mercoledì, aprile 30, 2008

Messina Denaro scrive...

PALERMO - Matteo Messina Denaro, il boss mafioso latitante da 15 anni, scrive lunghe lettere a un politico di Castelvetrano (Trapani), già indagato per mafia (accusa archiviata), condannato per traffico di stupefacenti. Di questo politico il boss si fidava: lo riteneva un amico che "si metteva a disposizione". Si chiama Antonino Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano, arruolato dal servizio segreto civile per fare da esca al latitante e farlo arrestare. Nelle lettere che Messina Denaro scrive a Vaccarino, che chiama con lo pseudonimo di "Svetonio", il boss non crede più in niente. Non crede neppure che il "progetto politico" prospettato da Vaccarino, possa avere un futuro, anche se "so che lei farà sempre tutto il possibile affinchè la nostra causa possa avere una svolta... per ristabilire la verità delle cose"."Jorge Amado - cita il capomafia - diceva che non c'è cosa più infima della giustizia quando va a braccetto con la politica e io sono d'accordo con lui. Da circa 15 anni c'è stato un golpe bianco tinto di rosso attuato da alcuni magistrati con pezzi della politica..". "Oramai non c'è più il politico di razza, l'unico a mia memoria fu Craxi ed abbiamo visto la fine che gli hanno fatto fare. .. Oggi per essere un buon politico basta che si faccia antimafia...". Messina Denaro prosegue: "Sono un nemico della giustizia italiana che è marcia e corrotta dalle fondamenta, lo dice Tony Negri ciò ed io la penso come lui". Il boss trapanese si rende conto che attualmente Cosa nostra si trova ad un livello inferiore rispetto alla politica: "Non abbiamo più potere contrattuale, non abbiamo più nulla da offrire, chi vuole che si vada a sporcare la bocca per la nostra causa?". "Ce l'abbiamo fatta con l'alluvione e con la pestilenza; con la legge non s'è potuto, no: abbiamo perso"."Il mio scetticismo - scrive Messina Denaro che in un'altra lettera si firma 'Alessio' il 22 maggio 2005 - era ed è rivolto alla classe che dirige il Paese. Non vedo uomini, solo molluschi opportunisti che si piegano come fuscelli al vento, dico ciò con cognizione di causa, ed il peggiore è chi ne sta a capo, un volgare venditore di fumo e chiudo qua perchè per iscritto non voglio andare oltre"."È anche vero che ancora si sentirà molto parlare di me, ci sono ancora pagine della mia storia che si devono scrivere. Non saranno questi 'buoni' e 'integerrimi' della nostra epoca, in preda a fanatismo messianico, che riusciranno a fermare le idee di un uomo come me. Questo è un assioma". Sono parole forti quelle scritte dal boss che è stato l'esecutore e l'organizzatore delle stragi del 1993 di Roma, Milano e Firenze."Parlando dei miei mancati studi - risponde a Svetonio (Vaccarino), il 30 novembre 2005 - si è toccato un punto dolente... il non aver studiato è stato uno degli errori più grandi della mia vita, la mia rabbia maggiore è che ero un bravo studente... se potessi tornare indietro... ho sempre ritenuto inutile raccontare le mie cose intime... ma oggi le confido una cosa: veda io non conosco mia figlia (che ha otto anni ndr), non l'ho mai vista, il destino (la latitanza ndr) ha voluto così. Come posso sperare una nuvola di favola?". L'ultima lettera è del 28 giugno 2006 e Alessio la scrive solo per mettere in allarme l'amico politico: Provenzano è stato trovato e con lui tutte le lettere inviategli dal boss di Trapani. Di ciò Matteo Messina Denaro si lamenta parecchio fino ad usare parole pesanti verso il vecchio boss. Si tratta di una dura contestazione all'imprudenza di Provenzano che conservava i pizzini invece di distruggerli. "Lei sa - scrive 'Alessio' - a quello hanno trovato delle lettere, in particolare di quelle mie pare ne facesse collezione. Non so perchè ha agito così e non trovo alcuna motivazione a ciò e, qualora motivazione ci fosse, non sarebbe giustificabile... tutto potevo immaginare ma non questo menefreghismo da parte di una persona esperta, comunque non vado oltre perchè dovrei sbagliare a parlare e per abitudine non parlo mai alle spalle di alcuno".
26/04/2008
Fonte: La Sicilia

Foto di Falcone e Borsellino

PALERMO - Manifesti con le fotografie di Falcone e Borsellino e la scritta "Nel vostro ricordo per arrestare tutti i latitanti", sono stati affissi nel centro di Palermo. Alcuni sono stati messi anche sul murales che ritraeva il volto del boss mafioso latitante, Matteo Messina Denaro, realizzato su un muro alle spalle della cattedrale. Il manifesto è firmato dall'associazione "Mafia contro" di cui è portavoce Renato Campisi. Nel manifesto vi sono tre fotografie dei magistrati assassinati nelle stragi del '92. Analoga iniziativa è stata organizzata a Firenze, con una serie di fotografie che "raccontano" lo scempio di via Georgofili dopo l'autobomba che la mafia collocò a Firenze nel 1993. È questo il murale proposto dall'Associazione tra i parenti delle vittime di via dei Georgofili proposto per Matteo Messina Denaro, il boss di Cosa nostra latitante da anni e per il quale a Palermo ed a Castelvetrano sono spuntati murales."L'Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili - scrive Giovanna Maggiani Chelli - diffonde il proprio murale da affiggere simbolicamente per le vie di Palermo e Castelvetrano".
27/04/2008
Fonte: La Sicilia

Iniziativa del Bellini

CATANIA - Uno striscione che riproduce l'immagine, stile Pop Art di Andy Warhol, del boss latitante Matteo Messina Denaro e apparsa nei giorni scorsi sui muri di Palermo, campeggia da questa mattina sulla facciata del Teatro Bellini di Catania accompagnata dalla scritta "wanted". L'iniziativa provocatoria è del 'Bellini' che, spiega una nota, "vuole leggere l'anonima iniziativa palermitana sotto una luce positiva, come segno di incoraggiamento e di cambiamento, come peraltro nei canoni della Pop Art degli anni '60, ancora oggi considerata simbolo di una rivoluzione culturale"."Con questa sua iniziativa - si legge nel comunicato - il 'Bellini' ancora volta vuole stare, senza fraintendimenti e senza alcuna dietrologia, dalla parte di quei germogli di riscatto che si stanno pian piano sviluppando in tutta la Sicilia contro la piaga della mafia. Per questo - annunciano dal teatro massimo di Catania - lo striscione resterà esposto fin quando il boss Messina Denaro non verrà finalmente preso e assicurato alla giustizia".
29/04/2008
Fonte: La Sicilia

sabato, aprile 26, 2008

Arresti per pizzo...

PATERNÒ (CATANIA) - Francesco Amantea, imprenditore di 38 anni considerato l'attuale reggente del clan Assinnata e un altro imprenditore, G. M., 50 anni, sono stati fermati dai carabinieri della compagnia di Paternò con l'accusa di estorsione aggravata ai danni di imprenditori. L'operazione, denominata 'Santo protettore', è stata coordinata dalla Dda di Catania. G. M., accusato anche di usura aggravata, è stato scarcerato su disposizione del gip, che comunque ha riconosciuto a suo carico un quadro probatorio gravemente indiziario. Secondo gli investigatori, avrebbe avuto il compito di individuare le vittime e offrire loro la protezione del clan, accompagnandole al prelievo dei soldi in banca e alla successiva consegna.Le indagini dei militari hanno accertato l'esistenza un sistema di spartizione degli appalti e di estorsioni nei confronti di molte imprese da parte delle cosche mafiose che operano nel territorio di Paternò, e in particolare del gruppo denominato Assinnata, che fa capo al clan Santapaola.I carabinieri hanno scoperto una richiesta estorsiva di 20.000 euro da parte di Amantea nei confronti di un costruttore che aveva ottenuto un finanziamento bancario per completare i lavori di un complesso di villette a schiera e sono intervenuti al momento della consegna di una prima tranche della somma richiesta, bloccando Motta. La vittima dell'estorsione ha dapprima negato ma ha poi ammesso la richiesta di pizzo.
26/04/2008
Fonte: La Sicilia

Non so se e' in senso negativo...

