venerdì, dicembre 28, 2007

Contrada sta bene, stia in carcere!

SANTA MARIA CAPUA VETERE - Soffre di ischemia e di patologie broncopolmonari, oltre che di diabete, eczema, depressione. E tuttavia "le patologie da cui è affetto il detenuto Bruno Contrada non sono gravi", scrive il giudice. E soprattutto: "Esse non appaiono, allo stato, non trattabili in carcere". C'è già il no ufficiale di un magistrato di Sorveglianza sul caso che divide schieramenti politici ed opinione pubblica, mentre la richiesta di grazia avanzata a favore dell'ex numero 3 del Sisde Bruno Contrada, attualmente rinchiuso nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere (condannato a 10 anni per concorso in associazione mafiosa, fine pena segnata per ottobre 2014) alimenta il dibattito sull'istruttoria aperta dal ministro della Giustizia Clemente Mastella, e infiamma l'attesa intorno alla futura decisione del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, cui spetta in via esclusiva il potere di concedere il provvedimento di clemenza individuale.Ieri altra sequenza di contrastanti pareri. Insorgono contro l'ipotesi della grazia il presidente della commissione antimafia Francesco Forgione ("Sarebbe il primo atto di clemenza per un reato di mafia nel nostro Paese, e non rappresenterebbe un buon segnale"); la vicepresidente dell'Associazione dei familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili, Giovanna Chelli ("Contrada venga curato e sconti la pena, ma se gli pesa: allora parli e chissà che non sappia qualcosa che ci riguarda"). Mentre il leader di An Gianfranco Fini riflette: "Il Presidente Napolitano sa cosa fare. Non si può fare come al bar". A favore della grazia il deputato azzurro Chiara Moroni. E al ministro Di Pietro che bacchettava il Guardasigilli, il ministro Mastella replica: "Non ho mai detto che la grazia a Contrada fosse un atto dovuto". La prima fumata nera per l'ex alto funzionario Sisde risale al 12 dicembre scorso: riguarda la richiesta di differimento di pena avanzata dai legali, bocciata in fase provvisoria. Il magistrato Daniela Della Pietra dell'Ufficio di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere, infatti, dopo aver riportato la relazione sanitaria elaborata da un tenente colonnello del carcere - in cui si riconosce che "ancorché le patologie presentate dal detenuto Contrada non configurino una condizione di imminente pericolo di vita, si ritiene che lo stato detentivo costituisca una prevedibile causa di grave peggioramento" - valuta che quei malanni "non possono dirsi gravi e non trattabili in carcere". Sull'istanza si pronuncerà in via definitiva il Tribunale di sorveglianza di Napoli nell'udienza già fissata dal presidente Angelica Di Giovanni per il 24 gennaio: data peraltro definita "troppo lontana" dal legale Giuseppe Lipera che, insieme con il collega Enrico Tuccillo, ha avanzato una richiesta di anticipazione. Sull'ipotesi della grazia invece, la presidente Di Giovanni si limita a precisare: "A questo Tribunale non è giunta alcuna richiesta dal Guardasigilli. Quindi, per noi non c'è ancora alcuna istruttoria in corso". Dal carcere, intanto, si fa vivo Contrada con una lettera aperta. "Tutti coloro che vogliono pronunciarsi sulla mia vicenda - scrive Contrada - non parlino per sentito dire. Si informino, leggano atti, sentenze, memorie difensive". Un messaggio che il suo legale Lipera prova a spiegare meglio: "Nel processo è stato impiegato materiale probatorio fornito dagli stessi pentiti che avevano parlato contro il giudice Carnevale e contro l'ex premier Andreotti: loro sono stati assolti, Contrada no".

Fonte: La Repubblica


Ci crediamo o è talmente sicuro di essere assolto?

PALERMO - Si dimetterà e lascerà la politica se sarà condannato per favoreggiamento aggravato nel processo sulle "talpe" alla Dda, ma se il capo d'imputazione sarà derubricato, Salvatore Cuffaro continuerà a governare la Sicilia e per gennaio promette una verifica di Governo e un rimpasto in Giunta.
Sereno e circondato dai suoi collaboratori più fidati, Cuffaro ha accolto i giornalisti per la conferenza stampa di fine anno senza fare troppi proclami. Anzi. A chi gli ha ricordato che tra i suoi alleati c'è chi ha già dato disponibilità a candidarsi in caso di elezioni anticipate, ha risposto: "Io non l'avrei fatto, sono sempre stato attento ai risvolti umani". Il riferimento è al presidente dell'Ars, Gianfranco Miccichè, l'alleato che ha criticato il "cuffarismo", definendolo un metodo sbagliato di fare politica.
"Per me non è un termine dispregiativo - ha detto il governatore - Il cuffarismo è l'interpretazione personale del popolarismo di don Sturzo". Il governatore ha aggiunto di avere chiarito tutto con Miccichè: "Ho visto Gianfranco in chiesa e ci siamo abbracciati".
In attesa della sentenza, Cuffaro guarda al futuro. Nella sua agenda di governatore ha scritto come priorità per il 2008 bilancio e finanziaria, poi le leggi sullo sviluppo, il lavoro, la formazione professionale, i Consorzi Asi e una riforma quadro sull'urbanistica. Come vice segretario nazionale dell'Udc, invece, rivendica il ruolo dei dirigenti siciliani e spiega la linea del partito: "Se si andrà a votare con questo sistema elettorale l'Udc - avverte Cuffaro - starà con il Centrodestra, se invece si approverà la nuova legge, e non può che essere il proporzionale alla tedesca, allora potrà fare da contenitore, accogliendo i moderati che non si sentono rappresentati dal Pd".
Per Cuffaro tuttavia "è probabile che tra aprile e maggio si andrà a votare con l'attuale legge; Veltroni e Berlusconi in realtà non vogliono la riforma, significherebbe consentire a Prodi di rimanere per altri due anni e nessuno dei due se lo può permettere, mentre la sinistra radicale e l'Udeur, in caso di via libera al referendum da parte della Corte Costituzionale, faranno cadere il Governo".


28/12/2007
Fonte: La Sicilia

giovedì, dicembre 27, 2007

Il ritorno degli americani

PALERMO - Nell'archivio sequestrato a Salvatore Lo Piccolo lo scorso 5 novembre nel covo di Giardinello, ci sono anche le lettere di Bernardo Provenzano, scritte precedentemente al suo arresto, sul rientro a Palermo dagli Usa degli "scappati". I boss Nino Rotolo e Salvatore Lo Piccolo erano in disaccordo sul rientro degli 'americani', e avevano investito il superboss corleonese della questione. "Io vi prego - scrive Provenzano, in una lettera pubblicata dal quotidiano La Repubblica - di trovare un accordo tutti insieme quelli che siamo fuori e la dove è possibile risolviamo le cose con la responsabilità di tutti"....
Prosegue ancora Binnu: "Parenti di Totuccio Inzerillo (capofila dei cosiddetti 'perdenti', ucciso nell' 81 nella guerra di mafia, ndr), Sarino suo fratello sta tornando dall'America per stabilirsi qua, perchè dicono che in America se la passa male.... Il mio cuore volesse pace e serenità per tutti, se dipendesse solo da me la vicenda sarebbe risolta, ma dobbiamo creare le condizioni"... Nino Rotolo fu poi arrestato nell'operazione Gotha, e Lo Piccolo accolse la richiesta del padrino alleandosi con gli 'americani'.
Numerose lettere d'amore, indirizzate da donne diverse al boss Sandro Lo Piccolo, durante la sua latitanza, sono state sequestrate nel covo di Giardinello dove il giovane mafioso venne arrestato col padre Salvatore. La copiosa corrispondenza prova che nonostante i continui spostamenti dovuti alla latitanza Sandro Lo Piccolo riusciva ad intrattenere diverse relazioni sentimentali affidandosi spesso a "corrieri" per la consegna delle missive amorose, come scrive La Repubblica.
L'elemento costante delle lettere è il rammarico manifestato dalle donne del giovane boss, qualcuna separata e con figli, per le difficoltà di potersi incontrare. "Amore mio dolce, mi manchi tanto. Dove ti sei perduto? Nell'abisso infinito? Di sicuro non so dove trovarti, altrimenti già avrei rimediato... Vivo di immagini di te, del tuo viso, che passano all'improvviso...". E un'altra ragazza scrive al boss: "È una grande sofferenza, non sai quanta. Amarti? Tu ci sei? È vero, esisti e non sai quanto vorrei averti solo per me. Ma ahimè per me sei molto invisibile".
L'elenco di centinaia di imprenditori, commercianti e liberi professionisti di Palermo che pagherebbero il 'pizzo' con cadenza mensile o annuale, è contenuto nell'archivio di Salvatore e Sandro Lo Piccolo sequestrato nel covo di Giardinello. Dal contenuto del libro mastro dei boss, secondo quanto scrive il quotidiano La Repubblica, emerge che a Palermo sono pochi i commercianti che non pagano la tangente a Cosa nostra.
Tra i negozianti vittime delle estorsioni figurano tra gli altri anche i nomi di noti negozi del centro cittadino, ma anche il bar Caflish e il ristorante Peppino. Accanto ai nomi del bar Alba e della catena Giglio sono indicati punti interrogativi. Nell'elenco compaiono anche numerosi commercianti della borgata di Mondello: Renato Bar, Antico Chiosco, il Baretto di Valdesi, i cantieri navali Motomar. L'interesse dei Lo Piccolo per il "Palermo Calcio", è testimoniato da alcune lettere che alludono alla presenza di "infiltrati" di Cosa nostra nel mondo sportivo. Un altro business seguito con attenzione dai boss era quello del totonero e del lotto clandestino, ma anche l'apertura di sale Bingo oltre lo Stretto.
"Chi paga il pizzo di fronte ad un'efficace azione dello Stato, che ha inferto grandi colpi alla mafia, non può essere considerato vittima. Non vi sono più alibi legati alla paura. È questo il momento per denunciare in massa gli estortori". Lo afferma il presidente di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello commentando l'alto numero di imprenditori e commercianti che pagano il pizzo a Palermo come emerge dai fogli sequestrati al boss Salvatore Lo Piccolo.
"Da questa lettura - aggiunge - arriva una conferma che era nell'aria e si capiva anche dal silenzio che era seguito dal sequestro dei pizzini: a Palermo il numero della persone che pagavano era alta. È la dimostrazione di quanto fosse capillare l'imposizione del pizzo. Ma mi stupisce che, ancora oggi nonostante vi sia stata un' azione forte dello Stato che ha decapitato capi e gregari, siano poche le denunce".
"Adesso cosa nostra è disarticolata - aggiunge - vi sono le condizioni per denunciare e trovo singolare che fino a oggi nessuno lo abbia fatto. I commercianti devono avere più coraggio e ribellarsi in massa. Non farlo è un comportamento inspiegabile che non può essere tollerato".


