giovedì, giugno 28, 2007

Telejato

Nonostante le querele e le minacce, Pino Maniaci continua ad informare su quello che succede a Partitico e dintorni, tanto che giornalisti da tutto il mondo sono venuti in zona per conoscere Tele Jato e parlarne. Fare informazione in terra di mafia non è facile, ma neanche impossibile. Tele Jato lo fa dal 1999 nel piccolo paese di Partinico, a qualche chilometro da Palermo, vicino a posti come Corleone, San Giuseppe Jato, Terrasini o Cinisi (paese dove si trovava Radio Aut di Peppino Impastato). Tele Jato è nata nel ’99 da un’idea di Pino Maniaci, che vi lavora con la moglie Patrizia e i figli Letizia e Giovanni. Con i propri risparmi Pino Maniaci ha acquistato le frequenze di un canale che apparteneva al PCI e poi al Pds. La sede di Tele Jato, Tv comunitaria, è in una stanza in una palazzina di Cinisi, con materiale e attrezzature in gran parte di recupero. Raggiunge 22 comuni della provincia di Palermo per circa 150.000 spettatori. Tele Jato produce un telegiornale al giorno, alle 14,15, che dura due ore, scaricabile collegandosi al sito www.telejato.it. Al mattino vengono montate delle immagini sulle parole di un programma radiofonico locale e ogni 15 giorni va poi in onda una trasmissione di approfondimento. Le piccole dimensioni dell’emittente, se da un lato possono essere penalizzanti per i pochi mezzi tecnologici a disposizione, dall’altro permettono di avere una certa flessibilità e di ‘essere’ con tempestività sulla notizia. Come quando, nel caso del pentimento di Giusi Vitale, prima donna pentita di mafia, Tele Jato è stata la prima ad arrivare sulla notizia. “Al mattino abbiamo visto una pattuglia dei Carabinieri che, in tutta fretta, andava a prendere i figli della donna a scuola - spiega Patrizia Maniaci - ; in un paese come Partitico può voler dire soltanto che i ragazzini andavano messi sotto protezione, perché la loro mamma stava svelando segreti di mafia inconfessabili”. In una realtà di questo tipo c’è il problema reale e sentito di proteggere chi lavora nell’emittente, sia dalle querele sia dalle minacce della mafia. Una soluzione è stata quella di creare un sistema di rotazione dei direttori responsabili. Anche se questo non salva dalle querele. TeleJato ne ha collezionate 250, solo 200 sono state presentate da Antonia Bertolino, titolare della distilleria più grande d’Europa. L’azienda della Bertolino, cognata del pentito Angelo Siino, è accusata di inquinare la zona di Partitico e Tele Jato ha portato alla luce i fatti. Per la sua attività Maniaci ha già subito due attentati e numerosi messaggi d’intimidazione. Ma tutto questo non è bastato a fermarlo, anzi. “Per non restare solo collaboro con altre realtà – dice Pino Maniaci – che combattono l’illegalità: quelli dell’associazione antimafia dedicata a Rita Atria, la rivista siciliana ‘Casablanca’ e il sito di controinformazione www.icensurati.it. Siamo connessi a un’altra emittente online, Arcoiris Tv (con canale satellitare; Ndr.), e poco alla volta sono venuti a conoscerci in tanti”. Alcuni hanno paragonato la scelta coraggiosa di Tele Jato a quella di Radio Aut di Peppino Impastato. Maniaci evidenzia la differenza, dovuta al fatto che Tele Jato è apolitica, ma tra le firme dell’emittente c’è stato anche Salvo Vitale, amico fraterno di Impastato.
Fonte: millecanali

Condannati, espulsi da Confindustria

Roma, 26 giu. (Apcom) - Gli imprenditori condannati con sentenza definitiva per mafia devono essere espulsi da Confindustria. Il presidente degli industriali, Luca Cordero di Montezemolo, concorda con quanto detto dal presidente della commissione Antimafia, Francesco Forgione secondo il quale, Confindustria, potrebbe dare un segnale espellendo dall'associazione gli imprenditori condannati per mafia in via definitiva. "Se passati in giudicato - ha detto Montezemolo a margine dell'assemblea Antitrust rispondendo a chi gli chiedeva un commento alle parole di Forgione - sono pienamente d'accordo".
Fonte: virgilio.it