PALERMO - Ancora un murales in stile pop art che raffigura il superlatitante trapanese Matteo Messina Denaro. Questa volta il luogo scelto dal misterioso writer, che si firma "F. A.", è la parete che confina con l'ingresso principale della facoltà di Giurisprudenza, a Palermo. Lo stile alla Andy Warhol è quello del disegno già apparso nei mesi scorsi dietro la Cattedrale. Stavolta però il murales di via dell'Università presenta la riproduzione di una sola immagine del capomafia, a differenza di quello trovato alle spalle della Cattedrale in cui ve ne erano quattro. Il nuovo "omaggio" è circondato da una cornice nera. Appare la scritta "Messina Denaro" e il logo del dollaro. Resta il giallo su chi sia l'autore di questi disegni da alcuni interpretati come una goliardata, da altri come un incitamento alla lotta a Cosa nostra, da altri ancora come un segnale inquietante. In ambienti giudiziari emerge il commento che questo disegno "porta a mitizzare l'immagine di un boss latitante e di un assassino". "Un esempio negativo - sostengono a palazzo di giustizia - che non vuole certo spronare all'arresto del boss mafioso ma in questo modo lo si fa diventare un idolo". Sul posto sono arrivati i carabinieri e gli investigatori; stanno avviando le procedure per far cancellare i due murales.
26/04/2008
Fonte: La Sicilia

giovedì, aprile 24, 2008

Senza parole...

Nel 2001 Mirello Crisafulli fu ripreso dalle telecamere dei carabinieri all’hotel Garden di Pergusa mentre incontrava l’avvocato Raffaele Bevilacqua. Parlarono di affari e politica. Parlarono di un campus universitario da realizzare a Enna bassa, un business da 120 miliardi. “Se sono amici miei, sono anche amici tuoi” - diceva l’avvocato al politico. Raffaele Bevilacqua era l’uomo di Provenzano nella provincia di Enna. Sembra che abbia persino partecipato a una riunione della cupola nel 1991, quando si decise di uccidere Falcone e Borsellino. Nel 2006 è stato condannato per associazione mafiosa. Il procedimento contro Crisafulli per concorso esterno in associazione mafiosa è invece archiviato perché il colloquio non portò alcun diretto beneficio a Cosa nostra. I giudici tuttavia scrivono: "è dimostrata da parte del Crisafulli la disponibilità a mantenere rapporti con il Bevilacqua". I rapporti fra i due costituiscono un complesso di contatti e disponibilità al dialogo di inquietante valenza: il solo fatto che un autorevole rappresentante politico incontri un personaggio del quale non poteva non ignorare (…) la nota caratura nel contesto della illiceità mafiosa, è fatto troppo grave perché sia il caso di insistere. Secondo il pentito Angelo Leonardo, poi, “la candidatura del Crisafulli alle elezioni regionali del 2001 avrebbe dovuta essere sostenuta dalla famiglia mafiosa in previsione di poter ottenere, tramite Crisafulli, contatti nel mondo imprenditoriale“.Mirello Crisafulli è stato accolto nell’ospitale Partito Democratico(quello della lotta alla mafia priorità assoluta).

Inorridito alla notizia, Benny Calasanzio ha telefonato alla segreteria siciliana.
Benny Calasanzio:“Vladimiro Crisafulli ha aderito al Pd?”

Segreteria Siciliana PD:“Sì, Crisafulli ha aderito”.

Benny Calasanzio:“Non si sente fuori posto a stare in un partito dove milita anche Crisafulli?”

Segreteria Siciliana PD:“No, e perché dovrei?”

Benny Calasanzio:“Signorina, è stato videoregistrato mentre si accordava su varie tematiche con un boss mafioso”.

Segreteria Siciliana PD:“Ho capito, ma Cuffaro è presidente della Regione, questo per lei non è un problema?”

Benny Calasanzio:“Cuffaro che governa da indagato è una giustificazione per voi che vi definite portatori di novità?

”Segreteria Siciliana PD:“Crisafulli non è mai stato condannato, quindi…”

Benny Calasanzio:“Signorina, mi scusi ma usa le stesse argomentazioni di Cuffaro”.

Segreteria Siciliana PD:“Ma sa, purtoppo in Sicilia può accadere a tutti di inciampare in simili episodi, anche a me”.

Dopo la surreale conversazione, Benny decide di scrivere al segretario regionale del Partito Democratico, Francantonio Genovese. Quello che, malgrado l’aspetto da senatore di Forza Italia, aveva dichiarato: “La lotta alla mafia sarà la priorità assoluta del Partito democratico, la più importante delle nostre battaglie, il primo dei nostri valori”. La risposta di Genovese è imbarazzante. Il segretario scrive, fra l’altro: “Ti dico subito che io sono convinto che la politica debba occuparsi della politica e ritengo anche pericoloso quando questa mostri la volontà di voler uscire dai suoi ambiti per sostituirsi alla Magistratura e agli organi inquirenti al fine di accertare e punire in vece loro. Credo che il rispetto delle regole sia un principio che debba valere erga omnes e che il diritto di difesa vada esteso al suo significato più ampio anche quando (…) se ne voglia censurare l’operato, adducendo operazioni a salvaguardia di una moralità che non può determinare, nella fattispecie, né preclusioni né censure.Queste mie riflessioni sono il frutto del dovere che sento di prendere in considerazione la Tua lettera e darle un significato etico che non può, comunque, travalicare i limiti della corrispondenza tra ciò che sarebbe opportuno e ciò che, concretamente, andrebbe fatto in presenza di fatti conclamati dalla magistratura e, quindi, da condannare anche dal punto di vista politico“.

Fonte: associazioneilpicchio.blogspot.com

Speriamo sia un incitamento

PALERMO - Un grande murales che raffigura il volto del boss mafioso latitante Matteo Messina Denaro è stato disegnato alle spalle della Cattedrale di Palermo, su un muro che delimita piazza Settangeli dalla chiesa. E' un'immagine a colori che sembra imitare lo stile della pop art di Andy Warhol, in particolare il volto di Marilyn Monroe. Il murales è composto da quattro ritratti, tutti dai colori diversi, che ricalcano una vecchia foto del latitante trapanese, che adesso è al vertice di Cosa nostra in Sicilia. Sembra una riproduzione in serigrafia del volto del capomafia.Alla base del disegno sono riportati otto simboli ($) del dollaro statunitense. Accanto, con vernice rossa, è stato scritto: "Messina Denaro $ L'ultimo!". Sulla destra, in alto, è stata lasciata una sigla "F.A." che potrebbero essere le iniziali dell'autore del disegno. Matteo Messina Denaro, 44 anni, è il capo del mandamento mafioso di Trapani. Ricercato dal 1993, aspira alla poltrona lasciata libera da Provenzano. Il boss nelle sue lettere cita Jorge Amado e Toni Negri e discetta di politica e giustizia. Nella corrispondenza coi suoi affiliati si fa chiamare Alessio o Svetonio. Ritenuto l'organizzatore e il promotore delle stragi di Roma, Firenze e Milano è stato condannato all'ergastolo. A Matteo piace il lusso, ama le belle donne, la buona tavola, la auto costose e le corse in moto. Dalle indagini emerge che l'intreccio affaristico-politico-mafioso ha protetto fino ad oggi la sua latitanza. Secondo il questore di Palermo, Giuseppe Caruso, il murales è una incitazione alla cattura del latitante. "L'ideale sarebbe fare spiegare il senso all'autore - ha detto Caruso -. A me piace interpretarlo come uno stimolo a catturare Messina Denaro, anche se non gravita su Palermo".
24/04/2008
Fonte: La Sicilia

22 arresti

PALERMO - Un boss di Cosa nostra, Angelo Galatolo, sarebbe stato a capo di una banda di narcotrafficanti che controllava il traffico di droga a Palermo. E' questa l'accusa contenuta nell'inchiesta che stamani sta portando i carabinieri del Comando provinciale a eseguire una imponente operazione per l'esecuzione di 22 ordinanze di custodia cautelare. L'indagine è coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo e i provvedimenti sono stati emessi dal gip Fabio Licata. Gli indagati sono accusati di associazione per delinquere finalizzata al traffico e allo spaccio di cocaina e hashish. Al boss che sarebbe stato a capo della banda di narcotrafficanti, confluivano gran parte degli introiti delle attività che, nel campo sia delle droghe leggere e pesanti, venivano gestite in una vasta parte della città. Nell'operazione sono impiegati oltre 300 carabinieri, elicotteri e unità cinofile. Secondo l'accusa, Galatolo, figlio di Vincenzo Galatolo, esponente di spicco di Cosa nostra della famiglia mafiosa di Palermo-Acquasanta, sfruttando la sua influenza sul territorio svolgeva una penetrante attività di copertura e "garanzia delle operazioni" dei fornitori e dei pusher e assicurava lo svolgimento dei traffici illeciti. Il boss pretendeva, per ogni affare andato in porto, sia nell'ambito del traffico di stupefacenti che di furti, la percentuale del 20 per cento degli incassi.L'inchiesta scaturisce dalle indagini condotte dai militari del Comando provinciale di Palermo che, attraverso intercettazioni durate oltre 18 mesi, hanno individuato due distinte organizzazioni, che operavano nei quartieri di Palermo Acquasanta, Montelpellegrino, Montalbo e Arenella, a cui corrispondevano altrettante reti di fornitori e pusher che si dividevano i mercati della cocaina e dell'hashish. L'organizzazione aveva una cassa comune composta dal capitale versato dai "soci" per l'acquisto di partite di droga, e dai guadagni derivanti dalla successiva rivendita degli stupefacenti. Gli associati, ogni due mesi, effettuavano i conteggi delle entrate e delle uscite, procedendo alla spartizione dei guadagni, rispetto ai quali andavano considerate le somme che Angelo Galatolo pretendeva per gli affari andati a buon fine e svolti nella zona di sua competenza.Il gruppo contava su diversi pusher (alcuni legati strettamente all'associazione), che non partecipavano agli investimenti ma guadagnavano in relazione alla droga che, acquistata dall'associazione, riuscivano a piazzare sul mercato. Inoltre, i pusher più fedeli acquistavano a credito e pagavano solo dopo l'ulteriore rivendita al minuto dello stupefacente. Il gruppo inoltre, quando calava l'attività di spaccio, si dedicava ai furti in appartamento o negli esercizi commerciali, all'interno di grossi uffici e anche in ospedale. Questo l'elenco delle persone arrestate: Angelo Galatolo, 40 anni, Fabrizio Basile, 33 anni, Giovanni Bellavista, 26 anni, Marco Buonamente, 28 anni, Salvatore Ferrara, 30 anni, Enrico Gandolfo, 25 anni, Valerio Giglio, 28 anni, Antonino Licata, 37 anni, Giuseppe Lo Nardo, 27 anni, Giuseppe Lo Re, 28 anni, Stefano Madonia, 25 anni, Salvatore Mamone, 28 anni, Domenico Migliore, 25 anni, Mauro Pepe, 32 anni, Salvatore Quartararo, 31 anni, Antonino Ragusa, 28 anni, Giuseppe Ruggeri, 32 anni, Francesco Salfilippo, 27 anni, Daniele Sedita, 28 anni, Davide Romano 32 anni. Due persone sono ancora ricercate.
21/04/2008
Fonte: La Sicilia

