giovedì, agosto 30, 2007

Io non pago!!!

CATANIA - In due giorni gli hanno distrutto due escavatori che costavano 280 mila euro uno a Catania l'altro a Santa Venerina (Ct). Ha una ditta di costruzioni che dà lavoro a circa 250 persone l'anno e nella sua carriera di imprenditore ha subito 10 intimidazioni e innumerevoli richieste di pizzo. Andrea Vecchio, 67 anni, presidente dell' associazione nazionale costruttori della provincia catanese, con voce serafica dice: "Spero si fermino, non c'è motivo che vadano avanti. Io il racket delle estorsioni non lo pago". "Sono convinto che fare gli eroi non paghi - aggiunge - Ma non possiamo subire ricatti ed estorsioni. Dovremmo stare tutti insieme perchè l'unione fa la forza". Nel giorno del sedicesimo anniversario dell' uccisione dell' imprenditore palermitano Libero Grassi, che si ribellò pubblicamente al racket mafioso, Andrea Vecchio diventa un simbolo della lotta, raccoglie la solidarietà di Confidustria e dei politici ma dice: "Oggi il mio telefonino non ha smesso di squillare. Tanto affetto. Ma penso sia dovuto all' impatto mediatico. Ritengo che queste esternazioni siano come una rosa recisa che poi appassisce a maggior ragione ora che c'è molto caldo...". "Lo Stato c'è - aggiunge - La legge antiracket di cui ho usufruito funziona. Le forze dell'ordine e la magistratura lavorano molto bene. Alcuni estorsori che mi avevano minacciato sono stati arrestati. Ma anche gli avvocati penalisti sono bravi. Per superare la criminalità organizzata ci vuole un' economia migliore e sana: dove c'è ricchezza la mafia non attecchisce. E poi ci vuole il rispetto delle regole da parte di tutti. Vedere una persona su un ciclomotore col casco in testa per di più allacciato è un evento raro. Bisogna ragionare su questo". "Lasciare il mio lavoro? - conclude - Non ho alternative. Ho una professionalità, non si può buttare tutto al vento. Dovrei chiudere e andare a lavorare al Nord o all' estero. Ma non posso smentire trent'anni di lavoro. E comunque io il racket delle estorsioni non lo pago". Solidarietà a Vecchio è stata espressa in una nota anche dal segretario provinciale della Uil Angelo Mattone e dal segretario Feneal Francesco De Martino. Il sindacato ribadisce la proposta di installare delle telecamere nei cantieri. "Grazie alla videosorveglianza - affermano i due sindacalisti - si potrebbe dare una spallata significativa al lavoro nero e alle incursioni del racket che sono fenomeni particolarmente diffusi nel settore edile". "Trattandosi di installazioni a fini di salvaguardia dei lavoratori e di sicurezza interna - concludono - è evidente come la proposta rispetti pienamente le normative sulle tutele sindacali e sulla privacy". Il presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello, ha convocato per il primo settembre una riunione straordinaria del direttivo regionale dopo il secondo attentato incendiario, nel giro di poche ore, ai danni del presidente dell'Ance Catania, Andrea Vecchio, e del secondo messaggio intimidatorio ricevuto dal presidente della Piccola industria di Confindustria Caltanissetta e della Camera di commercio nissena, Marco Venturi. Il direttivo si terrà nella sede degli industriali di Caltanissetta, in via Poggio Sant'Elia, con la partecipazione del vicepresidente nazionale di Confindustria, Ettore Artioli.
29/08/2007

Fonte: La Sicilia

Tradito dal cellulare

GENOVA - Sono state le tracce elettroniche lasciate da un telefono cellulare e da un apparecchio GPS a tradire Salvatore Fraterrigo, il latitante mafioso inserito nell'elenco del Viminale dei cento ricercati più pericolosi d'Italia, rintracciato in Romania dagli agenti della squadra mobile di Genova. Fraterrigo, legato al clan siciliano Emanuello-Madonia, deve scontare undici anni di reclusione inflitti dal tribunale di Genova per traffico di stupefacenti, violazione della legge sulle armi e sugli esplosivi. È inoltre ricercato per altri ordini di cattura emessi per associazione di tipo mafioso dalle procure generali di Caltanissetta e Reggio Calabria. Considerato esperto di esplosivi, è ritenuto responsabile di un attentato incendiario ad un night club della provincia di Alessandria per fini estorsivi. Il latitante era ospitato nell'abitazione di una donna romena nella città di Bocsa a circa 60 chilometri da Timisoara. Il 16 agosto scorso gli agenti diretti dal vicequestore Claudio Sanfilippo hanno intercettato una telefonata tra la donna e le sue due figlie, in vacanza in Italia, a Giulianova (Teramo). Appreso che le ragazze sarebbero rientrate in Romania il giorno seguente, i poliziotti le hanno raggiunte ed hanno collocato un sistema di localizzazione satellitare GPS sotto la vettura delle due giovani per poter così localizzare l'appartamento dove Fraterrigo si nascondeva. Dopo aver ottenuto a suo carico un mandato di cattura internazionale ed aver avviato una collaborazione con la polizia romena e l'interpol, ieri è scattato il blitz della polizia rumena che ha portato all'arresto del latitante. "Sono contento, è la fine di un incubo", sono state le prime parole di Fraterrigo. Il mafioso viveva in condizioni di semi-indigenza e aveva una scarsissima disponibilità economica. Secondo i primi accertamenti, non avrebbe avuto nell'ultimo periodo contatti con esponenti delle cosche italiane. Entro 20-30 giorni Fraterrigo sarà estradato a Genova.
29/08/2007

