lunedì, dicembre 29, 2008

La vecchia cara pistola.. Sempre attuale..

S. CATALDO (CALTANISSETTA) - Si torna a sparare e ad uccidere nel Nisseno. Salvatore Calì, 59 anni, è stato freddato in pieno centro a San Cataldo. L'uomo, che in passato era stato condannato per mafia e aveva scontato la pena, è stato raggiunto da diversi colpi di pistola sparati da due sicari che erano a bordo di una motocicletta. Salvatore Calì, figlio di un capomafia a sua volta ucciso nel 1981, stava uscendo dalla sua agenzia di pompe funebri quando i killer lo hanno affrontato sparandogli al volto e al petto. La vittima, già nell'aprile del 1992, scampò a un agguato e poco tempo dopo si rese irreperibile sfuggendo all'arresto per la successiva operazione denominata "Leopardo" scaturita dalle dichiarazioni del pentito Messina. Salvatore Calì è stato accusato dai collaboratori di giustizia di aver preso parte a omicidi, rapine, traffico d'armi e usura. Uscito di carcere, probabilmente, stava riorganizzando la cosca, ma evidentemente non ha fatto in tempo. Sulla vicenda indagano i carabinieri.
28/12/2008
Fonte: La Sicilia

Riaffiora il cadavere...

TRAPANI - Il cadavere trovato a Tre Fontane è di Renzo Vaccara, 40 anni, originario di Santa Ninfa, ma residente in provincia di Piacenza, figlio di Pietro Vaccara, considerato dagli investigatori esponente di spicco della mafia trapanese, ucciso in un bar nel 1982 mentre assisteva ad una partita dei mondiali di calcio. L'uomo è stato trovato col cranio fracassato, forse con una grossa pietra posta sopra il cadavere ed è stato identificato grazie alla patente che aveva in tasca. Il cadavere è stato portato nell'obitorio di Mazara del Vallo per una prima accurata ispezione cadaverica. Secondo un'inchiesta della Dda palermitana, Pietro Vaccara venne ucciso perché mise in discussione la leadership di Totò Riina. I carabinieri indagano senza sbilanciarsi sulla pista prettamente mafiosa del delitto.
28/12/2008
Fonte: La Sicilia

martedì, dicembre 23, 2008

Tabaccheria sequestrata...

PALERMO - I poliziotti della sezione Misure patrimoniali della Questura di Palermo hanno sequestrato una tabaccheria, con annessa attività di ricevitoria di totocalcio, totogol, totip e lotto. L'esercizio commerciale, che si trova nel quartiere Tommaso Natale, è formalmente intestato alla nuora del boss Salvatore Lo Piccolo. Il provvedimento è stato emesso su proposta del questore Alessandro Marangoni. Oltre alla tabaccheria, che ha un valore di circa 600 mila euro, sono stati sequestrati conti correnti per 50 mila euro riconducibili al capomafia di San Lorenzo. La titolare formale dell'esercizio è la figlia di Claudio Lo Piccolo, unico dei rampolli del capomafia incensurato. Secondo gli investigatori, il clan avrebbe avuto la necessità di rilevare una attività commerciale per riciclare il denaro della cosca e riuscire così ad immettere ingenti somme di denaro all'interno di un circuito legale e guadagnarsi canali di credito con istituti bancari e finanziari.
23/12/2008

Fonte: Adnkronos

venerdì, dicembre 19, 2008

Operazione "Perseo": convalidati i fermi

PALERMO - Sono stati tutti convalidati i fermi delle 91 persone finite in manette nell'ambito dell'inchiesta 'Perseò, che ha azzerato i vertici della mafia palermitana. Nel pomeriggio i gip di Termini Imerese e Palermo hanno completato gli interrogatori. Per ultimi sono stati sentiti il boss Sandro Capizzi, reggente del mandamento di Villagrazia, e il suo guardaspalle Salvatore Freschi. Erano riusciti ad evitare le manette, ma sono stati fermati dalla polizia ieri pomeriggio nell'appartamento di una anziana donna, parente di un pregiudicato vicino ai Capizzi, a Bonagia, alla periferia di Palermo. Sia Capizzi che Freschi, come già aveva fatto la maggior parte degli indagati, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.I gip dovranno nelle prossime ore dovranno decidere sull'applicazione delle misure cautelari.
18/12/2008
Fonte: La Sicilia