27/12/2007
Fonte: La Sicilia

Ciancimino verrà ascoltato

CALTANISSETTA - Massimo Ciancimino, 44 anni, il figlio di Vito, ex sindaco di Palermo condannato per mafia e morto nel 2002, sarà interrogato dai pm della Dda di Caltanissetta che indagano anche sui mandanti esterni delle stragi del 1992 a Capaci e in via D'Amelio in cui furono uccisi i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Ciancimino, che nel marzo scorso è stato condannato dal Tribunale di Palermo a 5 anni ed 8 mesi per riciclaggio ed intestazione fittizia di beni, nel corso degli ultimi anni ha rilasciato dichiarazioni ed interviste che, secondo gli inquirenti, potrebbero aprire nuovi spunti d'indagine. Nel penultimo numero del settimanale "Panorama", il figlio di don Vito riafferma che suo padre fu parte in causa nella trattativa aperta con ufficiali del Ros dei carabinieri per arrestare latitanti e per trovare un canale di dialogo con la mafia stragista.


27/12/2007
Fonte: La Sicilia

lunedì, dicembre 24, 2007

Il bilancio 2007 della polizia

E' un fine anno di grandi bilanci per la questura di Palermo. Da Montagna dei Cavalli, a Corleone, a "Contrada Partadinello", a Giardinello, gli uomini della Polizia di Stato del capoluogo siciliano hanno inflitto duri colpi a Cosa nostra. L'ultimo il 5 novembre in una villetta di Montelepre, dove gli agenti della "Catturandi" hanno posto fine alla latitanza di Salvatore e Sandro Lo Piccolo, sanguinari boss di Cosa Nostra, ascesi ai vertici dell'organizzazione criminale dopo la cattura di Bernardo Provenzano, avvenuta l'11 aprile del 2006 ad opera sempre della Squadra Mobile di Palermo.
Con l'arresto dei Lo Piccolo, i poliziotti della "Catturandi" hanno chiuso il cerchio del loro incessante lavoro sul fronte investigativo e di contrasto alla mafia. E' soddisfatto il questore di Palermo, Giuseppe Caruso, nella conferenza stampa di fine anno: "Abbiamo smantellato Cosa nostra palermitana, tutti i generali e colonnelli sono stati assicurati alla giustizia e oggi la mafia e' allo sbando". Poi annuncia: "Noi lavoriamo su altri fronti perche' il giorno dopo la cattura di Lo Piccolo abbiamo subito aperto altri filoni".
Sul fronte dell'acquisizione dei beni mafiosi l'Ufficio Misure di Prevenzione ha svolto accertamenti patrimoniali che hanno consentito di sequestrare beni per oltre 350 milioni. Quasi una tonnellata la droga sequestrata (tra cui oltre 700 chili di hashish). Un centinaio i soggetti arrestati ed indagati per spaccio e traffico di stupefacenti. Per quanto riguarda il contrasto alla criminalita' diffusa, 993 sono gli arresti e 2.475 invece le persone denunciate a piede libero.
Fonte: La Repubblica

Condannato chi paga il pizzo

Palermo, 20 dic. - Il giudice dell'udienza preliminare del tribunale di Palermo, Mario Conte, ha condannato a quasi sessant'anni di carcere sette presunti mafiosi della Noce, ritenuti responsabili di associazione mafiosa ed estorsioni, e un commerciante che sarebbe stato loro vittima, ma che non ammise di aver pagato il pizzo: Luigi Spataro, titolare di una nota concessionaria di automobili, ha avuto sei mesi, pena sospesa, ma dovra' pure - ed e' la prima volta che succede - risarcire le associazioni antiracket che si erano costituite parte civile nel processo, pagando cinquemila euro ciascuno ad Addiopizzo, Fai (federazione antiracket italiana), Sos Impresa e alla Provincia di Palermo.
Condannati alle spese lo stesso Spataro e gli altri imputati. Cosi' le condanne: Vincenzo Bruno ha avuto sei anni e otto e mesi; Luigi Caravello nove anni e 2.000 euro di multa; Salvatore Gottuso sei anni e 2000 euro; Umberto Maltese, che ha fruito del meccanismo della continuazione, si e' visto rideterminare la pena in complessivi dieci anni, piu' 2000 euro. Sergio Matina ha avuto sei anni e otto mesi; Giuseppe Musso 9 anni e tre mesi e 8000 euro; Felisiano Tognetti 8 anni e nove mesi. Luigi Spataro e' stato riconosciuto colpevole di favoreggiamento. Nel processo sono stati concessi gli sconti previsti dal rito abbreviato. I pm Maurizio De Lucia e Roberta Buzzolani avevano chiesto le condanne di tutti gli imputati. Secondo l'accusa i boss avrebbero sottoposto al sistematico taglieggiamento tutti i commercianti della zona: alcuni di questi ultimi avevano ammesso di aver pagato, altri avevano patteggiato o scelto il rito ordinario.
Fonte: agi.it