Breccia nel muro dell'omertà

PALERMO - I carabinieri della Compagnia di Lercara Friddi hanno arrestato, con l'accusa di estorsione, un imprenditore agricolo e il titolare di un panificio di Vicari, nel Palermitano. Ad entrambi è stata contestata l'aggravante dell'avere agito per avvantaggiare "Cosa nostra". L'inchiesta, resa possibile dalla denuncia di alcune vittime, è coordinata dai pm della Dda di Palermo, Michele Prestipino e Marzia Sabella. Dall'indagine, avviata a seguito di decine di danneggiamenti subiti, da giugno del 2006, da imprese e attività commerciali del Palermitano, è emerso che i due presunti estortori avrebbero proposto anche pagamenti del pizzo "a rate". Alle vittime che adducevano difficoltà economiche, secondo l'accusa venivano consentiti infatti versamenti in più soluzioni. Gli arrestati sono l'imprenditore agricolo Salvatore La Monica, 35 anni, e Salvatore Macaluso, 43 anni, proprietario di un panificio. Sembra infrangersi dunque, nel Palermitano, il muro dell'omertà. Quattro tra imprenditori e commercianti hanno denunciato ai carabinieri di Lercara Friddi di avere subito richieste estorsive; molti altri operatori commerciali, nonostante non siano andati spontaneamente dai militari, contrariamente a quanto accade nelle indagini sul racket, dove le vittime, per paura, negano l'evidenza, hanno comunque ammesso, convocate dagli investigatori, le pressioni mafiose. I carabineri di Lercara, hanno instaurato una stretta collaborazione con i commercianti, che si è rivelata essenziale per incastrare i presunti estortori.In un caso, addirittura, una vittima, che per aiutare gli inquirenti ha finto di non avere il denaro richiesto, ottenendo dilazioni nei pagamenti e una serie di incontri con i taglieggiatori, ha accettato di indossare un orologio munito di registratore. Tutte le sue conversazioni con gli estortori sono state registrate e poi ascoltate dai carabinieri. Se in alcuni casi le vittime hanno finto di cedere al ricatto mafioso per incastrare gli aguzzini, che dicevano di agire per conto delle cosche locali, altri si sono rifiutati categoricamente di pagare mettendo a rischio la propria incolumità. I due arrestati sostenevano di avere bisogno del denaro per aiutare le famiglie dei boss in carcere o per pagare gli avvocati dei detenuti."Da quando siamo stati minacciati - ha raccontato ai carabinieri una vittima - viviamo nel terrore e non posso negare che passiamo notti insonni, passando di continuo davanti all'entrata delle nostre attività. Non abbiamo alcuna intenzione di cedere alle richieste anche perchè nessuno merita di approfittare dei nostri guadagni senza alcun merito". Oltre alle dichiarazioni delle persone offese a carico dei due indagati ci sono decine di intercettazioni in cui i taglieggiatori parlano degli incassi e delle intimidazioni usando espressioni mutuate dall'attività di agricoltore svolta da uno di loro. 27/06/2007
Fonte: La Sicilia

Su Manganelli

ROMA - Antonio Manganelli è l'attuale vicecapo vicario della polizia. Faccia da bravo ragazzo, ancora oggi che sta per compiere i 57 anni, una moglie bionda e poliziotta, una figlia liceale, ha fatto coppia con De Gennaro per tutti gli anni '80, numero uno e numero due del nucleo anticrimine e poi del servizio centrale operativo, indagando su mafia e sequestri di persona, droga e criminalità economica, lavorando al fianco di magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e collaborando con le polizie di mezzo mondo. Nel '91, quando De Gennaro ha tenuto a battesimo la neonata Direzione investigativa antimafia, Antonio Manganelli è diventato il direttore dello Sco; sette anni dopo era questore a Palermo, dal '99 al 2000 questore a Napoli. Poi di nuovo al fianco di De Gennaro al Viminale, come lui sempre al lavoro, capodanno e ferragosto compresi. Era in vacanza, per una volta, proprio nei giorni maledetti del G8 di Genova 2001. Una coincidenza che forse ha reso più facile il placet anche da parte della sinistra radicale.
Fonte: La provincia di Lecco

martedì, giugno 26, 2007

Chiesti 604 anni di carcere

PALERMO - La condanna a complessivi 604 anni di carcere è stata chiesta dai magistrati della Dda di Palermo Maurizio De Lucia, Michele Prestipino e Roberta Buzzolani nei confronti di 44 tra boss e gregari della famiglie mafiose palermitane, accusati di associazione mafiosa ed estorsione.
Il procedimento si celebra con il rito abbreviato davanti al gup Piergiorgio Morosini. I pm hanno invece chiesto il proscioglimento di 14 commercianti cinesi imputati di favoreggiamento. Secondo la prima tesi accusatoria, non ammettendo di avere subito richieste estorsive, pur avendo, però, denunciato episodi di danneggiamento, avrebbero avvantaggiato le cosche. All'esito della requisitoria, però, i magistrati hanno sostenuto che non ci sarebbe la prova che i commercianti abbiano voluto favorire i boss in quanto avrebbero potuto non collegare i danneggiamenti con le pressioni delle cosche. Il procedimento è una tranche dell'inchiesta denominata Gotha che a giugno del 2006 portò al fermo di 52 persone, fra cui i capi e i sottocapi di tutte le famiglie mafiose delal città. Le pene più alte sono state chieste per Antonino Rotolo (20 anni) e Pietro Badagliacca, Antonino Pipitone, Rosario Inzerillo (18 anni). Diciassette anni sono stati chiesti per Giuseppe Savoca e Gaetano Sansone. Sedici anni la pena sollecitata per il latitante Gianni Nicchi.L'inchiesta si basa in gran parte sulle intercettazioni ambientali effettuate in un capannone in lamiera in cui si svolgevano gli incontri fra i capi delle famiglie mafiose di Palermo. In seguito a quanto è emerso dalle registrazioni delle conversazioni fra i boss effettuate dalla polizia, la procura ordinò i fermi per scongiurare il rischio di una nuova guerra tra le cosche.L'indagine fece scoprire che Nino Rotolo, capomafia e sicario dei corleonesi, con una serie di condanne definitive per omicidio, e posto ai domiciliari per motivi di salute, progettava la riapertura della stagione di sangue per liberarsi di Salvatore e Sandro Lo Piccolo, padre e figlio, entrambi latitanti, che sponsorizzavano il ritorno di alcuni esponenti della famiglia Inzerillo, ala perdente di Cosa nostra nella guerra di mafia degli anni Ottanta, alcuni dei quali si trasferirono negli Stati uniti.Un'altra tranche del processo si celebra col rito ordinario davanti al tribunale. La prossima udienza è fissata per il 18 ottobre. Tra gli imputati vi è l'ex deputato regionale di FI Giovanni Mercadante accusato di mafia e vi era anche il capomafia Nicolò Ingarao, boss di Porta Nuova, ucciso due settimane fa a Palermo.Questo l'elenco delle richieste di pena per i 44 imputati del processo 'Gotha': Andrea Adamo, 16 anni; Gerlando Alberti, 10; Salvatore Alfano 10; Filippo Annatelli, 14; Angelo Badagliacca, 8; Gaetano Badagliacca, 10; Pietro Badagliacca 18, Francesco Bonura 20; Vincenzo Brusca 14; Carmelo Cangemi 8; Giovanni Cangemi 8; Giuseppe Cappello 16; Lorenzo Di Maggio 14; Vincenzo Di Maio 16; Pietro Di Napoli 20; Salvatore Gioeli 16; Francesco Inzerillo 10; Francesco Inzerillo 14; Rosario Inzerillo 18; Tommaso Inzerillo 12; Vittorio Emanuele Lipari 12; Alessandro Mannino 15; Calogero Mannino 16; Giovanni Marcianò 16; Vincenzo Marcianò 16; Nicolò Milano 10; Nunzio Milano 12; Settimo Mineo 12; Giovanni Nicchi 16; Giovanni Nicoletti 16; Michele Oliveri 16; Rosario Angelo Parisi 10; Pietro Parisi 8; Francesco Picone 15; Antonino Pipitone 18; Salvatore Pispicia 16; Antonino Rotolo 20; Gaetano Sansone 17; Giuseppe Sansone 12; Giuseppe Savoca 17; Giovanni Sirchia 10; Francesco Stassi 12; Mario Salvatore Grizzaffi 12; Emanuele Ribaudi 8 mesi. Il proscioglimento è stato chiesto per: Guanshui Ruan, Fuju Luo, Qingjian Wang, Jin Lin, Yanmel Yang, Jinliang Lin, Xixi Lin, Weijun Yang, Liping Yu, Zin Hong Chen, Weiwu Yang, Yong Zhang, Aiying Liu e Bangsheng Chen.
25/06/2007
Fonte: La Sicilia