giovedì, dicembre 18, 2008

Suicidio al Pagliarelli

PALERMO - Il presunto boss di Porta Nuova, Gaetano Lo Presti, 52 anni, arrestato nell'operazione Perseo si è suicidato ieri sera nel carcere palermitano di Pagliarelli. L'uomo racconta, come si legge nelle intercettazioni, molti retroscena che riguardano la creazione della nuova commissione di Cosa Nostra e inconsapevolmente rivela agli investigatori i nomi degli altri boss coinvolti e le strategie che stavano portando avanti. Il mafioso aveva vantato con altri boss di avere l'appoggio di Giuseppe Salvatore Riina - figlio del boss Totò - nella scelta che avrebbe dovuto fare per indicare il nuovo capo della Commissione provinciale di Cosa nostra. Il presunto capomafia di Porta Nuova, che si opponeva a Benedetto Capizzi, è stato però smentito da un altro boss, Nino Spera, anche lui fermato ieri mattina, sostenendo che il piccolo Riina, sottoposto a sorveglianza speciale a Corleone, "era fuori da tutto", e per volere della madre "non doveva impicciarsi". Proprio per mantenersi lontano dai guai, il rampollo del "capo dei capi", lo scorso mese aveva chiesto al tribunale di andare in provincia di Milano. È possibile che Lo Presti, una volta lette in cella tutte le intercettazioni contenute nel provvedimento che gli è stato notificato, abbia compreso di aver sbagliato con Totò Riina e la sua famiglia, decidendo così di togliersi la vita. La Procura della Repubblica di Palermo ha disposto l'autopsia sul corpo del boss.
17/12/2008
Fonte: La Sicilia

Il vecchio UDC non muore mai...

PALERMO - Gli agenti della Mobile di Palermo hanno fermato alla periferia di Palermo il boss latitante Sandro Capizzi, figlio del capomafia di Villagrazia Benedetto, sfuggito alla cattura, ieri, durante il blitz dei carabinieri nell'ambito dell'operazione "Perseo". Fermato anche un altro ricercato, Salvatore Freschi. Sempre nell'ambito della stessa operazione, i deputati regionali, Riccardo Savona (Udc) e Alessandro Aricò (Pdl), verranno interrogati dai pm della Direzione distrettuale antimafia di Palermo a gennaio perché accusati di voto di scambio. L'indagine nei loro confronti scaturisce da intercettazioni ambientali da cui emerge che alcuni affiliati al mandamento mafioso di Porta Nuova gli avrebbero procurato voti durante la campagna elettorale per le elezioni regionali dello scorso aprile, in cambio di somme di denaro. L'indagine fa parte dell' inchiesta "Perseo" che ieri ha portato in cella 89 persone. A Savona e Aricò è già stato notificato l'avviso di garanzia in cui viene contestata l'accusa di scambio elettorale politico-mafioso, reato che viene applicato a chi ottiene la promessa di voti da persone affiliate alle cosche in cambio di somme di denaro. Ai due politici è stato nominato un difensore di ufficio.
17/12/2008
Fonte: La Sicilia

martedì, dicembre 16, 2008

La lista dei fermati...