Consigliere, imprenditore e mafioso...

REALMONTE (AGRIGENTO) - Stanco delle continue richieste di pagamento del "pizzo", un imprenditore di Agrigento ha denunciato l'uomo che lo costringeva a piegarsi al racket, che è stato arrestato. In cella è finito Francesco Gucciardo, 31 anni, imprenditore di Realmonte (Agrigento), ex consigliere comunale del suo paese. L'indagine è stata condotta dagli agenti della Squadra mobile di Agrigento. I pm della Direzione distrettuale antimafia hanno chiesto ed ottenuto due ordini di custodia cautelare da parte del gip del tribunale di Palermo. Oltre a Gucciardo il giudice ha ordinato l'arresto di Vincenzo Iacono, 31 anni, manovale di Siculiana (Agrigento). Entrambi sono ritenuti responsabili di associazione mafiosa armata, in quanto in concorso tra loro e insieme ad altri soggetti già arrestati nei mesi scorsi nell'operazione denominata "Marna", sono pure accusati di aver fatto parte della famiglia mafiosa di Porto Empedocle gestendo la latitanza del boss Gerlandino Messina. I due arrestati avrebbero fatto parte anche della scorta armata che proteggeva gli spostamenti sul territorio del latitante. L'ex consigliere comunale Francesco Gucciardo era già finito in cella il 29 ottobre dello scorso anno perchè accusato di mafia, ma era stato scarcerato poco tempo dopo dai giudici del Tribunale del Riesame per mancanza di indizi. Le indagini effettuate nei mesi scorsi dalla polizia di Stato e la collaborazione di un imprenditore locale, hanno permesso di raccogliere ulteriori elementi a carico di Gucciardo, tanto da dimostrare, per gli inquirenti, il suo coinvolgimento in Cosa nostra. Secondo l'accusa l'ex consigliere comunale avrebbe riscosso personalmente il "pizzo" (circa 15 mila euro), per circa quattro anni, da una ditta, il cui titolare, stanco delle continue richieste e spinto dall'esempio di altri imprenditori agrigentini che hanno denunciato le richieste di estorsione, ha deciso di collaborare con la polizia.Il coraggio di questo imprenditore si aggiunge a quello di altri cinque suoi colleghi che poche settimane fa hanno deposto durante un incidente probatorio che si è svolto davanti al gup del tribunale di Palermo, nel processo scaturito in seguito agli arresti dell'operazione denominata "Marna" in cui le vittime del pizzo hanno denunciato i propri estorsori.
23/04/2008
Fonte: La Sicilia

Chiusura delle indagini a Caltanissetta...

CALTANISSETTA - La Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta ha chiuso le indagini sull'ex amministratore delegato della Calcestruzzi spa, Mario Colombini, arrestato lo scorso gennaio per truffa, inadempimento di contratti di pubbliche forniture e intestazione fittizia di beni, con l'aggravante di avere agevolato l'attività di Cosa nostra. Chiusa l'inchiesta anche per Fausto Volante, direttore di zona per la Sicilia e la Campania, anche lui arrestato a gennaio, e per i due ex capiarea, Giovanni Laurino e Francesco Librizzi, entrambi licenziati dalla Calcestruzzi. Sono accusati di associazione mafiosa e frode in pubbliche forniture aggravata dall'avere agevolato la mafia. Secondo gli inquirenti la Calcestruzzi avrebbe proceduto, non solo nella provincia di Caltanissetta e in Sicilia, ma su tutto il territorio nazionale, alla creazione di fondi neri, "da destinare - sostengono i pm - quantomeno in Sicilia, alla mafia". L'azienda avrebbe fornito calcestruzzo di qualità inferiore a quello richiesto dalle imprese che eseguivano appalti pubblici. L'inchiesta si basa anche sulle dichiarazioni di Salvatore Paterna, ex dipendente dell'azienda, arrestato e condannato per mafia nei mesi scorsi. L'inchiesta, condotta da carabinieri e Guardia di Finanza, è coordinata dal sostituto procuratore Nicolò Marino.
21/04/2008
Fonte: La Sicilia

Povero... Adesso e' depresso...

(AGI) - Palermo, 18 apr. - L'ex deputato regionale di Forza Italia Giovanni Mercadante ha ottenuto gli arresti domiciliari per motivi di salute dalla seconda sezione penale del Tribunale di Palermo, presieduta da Antonio Prestipino, che lo sta processando per associazione mafiosa. La decisione e' stata adottata dopo una nuova perizia medica che ha attestato il grave deterioramento delle condizioni di salute di Mercadante, affetto da una profonda depressione. L'ex parlamentare era detenuto dal luglio del 2006. Nel concedergli la detenzione in casa, il Tribunale ha tenuto conto anche del fatto che in Italia non esiste un centro clinico penitenziario in grado di fornire a Mercadante l'assistenza sanitaria di cui ha bisogno.
Fonte: AGI.it

Ogni volta scoprono l'acqua calda......

ROMA - La mafia è più forte dello Stato. Quello che suona come un grido d'allarme per le istituzioni, arriva dagli studenti siciliani. Un giudizio impietoso che non risparmia neanche la politica, ritenuta fortemente collusa con Cosa Nostra. È quanto emerge da una ricerca realizzata dal centro studi "Pio La Torre" sugli alunni degli istituti scolastici della Sicilia. Un'indagine che tratteggia anche un ritratto inquietante del boss mafioso, immorale ma forte. E quindi inevitabilmente "fascinoso". Se lo Stato rischia di uscire perdente dal confronto con la mafia a rimetterci è soprattutto la Sicilia, che secondo gli studenti dell'isola deve la sua arretratezza economica, alla presenza dei clan. Per questo la maggior parte degli intervistati non ha dubbi: "la mafia non serve per andare avanti". Ma sconfiggerla al momento sembra davvero difficile. Mafia più forte dello Stato. È questo il primo dato che emerge dalla ricerca del Centro Studi Pio La Torre tra 2.368 studenti di 47 istituti superiori siciliani, presentata stamattina a Palermo, in occasione del 26esimo anniversario dell'assassinio del segretario del Pci siciliano. Lo pensa il 50,9% degli intervistati. Solo il 16,8% del campione percepisce le istituzioni più forti, mentre per il 20,6% Stato e mafia sono ugualmente forti. Un senso di sfiducia che non risparmia il luogo in cui si vive. Gli studenti dichiarano di sentire molto la presenza di Cosa Nostra nelle loro città (56,1%) in particolare perché dedita allo spaccio di droga (58,4%) e al "pizzo" (59,3%). Per questo il 55,% degli intervistati non crede che la mafia possa essere un giorno sconfitta. Politica compromessa. Il sentimento di pessimismo non risparmia la politica. Il 56% dei giovani siciliani ritiene la classe dirigente siciliana fortemente compromessa con il fenomeno mafioso. Una piovra che mantiene un rapporto molto stretto con gli esponenti politici (88,6%) e che si alimenta reciprocamente con l'arretratezza economica dell'isola, influendo negativamente (85,6%) sullo sviluppo della Sicilia. Proprio le condizioni economiche della loro regione, fanno dire all'89,1% dei ragazzi "di non aver bisogno della mafia" per la costruzione del loro futuro. Anzi, Cosa Nostra, resta per il 41,8% degli studenti, un "ostacolo per il proprio avvenire". Il fascino del boss. L'uomo di Cosa Nostra è sentito come un soggetto immorale ma competente, forte, potente e attivo. I tratti che caratterizzano il mafioso sono, infatti, forte tradizionalismo (per il 69,2%), maschilismo (78,5%), omertà (68,2%), prepotenza (91,5%). Una visione che risente anche delle influenze fascinose di cinema e tv, che restano per i ragazzi il principale strumento di informazione. Per questo oltre la metà degli studenti sostiene che la mafia, al contrario dello Stato, sa come farsi rispettare. E il 73,9% sostiene che la forza dei boss sta nella loro capacità di incutere paura. "Lo Stato - spiegano gli autori della ricerca - rischia di uscire perdente dal confronto con la mafia quando il terreno di confronto è quello della brutalità, del dominio, della sottomissione, che nell'immaginario dei giovani legittima il rispetto di cui gode il mafioso". I commenti. Che lo Stato esca sconfitto dal confronto con la mafia, non può non sembrare sorprendente agli uomini delle istituzioni. Secondo il questore di Palermo, Giuseppe Caruso: "Così come è stata posta la domanda è stata data una risposta fuorviante perché si è chiesto chi incute maggiore rispetto tra mafia e Stato. Gli studenti non vedono lo Stato - ha concluso Caruso - in una posizione di subalternità". Stupito anche il procuratore della Repubblica di Palermo, Francesco Messineo:"Sono sorpreso che si abbia questa percezione. Secondo me si tratta di una affermazione che non ha alcun fondamento. È vero esattamente il contrario, cioè che lo Stato ha ormai preso la decisiva e definitiva preminenza sulla mafia, in un processo irreversibile da cui non si torna indietro".
Fonte: La Repubblica