Un imprenditore denuncia

Fra tanti imprenditori che subiscono in silenzio, ce n'e' uno che a Termini Imerese, nel 2004, ha detto di no. E' una delle vicende che emergono dalle indagini dei carabinieri conclusasi la notte scorsa con il fermo di 9 tra boss storici e nuovi capi di Cosa nostra. Quando gli si presentarono due loschi figuri con una Mercedes scura a chiedergli il "pizzo" "per i carcerati che hanno bisogno", l'imprenditore prima li caccio' e poi cerco' pure di scattare loro una fotografia. E non solo: dopo aver sentito i due che chiedevano denaro per "i nostri amici che stanno male", ando' dai carabinieri. E' ricostruita cosi', dai Pm Lia Sava e Michele Prestipino, la tentata estorsione a un'azienda che ha un cantiere a Termini Imerese. Autori del tentativo sarebbero stati Fabrizio Iannolino e Francesco Paolo Balistreri, due dei fermati di stanotte.
Fonte: La Repubblica

L'indulto ha danneggiato anche la mafia

PALERMO - Anche Cosa nostra era contraria all'indulto. La scarcerazione di decine e decine di cani sciolti che hanno beneficiato dell'indulto mettendosi subito all'opera compiendo furti, rapine, scippi e tentando anche di soppiantare alcuni boss in carcere per incassare il pizzo da commercianti ed imprenditori, avrebbe provocato la reazione dei boss della mafia che avevano stilato una lista di "scappati di casa" (picciotti senza regole) che dovevano essere ammazzati. Per questa ragione, per evitare un bagno di sangue, la Procura di Palermo d'intesa con i carabinieri del comando provinciale ha deciso di agire in fretta fermando nove tra boss e mafiosi rampanti che avevano difficoltà a gestire i loro mandamenti. Furti, scippi, rapine, "troppa confusione" in giro, a Palermo ma anche in provincia. E questo a Cosa nostra, ai boss che ancora erano in libertà, non andava per niente bene. Bisognava mettere "ordine" e soprattutto insegnare a questi "scappati di casa" l'educazione. Gli investigatori sono giunti all'identificazione dei nove arrestati e dei loro progetti sanguinari attraverso la decifrazione dei pizzini di Provenzano, trovati nel covo di Montagna dei Cavalli al momento del suo arresto, l'11 aprile del 2006. Per parlare dei suoi interlocutori, Provenzano utilizzava un codice nascosto tra le frasi della Bibbia. Sigle che apparentemente indicavano autori del Vecchio e del Nuovo Testamento, mentre in realtà nascondevano l'identità di boss e picciotti. Quando quel codice è stato decrittato, i carabinieri hanno messo sotto controllo abitazioni, automobili, telefoni fissi e cellulari dei componenti della cosca. Dall'ascolto di quelle conversazioni è emerso il quadro inquietante che ha indotto gli investigatori a non perdere altro tempo ed arrestare i nove boss e picciotti. "Il problema dei ladri c'è stato sempre, non solo qua, in tutte le parti. Ora con quest'indulto che hanno dato... siamo rovinati. A Palermo c'è una situazione: farmacie, supermercati che non dormono tranquilli. Ma che scherziamo! È andata a finire a bordello". A parlare, non sapendo di essere intercettati, erano Giuseppe Libreri e Giuseppe Bisesi, infastiditi da una serie di furti nel territorio controllato dalla loro famiglia. I due si lamentavano del fatto che, dopo l'indulto, i piccoli pregiudicati erano usciti dal carcere e le attività commerciali erano continuamente bersagliate dai furti. Proprio per "far fronte" all'emergenza microcriminalità la cosca di Termini Imerese, capeggiata da Bisesi, aveva deciso di eliminare alcuni giovani ladri che rubavano senza l'autorizzazione della mafia. "La testa ci si deve scippare (strappare, ndr). Così, dice, diamo il segnale per tutti! È la soluzione giusta! Ci sono questi scappati di casa e gli si deve rompere le corna, punto e basta!".
Fonte: la Repubblica