Fonte: La Sicilia

Arrestato in crociera

Palermo, 28 ago. - Stava per imbarcarsi su una nave da crociera quando i poliziotti gli hanno notificato un decreto del Tribunale di Palermo che gli impone la misura della sorveglianza speciale per mafia. L'uomo, Alberto Raccuglia, 41 anni, da qualche giorno si era reso irreperibile per sottrarsi al provvedimento giudiziario, ma gli agenti del commissariato di P.S. "Oreto-Stazione" avevano appreso che sabato scorso sarebbe partito con la famiglia per una crociera nel Mediterraneo sulla nave "Concordia" e lo hanno atteso all'imbarco. Raccuglia nel 2001 era stato condannato con sentenza definitiva dalla Corte di Appello di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa e attualmente e' indagato per er associazione mafiosa e per numerosi tentativi di estorsione ai danni di imprenditori del comprensorio delle Madonie. La sezione Misure di prevenzione del Tribunale gli ha ora imposto la sorveglianza speciale per 2 anni e 6 mesi.
Fonte: Agi.it

Ferito in agguato

CATANIA - Ferito in un agguato Mario Tornabene, di 53 anni, considerato uno dei referenti del clan mafioso Santapaola nella zona ionica. L'uomo e' stato avvicinato da due sicari a bordo di uno scooter, mentre si trovava all'interno di una struttura turistica di sua proprieta' a Marina di Cottone, in provincia di Catania. Raggiunto da diversi colpi d'arma da fuoco all'addome, Tornabene e' stato operato nella notte all'ospedale di Giarre. Le sue condizioni sarebbero pero' peggiorate in mattinata.
Fonte: Corriere della sera

Strane lettere per Riina e Provenzano

PALERMO - La procura di Palermo ha aperto un'inchiesta su una lettera recapitata in carcere al boss Totò Riina. Nella busta c'erano due cartoline dello stadio di san Siro: una indirizzata a Riina, l'altra a Bernardo Provenzano. Sul retro c'era scritto: "La pace è finita". La missiva è stata intercettata dalla polizia penitenziaria che ritiene la vicenda molto allarmante. Per gli inquirenti il messaggio potrebbe contenere l'avvertimento, ai capimafia e allo Stato ,- chi ha scritto non poteva non sapere che la posta del boss è controllata - di un' imminente ripresa della strategia stragista. A rendere ancora più inquietante la vicenda sono, inoltre, alcuni particolari: la busta era indirizzata al carcere di Opera di Milano. Ma l'indirizzo indicato - via Borsellino - era, a dire degli investigatori - volutamente errato e avrebbe contenuto un'evidente allusione alla strage di via d'Amelio in cui, nel 1992, venne ucciso il magistrato Paolo Borsellino. La lettera, poi, è stata spedita dal capoluogo lombardo il 20 luglio, giorno successivo all'anniversario dell'eccidio. Infine, altro particolare sospetto, è la scelta dello stadio di san Siro. Secondo gli inquirenti non sarebbe casuale e rimanderebbe all'attentato mafioso sfumato, nel 1993, allo stadio Olimpico di Roma. L'esplosivo venne confezionato in sacchi della spazzatura, compresso con nastro adesivo. Dentro c'erano pezzetti di tondini di ferro. I sacchi erano nascosti in una macchina a cui era collegato un telecomando. L'esplosione avrebbe dovuto colpire una camionetta su cui viaggiavano alcuni carabinieri. Le indagini non hanno ancora accertato se l'attentato sfumò per un guasto del telecomando o per decisione dei boss.
29/08/2007