venerdì, aprile 18, 2008

Arrestato Distefano

Il presunto boss del clan Santapaola, Lucio Distefano, 34 anni, e' stato arrestato dai carabinieri a Nicolosi. L'uomo deve scontare 5 anni e dieci mesi di reclusione per associazione mafiosa finalizzata alle estorsioni e al traffico di droga. Distefano e' stato rinchiuso nel carcere di piazza Lanza sulla base di un ordine di carcerazione della Procura generale della Repubblica presso la corte d'appello di Catania.
Fonte: La Repubblica

Ecco cosa accade in Italia

ROMA - Paga lo Stato il conto dell'avvocato Giovanni Anania, difensore di fiducia di Antonino e Giuseppe Madonia, 'rampolli' del boss Francesco (morto lo scorso anno), condannati all'ergastolo per delitti di mafia e fratelli di Salvatore, il killer che uccise l'imprenditore antiracket Libero Grassi. I due fratelli sono ammessi al gratuito patrocinio - anche per l'udienza svoltasi oggi innanzi alla Suprema Corte - perchè risultano nullatenenti nonostante al loro clan siano stati sequestrati e confiscati diversi beni di ingente valore, come appartamenti e terreni. Su un ex fondo dei Madonia, di 42 mila metri quadrati, il Comune di Palermo negli anni passati ha realizzato un parco pubblico. Al termine della sua arringa - svoltasi nel pomeriggio in Cassazione innanzi alla Seconda sezione penale - l'avvocato Anania ha consegnato l'apposita certificazione per ricevere il compenso erariale. Salvatore Madonia è, invece, stato difeso dall'avvocato Gianfranco Viola di Palermo che ha depositato il ricorso ma non è venuto personalmente a discuterlo.
17/04/2008
Fonte: La Sicilia

Niente sconti

ROMA - La seconda sezione penale della Cassazione ha confermato tutte le condanne per i capi di Cosa nostra imputati di decine di omicidi compiuti a Palermo dal 1981 al 1991. Confermata anche la condanna all'ergastolo per il killer dell'imprenditore catanese Libero Grassi ucciso il 29 agosto 1991 perché si era ribellato al racket delle estorsioni mafiose. La II sezione penale della Cassazione, presieduta da Giuseppe Cosentino, ha rigettato tutti i ricorsi dei 27 imputati, accogliendo le richieste del pg Mario Fraticelli, che aveva chiesto le conferme delle condanne della Corte d'appello di assise di Palermo all'ergastolo per gli omicidi (più di mille) compiuti dai boss della mafia, tra i quali Totò Riina e Bernardo Provenzano, nella guerra tra cosche durata dal 1981 al 1991. Una guerra tra cosche culminata nell'uccisione dell'imprenditore catanese antiracket Libero Grassi, che per primo si era rifiutato di pagare il pizzo, dando il via a una protesta contro il malaffare e la criminalità. Confermati anche i risarcimenti alle parti civili e la condanna al pagamento delle spese processuali per i 27 imputati.La ricostruzione dei delitti avvenuti in quegli anni è stata possibile grazie alle dichiarazioni di pentiti come Francesco Marino Mannoia e da ultimo Antonino Giuffrè. Sullo sfondo di questi 10 anni, la guerra tra la cosca di Riina e Provenzano, favorevoli a una linea stragista per gli obiettivi di Cosa nostra, e i vecchi boss Bontade e Inzerillo. Con la sentenza della Cassazione si chiude l'ultima tranche del processo per gli omicidi degli anni 80 nato dalle dichiarazioni rese a Giovanni Falcone da Tommaso Buscetta nel primo maxi-processo a Cosa nostra.
18/04/2008
Fonte: La Sicilia

mercoledì, aprile 16, 2008

Veleggiata anti mafia

GENOVA - Da Sanremo a Cinisi dove trent'anni fa fu ucciso Peppino Impastato: è il percorso della "Veleggiata antimafia" partita dalla città ligure e che si concluderà a Cinisi il 9 maggio. L'iniziativa è stata presentata nella sede dell'Arci a Genova, seconda tappa della regata."È la prima edizione ed è organizzata dal centro Peppino Impastato di Sanremo - ha detto il presidente Arci Genova, Gabriele Taddeo - siamo convinti che la lotta alla criminalità organizzata vada portata avanti anche nelle regioni del Nord". La regata toccherà Savona, Genova, La Spezia, Livorno, Anzio, Napoli, Tropea, Messina per terminare a Cinisi il giorno della morte di Impastato ucciso tra l'8 ed il 9 maggio del '78. Alla tappa genovese collaborano Arci e Cgil che da cinque anni promuovono iniziative per la promozione della legalità, insieme agli enti locali (Comune, Provincia e Regione) ed una rete di associazioni come Bottega solidale o Legacoop. In occasione dell'arrivo della barca di dieci metri 'Martinez...Impunitò alla Marina Molo vecchio il 16 e 17 aprile, ci saranno due iniziative giovedì prossimo: alla mattina una mostra per le scuole a Palazzo San Giorgio e al pomeriggio un convegno sempre a Palazzo San Giorgio con il prefetto Anna Maria Cancellieri e la presidente dell'Anm Genova Anna Canepa. Uno degli argomenti sarà la legalità nell'edilizia. Antonio Molari a nome di Cgil, Cisl e Uil ha rimarcato "l'illegalità generale nei cantieri perchè in appalti e subappalti a volte s'inserisce la criminalità organizzata. Per questo le autorità e gli enti pubblici devono partecipare ad un controllo del territorio nella convinzione che la mafia non è un problema del Sud".
15/04/2008
Fonte: La Sicilia

Miceli socialmente pericoloso

PALERMO - L'ex assessore al comune di Palermo Mimmo Miceli dell'Udc, condannato in primo grado a 8 anni per concorso in associazione mafiosa, è "socialmente pericoloso". Il giudizio è stato espresso dai magistrati della sezione misure di prevenzione del tribunale che hanno applicato all'ex politico la misura della sorveglianza speciale. A seguito del provvedimento del collegio, l'ex esponente Udc non potrà lasciare il capoluogo siciliano né uscire di casa dalle 21 alle 7 di mattina e dovrà anche firmare in commissariato tre volte alla settimana. Secondo i giudici esiste "una grave e persistente pericolosità sociale" legata a un'ancora attuale capacità di interferenza di Miceli. In particolare, secondo il collegio, "il prevenuto (che è medico n.d.r.) rimane inserito stabilmente nel sistema della sanità, essendo stato riammesso subito dopo la scarcerazione". "Si tratta di un settore pubblico - continua il provvedimento - ampiamente inquinato da interferenze deteriori, nel quale l'intreccio tra potere mafioso e gestione politico-clientelare dei pubblici incarichi ha manifestato la massima capacità di espressione". I legali dell'ex assessore avevano obiettato che l'uscita di scena dalla vita politica del loro assistito, di fatto, gli impedirebbe di porre in essere comportamenti analoghi a quelli per cui è stato condannato.
12/04/2008
Fonte: La Sicilia