La Calcestruzzi Spa interrompe

PALERMO - La Calcestruzzi Spa ha deciso oggi di sospendere in via cautelativa le attività in Sicilia. La decisione della Calcestruzzi del gruppo Italcementi, giunge dopo "verifiche interne - si legge in una nota - messe in atto a seguito delle indagini della Procura di Caltanissetta in taluni impianti di betonaggio in Sicilia, hanno individuato delle irregolarità che sono state denunciate da Calcestruzzi alla magistratura". La Calcestruzzi Spa è indagata dalla Procura distrettuale antimafia di Caltanissetta per associazione mafiosa.
La decisione dopo un'indagine interna "appare doverosa, in quanto la società - si legge in una nota - ritiene che debbano essere chiariti tutti gli aspetti delle vicende irregolari, allontanati i responsabili, modificate le regole, le procedure e le modalità di produzione in termini tali da impedire il ripetersi di tali episodi".
Il provvedimento cautelare, che diventa immediatamente esecutivo, interessa i sette impianti gestiti e i 26 dipendenti occupati dalla società. "La sospensione dell'esercizio - continua la nota della Calcestruzzi Spa - sarà attuata con la fermata delle attività, limitando temporaneamente l'operatività esclusivamente alle forniture per le quali la società ha obblighi contrattuali vincolanti".
"Tali commesse - prosegue la nota - saranno portate a termine sotto il controllo di funzionari provenienti da altre sedi che assicureranno il corretto presidio delle centrali di betonaggio. I soli dipendenti che non saranno oggetto di provvedimento disciplinare verranno impegnati in lavori di manutenzione e in corsi di formazione sulle regole generali che disciplinano l'attività e, ovviamente, su tutte le nuove procedure produttive che saranno messe in atto; a loro verrà assicurato il regolare trattamento economico".
La Calcestruzzi Spa informa inoltre che "l'attività in Sicilia sarà ripresa solo dopo la corretta implementazione delle procedure operative (peraltro già avviate dal 1997, anno di acquisizione della Calcestruzzi al tempo detenuta dal gruppo Compart ex Ferruzzi), il rafforzamento dei criteri di governance e il varo di sistemi di controllo e di compliance, anche più stringenti per la puntuale applicazione delle regole aziendali".
A supporto della complessa attività di rielaborazione e consolidamento delle regole ma anche per ribadire la propria linea di rifiuto di qualsivoglia contiguità o compiacenza con fenomeni di criminalità organizzata, Calcestruzzi - continua la nota - ha costituito un pool per la governance nel settore del calcestruzzo composta da esperti di riconosciuta autorevolezza ed esperienza.
"La società - prosegue la nota - è grata al dottor Pierluigi Vigna, già procuratore nazionale antimafia, al professor Giovanni Fiandaca, ordinario di diritto penale dell'Università di Palermo e al professor Donato Masciandaro, ordinario di economia della regolamentazione finanziaria all'Università Bocconi di Milano, per aver accettato l'incarico di supervisore nella rilevazione dei problemi da affrontare e nella rielaborazione di regole e procedure da attuare".
"L'iniziativa - conclude la nota della Calcestruzzi - potrà costituire un modello di riferimento per l'intero comparto del calcestruzzo spesso impegnato in aree interessate da rilevanti fenomeni di devianza criminale".


23/12/2007
Fonte: La Sicilia

sabato, dicembre 22, 2007

Dal traffico internazionale all'agricoltura...

PALERMO - Per avere dato "segnali positivi della volontà di cambiare vita" Francesco Paolo Bontade, 34 anni, figlio del boss Stefano ucciso dai corleonsi di Totò Riina durante la guerra di mafia degli anni Ottanta, torna libero dopo quattro anni di carcere e arresti domiciliari. Lo hanno stabilito i giudici della quarta sezione della Corte d'appello, accogliendo la richiesta degli avvocati Calogero Vella e Armando Veneto.
Bontade junior, condannato a otto anni per un traffico internazionale di stupefacenti, la scorsa estate si è laureato in Agraria con una tesi sul "Tardivo di Ciaculli" e durante la detenzione aveva fatto sapere che dopo aver scontato la pena si sarebbe voluto dedicare al lavoro nei suoi terreni. Nell'ordinanza, i giudici danno atto a Bontade del "completamento degli studi universitari con il conseguimento della laurea e la prospettiva di un onesto lavoro come agronomo".
Assieme a Bontade è tornato libero anche il cugino Gioacchino Di Gregorio, 35 anni, anche lui arrestato e detenuto per traffico di sostanze stupefacenti.


21/12/2007
Fonte: La Sicilia

venerdì, dicembre 21, 2007

Ancora sul Blow up...

Venerdì pomeriggio, un giovanotto dai modi sbrigativi ha chiesto un contributo per le luminarie ai ragazzi del “Blow Up”, il circolo culturale di piazza Sant´Anna. La risposta è stata netta: «Noi non paghiamo». Nel corso della notte, è scattata la punizione: un raid ha devastato il locale e razziato un maxischermo e alcune attrezzature musicali. Bottino da 5.000 euro. Altre apparecchiature erano state sistemate dietro la saracinesca, in attesa di essere portate via. Ma i ladri non hanno fatto in tempo. «Il segnale doveva essere comunque chiaro - dice Manfredi Lombardo - proprio in questi giorni il locale riapre. Non ci piegheremo, non ci sogniamo neanche di pagare, come tutti fanno a Palermo, per riavere indietro la merce rubata».
Venerdì pomeriggio, i ragazzi sono stati affrontati all´interno del locale da un giovane sui trent´anni, che parlava in dialetto stretto. «Aveva modi bruschi - ricordano - continuava a dire che bisogna sempre dare un contributo per le feste. Agitava un foglio, diceva che si sarebbe accontentato di un acconto». I ragazzi hanno subito chiamato al telefono Manfredi Lombardo, presidente della cooperativa che gestisce il circolo: «Naturalmente, ho detto di mandare via quella persona», ricorda lui. «Pensavo che tutto finisse lì - dice ancora Lombardo - e invece oggi pomeriggio (ieri - ndr) ho trovato la saracinesca aperta».
Nella zona di Sant´Anna nessuno sta organizzando feste rionali o luminarie. «Hanno voluto prenderci di mira», dicono al “Blow Up”: «Durante il periodo in cui siamo rimasti chiusi, negli ultimi sei mesi, sono accadute tante cose nel quartiere. La denuncia dell´imprenditore Conticello, titolare dell´Antica focacceria, ha portato in carcere i boss del pizzo. Evidentemente, dopo la condanna, altri mafiosi stanno cercando di prendere il posto rimasto libero. Probabilmente, si sono già fatti avanti con altri commercianti della zona».
I ragazzi del “Blow Up” sono determinati, come sempre, ma anche amareggiati: «Come si è potuto consumare un raid in una zona così controllata?», si chiede Manfredi Lombardo. «La ronda dei metronotte controlla il vicinissimo museo. I carabinieri vigilano con cura sull´Antica focacceria. Questa è ormai la zona dei locali: il venerdì sera, ci sono tantissimi giovani che animano il quartiere. Chi ha agito non ha avuto paura di essere scoperto. Anche in questo, ha voluto dare un segnale di rinnovata forza. Colpendo chi ha aderito sin dalla prima ora al comitato Addiopizzo».
Ieri pomeriggio, il “Blow Up” si è animato di amici e simpatizzanti, in segno di solidarietà. È arrivata Rita Borsellino: «Questo è un luogo simbolico per Palermo – dice - uno dei pochi dove ancora si discute della città. Quello che è accaduto è davvero inquietante». In piazza Sant´Anna, anche Arcidonna e Giusto Catania: «Non bisogna abbassare la guardia contro il racket», dice l´europarlamentare.
Il raid ha portato via tutte le apparecchiature più moderne che i ragazzi del “Blow Up” avevano acquistato con grandi sacrifici per animare le loro attività culturali. «Hanno avuto tutto il tempo di lavorare indisturbati - dice Manfredi Lombardo - ci sarà voluta almeno un´ora per smontare quello schermo gigante sistemato sulla parete. Evidentemente, sapevano di poter operare tranquillamente. Tutto ciò è davvero preoccupante». Di certo, chi ha messo in atto il raid sapeva che i vicini di casa del circolo non erano in casa. E conosceva alla perfezione i passaggi delle guardie giurate e dei carabinieri. «Noi proseguiremo comunque la nostra attività programmata - ribadisce Lombardo - non ci faremo intimidire. Già altre volte, in passato, avevamo avuto richieste di pizzo, e mai abbiamo ceduto».
Salvo Palazzolo
Fonte: L'Espresso

Il made in Italy...