PALERMO - Queste le persone fermate nell'ambito dell'operazione antimafia dei carabinieri di Palermo denominata "Perseo": Giovanni Adelfio, 44 anni; Salvatore Adelfio, 71 anni; Francesco Adornetto, 51 anni; Gregorio Agrigento, 73 anni. Antonino Alamia, 44 anni; Gerlando Alberti, 81 anni; Filippo Annatelli, 45 anni; Giusto Arnone, 36 anni; Antonino Badagliacca, 62 anni; Francesco Paolo Barone, 64 anni; Salvatore Barrale, 51 anni; Paolo Mario Bellino, 40 anni. Salvatore Bellomonte, 50 anni; Vincenzo Billitteri, 45 anni; Giuseppe Biondino, 31 anni; Filippo Salvatore Bisconti, 48 anni; Salvatore Bisconti; 53 anni; Francesco Bonomo, 50 anni; Davide Buffa, 42 anni. Giuseppe Caiola, 43 anni; Giuseppe Calvaruso, 31 anni; Pietro Calvo, 62 anni; Alessandro Capizzi, 25 anni; Gioacchino Capizzi, 35 anni; Benedetto Capizzi; 64 anni; Gaetano Capizzi, 39 anni; Sandro Capizzi, 29 anni; Benedetto Cappello, 61 anni; Luigi Caravello, 55 anni; Gaetano Casella, 51 anni; Giuseppe Casella, 52 anni; Domenico Caruso, 40 anni; Girolamo Catania, 33 anni; Salvatore Catania, 63 anni; Francesco Chinnici, 33 anni; Giuseppe Ciancimino, 53 anni; Giovanni Costantino, 38 anni; Marco Coga, 26 anni. Giuseppe D'Anna, 26 anni; Sergio Damiani, 38 anni; Santo Dell'Oglio, 33 anni; Giovanni Di Bartolo, 45 anni; Giuseppe Di Cara, 36 anni; Vincenzo Di Gaetano, 54 anni; Giuseppe Di Giacomo, 42 anni; Marcello Di Giacomo, 41 anni; Tommaso Di Giovanni, 42 anni; Gaspare Di Maggio, 38 anni; Vincenzo Di Maria, 58 anni.Gaetano Fidanzati, 73 anni; Sergio Rosario Flamia, 50 anni; Antonio Freschi, 50 anni; Salvatore Freschi, 32 anni; Gaetano Ganci, 58 anni; Giuseppe Greco, 46 anni. Giuseppe La Rosa, 30 anni; Francesco Leone, 48 anni; Giovanni Battista Licari, 30 anni; Calogero Liguri, 29 anni; Giovanni Lipari, 70 anni; Rosario Salvatore Lo Bue, 55 anni; Salvatore Lo Cicero, 77 anni; Salvatore Lombardo, 86 anni; Vincenzo Lombardo, 36 anni; Giuseppe Lo Verde, 51 anni; Gaetano Lo Presti, 52 anni.Fabio Manno, 44 anni; Giuseppe Marano, 56 anni; Baldassare Migliore, 41 anni; Giovanni Salvatore Migliore, 40 anni; Salvatore Milano, 55 anni; Gioacchino Mineo, 56 anni; Massimo Mulè, 36 anni; Salvatore Mulè, 32 anni; Antonino Musso, 36 anni; Placido Naso, 73 anni; Castrenze Nicolosi, 49 anni.Gaspare Perna, 39 anni; Giuseppe Perfetto, 51 anni; Salvatore Pinio, 40 anni; Francesco Paolo Piscitello, 57 anni; Giovanni Pizzo, 57 anni; Giovanni Polizzi, 57 anni; Onofrio Prestigiacomo, 57 anni.Rosario Rizzuto, 51 anni; Espedito Rubino, 45 anni; Giuseppe Russo, 40 anni; Ludovico Sansone, 55 anni; Rosario Sansone; 66 anni; Giuseppe Scaduto, 62 anni; Enrico Scalavino, 37 anni; Francesco Sorrentino, 44 anni; Antonino Spera, 45 anni.Mariano Troia, 34 anni;Benedetto Tumminia, 65 anni; Michele Tumminia, 43 anni; Michele Salvatore Tumminia, 40 anni; Salvatore Francesco Tumminia, 35 anni e Vincenzo Tumminia, 38 anni.
16/12/2008

Fonte: La Sicilia

Mega operazione in Sicilia..