Fonte: La Sicilia

martedì, agosto 28, 2007

Maiorana e il figlio, scomparsi

PALERMO - Non potranno più proseguire le attività cantieristiche i titolari della Calliope srl, società immobiliare di proprietà, al 50%, di Karina Andre Gabriela, convivente dell'imprenditore palermitano Antonio Maiorana scomparso col figlio i primi di agosto. I carabinieri del comando provinciale e del nucleo ispettorato del lavoro, che oggi hanno perquisito e controllato l'azienda, hanno chiesto e ottenuto dall'ufficio tecnico del Comune un' ordinanza di interdizione del titolo abilitativo all'esecuzione delle opere. I militari hanno rilevato 25 violazioni di natura penale e 45 di natura amministrativa in materia di "sicurezza sui luoghi di lavoro", "prevenzione infortuni" e "legislazione sociale". Nove persone sono state denunciate e sono state inflitte contravvenzioni per 250mila euro. Individuati 21 lavoratori irregolari, tra cui un minorenne. Maiorana e il figlio sono scomparsi il 4 agosto. Si sono allontanati in auto, una Smart, poi ritrovata nel parcheggio dell'aeroporto Falcone-Borsellino, dal cantiere di Isola delle Femmine. Agli operai hanno detto che sarebbero tornati di lì a poco. L'imprenditore ha lasciato negli uffici il borsello con i documenti, tra cui il passaporto, da cui non si separava mai. La circostanza, insieme ad altri elementi, come l'assenza di prelievi bancari dopo la scomparsa e il risultato di indagini sui passeggeri in partenza dallo scalo - i due non risulterebbero nelle liste - in un primo momento ha fatto ipotizzare agli inquirenti che i Maiorana sarebbero rimasti vittime di un agguato. I carabinieri che indagano sulla vicenda hanno analizzato i rapporti economici dell'imprenditore e la situazione bancaria delle due ditte per le quali faceva da consulente: la Calliope e la Edilia. Della Calliope sono soci al 50% la compagna di Maiorana e Dario Francesco Lopez, genero di Salvatore Bandiera, proprietario del terreno su cui l'impresa stava costruendo. Della Edilia, invece, risultano soci i figli di Bandiera e l'imprenditore palermitano Francesco Paolo Alamia. Per entrambe le società Maiorana curava le pratiche di rilascio di mutui bancari. Le aziende sono state già perquisite l'11 agosto. E nei giorni scorsi è stata perquisita anche l'abitazione di Trapani della convivente dell'imprenditore, Karina Andre Gabriela, argentina. La donna, che non è indagata, ma è stata sentita come persona informata sui fatti, secondo gli investigatori sarebbe caduta in contraddizione più volte durante gli interrogatori a cui è stata sottoposta e non avrebbe detto tutto quello che sa. Gli inquirenti, insomma, dopo avere privilegiato la pista del sequestro sembrano propendere per quella dell'allontanamento volontario. I due Maiorana si sarebbero allontanati mettendo in scena un rapimento. Sul movente del gesto, però, ancora non c'è alcuna certezza.
27/08/2007

Fonte: La Sicilia

Tenta di nuovo il suicidio

LATINA - Ha tentato nuovamente il suicidio Giuseppe Muzio, l'ex pentito di mafia che chiede invano il cambio del nome dopo essere uscito dal programma di protezione. L'uomo, 53 anni, si è tagliato le vene ed è stato medicato nell'ospedale "Santa Maria Goretti" di Latina. Giuseppe Muzio, collaboratore fino a 10 anni fa, ha chiesto di poter cambiare nome come previsto dalla legge e quindi di avere un nuovo passaporto per ricongiungersi alla famiglia negli Usa, ma non ha mai avuto risposta. Negli Stati Uniti era stato durante il programma di collaborazione e lì si era rifatto una famiglia, ma una volta tornato in Italia non può rientrare negli Usa perché con il suo vero nome è censito come mafioso e quindi verrebbe bloccato alla frontiera. Da mesi chiedeva che qualcuno s'interessasse del suo caso e minacciava di togliersi la vita senza avere mai risposta dalle istituzioni.
28/08/2007

Fonte: La Sicilia

Anniversario Libero Grassi

PALERMO - "Gli unici passi avanti in questi lunghi anni nella lotta alla mafia e al racket delle estorsioni sono stati fatti grazie alle associazioni come Addiopizzo e al coraggio dei singoli". E' la voce di Pina Maisano, vedova di Libero Grassi, l'imprenditore che denunciò pubblicamente gli esattori del pizzo e che venne ucciso il 29 agosto del 1991 in via Alfieri, a Palermo, con un colpo di pistola alla testa, dal killer della cosca di San Lorenzo, Salvino Madonia. Nel sedicesimo anniversario dell'uccisione, si terrà una commemorazione sul luogo dell'agguato e si svolgerà in prefettura un convegno sull'accesso al credito legale. "L'economia siciliana - continua Maisano, ex senatrice dei Verdi - è minata e mortificata dal fenomeno delle estorsioni. Per la mafia non è tanto un problema di introiti finanziari ma piuttosto di controllo del territorio"."Qualche nota positiva - dice la vedova di Libero Grassi - si registra solo grazie all'impegno di un gruppo di giovani e alla voglia di cambiamento di alcuni negozianti che, in duecento, hanno deciso di aderire al comitato Addiopizzo, esponendo il logo di 'chi non pagà nelle vetrine dei loro negozi o aziende". La vedova plaude al continuo impegno delle associazioni contro il racket dell'usura "Sono lievi segnali di cambiamento - continua Pina Maisano - ma importanti. Anche la Regione sembra che si stia attivando per dare una sede momentanea all'impresa di Guaiana in alcuni terreni demaniali a Partanna Mondello. Il Comune ha invece messo a disposizione i suoi dipendenti per ripulire l'area dell'incendio".Interessante, secondo Pina Grassi, anche la proposta lanciata qualche tempo fa da Tano Grasso, presidente onorario della Fai, di introdurre una legge per considerare reato la mancata denuncia delle estorsioni. "Sono assolutamente d'accordo con Tano Grasso - prosegue la vedova - Chi non denuncia è connivente, ma lo Stato non approverà mai una legge del genere. La lotta al racket sarà ancora tutta basata sul coraggio di pochi".
27/08/2007