Preparavano un omicidio

Preparavano un omicidio da realizzare proprio in questi giorni. In una conversazione intercettata il 18 giugno, lunedi' scorso, Giuseppe Bisesi e Giuseppe Libreri, l'emergente e il capo della famiglia mafiosa di Termini Imerese, si esprimevano inequivocabilmente nei confronti di tre ladruncoli ritenuti responsabili di una serie di furti nella zona di loro competenza e protezione mafiosa: "...Gia' i coglioni sono arrivati a terra...", dicevano, "da quello che hanno combinato. La' se ne devono andare..! da quello che hanno combinato la' se ne devono andare!... Non puo' passare questa cosa in cavalleria (nel senso che non si poteva soprassedere, ndr) ... Almeno uno se ne deve andare!... A che arriva la mano nel cielo.. na allibbirtamu (ci liberiamo, ndr) subito, subito...". E poi un riferimento quanto mai sinistro, visto che la settimana scorsa e' stato ucciso a Palermo il boss Nicolo' Ingarao: "In questi giorni quagghiamu" (quagliamo, concludiamo, ndr). E' anche in questa conversazione captata pochi giorni fa l'estrema urgenza prospettata dai Pm Michele Prestipino e Lia Sava al Giudice delle indagini preliminari - che adesso dovra' decidere se convalidare o meno i fermi - e che ha portato all'esecuzione degli arresti di questa notte, eseguiti dai carabinieri del Nucleo operativo del Comando provinciale e della Compagnia di Termini Imerese.
Fonte: La Repubblica

O poverino...Ha solo ucciso decine di persone...

Come un leone in gabbia, vecchio e malato, che si spegne ogni giorno. I suoi legali raccontano così la detenzione di Totò Riina, l'uomo che ha rivoluzionato Cosa nostra portandola a sfidare lo Stato, il padrino già condannato dieci volte all'ergastolo e sotto processo per altri tre delitti eccellenti. Ora Riina sta male: così male, secondo i suoi avvocati, da non poter rimanere in cella. Questo è quanto gli avvocati sostengono nella richiesta di scarcerazione presentata al Tribunale di Sorveglianza di Milano. Il capo dei corleonesi è recluso a Opera, una prigione di cemento confusa nella periferia milanese. Secondo i due specialisti che lo hanno visitato, il suo cuore funziona al cinquanta per cento. Tutti i giorni viene controllato dai medici del penitenziario ma può rimanere soltanto un'ora all'aperto nel cortile ritagliato tra le celle. Le cartelle cliniche, allegate alla richiesta di scarcerazione presentata il 15 giugno scorso, indicano un quadro medico pesante: "Due infarti e un'importante insufficienza cardiaca" si sommano ad altre patologie meno gravi, come la gastrite cronica, l'ipertrofia prostatica, l'ipertensione, l'iperucemia, il gozzo tiroideo, le ernie inguinali e la cirrosi epatica derivante da epatite C. Per gli avvocati Luca Cianferoni, Antonio Managò e Riccardo Donzelli, "mantenere Riina in carcere a 77 anni in queste condizioni significa volersi accanire su un detenuto anziano e malato, ben oltre la pena che gli è stata inflitta". Totò Riina, classe 1930, fu arrestato a Palermo il 15 gennaio 1993 dai carabinieri del Ros, guidati dal capitano 'Ultimo' e dall'allora colonnello Mario Mori: un'operazione resa controversa dalla mancata perquisizione della casa del padrino. Da allora gli è sempre stato riservato il trattamento del 41 bis, con lunghi periodi di isolamento nelle carceri di Rebibbia, Asinara, Ascoli e Opera. Un dispositivo rinnovato a più riprese per il sospetto che il vecchio boss potesse comunicare. "Un'inutile crudeltà" secondo i suoi legali che chiedono "in via d'urgenza, il trasferimento del detenuto Salvatore Riina in una struttura ospedaliera, trasmettendo gli atti al Tribunale affinché voglia sospendere l'esecuzione della pena, ovvero disporre il ricovero in via permanente presso luogo di cura idoneo". Fino a chiedere gli arresti domiciliari. Il 20 dicembre 2006 Riina venne ricoverato d'urgenza, e con straordinarie misure di sicurezza, al reparto detenuti dell'ospedale San Paolo di Milano, dove gli fu riscontrata "un'asimmetria di contrazione del ventricolo sinistro" e un pompaggio del cuore tale da potersi "tradurre in un costante pericolo per la sua vita". Le analisi del professor Guido Sani, ordinario di cardiochirurgia all'università di Firenze, evidenziarono come gli infarti subìti non fossero stati adeguatamente curati. Poi, un'altra perizia del 6 febbraio scorso, consegnata ai difensori dal professor Domenico De Leo, dell'istituto di Medicina legale dell'università di Verona, ha disegnato un quadro clinico "peggiorato in modo allarmante nel corso degli anni, per le condizioni di salute compromesse dal punto di vista cardiocircolatorio e una ulteriore progressione del danno tissutale cardiaco". L'uomo condannato per i massacri di Capaci e di via D'Amelio, il capo dell'ala stragista di Cosa nostra di nuovo in libertà? L'obiezione viene anticipata dall'avvocato, che Cianferoni invita a "rifuggire dai timori che il clamore che una decisione come questa potrebbe avere nell'opinione pubblica. In uno Stato democratico anche al più pericoloso dei detenuti deve essere garantito il diritto alla salute previsto dalla Costituzione. Noi chiediamo solo questo".
Fonte: L'espresso

martedì, giugno 12, 2007

Altri pezzi di merda!!