Lino Saputo era felice come un bambino il 27 ottobre scorso. Maria Grazia Cucinotta, strizzata in un tubino scuro, quella sera al Plaza di Atlantic City gli stava consegnando il premio della Cnsa, la Confederazione dei siciliani del nord America: "Ecco a voi il miglior imprenditore dell'anno, il primo produttore di latticini del Canada, il terzo negli Stati Uniti". Il re del formaggio sorrideva ai 700 italiani. Ad applaudirlo c'erano l'ex ministro Enrico La Loggia, il console d'Italia a New York, il deputato di Philadelphia Salvatore Ferrigno, l'assessore siciliano Santi Formica e tanti altri. A braccetto con l'altro premiato, l'attore Ben Gazzara, assaporava al volgere dei settant'anni la dolce discesa della vita. La mente andava alla lunga salita affrontata per essere su quel palco: l'infanzia in Sicilia, il piroscafo che nel 1952 lo porta da Montelepre, il paese del bandito Giuliano, fino all'America.
Gli inizi con il padre, la bicicletta per consegnare 10 chili di mozzarella al giorno, la crescita, la quotazione in Borsa a Toronto, il boom dell'ultimo decennio che ha decuplicato il fatturato fino a 4 miliardi di dollari e gli utili a 400 milioni l'anno. Lino stringeva al cuore quella targa perché era un riconoscimento alla storia dei Saputo. Non poteva sapere che il nome della sua famiglia, impresso sul 35 per cento della produzione casearia del Canada, sulla squadra di calcio di Montreal e sullo stadio avveniristico della città, proprio quel nome a 4 mila miglia di distanza, era finito nel mirino della Direzione distrettuale antimafia di Roma coordinata da Italo Ormanni.
Cinque giorni prima, il 22 ottobre, la Dia di Roma, guidata dal colonnello Paolo La Forgia, ha arrestato 16 boss e colletti bianchi del clan di Vito Rizzuto. Le indagini dei vicequestori Silvia Franzé e Alessandro Mosca sono durate due anni e hanno colpito duramente la connection tra il Canada e l'Italia. A 'L'espresso' però risulta che l'ultima pista investigativa percorsa dal nucleo di polizia tributaria di Milano porta proprio ai rapporti tra Rizzuto e i Saputo. Il capitano Gerardo Marinelli e il maggiore Vincenzo Andreone hanno intercettato tra il 2005 e il 2006 l'imprenditore Mariano Turrisi, l'uomo di Rizzuto a Roma, mentre tentava di riciclare 600 milioni di dollari mediante la cessione proprio a Lino Saputo del suo gruppo Made in Italy, destinato a operare nel settore del lusso. Saputo non è indagato, ma l'operazione ha nuovamente acceso il faro sui suoi rapporti con la criminalità.
Qualche mese prima degli arresti, il pm romano Adriano Iasillo ha scritto una lettera riservata alla Polizia interforze del Canada: "La Guardia di Finanza ha intercettato conversazioni dalle quali si capisce che è in corso un'operazione di cessione del gruppo Made in Italy all'imprenditore canadese Lino Saputo per la somma di 600 milioni di dollari americani di cui 300 sarebbero destinati direttamente alla famiglia capeggiata da Vito Rizzuto (...) sarebbe estremamente utile acquisire ogni dato che provi il collegamento tra Saputo e Rizzuto". Alla richiesta del pm italiano non è giunta alcuna risposta. 'L'espresso' ha svolto una ricerca negli archivi del governo canadese e dello Stato di New York, nei vecchi rapporti della polizia e dell'Fbi, scoprendo una serie di documenti che provano i trascorsi rapporti di affari tra Saputo e la storica famiglia Bonanno di New York, della quale proprio il boss Rizzuto è oggi il rappresentante in Canada.
Per ricostruire la saga parallela bisogna partire da un documento. La richiesta di ingresso in Canada presentata il 25 maggio 1964 da un emigrante: Giuseppe Bonanno, nato a Castellammare (Trapani), religione cattolica, cittadinanza statunitense. Bonanno non è un siciliano qualunque. Secondo molti è il Padrino con la 'P' maiuscola, quello al quale si sarebbe ispirato Mario Puzo per il personaggio di don Vito Corleone. Morirà nel 2002 dopo una sola condanna per ostruzione alla giustizia, ma quando presenta la domanda per entrare in Canada è il capo della famiglia omonima che compone insieme ad altre quattro la cupola americana di Cosa Nostra. Bonanno lascia New York per sfuggire alle indagini e ai killer del clan rivale. Punta su Montreal perché sa di avere amici pronti ad accoglierlo: i Saputo. Allegata alla sua domanda c'è una lettera della Giuseppe Saputo & sons: "Caro Mr. Joseph Bonanno (.) tu ci hai aiutato molto negli anni e noi siamo felici di averti nelle nostre attività. Siamo pronti a darti il 20 per cento delle nostre tre società a fronte di un investimento di 8 mila dollari. Siamo certi che ci potrai aiutare enormemente nell'espansione dell'attività. Con il tuo aiuto raddoppieremo i dipendenti". Non c'è da stupirsi. Bonanno non gestiva solo affari illeciti. Come racconterà nella sua autobiografia, 'Uomo d'onore', tra una sparatoria e l'altra fabbricava anche mozzarelle. Nel Wisconsin era socio occulto di un caseificio (tuttora attivo) gestito da un certo John Di Bella di Montelepre, il paese dei Saputo. Proprio Di Bella presentò 'Il Padrino' e 'Il re del formaggio' e chissà che non sia lo stesso John Di Bella che accompagnò Bonanno al vertice più importante della storia della mafia, nel 1957, al Grand Hotel delle Palme di Palermo.
Fonte: L'espresso

Preso Grigoli...

CASTELVETRANO (TRAPANI) - È considerato il re dei supermercati in Sicilia, ma anche uno dei più facoltosi imprenditori dell'isola che però sarebbe stato "nelle mani" del boss latitante Matteo Messina Denaro. Così Giuseppe Grigoli, 58 anni, di Castelvetrano (Trapani), è stato arrestato stamani per concorso esterno in associazione mafiosa.
La grande distribuzione alimentare che ha realizzato in Sicilia sarebbe stata per la mafia una forma di finanziamento per le casse di Cosa nostra, ma anche un modo con il quale i boss locali in cui venivano aperti i supermercati potevano anche offrire lavoro a persone loro vicine. In questo modo la mafia ha continuato a sostituirsi alla sana imprenditoria, conquistandosi il favore della gente.
A svelare i meccanismi economici-criminali che starebbero dietro la gestione del marchio Despar da parte di Grigoli nelle province di Agrigento, Trapani e Palermo, sono stati i pizzini trovati nel covo di Bernardo Provenzano il giorno del suo arresto. Si tratta di lunghe lettere che gli erano state inviate da Messina Denaro in cui spiegava che dietro la società di Grigoli c'era lui. I
l boss trapanese chiariva al padrino corleonese il modo con il quale la mafia guadagnava grosse somme di denaro. Ma illustrava anche i problemi che incontrava nelle varie zone, come in quella di Agrigento, dove la Despar ha aperto 40 punti vendita. E i capimafia della zona tentavano di imporre il pizzo o non pagavano la merce che veniva loro fornita.
Il provvedimento cautelare è stato emesso su richiesta dei pm della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, Roberto Piscitello, Costantino De Robbio, Marzia Sabella e Michele Prestipino, coordinati dagli aggiunti Giuseppe Pignatone e Roberto Scarpinato, ed è stato eseguito da agenti della squadra mobile di Trapani, Palermo e Agrigento.
Grigoli è indagato insieme al latitante Matteo Messina Denaro, per il quale il gip ha emesso un nuovo ordine di arresto. La società di Grigoli la "Gruppo 6 G.D.O. s.r.l.", che gestiva i supermercati, è stata sequestrata, ed il suo valore ammonta a circa 200 milioni di euro.
Secondo le dichiarazioni rese di recente dal collaboratore di giustizia, Maurizio Di Gati, "Grigoli e Messina Denaro erano la stessa cosa". "La vicenda evidenzia - spiega il capo della Squadra mobile di Trapani, Giuseppe Linares - come la mafia abbia gestito i supermercati Despar a Trapani e Agrigento. Al di là di ogni accertamento di responsabilità penale, così come è stata letta dagli investigatori attraverso i pizzini trovati a Provenzano, ci dà il modello imprenditoriale criminale che la Confindustria deve contrastare in Sicilia".

Il ruolo di Provenzano, considerato come mediatore degli affari dei boss di Cosa nostra, è stato evidenziato dal procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone che ha sottolineato l'importanza dei dati trovati nel covo del padrino a Montagna dei cavalli, in base ai quali "si è potuti arrivare ad individuare l'aspetto economico-criminale dei mafiosi".


20/12/2007
Fonte: La Sicilia

Talpe DDA, 13 anni per Borzachelli (amico di Cuffa)...

PALERMO - I pm della Dda Maurizio De Lucia e Nino Di Matteo hanno chiesto la condanna a 13 anni dell'ex maresciallo dei carabinieri Antonio Borzacchelli, ex deputato regionale dell'Udc, accusato di concussione, tentativo di concussione e violazione di segreto d'ufficio nell'ambito del processo nato dall'inchiesta sulle cosiddette "talpe" alla Dda di Palermo.
Borzacchelli, secondo gli inquirenti, abusando della sua funzione e della carica di deputato dell'Ars, avrebbe indotto il manager della sanità privata Michele Aiello, sotto processo per associazione mafiosa, a dargli del denaro e avrebbe cercato di farsi intestare quote della società di diagnostica di cui l'imprenditore era titolare.
L'ex sottufficiale, inoltre, avrebbe informato Aiello delle dichiarazioni fatte sul suo conto, agli investigatori, dal pentito Salvatore Barbagallo. "Borzacchelli - ha detto il pm De Lucia durante la requisitoria - ha svolto le sue attività pubbliche, di investigatore dell'Arma, mettendo per anni le sue capacità al servizio del suo interesse personale e di quello dei suoi amici".