Fonte: La Sicilia

La mafia all'interno dei palazzi

Milano, 18 ago. (Apcom) - "Mi rifiuto da politico e da uomo di governo di commentare una classificazione lombrosiana degli individui, per cui se sei napoltano sei camorrista". Il ministro per le Infrastrutture Antonio Di Pietro attacca in un'intervista al "Corriere della Sera" le parole della radicale Rita Bernardini sull'allarme camorra nel centro di Roma, e usa parole di fuoco: "Indicare i buoni e i cattivi a partire dalle inflessioni dialettali è un'operazione sconveniente, ingiustificata e volgare". Ma Di Pietro non si limita alle critiche e rilancia: "La mafia c'è e non si trova intorno ai Palazzi del potere, ma dentro". "All'interno delle istituzioni - continua l'esponente dell'Idv - ci sono persone che vengono elette e a volte svolgono il loro mandato con il voto e connivenza dei mafiosi. Il consenso viene coartato, comprato e venduto." Il ministro dice di riferirsi"a quei 24 parlamentari che sono stati condannati con sentenza penale passata in giudicato" e "alla maggioranza dei consiglieri regionali della Calabria, inquisiti". Infine Di Pietro ricorda come tuttora non si riesca a far approvare una legge (malgrado "tutti si dicano d'accordo") che stabilisca che "chi è condannato con sentenza passata in giudicato non possa essere candidato" e che i rinviati a giudizio per fatti dolosi gravi non possano assumere incarichi di governo locale e nazionale".
Fonte: alice.it

domenica, agosto 26, 2007

Arrestato Cannizzaro

CATANIA - Agenti della Squadra Mobile di Catania hanno catturato a Mascalucia il latitante Sebastiano Cannizzaro, di 53 anni, considerato dagli investigatori elemento di vertice del clan Santapaola e di cosa nostra della provincia etnea. La cattura è avvenuta ieri pomeriggio, ma è stata resa nota solo stamane, da parte di agenti della Sezione criminalità organizzata e della Squadra Mobile, al termine di indagini effettuate sotto la direzione della Dda. Cannizzaro è stato individuato in una villetta nella zona periferica del paese, dove gli agenti hanno fatto irruzione. L'uomo era in compagnia della moglie, non era armato e non ha opposto resistenza agli agenti. Sebastiano Cannizzaro era stato condannato all'ergastolo, condanna confermata dalla Corte di Cassazione, perchè riconosciuto colpevole di associazione mafiosa, di due omicidi - quelli di Giovanni Riela e Massimiliano Vinciguerra - di soppressione di cadavere e di detenzione abusiva di armi. I reati si riferiscono al 1998, nel contesto della guerra di mafia che vide contrapposti il clan Mazzei e il clan Santapaola, del quale Cannizzaro era il rappresentante. Cannizzaro era stato scarcerato alla fine del giugno scorso dalla casa circondariale dell'Aquila per decorrenza dei termini di custodia cautelare e si era reso irreperibile nelle more della decisione della Corte di Cassazione, avvenuta il 9 luglio successivo.
25/08/2007

Fonte: La Sicilia

martedì, agosto 21, 2007

Commemorazione colonnello Russo

CORLEONE (PALERMO) - È stato celebrato nella contrada Ficuzza di Corleone, nel piazzale antistante il palazzo reale, il 30/mo anniversario dell'eccidio del colonnello dei Carabinieri Giuseppe Russo, barbaramente ucciso dalla mafia insieme al prof. Filippo Costa, l'amico con il quale era solito passeggiare nei periodi di vacanza che trascorreva in quella località. Alla cerimonia, preceduta da una messa nella cappella del palazzo reale officiata dall'Arcivescovo di Monreale, Salvatore Di Cristina, hanno presenziato il generale Giuseppe Barraco, comandante Interregionale dei Carabinieri di Messina, l'onorevole Giuseppe Lumia vice presidente della commissione antimafia, il Vice Prefetto Antonella D'Emiro, il Comandante Provinciale della Guardia di Finanza di Palermo Generale Carofiglio Francesco ed il Vicario Vice Questore Dr. Giuseppe Cucchiara, autorità Comunali. Alla cerimonia erano presenti inoltre: la figlia Benedetta, la moglie Mercedes e la nipotina del Col. Russo a nome Giulia. Il generale Giuseppe Barraco, comandante Interregionale dei Carabinieri di Messina, ha ricordato l'impegno del colonnello Russo nella lotta alla mafia e nell'intuizione nel comprendere l'interesse della nascente criminalità organizzata Corleonese nei confronti dei mafiosi palermitani, è stato inoltre letto un ricordo del col. Russo fatta dal generale di Corpo d'Armata in pensione Antonio Subranni, che da Maggiore, è succeduto al comando del nucleo Investigativo dei Carabinieri di Palermo.
20/08/2007
Fonte: La Sicilia