CINISI (PALERMO) - Ancora un'intimidazione alla "casa memoria Peppino Impastato". E' la seconda nel giro di 24 ore. Stanotte, un'altra bottiglia di acido corrosivo è stata lanciata contro la porta del centro antimafia e la lapide che ricorda l'omicidio del giovane militante assassinato dai boss nel 1978. "Quella casa è ormai un simbolo - dice Giovanni Impastato, il fratello di Peppino - non solo perché conserva la memoria di un ragazzo che non aveva paura di denunciare la mafia e le sue complicità, ma perché continua ad essere un centro che fa un'antimafia scomoda". Proprio nei giorni scorsi, da quella casa nel corso di Cinisi è partito un volantino: "Il Comune vuole per davvero intitolare la sala consiliare a Leonardo Pandolfo? - è scritto - Il giorno che avverrà, esponete anche questa foto". Ritrae l'ex sindaco e deputato assieme a Gaetano Badalamenti e ad altri personaggi in odore di mafia, compreso il padre di Peppino Impastato. Erano il comitato per i festeggiamenti in onore di Santa Fara. Quella fotografia, del 1952, il giovane Impastato l'aveva trovata nell'album di famiglia, così aveva iniziato a denunciare i rapporti fra mafia e politica. Adesso, quella foto è tornata a circolare in paese. "Evidentemente, questa e altre denunce non sono gradite", ribadisce Giovanni Impastato: "Non ci fermeremo". Intanto, ieri, il sindaco di Cinisi Salvatore Palazzolo aveva cercato di raffreddare la proposta dei due consiglieri di Forza Italia di intitolare l'aula a Pandolfo. E aveva rilanciato anche la candidatura Impastato nel dibattito sul nome. Ma al centro di documentazione intitolato al militante antimafia non basta: "Il Comune indica subito una manifestazione di solidarietà", ribatte Umberto Santino. La tensione resta alta a Cinisi. Ieri mattina, i carabinieri avevano interrogato decine di persone per cercare una traccia dei vandali. Ma non si è trovato un testimone. Da stamattina, sono in corso nuove indagini.
Fonte: la Repubblica

Agguato a Palermo

(ANSA) - PALERMO, 10 GIU - Un giovane e' stato ucciso a colpi di arma da fuoco nelle campagne di San Giuseppe Jato (Palermo) in un'esecuzione di stampo mafioso. La vittima si chiamava Salvatore Vassallo, 33 anni, ed era di San Giuseppe Jato. Era imparentato con i cugini Stefano e Giovanni Battista Vassallo, arrestati il 18 maggio perche' accusati di imporre il pagamento del pizzo a imprenditori del Palermitano. La vittima sarebbe stata attirata nelle campagne alla periferia del paese dei Brusca e poi uccisa.
Fonte: ansa.it

Ergastolo per Ercolano

Messina, 9 giu. (Apcom) - La Corte d'Assise di Messina, presieduta da Ferdinando Licata, ha condannato all'ergastolo Aldo Ercolano, ritenuto il braccio destro del capo mafia catanese Nitto Santapaola, e il pregiudicato messinese Francesco Romeo per l'uccisione del boss messinese Giuseppe "Mommiceddu" Badessa, assassinato 24 anni fa perchè dava fastidio agli interessi di Cosa Nostra nella città dello Stretto. La Corte d'Assise, invece, ha assolto lo stesso Nitto Santapaola e il boss mafioso di Bagheria Leonardo Greco, ritenuti dall'accusa i mandanti, e grazie al riconoscimento delle attenuanti speciali previste per i pentiti ha prescritto il reato ad Antonio Cariolo che nel 2004 si era autoaccusato del delitto facendo così riaprire l'inchiesta che era stata già archiviata da anni.
Fonte: apcom.it

Beni confiscati, a polizia e carabinieri

Andranno a polizia e carabinieri alcuni beni confiscati alla mafia. Sono iniziati, in via Messina Marine e in piazza principe di Camporeale, infatti, i lavori appaltati dal Comune per rimettere a nuovo due immobili confiscati, che diventeranno sedi dei carabinieri. Queste opere rientrano in un gruppo di quattro progetti finanziati con fondi regionali per un totale di 2 milioni e 180 mila euro. Gli altri due interventi, per i quali l'avvio del cantiere è imminente, riguarderanno una villetta nella zona di Borgo Nuovo, sempre destinata ai carabinieri, e due corpi di fabbrica che si trovano nel quartiere Brancaccio, dove invece sarà allestita una sede del commissariato della Polizia di Stato. «La riconversione di questi immobili - ha sottolineato il sindaco Diego Cammarata - ha un grande significato simbolico. Lo Stato utilizzerà beni tolti alla criminalità organizzata per svolgere le attività finalizzate alla tutela dei cittadini e della loro sicurezza». In via Messina Marine gli operai sono già all'opera per rimettere a nuovo un'area di circa 2.300 metri quadrati confiscata ad una società immobiliare. In corso anche l'adeguamento di alcuni locali al piano ammezzato di un complesso edilizio che si trova in via Paolo Gili 64, angolo piazza principe di Camporeale. Queste unità immobiliari diventeranno sede del comando di stazione dei carabinieri Olivuzza.
Fonte: La Sicilia