PALERMO - Un maxi blitz dei carabinieri del Comando provinciale di Palermo è in corso in diverse città della Sicilia. I militari, nel corso dell'operazione denominata "Perseo", stanno eseguendo 99 fermi ordinati dai pm della Direzione distrettuale antimafia. Si tratta di capimafia, reggenti di mandamenti e gregari che farebbero parte delle famiglie mafiose, coinvolti da alcuni boss palermitani in un progetto criminale che ha come obiettivo quello di "rifondare Cosa nostra". I capimafia arrestati stavano ricostituendo la nuova "commissione provinciale" di Cosa nostra. Si tratta dell'organismo con il quale l'organizzazione decide le azioni da compiere e le strategie criminali da adottare. Tutto emerge da intercettazioni ambientali. Alla commissione, in passato guidata da Totò Riina, è toccato il compito di deliberare i fatti di sangue più importanti che sono stati compiuti dalla mafia. La nuova commissione provinciale sarebbe dovuta servire per far prendere ai capi dei mandamenti mafiosi "gravi decisioni" come "fatti di sangue" che avrebbero riguardato anche progetti di "delitti eccellenti". I boss riconoscono ancora Riina come capo; per portare avanti Cosa nostra alcuni capimafia ripropongono, con "la benedizione" del corleonese, detenuto dal 1993, la ricostituzione dell'organismo collegiale. Una scelta per dare una svolta alla linea moderata tenuta fino al 2006 da Provenzano, il quale non sarebbe stato autorizzato a dare ordini ma "elargire solo consigli". Il nuovo corso dell'organizzazione avrebbe dovuto dunque rispolverare l'azione militare. Un contributo a rifondare Cosa nostra sarebbe stato fornito dal latitante Matteo Messina Denaro, al quale i palermitani avrebbero però impedito di mettere le mani sulla commissione provinciale. "Se con l'operazione Gotha del giugno 2006 Cosa nostra era in ginocchio, con questa operazione Perseo le si è impedito di rialzarsi, recidendo tutte le teste strategicamente pensanti di una nuova struttura di comando che avrebbe dovuto deliberare, come una volta, su 'cose gravi'", dice il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso. Il capo della Dna fa riferimento al progetto criminale che i boss stavano portando avanti. "La mente - aggiunge Grasso - allarmisticamente corre alle ultime stragi del 1992 e all'attacco alle istituzioni". Il capo della procura nazionale rivolge anche un plauso ai carabinieri del Reparto operativo di Palermo e del Gruppo di Monreale, che in nove mesi sono riusciti a controllare centinaia di boss, portando a conclusione questa importante inchiesta. Quindi fa chiarezza su Messina Denaro: "Non è il regista di questa nuova Cosa nostra, né sarebbe stato il capo della Commissione provinciale. Certamente ha avuto contatti con esponenti di Cosa nostra palermitana e da lui può essere partito l'impulso di riorganizzare Cosa nostra. Dal contenuto delle intercettazioni ambientali non risulta una sua costante e attuale regia, essendo una questione, quella della ricostituzione della commissione provinciale di Palermo, che spetta alle cosche palermitane". "Tuttavia non c'è dubbio - aggiunge il capo della Dna - che questa 'specie' di commissione che si doveva ricostituire non poteva non avere l'assenso di colui che aveva partecipato attivamente e direttamente alla strategia stragista del 1992 e 1993 dall'omicidio di Falcone e Borsellino agli attentati di Firenze, Roma e Milano". I fermi sono stati disposti dalla procura a causa del pericolo di fuga degli indagati e per evitare omicidi che sarebbero stati progettati. Per condurre il maxi blitz sono stati impiegati oltre 1.200 carabinieri, e poi elicotteri e unità cinofile. Sono centinaia le perquisizioni effettuate dai carabinieri in quasi tutta la provincia di Palermo. Ai 99 indagati, fermati su disposizione della Direzione distrettuale antimafia, vengono contestate le accuse di associazione mafiosa, e a vario titolo anche estorsione, traffico di armi e traffico internazionale di stupefacenti. L'operazione è ancora in corso, anche in alcune province della Toscana."La mafia rimane uguale a se stessa. Le strutture, i metodi, i progetti alla fine sono sempre uguali. Questa è una delle considerazioni a cui ci ha portato la complessa indagine condotta dai carabinieri", commenta il procuratore di Palermo Francesco Messineo. "Grazie alle intercettazioni - ha aggiunto - siamo riusciti ad ascoltare dal di dentro le voci della mafia e a monitorare in diretta il piano di ricostituire gli organismi verticistici in città e in provincia".
16/12/2008

