mafioso, frasi del genere sembrano far presagire che chi combatte la mafia non è supportato dalle istituzioni. Per questo Miccichè dovrebbe dimettersi dalla carica di Presidente dell'Assemblea regionale siciliana, di cui certamente non è degno". In verità Micccichè, nel suo intervento aveva anche aggiunto: "Dobbiamo lavorare tutti insieme e al di là di ogni colore politico, senza far prevalere dentro di noi l'aspetto demagogico, affinchè si cambi l'immagine stereotipata della Sicilia"."Hanno perso tutti il ben dell'intelletto: a destra, sinistra e centro. C'è da restarci di sasso. Poi si lamentano che vengono fuori personaggi come Grillo". Questo infine il commento di Maria Falcone, sorella del magistrato ucciso dalla mafia."Sono anni - ha aggiunto - che vado nelle scuole a parlare di legalità e lotta alla mafia con i ragazzi e poi mi sento dire una cosa simile dal presidente dell'Ars, il politico simbolo della Sicilia. A Miccichè - ha concluso - non viene il sospetto che chi viene a Palermo in aereo, vedendo la scritta 'Aeroporto Falcone-Borsellino', venga in mente l'antimafia e non la mafia?". Miccichè chiede scusa, ma rincara la dose - Pressocchè immediate le scuse di Miccichè alla "signora Falcone": "La mia non è stata una dichiarazione felice e di questo mi scuso con la signora Falcone e non solo con lei. Il mio intervento a Bivona da cui è stata estrapolata quella frase era comunque molto più complesso ed era mirato, cosa di cui continuo ad essere convinto, a provare a cambiare l'immagine di una terra che tra mille peculiarità riesce a trasmettere la sola identità di terra di mafia". "Sto lottando da anni, con passione, per lo sviluppo di questa terra - sottolinea Miccichè - ma devo costatare, purtroppo, che qualsiasi sforzo viene vanificato dalla volontà di noi siciliani di essere percepiti come un popolo disgraziato in continua emergenza".Il Presidente dell'Ars ricorda che "ogni giorno leggiamo sulla stampa di morti in Campania, ma non mi risultano richieste di esercito da parte di nessuno. Il danno che provochiamo continuamente sui mercati internazionali e sui possibili investimenti nell'Isola sono enormi e, sinceramente, non riesco a capire il motivo di questa autoflagellazione siciliana"."Ciò non toglie - conclude Miccichè - comunque che è mio dovere ritirare la frase sul nome dell'aeroporto di Palermo intitolato a due martiri della nostra infinita battaglia contro la criminalità organizzata senza la quale non avremmo oggi neanche la speranza di quello sviluppo che io auspico".
10/10/2007

Fonte: La Sicilia