20/12/2007
Fonte: La Sicilia

mercoledì, dicembre 19, 2007

Mtv Italia e La7 contro la mafia

ROMA - Continua l'impegno comune di Mtv Italia e La7 sui temi sociali: dal 19 al 23 dicembre le due reti dedicheranno una programmazione speciale al tema delle mafie con documentari, talk show e speciali. "La7 e Mtv sono due territori in cui questo tipo di operazioni sono ben accette dal pubblico", spiega Antonio Campo Dall'Orto, amministratore delegato di Telecom Italia Media presentando l'iniziativa alla Casa del Cinema.
All'incontro - nel corso del quale è stato proiettato il film-documentario 'La memoria h
a un costo' di Pauro Parissone e Roberto Burchielli, vincitori del Premio Ilaria Alpi - erano presenti anche Don Luigi Ciotti, fondatore dell'Associazione Libera, l'ex procuratore capo di Palermo e procuratore generale di Torino Giancarlo Caselli, il sindaco di Corleone Nino Iannazzo, la vicepresidente della commissione Antimafia Angela Napoli e il direttore News e Sport de La7 Antonello Piroso.
La maratona tv anti-mafia parte domani alle 22,30 su La7 proprio con la messa in onda, in anteprima esclusiva, di 'La memoria ha un costo', che sarà replicata sempre su La7 il 22 dicembre (20,30) e su Mtv il 21 (alle 23) e il 23 dicembre (alle 17). Il docu-film racconta in presa diretta, a 15 anni dalle stragi di Capaci e Via D'Amelio a Palermo, a che punto è la lotta alle mafie, testimoniando la rinnovata vitalità della Chiesa, e non solo, con immagini inedite delle stragi del '92 e di quella di via Carini in cui perse la vita il generale Dalla Chiesa.
I giovani siciliani saranno invece i protagonisti di una tre giorni speciale di Trl, programma cult di Mtv che, per l'occasione, si sp
osterà a Corleone, in piazza Falcone e Borsellino, per portare ai ragazzi corleonesi musica e impegno con artisti come i Finley, Fabri Fibra, Zero Assoluto e Paolo Briguglia (20, 21 e 22 dicembre alle 15).
Il 21 dicembre sarà la volta di 'Mtv No Mafie Day', una giornata di programmazione speciale al cui interno andrà in onda la prima pu
ntata di 'Pugni in tasca', nuovo talk show condotto da Mario Adinolfi, dedicata al tema delle mafie e della criminalità organizzata (alle 21). Ospite il magistrato Raffaele Cantone, pm della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli.

I racconti dei giovani che in qualche modo hanno dovuto fare i conti con la mafia saranno infine al centro dello speciale 'Mtv No Mafiè (22 dicembre alle 22), mentre l'associazione 'Addio Pizzo', fondata da ragazzi di Palermo, sarà raccontata in una puntata della serie 'Il Testimonè condotto dall'ex Iena Pif.

18/12/2007
Fonte: La Sicilia

12 a Brusca

PALERMO - La corte d'assise di Palermo ha condannato a 12 anni di carcere il pentito Enzo Salvatore Brusca per concorso nell'omicidio del vigile del fuoco, Gaetano Genova, assassinato nel 1990 perchè ritenuto confidente del collaboratore del Sisde, Emanuele Piazza, anche lui ucciso da Cosa nostra. Prescritti, invece, i reati contestati al coimputato, Mariuccio Brusca, che era imputato di occultamento di cadavere. Per Enzo Salvatore Brusca, a cui è stata riconosciuta l'attenuante della collaborazione con la giustizia, il pm Nino Di Matteo, che ha istruito il processo, aveva chiesto la pena di 9 anni.
Gaetano Genova venne sequestrato e ucciso pochi mesi dopo l'omicidio di Piazza, ma il suo corpo fu ritrovato solo 6 anni dopo grazie alle dichiarazioni di Brusca, che raccontò movente e autori del delitto. La mafia aveva deciso di eliminare il vigile del fuoco perchè lo riteneva un confidente delle forze dell'ordine e per i suoi rapporti con Piazza. Il pentito ha inoltre rivelato agli investigatori che Genova aveva avuto un ruolo nella cattura di un latitante vicino alla famiglia mafiosa dei Madonia.
Grazie alle dichiarazioni di Brusca, in abbreviato, Salvino Madonia è stato condannato a 30 anni per l'omicidio del vigile del fuoco; mentre 14 anni di carcere sono stati inflitti a Giovanni Brusca, fratello di Enzo Salvatore. Le due pene sono definitive.
I resti di Genova furono ritrovati nelle campagne di San Giuseppe Jato. Fondamentale per il riconoscimento del cadavere fu una spilletta appuntata ad una giacca. I giudici, oggi, ne hanno ordinato la restituzione ai familiari del vigile del fuoco che non si sono, costituiti parte civile al processo.


18/12/2007
Fonte: La Sicilia

martedì, dicembre 18, 2007

Gela chiede aiuto

GELA (CALTANISSETTA) - "La città non ce la può fare da sola. Troppi guasti sono stati prodotti dalla mafia e troppe risorse occorrono per riqualificare l'ambiente, risanare i quartieri, creare una rete efficiente di trasporti e rilanciare l'economia. Abbiamo bisogno dell'aiuto dello Stato". Lo dice il sindaco di Gela, Rosario Crocetta, in una lettera inviata al presidente del Consiglio, Romano Prodi, per chiedere maggiore attenzione delle istituzioni.
"Le città che hanno deciso di combattere la mafia - prosegue Crocetta - hanno bisogno di una nuova attenzione, vanno premiate per la scelta di coraggio e di impegno. Ci aiuti presidente a fare in modo che anche altri facciano la loro parte con gli investimenti e con le misure necessarie a rendere la nostra città moderna".
Nella sua lettera, Crocetta ha ricordato che Gela è oggi in testa, a livello nazionale, per le denunce contro il racket del "pizzo": ottanta imprenditori sono infatti testimoni in processi contro la mafia.


18/12/2007
Fonte: La Sicilia

Si riprende nel 2008

PALERMO - "Tutta l'istruzione dibattimentale ha confermato come non sia stato posto in essere alcun raggiro da parte di Aiello al fine di conseguire il pagamento di prestazioni erogate in regime di assistenza indiretta". Per questo motivo, l'avvocato Loredana Greco, a conclusione della sua arringa, ha chiesto l'assoluzione per Michele Aiello dai reati di truffa. Quella di oggi è stata l'ultima udienza dell'anno dedicata al processo alle cosiddette "talpe" della Dda. La prossima udienza è stata fissata per il 9 gennaio 2008 per l'ultima arringa, quella dell'avvocato Nino Mormino, difensore del Governatore siciliano Salvatore Cuffaro, accusato di favoreggiamento a Cosa nostra.

18/12/2007
Fonte: La Sicilia

lunedì, dicembre 17, 2007

Che bel trio...

ACIREALE (CATANIA) - La guardia di finanza di Catania ha sequestrato beni immobili, per un valore stimato in 700 mila euro, a due degli indagati nell'inchiesta su presunte aste truccate nella sezione distaccata di Acireale del Tribunale fallimentare del capoluogo etneo. Sono cinque immobili la cui proprietà è ritenuta riconducibile a Maria Belfiore, 52 anni, impiegata nell'ufficio esecuzioni del Tribunale di Acireale, e al suo convivente, l'ispettore capo di polizia Francesco Macrì, di 48 anni. Con loro è anche indagato un legale, l'avvocato Matteo Calabretta, di 70 anni.Il sequestro è stato disposto dal gip di Catania su richiesta del sostituto procuratore Marisa Scavo. Riguarda una villa di Acireale, dimora della coppia ma di proprietà della sola Belfiore, e di un appartamento e due garage nell'acese. Questi ultimi erano stati acquistati dal Macrì durante un'asta giudiziaria gestita dalla donna.
17/12/2007

Fonte: La Sicilia

Arrestato l'infermiere di Provenzano...

PALERMO - L'infermiere che ha curato durante la latitanza il boss Bernardo Provenzano è stato arrestato stamani nel Palermitano. Si tratta di Gaetano Lipari, 47 anni, infermiere professionale, consigliere comunale di una lista civica, ad Altavilla Milicia, (Palermo). L'arresto è stato eseguito da polizia e carabinieri. Il provvedimento cautelare, firmato dal gip, Maria Pino, è stato richiesto dal procuratore aggiunto di Palermo, Giuseppe Pignatone, e dai pm Marzia Sabella, Michele Prestipino e Nino Di Matteo. Nel linguaggio cifrato usato da Provenzano nei 'pizzini', Lipari corrisponderebbe al numero 60. L'infermiere Gaetano Lipari, originario di Corleone, è nipote del boss Pino Lipari, che è stato il cassiere di Bernardo Provenzano, ed è impiegato all'Asl 6 di Bagheria. L'uomo è accusato di associazione mafiosa. Per gli inquirenti avrebbe curato il padrino di Corleone durante la latitanza e con lui intratteneva anche una corrispondenza attraverso i pizzini nei quali si firmava con il codice "60". Gaetano Lipari era già stato indagato per mafia, in seguito ad accertamenti effettuati dai carabinieri. Il procedimento era stato in seguito archiviato. Per gli investigatori, l'uomo sarebbe stato in contatto con il medico Giovanni Mercadante, sotto processo per mafia, con Carmelo Gariffo, nipote di Provenzano, e con altri uomini d'onore di Bagheria, accusati di avere favorito la latitanza del capomafia. L'infermiere, arrestato stamani da carabinieri e polizia, avrebbe dovuto somministrare un farmaco a Provenzano, per la cura della prostata, alcuni giorni prima l'arresto del boss avvenuto l'11 aprile 2006.
17/12/2007

Fonte: La Sicilia

Ma che bravo avvocato...