Fonte: La Sicilia

giovedì, dicembre 11, 2008

La follia del ddl sulle intercettazioni...

ROMA - Con la riforma delle intercettazioni messa a punto dal governo sarà sempre più difficile indagare sulla mafia. A lanciare l'allarme è il segretario dell'Anm Giuseppe Cascini nel corso della sua audizione in commissione Giustizia della Camera sul ddl intercettazioni. "Formalmente le indagini sulla criminalità organizzata si possono fare - afferma Cascini - ma poi nella pratica questo si rivelerebbe impossibile visto che con il provvedimento del governo diventeranno intercettabili solo reati con condanne superiori ai 10 anni". E questo significa che "l'indispensabile strumento delle intercettazioni" non potrà essere usato per tutta una serie di reati compiuti normalmente dai mafiosi come, ad esempio, la turbativa d'asta, l'estorsione e altro ancora. A meno che non si voglia sostenere che la mafia sia solo narcotraffico e omicidio. Con questo ddl, poi sarà impossibile intercettare i detenuti mafiosi quando telefonano in carcere o durante i colloqui con i familiari". Cascini, nel corso della sua audizione in commissione Giustizia della Camera, ribadisce anche la contrarietà dell'Anm all'ipotesi di estendere il campo di applicazione delle intercettazioni preventive rispetto a quelle processuali. "Abbiamo espresso delle perplessità molto serie - dice il segretario dell'Anm - sull'ipotesi di ampliare il novero dei casi in cui sia possibile procedere con intercettazioni preventive a scapito delle intercettazioni processuali". "Questa soluzione ridurrebbe le garanzie fondamentali dei cittadini e - afferma ancora il pm - contemporaneamente comporterebbe anche una drastica riduzione dei possibili accertamenti di gravi fatti illeciti". "Abbiamo ribadito - sostiene Cascini - che l'Anm è favorevole a una disciplina molto rigorosa sulla possibilità di diffondere e di pubblicare intercettazioni telefoniche contenenti fatti non rilevanti per l'accertamento nel processo penale attraverso il meccanismo del filtro anticipato che esclude il materiale non rilevante da custodire in archivi riservati". L'Anm ribadisce anche che "la riduzione della possibilità di utilizzare lo strumento delle intercettazioni, determinerebbe oggettivamente la riduzione della capacità di contrasto dei fenomeni criminali da parte di forze dell'ordine e magistratura". "Riducendo il novero dei reati - conclude Cascini - è nelle cose che si riduca anche la capacità di indagare sulla mafia e sul terrorismo".
10/12/2008


Fonte: La Sicilia

Il caro supercondannato senatore D'Alì...