Agguato a Catania

CATANIA - Un uomo 48 anni è stato ucciso con colpi di pistola in piazza Pio IX nel quartiere di Nesina a Catania. Il delitto sarebbe maturato nell’ambito della criminalità catanese. La vittima si chiama Nunzio Aurora, 48 anni, in passato denunciato per reati contro il patrimonio ma che gli investigatori ritengono abbia avuto legami con esponenti del mondo della criminalità organizzata. Nunzio Aurora è stato raggiunto da oltre venti colpi di pistola semiautomatica mentre beveva un caffè. L’omicidio potrebbe essere la risposta all’agguato che domenica scorsa ebbe come vittima, sempre nel capoluogo etneo, Giambattista Motta, esponente del clan Mazzei. In atto, secondo gli investigatori, vi sarebbe una frattura all’interno dei Santapaola, tra i “Carcagnusi”, esponenti dei Mazzei legati a Cosa nostra palermitana, e un altro gruppo, particolarmente forte, che comanda a Catania e che rivendica totale autonomia. A quest’ultimo gruppo sarebbe legata la vittima di ieri, considerata personaggio di spicco e con un ricco curriculum criminale: nel '93 era stato arrestato nell’ambito di un’operazione contro il clan Pulvirenti, “u Malpassotu”; il 23 novembre del 1996 era stato condannato dalla Corte d’Assise d’Appello a 9 anni e sei mesi per mafia, perchè ritenuto organico al gruppo di Pulvirenti “Lineri”; il 15 ottobre del 2001 fu nuovamente arrestato per estorsione a un imprenditore di Misterbianco. Dopo essere stato scarcerato, il 16 gennaio 2003 venne nuovamente arrestato. L'ultimo arresto risale al 31 gennaio 2005, nell’ambito dell’operazione antimafia condotta nei confronti di 45 persone, tra cui il reggente del clan Santapaola, il cugino di Nitto, Giuseppe Ercolano.
Fonte: Corriere della sera

Lupara bianca

(ASCA) - Palermo, 9 giu - La Polizia di Stato di Palermo ha notificato quattro ordinanze di custodia cautelare in carcere, emesse dal gip del Tribunale di Palermo Maria Pino, ad Antonino Rotolo, 61 anni, Antonino Cina', 62 anni, Diego Di Trapani, 71 anni, e Pietro Salsiera, 49 anni, tutti gia' detenuti, per la scomparsa tramite il metodo della 'Lupara bianca' del boss mafioso Giovanni Bonanno, ritenuto il reggente del mandamento di Resuttana. Un quinto provvedimento non e' stato notificato perche' il destinatario e' il boss latitante Salvatore Lo Piccolo. Bonanno, secondo gli inquirenti, e' stato ucciso il 10 gennaio del 2006 perche' si era macchiato di ''scarsa disciplina'', dato che aveva iniziato la sua ascesa all'interno dell'organizzazione criminale nel mandamento di Resuttana in assenza del reggente Diego Di Trapani, che era detenuto. Del delitto di Bonanno era stato informato Bernardo Provenzano, a quel tempo ancora latitante, attraverso un 'pizzino' inviato da Salvatore Lo Piccolo, ritrovato nel covo di Montagna dei cavalli del boss, che spiegava i motivi dell'''amara decisione'', cioe' l'uccisione di Giovanni Bonanno.
Fonte: asca.it

giovedì, giugno 07, 2007

Giornata della memoria

Via libera dal Consiglio regionale del Piemonte alla legge regionale che istituisce, il 21 marzo di ogni anno, la Giornata in ricordo delle vittime della mafia e che prevede forme di prevenzione del crimine e tutela delle vittime. Il provvedimento e' stato licenziato pressoche' all'unanimita', con 40 voti a favore e un non votante.
Fonte: metronews.it

Commerciante denuncia. Un arresto.

(AGI) - Palermo, 5 giu. - La denuncia di un commerciante che si e' ribellato al racket delle estorsioni ha portato a Palermo all'arresto del pregiudicato che lo taglieggiava. A Luigi Barbera, 50 anni, con precedenti per mafia, la polizia ha notificato un'ordinanza di custodia cautelare in carcere richiesta, dopo le indagini condotte dalla Squadra Mobile, dal pm Maurizio De Lucia ed emessa dal gip Antonella Consiglio. Barbera, gia' condannato con sentenza definitiva per associazione mafiosa, e' accusato di concorso in rapina aggravata e tentata estorsione con l'aggravante di aver commesso i fatti al fine di agevolare Cosa Nostra. Il commerciante aveva opposto un deciso rifiuto a varie richieste di 'pizzo' rivoltegli secondo l'accusa da Barbera dietro minaccia di pesanti ritorsioni. Qualche giorno dopo l'esercizio aveva subito una rapina a opera di due malfattori che gli avevano preannunciato ulteriori "visite". Il commerciante ha riferito ai poliziotti di aver trovato la forza di denunciare l'estorsione dopo l'appello che il questore di Palermo, Giuseppe Caruso, aveva lanciato il 23 gennaio scorso dopo l'operazione "Noce" che si era conclusa con l'arresto di 17 esponenti mafiosi accusati anche di estorsione. In quell'occasione il questore aveva rollecitato la collaborazione dei commercianti e garantito appoggio e protezione delle istituzioni per chi denuncia.
Fonte: agi.it