MESSINA - Il sostituto procuratore di Messina, Fabio D'Anna, ha chiesto il rinvio a giudizio dell'avvocato penalista Giuseppe Abadessa. È accusato di favoreggiamento e minacce. Accompagnò Francesco Comandè, ritenuto dagli inquirenti affiliato al clan mafioso Camaro, mentre chiedeva il "pizzo" al gestore di una palestra di via Santa Marta. Abadessa, inoltre, sarebbe tornato qualche giorno dopo a minacciare la vittima.
17/12/2007

Fonte: La Sicilia

sabato, dicembre 15, 2007

Solidarietà al Blow Up di Palermo

Stanotte il centro servizi-mutua studentesca Blow Up di Palermo è stato letteralmente devastato e saccheggiato.

Alcuni giorni prima durante una assemblea di studenti nel locale, dei malavitosi si sono presentati per richiedere il famoso “pizzo” e, ovviamente, il Blow up si è rifiutato di pagare…Stamattina hanno ritrovato il locale a pezzi e sono state portate via tutte le cose di valore che si trovavano li…

Ancora una volta la mafia si è palesata in tutta la sua crudeltà e vigliaccheria attraverso uno dei suoi gesti “classici”. Ancora una volta ha dimostrato di esserci e di non mollare facilmente.

Non possiamo fare finta di niente, ad essere stato devastato non è solo il blow-up nella lontana Palermo ma è anche Radio Aut, il Coordinamento per il Diritto allo Studio e tutta la società civile che ogni giorno lavora per portare avanti gli ideali e i valori della libertà, della giustizia e della legalità.

Più che in ogni altro momento i compagni siciliani hanno bisogno della nostra solidarietà e del nostro sostegno anche economico.

È necessario raccogliere dei fondi affinché rimettano in piedi il locale, affinché non si sentano soli e affinché ricomincino quel lavoro all’insegna della mutualità gratuita e disinteressata antitetica alla logica mafiosa del “niente per niente”.

La mafia esiste, non è fiction televisiva, non è folklore…

Presto organizzeremo una raccolta fondi a favore dei compagni di Palermo!

Fonte: Coordinamento.org

venerdì, dicembre 14, 2007

I racconti di franzese continuano...

PALERMO - Il pentito Francesco Franzese ha rilasciato nuove dichiarazioni registrate nei nuovi verbali depositati dalla Procura di Palermo al Tribunale della Libertà che oggi ha esaminato la posizione di Gaspare Di Maggio, 'responsabile' di Cinisi, arrestato nei giorni scorsi tra i favoreggiatori dei boss Lo Piccolo. Franzese, capomafia di Partanna, è l'uomo che ha messo gli inquirenti sulle tracce dei boss latitanti.
"Ho sentito dire da un certo Gaspare di Cinisi, che si faceva chiamare Vittorio, che aveva un rapporto con Giovanni Genovese, per cercare di stabilire un contatto con il latitante Mimmo Raccuglia".. Nei verbali, resi ai pm Nico Gozzo, Gaetano Paci e Francesco Del Bene, il 14, 19, 26 novembre, il pentito racconta quello che sa su Di Maggio, al quale sono attribuite anche minacce fatte pervenire al pm Gozzo. "Questo Gaspare, che veniva anche chiamato 'Crapa Ciunca', è figlio di un anziano che aveva scontato una lunga detenzione". Per Franzese, Di Maggio doveva rivolgersi al boss di Altofonte Raccuglia per "dare la linea a Partinico", cioè per risolvere l' anarchia che si era creata in paese.
"Dopo il Gotha, ci sono alcune zone che vengono assorbite: cioè c'è stata questa voglia di espandersi, quindi si andava sconfinando nelle altre zone" Secondo il pentito, i Lo Piccolo cercarono di estendere la loro influenza anche fuori dal loro mandamento. Al pm che gli chiede se si formò un "grande mandamento", Franzese risponde: "Sì. Ma addirittura parliamo di Sicilia... cioè stiamo parlando di questa voglia proprio di infiltrarsi dovunque". E prosegue: "Per un verso si impicciavano, poi magari veniva messa (a capo del territorio, ndr) una persona che c'era stata anche prima, se gli andava bene... sennò uno direttamente di loro, uno nuovo. Diciamo...loro la zona la dovevano coprire tutta".
Solo in due casi ci furono resistenze: "Un pochettino a Partinico, ma l'unico di Palermo è Uditore che ci sono state resistenze vere e proprie... è l 'unica zona di Palermo che è rimasta praticamente con le persone che c'erano prima". Quando spiega l'espansione dei Lo Piccolo sul territorio di Palermo, il neo pentito Francesco Franzese è molto preciso: "Non mi è stato detto: è tutto un mandamento, perchè non me l'avrebbero potuto dire, nel senso che magari non è neanche vero. Però c'erano loro in questa situazione, dappertutto... questo si". E ancora: "Loro si interessavano ormai un pò di tutto".
Il collaboratore spiega poi che dopo gli arresti dell'operazione 'Gotha', i Lo Piccolo erano rimasti a corto di appoggi. "Non avevano personale, in quel momento avevano arrestato tutti". I padrini di Tommaso Natale, inoltre, in quel periodo apparivano piuttosto confusi. "Avevano pure in testa tante cose di confusione - dice Franzese - perchè nei giornali non si parlava d'altro che queste persone arrestate erano contro di loro. "I pm gli chiedono se si riferisce al boss Nino Rotolo, che voleva uccidere i Lo Piccolo. "Si - risponde Franzese - erano quei giorni di confusione, loro volevano riorganizzarsi, vedere chi poteva...(aiutarli, ndr)".
L'iniziazione nel covo di Giardinello. "Non so se mi hanno preso in giro, perchè mi hanno fatto questa cosa, diciamo come un rito di affiliazione, che....sembrava un film". Raccontando la cerimonia con la quale Salvatore e Sandro Lo Piccolo lo affiliarono a Cosa nostra, il neo-pentito Francesco Franzese non nasconde il suo stupore. "Io mi sentivo preso in giro - dice Franzese il 14 novembre ai pm - nel senso che facevano come si vede nei film, questo fatto dell'ago... una santina hanno bruciato".
Prosegue il pentito: "Questa santina ce l'avevano loro e la facevano bruciare. E si diceva che... sarei bruciato se io lo tradivo, questa cosa mi ha messo comunque in agitazione". Poi, ricorda Franzese, i Lo Piccolo gli raccomandarono la massima segretezza: "Mi hanno detto che non potevo dirlo a nessuno". Il pentito racconta anche che Totuccio Lo Piccolo sembrava perplesso, dopo aver visto il suo tatuaggio. Ma Sandro lo rassicurò: "Lui mi ha spiegato: vabbè non ti preoccupare, mio padre è troppo all'antica". E poi, alludendo al tatuaggio: "Tu poi 'sto coso perchè non te lo levi?".


14/12/2007
Fonte: La Sicilia

Poverino...Ci doveva pensare prima!