Altri 4 arresti per racket

CALTANISSETTA - La polizia ha eseguito quattro provvedimenti cautelari nei confronti di pregiudicati di Gela che imponevano il pagamento del "pizzo" ad imprenditori e commercianti. Le ordinanze sono state emesse dal Gip del Tribunale di Caltanissetta, Fabrizio Nicoletti, su richiesta procuratore Sergio Lari, dell'aggiunto Renato Di Natale e dai sostituti Nicolò Marino e Serafina Cannatà. Gli indagati si presentavano a nome della "Stidda", l'organizzazione mafiosa della zona e agli operatori economici imponevano la tangente sottoforma di "regalo" da elargire in occasione delle principali festività o per aiutare i detenuti in carcere. I fatti si sarebbero verificati a partire dal settembre 2007 e successivamente in diversi occasioni. In un caso la vittima ha pagato 1500 euro. L'altra richiesta estorsiva, da 20 mila euro, non è stata versata perché la vittima prese tempo. Gli agenti della Squadra mobile e del Commissariato di Gela hanno notato il continuo andirivieni dei quattro indagati nei locali delle aziende prese di mira, attivando servizi di appostamento e di intercettazioni ambientali attraverso le quali è stato possibile raccogliere prove schiaccianti per dimostrare le estorsioni. L'operazione è stata denominata "High Pressure". In manette sono finiti: Salvatore Cavallo, 25 anni; Giuseppe Alessandro Antonuccio, di 29 e Alfonso Terlati, di 24. In carcere il provvedimento è stato notificato ad Angelo Fiorisi, 41 anni, ritenuto il capo della banda. Sono accusati di associazione mafiosa, e ad eccezione di Fiorisi, di estorsione e tentata estorsione, in concorso, aggravata dal metodo mafioso.
15/04/2008
Fonte: La Sicilia

Doppio pizzo

MESSINA - La polizia ha eseguito un'ordinanza di custodia cautelare in carcere per estorsioni imposte a commercianti di Messina. I provvedimenti, firmati dal Gip Maria Teresa Arena, riguardano pregiudicati appartenenti alla criminalità organizzata del Rione Giostra. In manette sono finiti: Domenico Arena, 41 anni; Vincenzo Barbera, 40 anni; Placido Bonna, 33 anni e Maurizio Papale, 39. Ai primi tre è contestata l'accusa di concorso in estorsione con l'aggravante dell'associazione mafiosa, mentre a Papale vengono contestati i reati di rapina, porto e detenzione illegale di arma da fuoco. Gli indagati sono accusati di estorsioni e rapine al titolare di una pizzeria e di una sala giochi, nella zona nord della città peloritana. Le indagini, coordinate dai pm Vincenzo Barbaro e Vito Di Giorgio, hanno permesso di accertare che l'imprenditore, da otto anni, era vittima di due gruppi criminali antagonisti ma non contrapposti, nei cui confronti era costretto a pagare mensilmente delle cospicue somme di denaro. Il primo gruppo era riconducibile a Vincenzo Barbera, che si avvaleva della forza intimidatrice del fratello Gaetano Barbera, detenuto e sottoposto al 41 bis, e l'altro faceva capo a Domenico Arena, detto "micio". Per costringere l'imprenditore a pagare per garantirsi la protezione, le organizzazioni avevano effettuato delle rapine negli esercizi commerciali, di cui la vittima del pizzo è titolare.
15/04/2008
Fonte: La Sicilia

Otto arresti per racket

RAGUSA - Otto persone sono state arrestate, la scorsa notte, in provincia di Ragusa, da carabinieri e polizia nell'ambito di un'operazione coordinata dalla Dda di Catania. Sono accusate di associazione a delinquere finalizzata alle estorsioni nei confronti di commercianti e imprenditori di Comiso, Vittoria e Ragusa. Nelle abitazioni di diversi arrestati sono stati trovate e sequestrate due pistole - una con il silenziatore - e alcune munizioni. Scoperti anche documenti che proverebbero l'attività estorsiva dell'organizzazione.Le persone fermate nell'ambito del blitz effettuato da polizia e carabinieri di Ragusa sono: Filippo Ventura, 54 anni, Paolo Cannizzo, 44 anni, Salvatore Fede, 51 anni, Giovanni Busacca, 31 anni, Angelo Di Mercurio, 34 anni, Giuseppe Ottaviano, 29 anni, Andrea Corallo, 37 anni e Giovanni Candiano, 34 anni. Sono accusati di associazione a delinquere finalizzata all'estorsione. Secondo gli investigatori, l'organizzazione, che avrebbe avuto base operativa a Vittoria, avrebbe fatto capo al clan ragusano dei 'Dominante'. Il ruolo di comando sarebbe stato ricoperto da Filippo Ventura,54 anni, tra i fermati da polizia e carabinieri. L'inchiesta è partita nel 2006. Decine gli imprenditori e i commercianti costretti a pagare il pizzo. Sarebbe stato Ventura, uscito dal carcere un anno e mezzo fa, dopo una condanna per associazione mafiosa per aver fatto parte del clan 'Dominante', ad organizzare l'agguerrita banda di estorsori che in pochi mesi ha sottoposto ad intimidazione centinaia di imprese del ragusano e soprattutto nell'area vittoriese. Nel mirino del racket erano finite imprese di tutti i settori: dalla grande distribuzione ai locali notturni, dalle costruzioni al commercio al dettaglio, dall'artigianato ai servizi. Nessuno, però, dicono gli investigatori che hanno lamentato la scarsa collaborazione degli estorti, ha denunciato i taglieggiamenti.Secondo quanto accertato dagli inquirenti, la banda avvicinava le vittime sostenendo di avere bisogno di denaro per aiutare i detenuti in carcere e le loro famiglie. In caso di rifiuto, seguivano avvertimenti intimidatori, danneggiamenti, attentati incendiari. Elemento di spicco dell'organizzazione, oltre a Ventura, era Giovanni Busacca, una condanna per mafia; mentre altri cinque degli indagati colpiti da provvedimento di fermo della Direzione Distrettuale Antimafia di Catania hanno precedenti per estorsioni. Le indagini sono state condotte dal comando provinciale dei carabinieri di Ragusa e dalla polizia.
16/04/2008
Fonte: La Sicilia

Avvocatessa arrestata

(ANSA) - AGRIGENTO, 8 APR - La polizia di Agrigento ha arrestato a Palermo un'avvocatessa, accusata di favoreggiamento aggravato nei confronti della mafia. La donna, Gaetana Maniscalchi, detta Lucia, di 37 anni, e' dipendente dell'Ast (Azienda siciliana trasporti), dove ricopre un ruolo dirigenziale. L'arresto rientra nell'inchiesta sui favoreggiatori del boss mafioso latitante Giuseppe Falsone, ritenuto il capo di Cosa nostra ad Agrigento. Altri due arresti sono stati eseguiti a Naro.
Fonte: Ansa.it

Mori sara' processato

PALERMO - Il pentito Antonino Giuffrè se lo ricorda benissimo: nel 1995 Bernardo Provenzano si vedeva spesso a Mezzojuso, piccolo centro arroccato sulle colline tra Palermo ed Agrigento. Lui stesso lo incontrò più volte insieme ad un altro boss di prima grandezza, Benedetto Spera, in una masseria di campagna, probabilmente quella stessa nella quale il 31 ottobre di quell'anno i carabinieri del Ros avrebbero potuto già catturare il capomafia latitante se solo avessero dato retta alle confidenze del pentito catanese Luigi Ilardo, poi ucciso poco dopo, che da qualche settimana parlava con il colonnello Michele Riccio. Ma quel blitz, che pure Riccio sollecitò caldamente in una riunione a Roma, non si fece mai. "Non ci sono uomini e mezzi attualmente, provvederemo poi noi", avrebbero risposto l'allora vicecomandante del Reparto operativo Mario Mori e il comandante del reparto criminalità organizzata Mauro Obinu. E a Mezzojuso arrivarono solo otto carabinieri che si limitarono a fotografare quel casolare che, con tutta probabilità, Provenzano utilizzava per i suoi summit. Una decisione che, tredici anni dopo e nonostante un'iniziale richiesta di archiviazione respinta dal gip, è costata al prefetto Mori e al colonnello Obinu un rinvio a giudizio per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra. Perché quel "rifiuto" arrivato dai vertici del Ros, secondo il gup di Palermo Mario Conte, fu un modo per aiutare il boss corleonese a sottrarsi alla cattura per qualche patto scellerato non ancora chiarito ma probabilmente della stessa natura di quello che sarebbe stato alla base della mancata perquisizione del covo di Totò Riina appena tre anni prima. Un'accusa, quest'ultima, per la quale Mori, insieme al capitano "Ultimo" ( l'uomo che catturò Riina) ha già subito un processo finito con l'assoluzione. Dal 18 giugno prossimo l'ex direttore del Sisde sarà di nuovo alla sbarra davanti ai giudici del tribunale di Palermo per un processo che cercherà di far luce sui tanti misteri e sulle coperture che per più di trent'anni hanno consentito a Bernardo Provenzano, poi catturato nell'aprile del 2006 a Corleone, di sottrarsi alla cattura. Ieri, presente all'udienza preliminare, Mori ha lasciato il Palazzo di giustizia di Palermo senza dire una parola. Per lui e per il colonnello Obinu hanno parlato i difensori, gli avvocati Piero Milio ed Enzo Musco: "Prendiamo atto del rinvio a giudizio del generale Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu con la certezza di poter fare emergere nel processo l'inconsistenza della tardiva accusa proveniente da un soggetto riconosciuto mentitore da diverse autorità giudiziarie del Paese e, quindi, l'assoluta estraneità degli ufficiali del Ros agli addebiti contestati già evidente sin dall'inizio". Il riferimento dei legali è al principale teste dell'accusa, il colonnello Michele Riccio, sotto processo a Genova per avere condotto in maniera molto spregiudicata un'indagine su un traffico di droga, che - a loro dire - si sarebbe voluto vendicare dei colleghi che non lo avrebbero "coperto". Parole alle quali il pm Nino Di Matteo ha replicato sostenendo che non è Riccio il dato fondamentale del processo ma quello che è risultato dalle indagini condotte da altri carabinieri.
Fonte: La Repubblica