Sentenza caso Calvi

ROMA - Tutti assolti al processo sulla morte di Roberto Calvi. Dopo 25 anni dalla morte del presidente del vecchio Banco Ambrosiano trovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra, Flavio Carboni, la sua ex fidanzata Manuela Kleinszig, Pippo Calò, Ernesto Diotallevi e Silvano Vittor sono stati prosciolti. E' il verdetto emesso dalla seconda Corte d'assise di Roma. Appellandosi alla formula del codice penale equivalente alla vecchia formula dell'insufficienza di prove, la Corte, presieduta da Mario Lucio d'Andria, ha pronunciato l'assoluzione di quattro dei cinque imputati accusati di concorso in omicidio volontario premeditato. Per Manuela Kleinszig, ex fidanzata del faccendiere Flavio Carboni, la Corte ha pronunciato l'assoluzione con formula piena. Nell'aula bunker del carcere romano di Rebibbia la corte ha messo un punto fermo ad un processo cominciato nell'ottobre del 2005. Decine di udienze e centinaia di testimoni escussi in aula. Il pm aveva chiesto l'ergastolo per quattro dei cinque imputati: l'imprenditore Flavio Carboni; l'ex cassiere della mafia Pippo Calò; Ernesto Diotallevi, e l'ex contrabbandiere Silvano Vittor. Non così per l'ex compagna dell'ex impreditore, Manuela Kleinszig, per laquale il pm ha sollecitato l'assoluzione. Roberto Calvi fu trovato impiccato il 18 giugno 1982 sotto il ponte dei Frati Neri, a Londra. Per anni, quella morte fu ritenuta un suicidio; fino a quanto alcune perizie apertamente parlarono di 'morte provocata', di omicidio. A conclusione delle indagini, il pm andò addirittura oltre. Dietro la morte del banchiere - ha sostenuto - si nasconderebbero una serie di intrecci 'torbidi': dalla cattiva amministrazione del denaro di Cosa Nostra affidato al banchiere milanese, al pericolo che fossero rivelati segreti di riciclaggi compiuti attraverso il Banco Ambrosiano, alla volontà dei mandanti di quella morte di acquisire maggiore peso negoziale nei confronti di coloro che erano in rapporti con Calvi, ovvero massoneria, P2, Ior, referenti politici e istituzionali, enti pubblici nazionali. I difensori degli imputati fin da subito si erano detti convinti, sulla base di consulenze di parte, che l'ex presidente del Banco Ambrosiano si sia suicidato. Ma la sentenza di oggi è destinata a rimanere solo una pagina di questa vicenda: sulla morte di Calvi, in procura a Roma, c'é un secondo fascicolo aperto, un'indagine-stralcio sui mandanti che vede indagate una decina di persone tra le quali Licio Gelli.
Fonte: La Repubblica

martedì, giugno 05, 2007

Per non perdere le buone abitudini...

CATANIA - È la pista mafiosa l'ipotesi privilegiata dagli investigatori che indagano sull'uccisione di Giambattista Motta, 44 anni, assassinato ieri con diversi colpi di pistola nel rione San Cristoforo di Catania. La vittima, secondo la polizia, era un esponente di spicco del clan Mazzei. La squadra mobile della Questura avrebbe un'ipotesi privilegiata dell'agguato che sta verificando. Motta è stato assassinato mentre era a bordo di un scooter, dopo un lungo inseguimento tra le vie dello storico rione del capoluogo etneo. Secondo una prima ricostruzione al vaglio degli investigatori, due sicari a bordo di una moto di grossa cilindrata lo avrebbero affiancato mentre era in via Gramignami, sparando dei primi colpi di pistola e ferendolo. La vittima sarebbe riuscita a fuggire ma i killer lo avrebbero raggiunto e ferito mortalmente in via Alogna. Motta è deceduto alcune ore dopo il suo ricovero nell'ospedale Vittorio Emanuele.
04/06/2007
Fonte: La Sicilia

La mafia in Polonia

VARSAVIA - Ventisette persone sono state fermate dalla polizia per commercio di armi e materiale esplosivo. Il gruppo criminale ha legami con la mafia italiana. A dare la notizia il ministero della giustizia polacco attraverso il portavoce Joanna Debek. L'operazione e' legata ad un duplice omicidio che ha colpito molto l'opinione pubblica polacca: lo scorso febbraio a Myslenice sono stati uccisi il proprietario di un ufficio di cambio e suo figlio. Per quell'omicidio tre sospettati sono stati gia' incriminati.
Fonte: Corriere della sera

venerdì, giugno 01, 2007

Gli "incassi" del pizzo

(AGI) - Palermo, 30 mag. - In un anno i clan mafiosi di Porta Nuova e Pagliarelli a Palermo incassavano due milioni e mezzo di euro dal 'pizzo'. Il dato emerge da indagini dei carabinieri, conclusesi la notte scorta l'arresto di otto persone secondo l'accuse inserite nei due mandamenti di Cosa Nostra. I provvedimenti di custodia cautelare sono stati firmati dal gip Pasqua Seminara su richiesta dei procuratori aggiunti Giuseppe Pignatone e Guido Lo Forte e dei sostituti Maurizio De Lucia, Maurizio Agnello e Roberta Buzzolani. I reati contestati sono di asssociazione mafiosa finalizzata elle estorsioni e al traffico di droga. Il provvedimento cautelare scaturisce dalle indagini avviate e condotte congiuntamente dai nuclei operativi del Reparto Operativo di Palermo e della Compagnia di Piazza Verdi sulle dinamiche e gli interessi criminali di Cosa Nostra, riscontrate anche dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia inseriti nei due mandamenti mafiosi. Le attivita' estortive dei clan sono state ricostruite dagli investigatori sino a tutto il 2005. Nel mirino del racket commercianti e imprese: il 'pizzo' secondo i carabinieri avrebbe fruttato oltre 2,5 milioni di euro all'anno, sia attraverso il pagamento di 'mazzette' in contante, sia per il valore di beni e servizi ceduti dalle vittime agli esattori delle diverse famiglie mafiose.
Fonte: agi.it