TRAPANI - L'imprenditore Tommaso Coppola, già condannato per mafia, tramite il suo referente locale inviava dal carcere "sollecitazioni" nei confronti di un esponente politico nazionale di Trapani. Le richieste di Coppola riguardavano, in particolare, la gestione della Calcestruzzi ericina, sequestrata al boss Vincenzo Virga. L'imprenditore chiedeva al politico di intervenire sul prefetto di Trapani affinchè sollecitasse gli amministratori giudiziari a garantire la prosecuzione della fornitura di materiali all'azienda confiscata. Dalle intercettazioni emerge che era stata data assicurazione da parte del politico nazionale che sarebbe intervenuto sul Prefetto pro tempore, per la fornitura relativa ai lavori del porto di Castellammare del Golfo, secondo le richieste di Coppola. Dal carcere in cui si trovava chiedeva ai suoi complici di contattare il senatore del Pdl Antonio D'Alì, all'epoca sottosegretario all'Interno, per farlo intervenire in favore di un'altra impresa, oggi sequestrata. Dalle intercettazioni, Coppola ordina al geometra Vito Virgilio e all'ex vice sindaco di Valderice, Camillo Iovino (ora sindaco), di contattare il senatore D'Alì "affinchè perorassero la "Siciliana inerti e bituminosi srl" per una fornitura di inerti per i lavori del porto di Castellammare del Golfo". I rapporti fra il politico e l'imprenditore erano già emersi da altre inchieste su "mafia e appalti". Proprio sulle forniture della "Siciliana inerti bituminosi" si apprende dalle intercettazioni che Coppola avrebbe sempre fatto riferimento, attraverso altre persone, all'ex sottosegretario all'Interno, per farlo intervenire anche sul prefetto di Trapani affinchè un'azienda sequestrata alla mafia continuasse a servirsi del materiale fornito dalla società dell'imprenditore arrestato.
10/12/2008
Fonte: La Sicilia

Dal carcere...

TRAPANI - Dal carcere duro venivano dati ordini all'esterno destinati alle cosche mafiose locali. È quanto emerge dall'operaizone antimafia, denominata 'Cosa nostra resorts', in corso dalle prime luci dell'alba di oggi nel trapanese. Sono nove le ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip del Tribunale di Palermo, Antonella Consiglio, che ha anche firmato un'ordinanza di sequestro preventivo penale a carico di otto società della provincia di Trapani e dei rispettivi beni, per un importo complessivo stimato in 30 milioni di euro. L'operazione è condotta dalla Squadra mobile di Trapani insieme con la Guardia di Finanza. In carcere è finito anche il vicesindaco di Valderice, il trentaquattrenne Francesco Paolo Maggio. L'inchiesta è coordinata dal Procuratore aggiunto, Roberto Scarpinato e dai pm Andrea Tarondo e Paolo Guido. Gli arrestati sono accusati, a vario titolo, di trasferimento fraudolento di valori e di tentata truffa aggravata per il conseguimento di finanziamenti pubblici, oltre al reato di truffa aggravata in relazione a un contributo di 2.361.239,94 euro erogato dal Ministero delle Attività Produttive per la costruzione del resort 'Residence Xiare Srl', nel Comune di Valderice (Trapani). Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, gli indagati avrebbero pianificato l'attribuzione fittizia, a vari imprenditori prestanome, della titolarità delle diverse società e dei relativi beni strumentali e patrimoni aziendali, allo scopo di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali, in modo da agevolare l'attività di Cosa nostra. È emerso anche che gli indagati avrebbero tentato di percepire indebitamente finanziamenti pubblici a favore della società costruttrice di villaggi turistici 'Villa Coppola Srl', vicina al boss latitante Matteo Messina Denaro. "Nel corso delle indagini -spiegano gli i investigatori- è stato accertato, per la prima volta in Sicilia, come le operazioni di prestanome poste in essere da imprenditori contigui a Cosa nostra, siano finalizzate anche al reato di truffa ai danni dello Stato e della Regione Siciliana per ottenere ingenti finanziamenti nel settore turistico-alberghiero, anche attraverso tentativi di condizionamento in settori politici ed istituzionali al livello locale, regionale e nazionale".Iovino ritira le deleghe a Maggio. Il sindaco di Valderice (Tp), Camillo Iovino, ha revocato le deleghe di assessore allo sviluppo economico e vicesindaco a Francesco Paolo Maggio. Le contestazioni mosse a Maggio, si legge in una nota del Comune, "non sono riconducibili ad attività della giunta del Comune di Valderice". Iovino ha nominato vicesindaco l'assessore Giuseppe Navetta. Tutti gli arrestati. Tommaso Coppola, 69 anni, imprenditore, già condannato per mafia; Caterina e Onofrio Fiordimondo, di 44 e 31 anni, nipoti di Coppola, imprenditori trapanesi; Francesco Maggio, di 34, imprenditore e vice sindaco del comune di Valderice; Salvatore Pirrone, di 47, imprenditore; Vito Virgilio, di 67, imprenditore; Giovanni La Sala, di 40, imprenditore; Nicola Coppola, di 66 e Francesco Mineo, di 58, consulente patrimoniale.
10/12/2008
Fonte: La Sicilia