Alla fine vincono gli imprenditori che protestarono

GELA (CALTANISSETTA) - La Guardia di Finanza, su ordine della Procura, ha proceduto questa mattina, presso la sede dell'Ato-Ambiente CL2, all'acquisizione degli atti riguardanti la gara d'appalto e il relativo bando per il servizio di raccolta differenziata e di smaltimento dei rifiuti solidi urbani. All'assegnazione dell'appalto, dell'importo di 22 milioni a base d'asta, aveva partecipato una sola ditta con il ribasso dello 0,1%. Il sindaco di Gela Rosario Crocetta e il neosenatore Giuseppe Lumia (Pd) criticarono sia l'andamento della gara che le norme-capestro contenute nel bando. Gli imprenditori dell'associazione temporanea d'imprese, che per nove anni avevano svolto quel lavoro, si videro esclusi da vincoli e cavilli contestati con ricorso al Tar. Per protestare si barricarono sul tetto della palazzina dell'Ato-rifiuti di Gela, ottenendo dalla maggioranza dei comuni soci dell'Ato la revoca dell'appalto, dopo 48 ore di contestazione.Il CdA dell'Ato CL2 si è riunito ieri in seduta straordinaria, ma prima di procedere alla ratifica della revoca, ha deciso di analizzare bene gli atti con l'ausilio di giuristi. Crocetta, che da tempo sollecita un'inchiesta giudiziaria sulla vicenda, ha convocato una conferenza stampa per venerdì, annunciando "rivelazioni clamorose". Sarà presente Lumia.
16/04/2008
Fonte: La Sicilia

Arrestato geometra a Enna

PALERMO - I carabinieri del comando provinciale di Enna, coordinati dalla Dda di Caltanissetta, hanno arrestato, in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Caltanissetta, Nicola Di Bari, 53 anni, geometra all'ufficio tecnico, sezione viabilità, della Provincia di Enna. E' accusato di corruzione, concussione ed estorsione nei confronti di 4 imprese edili dell'Ennese. Di Bari avrebbe ricevuto dai titolari delle ditte somme di denaro, materiale e mezzi per ristruttura la propria abitazione, in cambio dell'assegnazione dei lavori di somma urgenza per la sistemazione delle strade provinciali, minacciando le vittime che, se non avessero accettato le sue richieste, le avrebbe escluse.
16/04/2008
Fonte: La Sicilia

giovedì, aprile 10, 2008

Imprenditori protestano

GELA (CALTANISSETTA) - Sette imprenditori dell'associazione temporanea di impresa (Ati) Econet, che gestisce il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani nei comuni della fascia sud della provincia di Caltanissetta, sono barricati da ieri sera sopra il tetto della palazzina di cinque piani che ospita la sede dell'Ato Ambiente Cl2, a Gela, nel quartiere Villaggio Aldisio. Sono Riccardo Greco, Luca Callea, Matteo Consoli, Sebastiano Migliore, Gaetano Greco Nunzio Cannizzo e Vincenzo Greco. Protestano contro le presunte irregolarità che avrebbero caratterizzato la nuova gara d'appalto del servizio, espletata martedì scorso, che loro definiscono 'gara-farsa' (vi ha partecipato una sola ditta, la quale ha fatto un ribasso dello 0,1% su un importo di quasi 22 milioni di euro) e che hanno deciso di impugnare, con il sostegno del sindaco di Gela, Rosario Crocetta. Sia il sindaco che gli imprenditori sono convinti che l'ecomafia stia tentando di controllare uno degli appalti pubblici più ricchi della zona. Sotto accusa le regole del bando che pretendendo dai partecipanti una 'capacità tecnica' di 21 milioni e 600 mila euro, ovvero pari all'ammontare della base d'asta dell'appalto, escludono di fatto gli imprenditori uscenti, che a tale cifra non arrivano, anche perchè, avendo denunciato di essere vittime del pizzo, non hanno trovato altri soci disposti a mettere i loro capitali in gioco per un appalto di soli due anni. Ora, oltre all'annullamento della gara e alla modifica del bando,chiedono all'Ato-rifiuti il pagamento di somme arretrate pari a 6 milioni di euro. Sono a rischio cento posti di lavoro.
10/04/2008
Fonte: La Sicilia

15 ordinanze per racket

MESSINA - I carabinieri stanno eseguendo nelle province di Messina, Catania e Ancona 15 ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal gip del tribunale di Messina su richiesta della locale procura distrettuale antimafia. Gli arrestati sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsioni, danneggiamenti, detenzione illegale di armi. Altre 30 persone sono indagate a piede libero. Le indagini condotte dal Ros sin dal 2006 hanno documentato le infiltrazioni del gruppo criminale affiliato alla famiglia mafiosa di Barcellona Pozzo di Gotto in alcuni appalti pubblici nel messinese. Tra questi lavori quelli per la metanizzazione e per il raddoppio della tratta ferroviaria Messina-Palermo. Tra gli interessi illeciti del sodalizio criminale anche l'indotto relativo alla gestione delle due discariche più importanti dell'area che smaltiscono rifiuti solidi urbani e speciali dell'intera provincia di Messina. Il sodalizio criminale guidato da Carmelo Bisognano era considerato dai militari dell'Arma legato al clan Santapaola di Catania.
10/04/2008
Fonte: La Sicilia

Anche un poliziotto arrestato...

CATANIA - Nove persone, alcune delle quali ritenute vicine al clan Santapaola, sono state arrestate a Catania nell'ambito di un'operazione anti usura ed estorsione attuata ai danni di un commerciante del settore dei ricambi auto. Tra i destinatari dell'ordinanza di custodia cautelare c'è anche un ispettore di polizia, Giuseppe La Motta, di 46 anni, al quale il gip Antonino Caruso ha concesso gli arresti domiciliari. Secondo l'accusa l'investigatore sarebbe intervenuto in favore di suo fratello, Massimo Giovanni, di 37 anni, che era tra i creditori della vittima, e che è tra gli arrestati e accusato, assieme ad altri due indagati, Giuseppe Barbagallo, di 55 anni, e Carmelo Salemi, di 38, di tentativo di estorsione aggravata dall'avere agito per agevolare l'associazione mafiosa Santapaola. Le indagini non avrebbero evidenziato l'esistenza di rapporti economici tra la vittima e l'ispettore di polizia, e quest'ultimo è risultato completamente estraneo ai contesti mafiosi emersi dall'inchiesta Gli accertamenti della squadra mobile della Questura erano centrate su diversi prestiti a usura, per circa 20-25 mila euro, che il commerciante aveva ottenuto, pagando tassi variabili tra il 72 e il 120% l'anno. Gli altri arrestati sono Pasquale Bartorilla, di 36 anni, Giuseppe Fresco, di 69, Qirino Lanzafame, di 52, Orazio Massimiliano Leotta, di 36, e Carmelo Lorenzo Salemi, di 52.
07/04/2008
Fonte: La Sicilia

Vedremo...