Arrestati per estorsione

(ASCA) - Palermo, 30 mag - Con l'accusa di associazione mafiosa finalizzata alle estorsioni e al traffico di stupefacenti i Carabinieri hanno tratto in arresto a Palermo 8 persone ritenute presunti vertici e affiliati dei mandamenti mafiosi di Porta Nuova e Pagliarelli. Secondo gli inquirenti il 'pizzo' imposto a imprenditori e commercianti, in una vasta zona del capoluogo siciliano, fruttava alla mafia, sino a 2 anni fa, la somma di oltre 2 milioni e mezzo di euro l'anno. I provvedimenti cautelari sono stati firmati dal gip Pasqua Seminara su richiesta dei procuratori aggiunti Giuseppe Pignatone e Guido Lo Forte e dei sostituti Maurizio De Lucia, Roberta Buzzolani e Maurizio Agnello.
Fonte: asca.it

La mafia anche nei videopoker

GENOVA - Lo Stato avrebbe perso un tesoretto da 98 miliardi di euro, tra imposte evase e sanzioni non incassate, dalla mancata messa in rete telematica, come prescrive la legge, delle macchinette da videopoker in tutta Italia. E parte di questi soldi sarebbe finita alle società concessionarie dei videopoker, alcune delle quali sarebbero controllate dalla mafia. Lo denuncia un'inchiesta di due pagine pubblicata oggi dal Secolo XIX di Genova.
Il quotidiano riporta i risultati di una commissione di indagine guidata dal sottosegretario all'economia Alfiero Grandi e dal generale della Guardia di Finanza Castore Palmerini, dal 23 marzo scorso sul tavolo del viceministro Vincenzo Visco. Gli accertamenti sono stati svolti dal Gruppo Antifrodi Tecnologiche (GAT) della Gdf. Ombre vengono anche gettate sul lavoro dell'Agenzia per i Monopoli di Stato che avrebbe dovuto controllare il regolare utilizzo delle machinette. La messa in rete degli apparecchi da videopoker dovrebbe consentire allo stato, tramite la Sogei, di monitorare l'ammontare delle giocate per incassare le imposte dovute. "Per il 2006, secondo dati dei Monopoli - si legge nel rapporto della commissione d'indagine, come riporta il Secolo XIX - a fronte di un volume di affari pari a 15,4 miliardi di euro vi è stato un gettito fiscale di 2,72 miliardi con circa 200 mila apparecchi attivati". Secondo le stime della Finanza, invece, la raccolta di gioco reale ammonterebbe a 43,5 miliardi con i due terzi di macchinette (circa 40 mila) non collegate in rete.E dall'inchiesta emerge anche un particolare curioso: la legge prevede che gli apparecchi non collegati alla rete siano chiusi in un magazzino. Ebbene, in un bar di Riposto (Catania) ne risultavano depositati in un giorno ben 26.858, un mucchio che sarebbe alto quanto l'Etna, ha calcolato il Secolo XIX.Sulla vicenda è intervenuto il Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, Francesco Forgione, ha richiesto al Ministero dell'Economia la trasmissione della relazione elaborata dalla Commissione d'inchiesta interna sui videopoker e degli atti connessi, di cui oggi il quotidiano "Il Secolo XIX" ha pubblicato degli estratti."È necessario - ha detto Forgione - verificare quanto contenuto nella relazione, sia per quanto riguarda i mancati controlli sulle attività in corso, sia per quanto riguarda le concessioni che sono state assegnate negli anni". Secondo il presidente dell' Antimafia, "ogni aspetto del riciclaggio, anche solo potenziale, di soldi della mafia deve essere capito fino in fondo per poterlo colpire e sottrarre alle mafie le risorse. Non dimentichiamo che in molte inchieste emergono interessi delle cosche per imporre macchinette per il videopoker ed in alcuni casi sono state anche sequestrate delle sale per il Bingo intestate a prestanome dei boss".
31/05/2007
Fonte: La Sicilia

Giudizio di Cinà

PALERMO - Sarà giudicato dalla seconda sezione del tribunale a partire dal prossimo 18 settembre il medico Antonino Cinà, accusato di associazione mafiosa. Cinà, 62 anni, è indicato dai pentiti come personaggio di assoluta fiducia e medico personale del boss Totò Riina. Nel 1992, a cavallo tra le stragi Falcone e Borsellino, Cinà avrebbe fatto addirittura da intermediario tra Riina e Vito Ciancimino, che aveva avviato con il generale Mario Mori, all'epoca capo del Ros dei carabinieri, una serie di incontri 'riservati', passati alla cronaca come i capitoli della 'trattativa' tra Cosa nostra e lo Stato per far cessare l'assalto terrorista alle istituzioni.
01/06/2007
Fonte: La Sicilia

Sequestrati 50 mila euro di beni

MESSINA - La Direzione investigativa antimafia di Messina ha sequestrato i beni di Giuseppe Marino Gammazza, ritenuto dagli inquirenti affiliato al clan tortoriciano dei 'Batanesi'. Il valore dei beni sequestrati ammonta complessivamente a circa 50 mila euro. Gammazza era stato condannato a quattro anni e sei mesi di reclusione nell'ambito dell'operazione 'Icaro', scattata nel 2003, e durante la quale vennero emesse 44 ordinanze di custodia cautelare. Nel febbraio del 2007 Gammazza è poi rimasto coinvolto nell'operazione 'Batanà. Era accusato di associazione mafiosa finalizzata all'estorsione.
01/06/2007
Fonte: La Sicilia