Partinico si muove

PARTINICO (PALERMO) - Nessun incarico di responsabilità ai funzionari collusi con la mafia. Lo stabilisce una delibera della giunta del comune di Partinico. La norma impedirà ai funzionari comunali indagati, di assumere incarichi con poteri di firma all'interno dell'Ente qualora, in caso di scioglimento per mafia, dovessero emergere elementi su collegamenti diretti o indiretti di pezzi della burocrazia con la criminalità organizzata. Partinico è il primo comune d'Italia che, sulla base delle ultime valutazioni elaborate dalla Commissione nazionale Antimafia, provvede ad ovviare alle lacune della legislazione nazionale sui comuni sciolti per mafia. "Traendo spunto dalle parole del Prefetto e del Questore - dice il sindaco di Partinico, Giuseppe Motisi - abbiamo voluto introdurre nel nostro ordinamento interno una regola chiara e puntuale che vincolerà anche in futuro l'amministrazione, per reprimere o prevenire fenomeni patologici di assoluta gravità, destinati a suscitare allarme sociale particolarmente intenso". "Fatta comunque salva l'applicazione delle misure sanzionatorie più gravi", la delibera stabilisce che i funzionari non possono ricoprire all'interno dell'ente, l'incarico di direttore generale, segretario generale, vice segretario, responsabile di settore, sostituto del responsabile di settore, responsabile degli uffici, responsabile unico di procedimento, componenti di uffici di staff o di altri organi di indirizzo e di controllo, nonchè ogni altro incarico di responsabilità. La proposta di deliberazione è stata predisposta dal segretario generale del comune, avvocato Lucio Guarino. "In questo modo - afferma - in caso di scioglimento, verrà troncato qualsiasi collegamento tra amministrazione e criminalità organizzata, collegamento che, come ci dimostra il dato dell'esperienza, è garantito non solo dalla politica ma soprattutto da esponenti di una classe burocratica che si pone sempre più spesso come referente principale delle organizzazioni criminali all'interno dell'Ente locale". L'appello dei parroci di Castellammare del Golfo. Anche i parroci di Castellammare del Golfo (Tp) lanciano un appello, con una lettera aperta letta anche nelle chiese ai fedeli, a ribellarsi contro i boss di Cosa nostra perchè "con la buona volontà e con il contributo di tutti si può vincere questo male oscuro della piovra". L' atto di accusa dei preti, diffuso in questi giorni che coincidono con la festa della Patrona, arriva dopo l'incendio la notte di Ferragosto che ha distrutto un 'azienda per la produzione di calcestruzzo. "Sentiamo il bisogno - si legge - dopo i fatti che hanno funestato il Ferragosto di gridare il nostro no deciso al malaffare, alla malavita organizzata e al racket che frena i progetti di sviluppo di un intero paese. Gli interessi della mafia sono sporchi e vanno contro la morale evangelica". E ancora: "La sfrontatezza di un potere occulto, che non si fa scrupolo di mandare in frantumi la fragile economia del paese gettando nello sconforto più famiglie, deve trovare lo sdegno e la condanna di quanti si professano cristiani". I parroci si chiedono retoricamente se "Castellammare sia la città della mafia", e sostengono che "questo marchio infame non può e non deve caratterizzare il paese". I preti sottolineano anche nella missiva "il silenzio assordante della società civile, dei mezzi di comunicazione e l'apparente latitanza dello Stato". La campagna dei ristoratori di Berlino. I ristoratori di Berlino, intanto, hanno lanciato oggi l'iniziativa "Mafia? no grazie!" impegnandosi a denunciare alle autorità le richieste del "pizzo" da parte di criminali. "Chi si piega alla mafia è una persona senza dignità" ha detto Laura Garavini dell'Uim, l'Unione Italiani nel Mondo che collabora all'iniziativa nata come reazione di base agli omicidi di Duisburg, nella conferenza stampa organizzata dai ristoratori italiani di Berlino."Non abbiamo nulla a che fare con la mafia e ci ribelliamo a ogni richiesta di pizzo - ha detto Garavini - Anche se non è detto che questo sia privo di pericoli. In Sicilia in una analoga iniziativa della società civile, gli imprenditori che avevano aderito si sono visti bruciare le loro aziende". Angelo Bolaffi, direttore dell'istituto di cultura italiano presso l'Ambasciata d'Italia a Berlino presente alla conferenza stampa, ha proposto una grande manifestazione a Berlino contro la mafia. "La gastronomia è una parte della cultura italiana. Se la gastronomia italiana è colpita dalla mafia allora tutta la nostra cultura ne risente" ha sottolineato Bolaffi. L'iniziativa, idealmente legata a "Addio al Pizzo" dei giovani siciliani, è aperta ai 300 ristoratori italiani di Berlino - 17 hanno già aderito - e del resto della Germania.
21/08/2007

Fonte: La Sicilia

venerdì, agosto 17, 2007

I bastardi non vanno in vacanza... Merde!!!