Palermo, 11 dic. - L'ex deputato regionale di Forza Italia Giovanni Mercadante ha chiesto oggi ai giudici del Tribunale del Riesame di Palermo di poter rimanere nel carcere dell'Ucciardone, nel capoluogo dell'isola. Mercadante, che e' imputato di associazione mafiosa davanti alla seconda sezione del Tribunale, ha spiegato ai giudici che il centro clinico del carcere di Parma al quale e' stato assgenato per curare una forte depressione, non sarebbe in grado di attendere ai suoi compiti: "e dunque - ha aggiunto il primario di radiologia - e' meglio che io stia qui, cosi' posso stare vicino a mio figlio, che e' reduce dei postumi di un grave incidente stradale e ha bisogno della presenza del padre".
Nell'udienza di oggi il collegio avrebbe dovuto nominare due periti il cui compito dovrebbe essere una analisi dei reparti clinici carcerari e la loro adeguatezza a fronteggiare malattie psiologiche e psichiche come quella di cui soffre Mercadante. Un compito difficile, che uno dei due esperti nominati dal Tribunale non si e' sentito di affrontare e oggi ha comunicato la propria rinuncia. I Pm Domenico Gozzo e Nino Di Matteo, dal canto loro, hanno chiesto al Tribunale del Riesame di revicare l'ordinanza precedente e di annullare dunque l'accertamento. I giudici si sono riservati la decisione.
Fonte: agi.it

Nuovo libro di Orlando

Alla presenza del Coordinatore Regionale Italia dei Valori Dante Merlonghi, di quello Provinciale Valori Manolo, dell'Assessore Provinciale Luigino Baiocco e del Sindaco di Montegiorgio Luciano Achilli e alla presenza dei Responsabili di tutti i partiti dell'Unione, si è tenuto l'incontro programmato alle ore 21 ieri sera in una sala gremita di cittadini e simpatizzanti dell'Italia dei Valori, a Piane di Montegiorgio con l'On. Leoluca Orlando portavoce nazionale dell'Italia dei Valori ed ex Sindaco di Palermo il quale ha presentato il suo libro "Raccontando la mafia".
L'On. Orlando ha illustrato come la mafia si stia evolvendo, mantenendo si le tradizioni, ma allo stesso tempo si stia globalizzando adeguandosi ai tempi di oggi (parlando il linguaggio di oggi). Una lettura della mafia fatta con "valutazioni etiche e politiche e non solo giudiziarie e morali". Ed è proprio su questo che bisogna lavorare per sconfiggerla oltre che con le tradizionali leggi.
Di fronte alla nuova mafia bisogna trovare una nuova e adeguata reazione istituzionale, bisogna adeguare la legislazione e dar vita a un diverso senso comune. Se abbiamo certi candidati al Governo è perché in politica è assente un patto etico. Un popolo senza etica è un popolo analfabeta anche se istruito e civile. L'Italia dei Valori ha pertanto iniziato un processo volto a ricreare le condizioni affinché nel mondo della politica in primis vi siano delle regole etiche e comportamentali che vadano oltre quelle morali e legali.
Fonte: il quotidiano

Ferrauto parla...

Nel gran calderone delle "cantate" rese ai magistrati dal nuovo collaboratore di giustizia, Carlo Alberto Ferrauto, spicca pure il nome del sancataldese Salvatore Cordaro, sotto processo perché ritenuto di appartenere dal 2000 in poi alle famiglie mafiose di Enna e San Cataldo.
Il colpo di scena l'ha annunciato il pubblico ministero della Dda Roberto Condorelli, al processo che si è tenuto ieri nell'aula bunker proprio contro Cordaro, comparso dinanzi il Tribunale collegiale presieduto da Giacomo Montalbano, con a latere i giudici Gilda Lo Forti e Stefano Zammuto.
Verbali, ha anticipato il magistrato della Dda, in cui Ferrauto racconta delle «novità» sul ruolo di Cordaro nelle cosche nissene e all'interno della famiglia mafiosa di San Cataldo.
Nient'altro ha voluto aggiungere il sostituto Condorelli, se non che a breve si riserverà di depositare quei verbali composti da decine di pagine in cui la "gola profonda" Ferrauto tira in ballo Salvatore Cordaro (difeso dall'avvocato Gianluca Amico). Peraltro Ferrauto, dopo essere stato scarcerato per l'operazione «Free town», si era trasferito a vivere nella vicina San Cataldo, dopo che ha avuto imposto dalla magistratura il divieto di soggiorno a Caltanissetta.
Tornando al processo che vede imputato Cordaro di mafia, nell'udienza di ieri al cospetto del collegio giudicante sono stati chiamati a deporre i collaboranti Angelo e Liborio Di Dio, padre e figlio di Enna, che hanno detto di aver conosciuto Cordaro, mentre nella prossima udienza che si terrà a gennaio sempre nell'aula bunker del "Malaspina", sfilerà il pentito Filippo Speziale, anche lui di Enna.
Fonte: La Sicilia

Quando incontrava Provenzano...

"Avevo 17 anni quando ebbi il sospetto che l'uomo che mio padre riceveva a casa due volte al mese fosse Provenzano". Massimo Ciancimino, 44 anni, figlio di Vito, il sindaco di Palermo condannato per mafia e morto nel 2002, racconta tutto sul padre in un'intervista a Panorama, da domani in edicola.
"Provenzano" ricorda Massimo, a sua volta condannato per riciclaggio e intestazione fittizia dei beni, "si faceva chiamare ingegnere Loverde, era l'unico che mio padre incontrava senza appuntamento e riceveva in pigiama...". Ciancimino junior parla con Panorama delle trattative segrete ("ma nessuno mi ha mai interrogato su questo") avviate dai carabinieri con l'ex sindaco quando era rinchiuso a Rebibbia: "Falcone si fece avanti con me per aprire un dialogo, voleva che facessi capire a mio padre che era il momento del dialogo. Poi, dopo la strage di Capaci, il capitano De Donno incontro' mio padre per tutta l'estate del 1992.
Una volta De donno mi consegno' la piantina di Palermo e un elenco di utenze telefoniche presumibilmente in uso a Toto' Riina: mio padre avrebbe dovuto segnare la zona e indicare i numeri. Dopo una settimana riconsegnai tutto con indicato il quartiere di viale Regione Siciliana e dissi: "Li' dovete cercare Riina".
Fonte: agi.it

75 mila euro al giorno

PALERMO - "I boss Lo Piccolo incassavano mediamente 75 mila euro al giorno per le estorsioni". La rivelazione è del sottosegretario all'Interno, Ettore Rosato, a Palermo per la Conferenza interregionale dei prefetti della Sicilia. "Questa cifra - ha aggiunto Rosato - è il segno dell'importanza che il racket riveste per Cosa nostra, il nostro impegno è quello di coinvolgere nella lotta alla criminalità gli imprenditori che ancora pagano. Per denunciare serve meno coraggio di quanto si vuol fare credere, perchè chi denuncia è protetto e può stare tranquillo".
"Siamo consapevoli - ha sottolineato ancora il sottosegretario - che la Sicilia sta vivendo un momento straordinario per l'incredibile efficacia delle azioni delle forze di polizia, dei magistrati e dei prefetti". Rosato ha quindi sottolineato l'importanza degli arresti compiuti negli ultimi mesi e dell'azione di contrasto alla mafia portata avanti dalla Fai, dall'associazionismo e dai vertici di Confindustria Sicilia.
Rosato ha anche reso noto che nel 2007 in Italia c'è stato un incremento del 5.59% delle denunce per estorsione e del 14.03% di quelle per usura rispetto all'anno precedente. "La Conferenza - ha spiegato il prefetto di Palermo Giosuè Marino - è stata l'occasione per fare il punto sull'attività svolta dai minipool antiracket e antiusura istituiti presso le Prefetture e abbiamo discusso, anche con i rappresentanti delle associazioni, delle attività legate alla prevenzione dei fenomeni estorsivi".
"Nel 2007 - ha spiegato Lauro - il Fondo di solidarietà per le vittime del racket ha erogato 25 milioni 800 mila euro. Di questa cifra, sei milioni sono andati alla Sicilia. A Queste somme si aggiungono poi i 70 milioni erogati a Fondazioni, associazioni e Confidi per attività di prevenzione. Ieri sera inoltre il ministro dell'Economia ha firmato un decreto che destina altri 109 milioni al fondo di solidarietà per il 2008".


13/12/2007
Fonte: La Sicilia

Sei milioni di euro di confische

PALERMO - La Direzione investigativa antimafia ha confiscato beni aziendali, immobili e disponibilità finanziarie, per un valore di oltre sei milioni di euro, che sono riconducibili ai fratelli mafiosi Giuseppe e Filippo Graviano, mandanti dell'omicidio di Don Pino Puglisi, capi della cosca di Brancaccio. Il provvedimento riguarda anche Domenico Quartararo che è uno zio dei due boss.
I giudici della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, hanno emesso il provvedimento su richiesta del procuratore aggiunto Roberto Scarpinato e su iniziativa del direttore della Dia. La confisca riguarda la società Iti zuc srl, che è una importante azienda di produzione e distribuzione di caffè e zucchero, controllata, attraverso prestanome, dai boss Graviano.


