martedì, febbraio 28, 2006

Processo Dell' Utri

PALERMO - È morto a Palermo, Gaetano Cinà, 72 anni, coimputato del senatore di Forza Italia, Marcello Dell'Utri nel processo in primo grado per mafia nel quale è stato condannato a sette anni. L'esponente politico è stato invece condannato a nove anni.
Cinà, titolare di una lavanderia in via Isidoro Carini, era accusato di aver fatto da tramite fra Cosa Nostra e gli imprenditori milanesi del gruppo Fininvest. La difesa aveva escluso ogni responsabilità di Cinà.

Arrestato Barbagallo

CATANIA - Il latitante Carmelo Barbagallo, 56 anni, indicato come affiliato alla cosca Cappello, è stato arrestato dalla polizia a Catania. L'uomo era irreperibile dal 19 dicembre del 2005. Nei suoi confronti era pendente un ordine di arresto della Procura generale dovendo espiare cinque anni di carcere per associazione mafiosa e spaccio di droga.
Barbagallo era stato condannato dalla Corte d'appello di Catania nel processo Idra, in cui erano imputate 47 persone. In primo grado aveva avuto inflitti dal Gup 10 anni di reclusione. Gli agenti hanno catturato Barbagallo appena uscito dall'ascensore del palazzo in cui abita la sua famiglia.
28 Febbraio 2006

Sequestro di beni alla cosca di San Lorenzo

PALERMO - Beni per un valore complessivo di 334 milioni di euro sono stati sequestrati a imprenditori di Palermo coinvolti lo scorso anno in una inchiesta giudiziaria perchè ritenuti "vicini" a boss mafiosi. I provvedimenti, emessi dai giudici della sezione misure di prevenzione del tribunale, sono stati eseguiti dagli agenti della questura di Palermo e del Gico della Guardia di Finanza che hanno svolto le indagini ed effettuati i riscontri.Tra i beni sequestrati vi sono 114 villette in fase di completamento nella zona del quartiere San Filippo Neri, a Palermo. I finanzieri del Gico hanno eseguito sei decreti di sequestro che riguardano disponibilità patrimoniali, societarie e finanziarie riconducibili a persone appartenenti al mandamento mafioso di San Lorenzo, guidato dai boss latitanti Salvatore e Sandro Lo Piccolo.I provvedimenti hanno riguardato alcuni indagati che nel marzo 2005 sono stati arrestati dagli agenti della squadra mobile perchè accusati a vario titolo di associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione e tentata estorsione aggravata e trasferimento fraudolento di valori.Il Gico ha sequestrato beni agli imprenditori Antonino Inzerillo, 66 anni, figura di primo piano nel settore edilizio della provincia di Palermo; Benedetto Giuseppe Salamone, di 51, imprenditore edile palermitano; Filippo Pietro Cinà, di 63, geometra; Francesco Di Blasi, di 65, Pietro Landolina, di 35 e Salvatore Gottuso, di 60, che sono accusati di essere stati gli esattori del pizzo dei boss di San Lorenzo.
28 Febbraio 2006

Forse bisognerebbe ricordarsi di Livatino...

PALERMO - I giudici della seconda sezione della Corte d'Appello hanno aperto e subito rinviato l'udienza del processo all'ex ministro Calogero Mannino, condannato nel 2004 a cinque anni e quattro mesi per concorso esterno in associazione mafiosa. Il processo che si è aperto stamani, arriva dalla corte di Cassazione che aveva annullato con rinvio la condanna.
In questo caso, per la prima volta a Palermo viene applicata la legge dell'inappellabilità. E proprio a questa norma i difensori di Mannino hanno fatto riferimento chiedendo il rinvio dell'udienza fino a quando la legge verrà pubblicata per poi essere applicata.
Mannino era presente in aula e i giudici, presieduti da Claudio Dall'Acqua, hanno accolto l'istanza ed hanno fissato per il 21 aprile prossimo l'udienza straordinaria.
"La legge sull' inappellabilità non è stata sicuramente approvata per me, forse per altri, ma non per me". Così l'ex ministro Calogero Mannino commenta fuori dall'aula la decisione della corte d'appello di rinviare il suo processo in cui è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, dopo che la legge sull'inappellabilità verrà pubblicata.
"A me - ha concluso Mannino - conveniva proseguire questo processo. Per adesso, però, mi faccio la campagna elettorale poi si vedrà". L'imputato è candidato al senato in Sicilia per l'Udc.
"A carico di Mannino è sopravvenuta una nuova prova, che non so se alla prossima udienza potrò presentare perchè emergono profili di incostituzionalità che ipotizzo di far rilevare. Non si dimentichi, inoltre, che già al prossimo rinvio ci troveremo davanti anche un imputato-senatore". Così il sostituto pg Vittorio Teresi spiega le prossime mosse dell'accusa nei confronti dell'ex ministro Calogero Mannino, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, condannato in appello nel 2004 a cinque anni e quattro mesi.
La "prova sopravvenuta" contro Mannino riguarda alcune dichiarazioni rese nei mesi scorsi dal neocollaboratore di giustizia, Francesco Campanella.
27 Febbraio 2006