(AGI) - Palermo, 3 apr. - La difesa produce nuove intercettazioni, depositate in un'inchiesta archiviata ma non nel processo principale, e viene nuovamente rinviato il dibattimento di appello contro Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco di Palermo Vito, scomparso anni fa dopo essere stato condannato per mafia. Nelle conversazioni, delle quali oggi e' stata chiesta la trascrizione e l'acquisizione agli atti, Ciancimino junior parlava di provvigioni che egli avrebbe intascato sulle attivita' economiche di uno dei suoi coimputati, l'avvocato tributarista Gianni Lapis: secondo la difesa, questo proverebbe che gli interessi dell'imprenditore sarebbero stati leciti e che i due non avrebbero cercato di riciclare il tesoro di don Vito Ciancimino, cosi' come sostiene l'accusa. Una tesi alla quale il procuratore generale Angela Tardio replichera' alla prossima udienza, prevista per l'8 maggio. Il giudizio e' in corso davanti alla quarta sezione della Corte d'appello di Palermo, presieduta da Rosario Luzio. In primo grado, col rito abbreviato, davanti al Gup, il 10 marzo dell'anno scorso, Massimo Ciancimino ebbe cinque anni e otto mesi, Lapis cinque anni e quattro mesi, come l'altro avvocato imputato, Giorgio Ghiron. Un anno e quattro mesi e' invece la condanna toccata alla quarta imputata, Epifania Silvia Scardino, vedova di Vito e madre di Massimo Ciancimino.
Fonte: Agi.it

Come funziona la (in)giustizia italiana

L'ex governatore cita in giudizio Giusto Catania, Rc
Palermo 7 apr. - Totò Cuffaro, pur dispiaciuto del fatto che Silvio Berlusconi non abbia ritirato un vassoio di cannoli presso una nota pasticceria di Palermo, cannoli offerti dall'ex governatore, si consola intentando cause per risarcimento danni. La prima l'ha vinta: dovrà essere risarcito da La Repubblica, condannata a pagare 50 mila euro, per aver pubblicato un accostamento fotografico tra Cuffaro e Bernardo Provenzano. L'avvocato Salvatore Ferrara, legale del politico Udc, ha citato in giudizio l'europarlamentare Giusto Catania, di Rifondazione comunista, che avrebbe fatto riferimento "suggestivi" tra Cuffaro e Vito Ciancimino, tra la stagione delle stragi e l'omicidio di Salvo Lima. Da indiscrezioni, analoga iniziativa giudiziaria, sarà avviata dai legali di Cuffaro, nei confronti di Alberto Nerazzini e Stafano Maria Bianchi, autori de La mafia è bianca.

Fonte: voce d'Italia

Ma perche' lo fanno anche parlare...

Pur riconoscendo il ruolo fondamentale dell'Antimafia, definendola importantissima, il senatore Marcello Dell'Utri concorda con la riflessione di alcuni internauti di Youtube che l'hanno paragonata a un brand pubblicitario. "Ne ho un'esperienza personale. L'antimafia e' importantissima, ma quando diventa una sorta di brand non e' un fatto positivo. Dopotutto, lo aveva gia' detto Sciascia. Non c'e' bisogno di ripeterlo. Certo, si tratta di un accostamento singolare". Cosi' il senatore Marcello Dell'Utri in un'intervista rilasciata a Klaus Davi per 'KlausCondicio', il primo contenitore di approfondimento politico in Rete, in onda su YouTube.
Fonte: La Repubblica

Ergastolo a Provenzano

Palermo, 7 apr. - (Adnkronos) - Il boss Bernardo Provenzano e' stato condannato all'ergastolo dai giudici della Corte d'Assise di Palermo per l'omicidio di Gandolfo Panepinto, un meccanico freddato a Valledolmo (Palermo) nel 1988. La condanna a morte fu decretata per punirlo di aver messo a segno delle rapine senza la preventiva autorizzazione di Cosa Nostra.
Fonte: Adnkronos

Ecco a voi i nostri politici e le loro dichiarazioni...

Singolare dichiarazione su Trapani Ok di qualche giorno fa dell' ex Presidente della Provincia e leader di Forza Italia in Provincia di Trapani, Antonio D'Alì. D'Alì commentando le numerose inchieste giornalistiche sulla presenza della mafia a Trapani (le potete leggere anche all'interno della sezione Rassegna Stampa di www.marsala.it ) ha detto: "……. La nostra colpa è quella di essere cresciuti. Trapani va dunque demonizzata. Quando non hanno potuto dire altro, abbiamo letto che la città è cresciuta ma all’ombra della nuova mafia. Che significa? Qui nessuno vuole la mafia. Ma a molti, la mafia serve perchè genera l’antimafia, quell’antimafia che crea posti di lavoro per farla. Vi invito a leggere “L’Espresso”. Si parla del racket dell’antiracket”.
Fonte: Marsala.it

lunedì, aprile 07, 2008

Gli U.S.A. cedono..

PALERMO - Ventotto anni fa, il giudice Giovanni Falcone aveva firmato un mandato di cattura per Rosario Gambino, il referente americano delle cosche siciliane in materia di traffico internazionale di droga. Solo due giorni fa, un giudice degli Stati Uniti ha firmato l'espulsione del padrino, che oggi ha 65 anni, e 22 li ha trascorsi in prigione. Il suo arrivo in Italia è previsto per oggi. E le porte del carcere si apriranno subito, proprio sulla base di quella condanna a 16 anni fondata sulle indagini dell'allora giudice istruttore Giovanni Falcone: in quella sentenza sono rimasti i misteri di un ex muratore, cugino dell'autorevole mafioso Carlo Gambino, arrivato a Little Italy nel 1968 e diventato presto manager della droga, ma soprattutto uomo fidato delle cosche per missioni particolari. Come quella di ospitare Michele Sindona a New York, all'inizio di quel misterioso viaggio fra gli Stati Uniti, l'Europa e Palermo, che doveva simulare il falso rapimento del banchiere siciliano. Rosario Gambino conosce alcuni dei segreti finanziari di Sindona, gran riciclatore dei soldi sporchi, non solo della mafia. Strano mafioso il più americano dei Gambino di Palermo: è stato sempre molto accreditato in ambienti eleganti, nonostante la sua fama di trafficante di droga. Nel 2001, una commissione del Congresso americano scoprì un assegno di 50.000 dollari girato dai familiari di Gambino a favore di Roger Clinton: il fratellastro dell'ex presidente sarebbe riuscito a ottenere dalla mafia quella somma in cambio della promessa - non mantenuta - della grazia presidenziale per don Rosario. Anche questa vicenda è rimasta avvolta dal mistero. Di certo, il mafioso siciliano si è sempre difeso strenuamente, invocando il complotto italiano. Lo scorso ottobre, un giudice di Los Angeles, D. D. Sitgraves, gli aveva addirittura dato ragione, negando la richiesta di estradizione dei magistrati di Palermo, con una motivazione alquanto curiosa: "C'è il rischio che Rosario Gambino venga sottoposto in Italia al regime carcerario del 41 bis, una coercizione che non è da considerarsi collegata a nessuna sanzione legalmente imposta. - così scrisse nella sentenza - Quel regime costituisce una tortura". Il giudice era andato anche oltre, concedendo un secondo punto alla difesa di Gambino: "È una questione umanitaria, in questo caso particolare, le condizioni di detenzione finirebbero per minacciare e compromettere la vita del detenuto". Dice oggi il legale italiano di Rosario Gambino, Daniele Francesco Lelli: "La procedura a cui adesso è stato sottoposto il mio cliente viola i diritti della difesa; perché contro la decisione dell'espulsione si poteva fare ricorso fino in Corte Suprema. Insomma, a mio giudizio, si tratta di una sorta di rapimento". Alla fine, nonostante il sacrificio e l'ostinazione di Giovanni Falcone, Gambino è stato comunque espulso, non estradato, perché senza la cittadinanza americana. Da gennaio, dopo la scarcerazione, era rinchiuso in un centro di raccolta per immigrati, a San Pedro, 40 chilometri da Los Angeles. Mentre a Palermo, la squadra mobile e il servizio centrale operativo della polizia, indagavano sugli esponenti del clan Gambino-Inzerillo, che sembravano nuovamente attivi sull'asse Palermo-New York. Il blitz "Old Brigde" ha fermato alcuni dei nuovi volti della mafia italo-americana. Ma gli ultimi affari fra la Sicilia e gli Stati Uniti sembrano diventati l'ultimo segreto di Rosario Gambino.
Fonte: La Repubblica

Barcellona allibito...

CALTANISSETTA - La decisione del Csm di non sospendere in via d'urgenza il giudice Edi Pinatto, il magistrato che ha impiegato otto anni per depositare le motivazioni della sentenza del processo di mafia "Grande Oriente" quando era in servizio al Tribunale a Gela, lascia "allibito ed esterrefatto" il procuratore generale di Caltanissetta, Giuseppe Barcellona, perchè, spiega il magistrato, il "corporativismo non può arrivare fino a questo punto" e "non si può soprassedere a colpe eresponsabilità ben chiare"."È dal 2002, da quando sono scaduti i termini per la presentazione della motivazione di quella sentenza - afferma il Pg Barcellona, competente sui giudici di Gela, in un'intervista, che scrivo continuamente al Csm, chiedendo provvedimenti disciplinari nei confronti del giudice Pinatto.Una lettera all'anno per sei anni, e per sei anni il Consiglio superiore della magistratura mi ha puntualmente risposto che avrebbe provveduto e invece...". "E invece - aggiunge il Pg Barcellona - siamo qui a distanza di sei anni dalla prima lettera ad assistere ad una decisione, come quella di venerdì scorso, che lascia allibiti ed esterrefatti. Il corporativismo del Csm non può arrivare fino a questo punto. Non si può soprassedere a colpe e responsabilità ben chiare".
06/04/2008
Fonte: La Sicilia

Richiesta respinta...Assurdo...