TRAPANI - Attentato incendiario ai danni della "Casa dei giovani" di padre Salvatore Lo Bue, la comunità per il recupero dei tossicodipendenti che sorge su un appezzamento di terra confiscato alla mafia, in contrada Zangara, a Castelvetrano. Qualcuno ha appiccato un rogo che ha distrutto dieci alberi di frutta, un carrello elevatore ed una pedana in legno utilizzata per incontri pubblici. Le fiamme non hanno raggiunto il magazzino, dove viene conservato l'olio di "Libera" prodotto dai ragazzi della comunità. Sull'attentato, il secondo in una settimana, indagano i carabinieri. Un altro sconcertante episodio si è verificato a Campobello di Mazara, dove ignoti piromani hanno preso di mira un terreno agricolo gestito dalla "Fondazione Onlus San Vito" di don Francesco Fiorino in un'area confiscata al boss Nunzio Spezia. Il rogo ha distrutto 49 ulivi e 110 alberi di agrumi. Lo rende noto il sindaco Ciro Caravà, secondo il quale "l'attentato è un atto vile che va condannato. A don Francesco Fiorino - aggiunge Caravà - va tutta la nostra solidarietà. A lui siamo vicini come Amministrazione e lo invitiamo ad andare avanti nella sua azione sociale, di recupero dei beni confiscati che così tornano in produzione legalmente". Per il vice presidente dell'Antimafia Beppe Lumia, gli attentati alle comunità gestite da padre Fiorino e padre Lo Bue sono "fatti gravissimi: guai a sottovalutarli, adesso come Stato dobbiamo dimostrare di essere più forti della mafia che intimidisce. Gli autori di questi vili atti vanno colpiti con rigore e severità, mentre le attività condotte da padre Lo Bue e padre Fiorino vanno sostenute con più mezzi e più risorse di quanti fatto finora".
17/08/2007
Fonte: La Sicilia

giovedì, agosto 16, 2007

Sette avvisi di garanzia

BARCELLONA (MESSINA) - Sono stati notificati dalla Guardia di Finanza, su disposizione del sostituto procuratore Olindo Canali, sette avvisi di garanzia relativi all'inchiesta sulla gara d'appalto per la ristrutturazione del teatro "Mandanici" di Barcellona. Tra gli indagati: il sindaco di Barcellona, Candeloro Nania; l'ing. Gaetano Calabrò; Pietro Grasso; l'arch. Sergio Nastasi; il prof. Raffaele Tommasini; l'arch. Salvatore Fazio e l'arch. Giuseppe Ippolito. Per tutti l'accusa è di abuso d'ufficio e concussione. Il teatro, per la cronaca, non è mai stato ultimato.
16/08/2007
Fonte: La Sicilia

martedì, agosto 14, 2007

Rettifica della rettifica

PALERMO - Sicario di cosa nostra e sindacalista. Il latitante Francesco Franzese è stato arrestato alla periferia di Palermo, nella villetta in cui si era rifugiato. L'uomo, 43 anni, era ricercato dal 2006 per omicidio: le forze dell'ordine erano sulle sue tracce da tempo e a maggio avevano scoperto che lavorava come capocantiere a Palermo. Capocantiere, responsabile della sicurezza e sindacalista: un'attività "pulita" che affiancava a quella della gestione delle estorsioni nella zona di San Lorenzo. Inoltre secondo gli inquirenti il boss - detto "Franco di Partanna" - stava preparando un agguato, anche se non si sa ancora quale fosse l'obiettivo. Con Franzese sono stati fermati due coniugi che abitavano nella villetta di via Salerno, Nadia Costanzo, 23 anni, e Giacomo Spatola, 28 anni, e Antonino Nuccio, 46 anni, che al momento del blitz si trovava con loro. Al momento dell'irruzione della polizia, il boss ha temuto si trattasse di un'esecuzione organizzata dai clan rivali. Ma, una volta capito di non aver possibilità di fuga (come aveva fatto invece a maggio dal cantiere) si è consegnato. Nel covo di via Salerno gli investigatori hanno trovato dei "pizzini", lettere e biglietti scambiati con il boss mafioso Salvatore Lo Piccolo, capo mandamento della zona di San Lorenzo, latitante da oltre 20 anni. Inoltre sono stati scoperti libri e registri con le cifre e i nomi delle persone che subivano le estorsioni. Per il questore di Palermo, Giuseppe Caruso, "Francesco Franzese è certamente un personaggio di spessore dentro Cosa nostra, il suo arresto è un nuovo colpo alla mafia sia per i suoi precedenti specifici, sia per la collocazione della famiglia mafiosa del territorio di Partanna-Mondello".
Fonte: La repubblica