sabato, dicembre 06, 2008

Sequestri e arresti ad Agrigento...

AGRIGENTO - Agenti della Squadra mobile della questura di Agrigento hanno eseguito nell'agrigentino sei ordini di custodia cautelare. Si tratta di indagati accusati di associazione mafiosa coinvolti nell'inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Per gli inquirenti si tratta di favoreggiatori del boss latitante Giuseppe Falsone, con il quale sarebbero stati in contatto. Falsone è inserito fra i 30 ricercati più pericolosi d'Italia. I provvedimenti cautelari sono stati emessi dal gip del tribunale di Palermo. I sei indagati, che fanno parte delle famiglie mafiose di Favara e Canicattì (Agrigento) sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa ed intestazione fittizia di beni. Il giudice ha inoltre disposto il sequestro di beni e imprese. L'affare del centro commerciale. L'indagine nell'ambito dell'operazione denominata "Agorà" ha avuto origine dalla realizzazione del centro commerciale "Le Vigne", in territorio di Castrofilippo, sequestrato oggi. L'opera dalla fase della progettazione a quella della realizzazione è entrata, secondo la Dda e la squadra mobile di Agrigento, nel mirino di Cosa Nostra. I boss di Agrigento stando anche alle dichiarazioni del pentito Maurizio Di Gati, avrebbero infatti avuto interessi nella realizzazione del centro commerciale. Dopo la maxi retata "Alta mafia" che portò in carcere, nel 2000, venti persone, e cambiati i vertici provinciali dell'organizzazione, Cosa Nostra sarebbe riuscita a mutare strategia imprenditoriale: occupandosi della vendita del terreno su cui realizzare il centro commerciale e delle autorizzazioni necessarie per la realizzazione della struttura. Secondo gli inquirenti il centro commerciale sarebbe stato realizzato da imprese che facevano capo proprio ai sei arrestati di oggi, tutte comunque, secondo l'accusa, riconducibili al super latitante Giuseppe Falsone di Campobello di Licata. La squadra mobile di Agrigento ha sottoposto a sequestro preventivo anche l'Ares appalti srl, la Sc costruzioni, entrambe con sede legale a Favara, la "Edil plus" con sede a Canicattì, la "Leopali srl" di Vincenzo Leone a Canicattì, l'impresa individuale di Gerlando Morreale a Favara, e l'Agorà centro commerciale della valle dei templi con sede a Canicattì. Tutte le imprese riconducibili ai destinatari delle ordinanze di custodia cautelare in carcere sono state affidate in custodia giudiziale. Il valore complessivo delle società e dei beni sequestrati ammonta a circa 100 milioni di euro. Gli arrestati. Gerlando Monreale, 42 anni, e Calogero Costanza, 25 anni, entrambi di Favara; Vincenzo Leone, 38 anni, Angelo di Bella, 54 anni e Luigi Messana, 50 anni, tutti di Canicattì. Un sesto provvedimento è stato notificato nel carcere di Cuneo a Calogero Di Caro, 64 anni, considerato il reggente della famiglia mafiosa di Canicattì.
06/12/2008

Fonte: La Sicilia

Di sicuro è un bravo ragazzo...