domenica, febbraio 26, 2006

Pizzo nelle cooperative

Enna, condannato referente di Provenzano

ENNA - Il Tribunale di Enna ha condannato a 13 anni e 7 mesi per associazione mafiosa Raffaele Bevilacqua l'avvocato accusato di essere al vertice della cosca ennese e in contatto col boss latitante Bernardo Provenzano. Benedetto Brizzi indicato come braccio destro di Bevilacqua e Totò Bonfirraro, autista di Bevilaqua, sono stati condannati a 3 anni e 6 mesi di carcere, Gerry Gesualdo, l'elettricista a 2 anni e 6 mesi. È stato assolto perchè il fatto non sussiste Giuseppe Bevilacqua, figlio di Raffaele, accusato di intestazione fittizia di beni.
Il pm Roberto Condorelli nella requisitoria durata sette ore aveva chiesto la condanna a 26 anni e mezzo di reclusione per il presunto capomafia ennese, a 7 anni e 9 mesi per Brizzi e Bonfirraro, 4 anni e sei mesi per Gesualdo, e due anni e 9 mesi per Giuseppe Bevilacqua. Nel procedimento, denominato Gransecco, da cui è scaturito il processo, era stato coinvolto inizialmente anche il deputato regionale ds Vladimiro Crisafulli che era stato prosciolto in istruttoria. Gli imputati erano stati arrestati il 23 luglio del 2003 al termine di una inchiesta della Dia di Caltanissetta e del comando provinciale dei carabinieri di Enna.
24 Febbraio 2006

giovedì, febbraio 23, 2006

Condannato un altro deputato siciliano

PALERMO - La terza sezione del tribunale penale di Palermo ha condannato a nove mesi il deputato della Margherita all'Assemblea regionale siciliana, Gaspare Vitrano, e Antonino Piceno, dipendente della Regione, per aver presentato false documentazioni per la candidatura del politico. La vicenda giudiziaria comincia nel giugno del 2001, dopo l'elezione, promossa dal primo dei non eletti, Giuseppe Faraone, che ha fatto però ricorso per ineleggibilità di Vitrano, il quale non aveva chiesto l'aspettativa dal suo lavoro di dipendente regionale, come prescrive la legge. "Faraone - racconta l'avvocato Antony De Lisi, che lo difende - ha vinto il ricorso e si è insediato per quattro mesi. Fino a quando l'appello e la Cassazione hanno dato ragione a Vitrano, che si è avvalso di un documento, con date falsate, nel quale risultava la sua aspettativa nel periodo prescritto dalla legge. Per Vitrano - continua il legale - a causa di questo falso documento, è iniziato un nuovo processo nel settembre del 2003. Dopo due anni di indagini la giustizia ci ha dato ragione".