Minacce agli imprenditori a Gela

Gela. «Non andate al Tribunale perché siete morti»: è scritta in dialetto gelese e arricchita dall'eloquente disegno di una croce, la lettera di minacce recapitata a Luca Callea e Matteo Consoli due dei sette imprenditori titolari delle ditte appaltatrici del servizio comunale della raccolta dei rifiuti per dieci anni costretti a pagare il pizzo a Stidda e Cosa Nostra. La lettera minatoria è giunta a destinazione alcuni giorni prima l'avvio dell'udienza preliminare, fissata per ieri davanti al Gup di Caltanissetta, contro quattordici esponenti storici di Stidda e Cosa Nostra, due dei quali oggi sono collaboratori di giustizia. Sono stati arrestati tutti a febbraio dalla polizia nell'ambito dell'operazione «Munda mundis». Fu il sindaco Rosario Crocetta, alcuni mesi prima del blitz della polizia a denunciare che sull'appalto comunale della raccolta dei rifiuti la mafia pretendeva un pizzo del 2% dell'importo dell'appalto affidato dal Comune ricavandone 216 mila euro l'anno. In dieci anni due milioni e mezzo di euro sottratti dalla mafia all'economia legale. A squarciare il velo sulle estorsioni è stato Rosario Trubia nel momento in cui, lo scorso autunno, è diventato collaboratore di giustizia. Era stato lui in persona, dal 1998 a curare quella maxi estorsione, compreso l'adeguamento della cifra nel passaggio dalla lira all'euro e l'ha raccontata con dovizia di particolari. La minaccia di morte, alla vigilia dell'udienza, non ha fatto retrocedere le vittime che invece vogliono essere risarcite dei soldi del pizzo. E non solo. Il loro avvocato prof. Alfredo Galasso chiede, a nome di ogni imprenditore 250 mila euro a ciascuno degli imputati per i danni morali. Per la prima volta in un processo antiracket a Gela le parti civili chiedono i danni per la reputazione lesa dell'azienda e per la grave limitazione alla libertà di iniziativa economica subita. All'udienza preliminare contro il racket delle estorsioni si sono costituiti, oltre agli imprenditori a titolo personale ed alle loro ditte, anche il Comune, la Fai e l'Associazione antiracket di Gela «Gaetano Giordano». Tutti ammessi come parte civile chiedono in totale 5 milioni e mezzo di euro di risarcimento. «Questi imprenditori non sono eroi - ha detto l'avv. Galasso - è gente che non ne ha potuto più. Tra rischiare la vita e rischiare il futuro anche dei propri figli ha fatto una scelta precisa. Mi auguro che questa loro iniziativa serva da sprone per dire basta al racket. Uno degli imprenditori mi ha detto, convinto, che se questa storia delle tangenti sui rifiuti finirà bene cioè con la condanna degli autori ed il risarcimento delle vittime, ci sarà la fila di imprenditori e commercianti disposti a collaborare». Renzo Caponetti presidente dell'Antiracket ha già una lista con 15 nomi nuovi tra imprenditori e commercianti che chiedono di entrare a fare parte dell'associazione antipizzo. A piccoli passi con una serie di denunce e le operazioni delle forze dell'ordine, Gela allenta la morsa del racket che soffoca la sua economia. «E - come ha ricordato l'assessore Elisa Nuara, avvocato dell'antiracket - fino ad oggi nessuno delle imprese di chi ha denunciato ha chiuso i battenti. Anzi la cooperativa agricola Agro Verde che stava per fallire per colpa della mafia, oggi con l'aiuto del Comune e dell'Antiracket sta vivendo una stagione di grande rilancio, Lo stesso deve avvenire per le imprese della raccolta dei rifiuti».
Fonte: Corriere della sera

La banda dei "ragazzi terribili"

Era la banda dei "ragazzi terribili" di Gela quella sgominata dai carabinieri che la notte scorsa, hanno compiuto otto arresti. Sono tutti ritenuti "picciotti" di Cosa Nostra e della Stidda che pero' godevano di una certa autonomia d'azione. Le ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip del Tribunale di Caltanissetta, Giovambattista Tona, su richiesta dei pm della Dda Nicolo' Marino, Rocco Liguori e Alessandro Picchi erano in tutto 10 ma due indagati sono irreperibili e attivamente ricercati dagli uomini dell'arma su tutto il territorio nazionale. I carabinieri hanno chiamato l'operazione "Iron Man", perche' alcuni degli indagati sono ritenuti autori di una serie di furti relativi ad ingenti partite di tubi, profilati metallici e cavi in rame: erano "gli uomini del ferro". Ma la banda - secondo gli investigatori - era specializzata soprattutto nel mettere a segno estorsioni e danneggiamenti. La quasi totalita' dei furti che venivano commessi a Gela, oltre alle estorsioni e alle intimidazioni ai commercianti che non pagavano il pizzo, sarebbero stati opera dei componenti della "squadra" che rispondeva a Giuseppe Alferi, 27 anni, detto "U' Verru" uno degli otto giovani raggiunti stamattina dall'ordinanza di custodia in carcere.
Fonte: La Repubblica