PALERMO - La IV sezione della Corte d'appello di Palermo ha ridotto la pena - da 18 a 14 anni - a Filippo Guttadauro, originario di Bagheria (Palermo), fratello del boss di Brancaccio Giuseppe e cognato del superlatitante Matteo Messina Denaro, capo della cosca di Castelvetrano. Proprio nel paese della provincia di Trapani, in cui abita l'imputato, marito di una sorella di Messina Denaro, sarebbe stata commessa l'estorsione di cui Guttadauro è stato riconosciuto colpevole. Con lui sono stati condannati quattro commercianti palermitani sottoposti al taglieggiamento, ma che - interrogati dagli inquirenti - non lo hanno mai ammesso. Per Giuseppe e Onofrio Mascolino e Fabio e Marco Li Vorsi, soci di una catena di negozi di elettronica ed elettrodomestici, che aveva aperto un punto vendita anche a Castelvetrano, la pena è stata confermata: otto mesi ciascuno, con l'accusa di favoreggiamento aggravato dall'agevolazione di Cosa Nostra. I loro legali ricorreranno in Cassazione. La sentenza del collegio presieduto da Rosario Luzio, pronunciata col rito abbreviato, ha accolto in parte il ricorso della difesa: in particolare, nei confronti di Filippo Guttadauro è caduta l'aggravante di essere stato "capo e promotore" della cosca di Castelvetrano.
06/12/2008
Fonte: La Sicilia

giovedì, dicembre 04, 2008

Succede a Gela...

CALTANISSETTA - L'imprenditore Stefano Italiano, presidente della cooperativa Agroverde di Gela, che nel 2005 denunciò le richieste di pizzo facendo arrestare e poi condannare gli esattori del racket, è adesso indagato per riciclaggio aggravato dall'aver favorito la mafia. L'uomo, che vive scortato da più di un anno e fa parte dell'associazione antiracket di Gela, è stato iscritto nel registro degli indagati dai pm della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta nell'ambito di una indagine condotta dal centro operativo Dia. Secondo gli investigatori, Italiano quando denunciò i mafiosi per le richieste di tangenti, si sarebbe "limitato a riferire soltanto degli episodi estorsivi, tacendo di quelle collusioni pregresse con le cosche mafiose". L'indagine della Dia. L'inchiesta è finalizzata a fare luce sui meccanismi economico-finanziari di Italiano, che per l'accusa consentivano di riciclare grandi somme di denaro proveniente dal attività illecite delle cosche e nel contempo acquisire contributi pubblici per importi elevatissimi destinati a ristrutturare gli impianti che venivano poi realizzati da ditte riconducibili al clan mafioso dei Madonia. In seguito alle indagini il gip del tribunale di Caltanissetta ha ordinato il sequestro della cooperativa Agroverde, che fattura 20 milioni di euro all'anno e da tempo era diventata il simbolo della lotta al racket dopo che Italiano aveva denunciato gli esattori del pizzo. E' stato proprio l'imprenditore, infatti, assieme al sindaco di Gela, Saro Crocetta, a spingere in questi anni con l'esempio altri 70 commercianti gelesi a denunciare. Adesso il sequestro comprende il capitale della cooperativa, gli impianti aziendali e tutte le disponibilità bancarie della società per un valore complessivo stimato in 32 milioni di euro.Il meccanismo del riciclaggio. Per riciclare il denaro Italiano avrebbe utilizzato il meccanismo dell'aumento di capitale. Per questa vicenda sono indagati anche un funzionario e impiegati della banca Intesa di Gela (Cl) che avrebbero consentito operazioni illegali. Gli inquirenti sostengono che queste operazioni economiche, fatte prima che l'imprenditore iniziasse a denunciare il pizzo, sarebbero state falsificate e attribuite ai soci di Italiano."In realtà - spiegano gli investigatori - sono frutto di reinvestimenti di capitali di provenienza illecita". L'Agroverde, sostengono gli inquirenti, veniva "utilizzata dalla criminalità organizzata per scopi illeciti". Gli impiegati della banca che apparteneva al gruppo Ambrosiano-Veneto sono indagati per non aver applicato la normativa antiriciclaggio.
04/12/2008
Fonte: La Sicilia