14/12/2007
Fonte: La Sicilia

giovedì, dicembre 13, 2007

Omicidio Bellomo: svolta nelle indagini

Svolta nelle indagini sull'omicidio di Luciano Bellomo, il commerciante di 33 anni ucciso a Gela (Caltanissetta) la sera del 24 settembre scorso. Gli agenti del commissariato di polizia, in collaborazione con personale della Squadra Mobile della questura, hanno eseguito nella notte un'ordinanza di custodia in carcere nei confronti del principale indiziato del delitto. I particolari delle indagini saranno resi noti durante una conferenza stampa prevista per questa mattina alle 10,30 negli uffici del commissariato di Gela.
Bellomo, incensurato, venne ucciso con modalita' tipicamente mafiose da un commando in moto, mentre a bordo della sua Opel "Tigra" stava raggiungendo la sua abitazione, nel quartiere residenziale di Macchitella. Malgrado le modalita' "mafiose" dell'esecuzione, la pista del crimine organizzato venne subito esclusa dagli inquirenti che, nelle ore successive al delitto, parlarono di ipotesi passionale e delitto per interessi economici. Fino ai giorni scorsi, quando le indagini hanno imboccato la svolta che ha portato all'arresto eseguito nella notte.
Fonte: La Repubblica

Forgione: basta rinvii

MESSINA - "Trovo veramente incredibile questo ulteriore rinvio". Il presidente della commissione parlamentare antimafia, Francesco Forgione, commenta così l'ulteriore rinvio del processo per l'omicidio di Graziella Campagna. "Sono stati già molti i rinvii - aggiunge - ed ogni giorno di attesa per arrivare ad avere giustizia è un giorno di troppo. È scandaloso che un mafioso del calibro di Gerlando Alberti junior sia libero di girare per il suo paese e sia considerato pericoloso se si allontana dal paese, dove si trova per andare al processo. Voglio capire perché questo sia successo e chiedo al ministro della Giustizia di mandare un'ispezione presso il tribunale di sorveglianza competente per accertare la correttezza di tutte le procedure.

13/12/2007
Fonte: La Sicilia

Arresti a raffica nel messinese

ROMA - I carabinieri del reparto operativo del Comando provinciale di Messina hanno eseguito, con un blitz nella notte, un'ordinanza applicativa di alcune decine di misure cautelari in carcere, emesse dal gip di Messina, nei confronti di personaggi di spicco della criminalità messinese. Gli arrestati sono accusati, a vario titolo e ruolo, dei reati di omicidio aggravato e di associazione mafiosa con l'aggravante di aver tentato anche di depistare le indagini inducendo testimoni a dichiarare il falso.
Le indagini sono partite in seguito a tre casi di omicidio: il primo, quello di Franco La Boccetta, il 13 marzo del 2005 e poi di altri due, quelli di Sergio Micalizzi e Roberto Idotta, entrambi avvenuti il 29 aprile 2005 l'uno a distanza di poche ore dall'altro. Gli inquirenti sono arrivati alla conclusione che era iniziata una guerra di mafia tra i due clan emergenti a cui i tre appartenevano e che operavano in due quartieri di Messina.
All'operazione denominata 'Mattanza', che ha portato allo smantellamento definitivo dei due clan, hanno partecipato oltre un centinaio di carabinieri anche del reparto territoriale, del nucleo elicotteri di Catania e del nucleo cinofili del Comando provinciale di Palermo.
Investigatori della Dia di Trapani hanno eseguito otto ordinanze di custodia cautelare in carcere nell'ambito di una inchiesta che punta sulle cosche mafiose di Trapani e Castellammare del Golfo. L'operazione, denominata "Beton", riguarda anche la gestione di beni sequestrati alla mafia.
I provvedimenti sono stati emessi dal gip del tribunale di Palermo su richiesta del procuratore aggiunto, Roberto Scarpinato, e del sostituto Paolo Guido della Direzione distrettuale antimafia. Gli indagati sono accusati di associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori, finalizzato a favorire il riciclaggio di proventi di attività illecite e favoreggiamento aggravato. Sono ancora in corso numerose perquisizioni e sequestri di beni.


13/12/2007
Fonte: La Sicilia

mercoledì, dicembre 12, 2007

Slitta la sentenza

PALERMO - Slitta al prossimo gennaio la sentenza del processo alle cosiddette talpe della Dda. Dopo che la Cassazione ha respinto l'istanza di remissione per 'legittima suspicione' avanzata dai legali del governatore siciliano Salvatore Cuffaro, stamani in aula è stato pianificato un nuovo programma in quanto la discussione dei difensori impegnati nelle ultime arringhe si protrarrà ancora per due o tre udienze.
E' saltato pertanto il calendario già previsto per la fase finale del processo. I giudici della terza sezione del tribunale, presieduta da Vittorio Alcamo, non potranno ritirarsi in camera di consiglio, come previsto, il prossimo martedì 18 dicembre, perché quella udienza sarà ancora dedicata alla discussione.
L'avvocato Monaco, difensore di Michele Aiello, stamani non è riuscito a concludere l'arringa: parlerà ancora lunedì prossimo, e dopo di lui toccherà all'avvocato Loredana Greco. Poi sarà la volta dell'avvocato Nino Mormino, difensore di Cuffaro. Il presidente Alcamo ha pertanto annunciato che la sentenza slitta a gennaio.


12/12/2007
Fonte: La Sicilia

Mafia e coca...

PALERMO - Le cosche mafiose vendevano in Sicilia e in altre regioni la cocaina proveniente dalla Colombia. Una vasta rete di trafficanti di droga è stata scoperta dai carabinieri del Comando provinciale di Palermo che stamani hanno eseguito decine di ordinanze di custodia cautelare.
Gli indagati sono accusati di associazione per delinquere finalizzata al traffico di cocaina. I provvedimenti sono stati firmati dal gip Fabio Licata su richiesta della procura distrettuale antimafia di Palermo.
Tra le persone arrestate vi sono personaggi di spicco di Cosa nostra palermitana e trapanese, già imputati in altri processi per estorsione e per aver favorito la latitanza di boss mafiosi. Per l'operazione, denominata "Wiston", sono stati impiegati oltre 300 carabinieri, elicotteri e unità cinofile antidroga.
Queste le persone arrestate: Antonino Arcuni, 39 anni; Daniele Barbera 27; Ignazio Barone 36; Giuseppe Blandino, 24; Andrea Bonaccorso 31; Giovanni Ciuro 30; Pietro Corrao 41; Matteo Cracolici 40; Fabio Cucina 36; Alfredo D'Amico 26; Antonino De Luca 37; Giovanni Di Salvo 36; Anna Di Stefano 36; Claudio Ferranti 28; Antonino Fragali 26; Maurizio Frischetto 34; Maria Gioè 36; Giovanni Grasso 32; Giuseppe Grippi 26; Leonardo Grippi 47; Pietro grippi 28; Giuseppe Ingrascì 46; Giovanni Lo Presti 40; Mario Lo Verso 38; Filippo Mansueto 46; Andrea Marino 31; Paolo Marino 51; Paolo Messina 50; Vincenzo Misuraca 51; Francesco Antonio Naselli 23; Rocco Pirrotta 331; Salvatore Pispicia 42; Jimenez Richard Regalado 33; Giuseppe Vaglica 38 e Francesco Vitale 34.


12/12/2007
Fonte: La Sicilia

Ordini dal carcere

MARSALA (TRAPANI) - I boss mafiosi del trapanese avrebbero proseguito la gestione delle cosche anche dal carcere in cui sono detenuti, ordinando pure estorsioni e intimidazioni. La vicenda emerge dall'inchiesta che stamani ha portato la polizia di Stato ad eseguire cinque ordini di custodia cautelare in carcere. I provvedimenti sono stati firmati dal gip del tribunale di Palermo su richiesta del pm della Direzione distrettuale antimafia, Roberto Piscitello, e sono stati eseguiti dagli agenti del commissariato di Marsala.
L'inchiesta punta su alcune cosche mafiose, in particolare quella di Marsala, che secondo l'accusa avrebbe messo a segno intimidazioni e danneggiamenti anche nei riguardi di un consulente esterno dell'amministrazione comunale. Secondo l'accusa le direttive dal carcere sarebbero state date da Carlo Licari, che è raggiunto da uno dei cinque provvedimenti cautelari. Nell'ambito dell'operazione, la polizia ha arrestato quattro persone e notificato un quinto provvedimento in carcere.
I destinatari dei provvedimenti cautelari, tutti di Marsala, sono Nicola Carlo Licari, di 56 anni, già detenuto e sottoposto a giudizio per associazione mafiosa, in quanto accusato di aver favorito la latitanza dei boss Natale Bonafede e Andrea Mangiaracina; Michele Parrinello 43 anni, Giuseppe Fabrizio Parrinello di 33, Francesco Massimo Capizzo anche lui di 33 e Giuseppe Casano di 61. A quest'ultimo sono stati concessi gli arresti domiciliari. A vario titolo sono ritenuti responsabili di incendi, intimidazioni, danneggiamento ed estorsioni consumate ai danni di operatori economici marsalesi.


12/12/2007
Fonte: La Sicilia