Confische a Badalamenti

La quarta sezione della Corte d'assise di Palermo, presieduta da Renato Grillo, ha deciso di acquisire nuovi documenti per accertare la provenienza dei beni del boss e ha rinviato a settembre la decisione sull'eventuale confisca penale del patrimonio del capomafia di Cinisi Gaetano Badalamenti, morto nel 2004. Nonostante il decesso, i beni di 'don Tano', del valore approssimativo di cento milioni, sono stati gia' confiscati in virtu' di un decreto della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, depositato il 5 luglio scorso. E' pero' ancora pendente un'istanza di confisca avanzata dalla Procura nell'ambito dei processi penali per omicidio, cui era stato sottoposto Badalamenti negli anni precedenti la morte, avvenuta in un carcere americano. Solo per uno dei delitti che gli erano stati contestati il capomafia di Cinisi era stato condannato in primo grado: si tratta dell'omicidio di Peppino Impastato, il militante di Democrazia proletaria che bersagliava di sberleffi e di critiche politico-giornalistiche "don Tano seduto" dai microfoni dell'emittente locale "Radio Aut". La confisca ha compreso anche la palazzina di corso Umberto, a Cinisi, in cui risiedevano i prossimi congiunti di Badalamenti: e' la casa a "cento passi" dall'abitazione di Impastato, quella che ha dato il titolo al film sulla vicenda del giovane extraparlamentare di sinistra fatto saltare in aria il 9 maggio del 1978, sulla ferrovia Palermo-Trapani. Gaetano Badalamenti era detenuto negli Usa per scontare 44 anni di carcere per il traffico di droga denominato "Pizza connection". Il suo difensore, l'avvocato Paolo Gullo, ha sostenuto che la confisca dei beni del morto, decisa dal Tribunale di Palermo, e' "allucinante" e che non ha fondamento giuridico. Il legale conta sul dissequestro dei beni da parte della Corte d'assise e afferma che il provvedimento piu' favorevole al "prevenuto" farebbe cadere anche la confisca disposta dalla sezione misure di prevenzione.
Fonte: agi.it

24 provvedimenti di custodia cautelare

AGRIGENTO - Ventiquattro provvedimenti di custodia cautelare sono stati eseguiti nei confronti di presunti responsabili di decine di omicidi e tentati agguati avvenuti nell'Agrigentino negli anni Novanta. I provvedimenti sono stati emessi dal gip del tribunale di Palermo su richiesta della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo siciliano. Gli ordini di custodia cautelare riguardano indagati della provincia di Agrigento, alcuni dei quali già detenuti a Benevento, L'Aquila, Livorno, Napoli, Nuoro, Parma, Roma e Voghera. L'inchiesta è stata condotta dagli agenti della Squadra mobile di Agrigento. Gli indagati sono ritenuti a vario titolo responsabili dei reati di associazione mafiosa, di dieci omicidi e di tre tentati omicidi. All'inchiesta hanno contributo le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia agrigentini, Ignazio Gagliardo, Maurizio e Beniamino Di Gati.
Fonte: Corriere della sera

Summit a Bronte

CATANIA - Equilibri da ricostruire, alleanze nuove con Cosa nostra di Catania per fare fronte a Bronte agli storici rivali della cosca Montagno Bozzone. Per questo il latitante Roberto Boncaldo, 42 anni, avrebbe incontrato alcuni esponenti del clan di Salvatore Catania, un "contatto" tra un gruppo locale e la "famiglia" Santapaola, alla ricerca di sinergie comuni negli affari illeciti. È lo scenario ricostruito dai carabinieri dietro al summit mafioso interrotto da un blitz dei militari dell'Arma in una masseria isolata di contrada Cattaino a Bronte, che ha portato all'arresto del latitante e di altre otto persone. Boncaldo, santapaoliano del rione S. Giovanni Galermo, cognato dei fratelli Guidotto, cresciuto nell'ex clan del boss poi pentito Giuseppe Pulvirenti, era l'interlocutore di Cosa nostra con la cosca brontese di Salvatore Catania. Quest'ultima, ipotizzano i carabinieri, si era rivolta alla "famiglia" Santapaola per compiere un salto di qualità nella gestione degli affari illeciti, ma soprattutto per cercare di contrastare il clan rivale guidato da Francesco Montagno Bozzone, il boss che miracolosamente è scampato a tre agguati. A Bronte, ipotizzano i magistrati della Procura di Catania, potrebbe essersi ricostruita la stessa dinamica che negli anni ha portato ad una scissione in Cosa nostra: Montagno Bozzone sarebbe in qualche modo vicino ai "falch" di Santo Mazzei; mentre la cosca Catania cercherebbe di consolidare e potenziare i collegamenti con le "colombe" di Benedetto Santapaola.
13/08/2007
Fonte: La Sicilia