ROMA - La sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha bocciato la richiesta del ministro della Giustizia di sospendere d'urgenza il giudice Edi Pinatto, colpevole di non aver depositato, dopo otto anni dal processo, le motivazioni della sentenza con cui il tribunale di Gela aveva condannato sette componenti del clan Madonia. Ritardo che aveva provocato la scarcerzione di due boss condannati a 24 anni ciascuno; la moglie del capo clan Piddu Madonia condannata a 8 anni di reclusione e altri quattro favoreggiatori di Cosa Nostra. A sollecitare il provvedimento di sospensione era stato a gennaio il ministro della Giustizia che aveva promosso anche l'azione disciplinare, contestando al magistrato non solo questo ma anche altri due analoghi ritardi nel deposito di sentenze. "Il giudice Pinatto - nel 2000 magistrato presso il tribunale di Gela, oggi pubblico ministero a Milano - ha mostrato assenza di considerazione per il superiore interesse della giustizia" e un comportamento "incompatibile con l'ulteriore esercizio delle funzioni giudiziarie", aveva accusato il Guardasigilli. Un mese fa era sceso in campo anche il Capo dello Stato: "Mai più ritardi come quelli di Gela che minano il prestigio della magistratura e la fiducia che in essa ripone il cittadino", aveva ammonito Giorgio Napolitano, presidente anche del Csm. Parole vane. Il Consiglio superiore della magistratura ha respinto la richiesta di sospensione d'urgenza dal servizio del pm perchè Pinatto ha nel frattempo depositato le motivazioni delle sentenze attese da 8 anni, e perchè, a breve, la questione potrà essere esaminata nel merito dalla Procura generale della Cassazione. Inoltre presso la Procura di Catania pende un procedimento penale per omissione di atti d'ufficio. "Non sono il solo a metterci tanto tempo a scrivere le motivazioni di una sentenza", si era giustificato il giudice un paio di settimane fa. La scriverò fra alcuni mesi, appena smaltirò i fascioli della procura". E la promessa, questa volta, l'ha mantenuta ma ci sono voluti 8 anni e due richiami ufficiali del Csm: nel 2004 quando il Consiglio superiore della magistratura lo condannò a due anni di perdita di anzianità per la sua lentezza, e due anni dopo quando la mano del Csm fu più leggera e per quella che il Consiglio definì "stasi incredibile", cancellò altri due mesi di anzianità dallo statino del collega.
Fonte: La Repubblica

Fuori da Confindustria

Palermo, 2 apr. (Apcom) - "L'esultanza ovvia con la quale l'ex imputato del processo 'Cobra' festeggia l'assoluzione non può portare sicuramente a sacrifica di quanti in questi anni si sono opposti, e si continuano ad opporre politicamente alla presenza di Di Vincenzo nei vertici siciliani di Confindustria". Lo dice ad Apcom il sindaco antimafia di Gela, Rosario Crocetta, commentando l'assoluzione "perché il fatto non sussiste" dell'ingegnere Pietro Di Vincenzo decisa ieri con una camera di consiglio lampo dalla prima sezione penale della Corte d'Appello di Roma. Di Vincenzo era accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e per questo era stato condannato in primo grado con l'abbreviato con un anno e sei mesi di reclusione. La vicenda Di Vincenzo e delle sue presunte collusioni - ora escluse dai giudici - sono state negli anni quasi un 'cavallo di battaglia' di Crocetta in tutte le numerose manifestazioni antimafia alle quali il sindaco gelese ha partecipato in tutta Italia. Crocetta rileva che "in atto esistono altri procedimenti che hanno determinato misure patrimoniali gravissime come il sequestro di beni per circa 260 milioni di euro e persistono misure di previsione personale che normalmente vengono adottate nei confronti delle persone ritenute socialmente pericolose".
Fonte: Apcom

mercoledì, aprile 02, 2008

Carcere "aperto"

MESSINA - Il sindacato di polizia Silp-Cgil di Messina, in una nota, "denuncia le facili scarcerazioni di importanti boss per decorrenza dei termini di custodia cautelare", che sarebbero una dozzina nel 2008, e "critica i tempi inaccettabili della giustizia nella città dello Stretto"."L'ultima di questa serie - spiega il sindacato - è la liberazione di Vincenzo Galati Giordano, l'ultimo dei dodici esponenti di spicco della mafia nebroidea, usciti di carcere da gennaio ad oggi"."Mentre a Palermo, a Gela, a Catania e in altre province siciliane - si legge nel comunicato del Silp-Cgil - si registra un aumento straordinario delle denunce per estorsione che stanno portando all'arresto di decine di persone, in provincia di Messina, invece, le porte del carcere si aprono e tornano in libertà pericolosi esponenti mafiosi"."Non è più tollerabile che la giustizia messinese non riesca a fissare una data di un processo in secondo grado, causando così la decorrenza dei termini di carcerazione. Tutto ciò - sottolinea il sindacato - annulla il lungo e pericoloso lavoro intrapreso in questi anni dalle forze dell'ordine e dalle associazioni Antiracket per dare maggiore fiducia ed assistenza ai commercianti onesti che decidono di denunciare gli estortori". Sulla vicenda il Silp-Cgil chiede "l'intervento del prefetto di Messina affinchè riunisca urgentemente il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica".
01/04/2008
Fonte: La Sicilia

Intimidazioni a giornalista

TRAPANI - All'assemblea annuale dell'Ordine dei giornalisti siciliani, che si è svolta sabato a Trapani, Aldo Virzì, giornalista pubblicista, aveva denunciato le "commistioni tra politica e informazione", nella notte gli hanno tagliato le 4 gomme dell'auto Audi 80, parcheggiata sotto casa. L'episodio è stato denunciato alla polizia dallo stesso Virzì. "Vorrei tanto che fosse una ragazzata, ma temo che non lo sia". Dice lo stesso Aldo Virzì che ha denunciato l'accaduto. Il giornalista pubblicista, dirigente al Comune di Trapani e collaboratore di numerose testate, da tempo denuncia, soprattutto sul mensile locale 'Extra', "una sorta di acquiescenza di parte dell'informazione trapanese al potere politico e non solo"."Sabato, nel mio intervento all'assemblea dell'Ordine - ricorda lo stesso Virzì - sono tornato a criticare il sistema dell'informazione, senza fare specifiche accuse e sapendo che a Trapani ci sono alcuni colleghi di valore". Il presidente dell'Ordine, Franco Nicastro, oltre ad esprimere solidarietà al collega, ha annunciato "un'iniziativa forte, insieme all'Assostampa", guidata a Trapani da Mariza D'Anna, che ha manifestato a Virzì la solidarietà del sindacato."Su questa vicenda - aggiunge Nicastro - andremo fino in fondo. Le continue intimidazioni ai colleghi sono intollerabili. Virzì, poche ore prima che tagliassero le gomme della sua auto, aveva parlato del clima ostile che si respira a Trapani nei confronti dei giornalisti liberi". Anche l'Unci-Unione nazionale cronisti italiani esprime "solidarietà" al collega: "Chi tenta di fermare la libera informazione con avvertimenti di stampo mafioso - ha dichiarato il presidente dell'Unci Sicilia, Leone Zingales - ha sbagliato strada. Condanniamo l'episodio e chiediamo a magistratura e forze dell'ordine di fare luce sull'episodio"Solidarietà anche da parte del vice presidente della Commissione nazionale antimafia, Beppe Lumia: "Ancora una volta un giornalista subisce un atto intimidatorio. È la conferma del ruolo fondamentale che un informazione libera, rigorosa, autorevole, senza padroni e padrini può svolgere nell'azione di contrasto delle organizzazioni criminali e del malaffare. Ad Aldo Virzì esprimo la mia piena solidarietà e l'incoraggiamento a continuare nella sua importante opera di denuncia, anche dei silenzi di chi invece dovrebbe parlare".
31/03/2008
Fonte: La Sicilia

Arrestato Manciaracina

TRAPANI - Il boss Vito Manciaracina, 72 anni, di Mazara del Vallo, è stato arrestato dalla polizia perché deve scontare una condanna all'ergastolo. Il provvedimento è stato emesso dopo che la Cassazione ha reso definitiva la sentenza. Manciaracina nell'aprile 2004 venne scarcerato per motivi di salute. Il capomafia è il padre di Andrea Manciaracina, pure lui ritenuto dagli inquirenti un personaggio di spicco di Cosa nostra trapanese. Quest'ultimo è stato arrestato nel 2003 in una villa nelle campagne di Marsala assieme al sicario Natale Bonafede.
01/04/2008
Fonte: La Sicilia