Funzionario catanese beccato in flagranza

CATANIA - Un geometra del Genio civile di Catania, Alfio Nania, di 53 anni, è stato arrestato dalla polizia per avere chiesto una tangente per sbloccare gli ultimi 20 mila euro di un lavoro da 150 mila euro, svolto da una impresa di sbancamento nella Piana di Catania. L'uomo è stato catturato in flagranza di reato, mentre incassava la metà del pizzo, 10 mila euro, richiesto al titolare dell' impresa.
Gli agenti della sezione anti estorsione della squadra mobile etnea, che da tempo pedinavano l'imprenditore, hanno trovato la busta con la tangente, 5 mila euro, nascosta in un sacco contenente cibo per cani in una rimessa in uso all'indagato. Nella casa di Nania gli investigatori hanno anche trovato il fascicolo che riguardava l'appalto oggetto della richiesta della tangente, il cui pagamento era stato già approvato e esitato.
Le indagini della Questura di Catania erano state avviate dopo la denuncia del titolare dell'azienda che ha affermato di avere già versato, nell'agosto del 2005, 4.500 euro al geometra Nania come compenso "necessario per la misurazione dei piani e dei livelli delle opere". Attività che, sostiene l'accusa, non sarebbe stata invece mai svolta.
22 Febbraio 2006

Messina, due arresti per estorsione

MESSINA - La squadra mobile di Messina ha rivelato una estorsione ai danni delle imprese edili che hanno realizzato nel 2003 alloggi popolari nel capoluogo peloritano. Secondo gli inquirenti, un gruppo di pregiudicati aveva imposto l'assunzione di persone, che però non lavoravano pur percependo regolarmente lo stipendio; la banda di malavitosi, inoltre, avrebbe preteso grosse quantità di materiale edilizio.
In manette sono finiti Giuseppe Cercame, detto "Pippu u rizzu", di 55 anni e Domenico Carcami, di 47. Il provvedimento cautelare eseguito dalla polizia è stato firmato dal gip Maria Angela Nastasi, su richiesta del pm Giuseppe Verzera.
I due arrestati sono accusati di estorsione aggravata per avere agevolato l'associazione mafiosa. I fatti contestati risalgono al 2003 e secondo gli inquirenti hanno costretto i responsabili delle imprese consorziate "Celi società cooperativa" ed "Omnia Costruzioni Generali", assegnatarie del subappalto per la realizzazione di 189 alloggi in località Bisconte, per conto dell'Istituto autonomo case popolari di Messina, a consegnar loro materiale edilizio per migliaia di euro.
In alcuni casi il gruppo avrebbe fatto assumere anche alcune persone, che di fatto non sono mai andate al lavoro. Gli investigatori della Mobile di Messina hanno effettuato diverse intercettazioni ambientali, attraverso le quali è stato possibile acquisire le prove del pagamento del pizzo.
22 Febbraio 2006

Indagato il presidente di confindustria di Palermo

PALERMO - Il presidente di Confindustria Palermo, Giuseppe Prestigiacomo, è indagato insieme alla nipote Daniela, per truffa allo Stato. L'imprenditore, secondo la procura di Palermo, avrebbe percepito fra il 2003 e il 2004 "indebiti finanziamenti" per un milione e 400 mila euro in base alla legge 488. La vicenda riguarda presunte violazioni delle norme su contributi per incrementi occupazionali destinati alle nuove unità produttive.
Per i pm Claudia Ferrari e Gaetano Guardì, che coordinano l'inchiesta, Prestigiacomo avrebbe fornito false attestazioni su passaggi cartolari da una società ad un'altra. Le società, secondo l'accusa, sarebbero riconducibili alle stesse persone. La presunta truffa allo Stato che ha determinato l'indebita percezione del finanziamento, ha inoltre portato la procura ad ordinare il sequestro dell'impresa che ha ottenuto il finanziamento, la Tecnozinco di Carini, che adesso è in amministrazione controllata. L'illecito amministrativo della società, infatti, è stato contestato alla persona giuridica che rappresenta l'impresa.
Secondo l'accusa, per accedere ai fondi della legge 488 Prestigiacomo aveva fatto figurare false assunzioni e acquisti inesistenti. E proprio sugli aiuti di Stato, in passato il presidente degli industriali aveva spiegato che bisognava essere severi nella gestione dei contributi pubblici, "purchè - aveva aggiunto - non si renda la vita impossibile agli imprenditori".
Insieme ai Prestigiacomo è indagato anche il legale rappresentante della Tecnozinco, Giuseppe Caldarera.
"Su questo argomento preferisco non parlare", ha detto il presidente di Assindustria Palermo Giuseppe Prestigiacomo rifiutandosi dunque di commentare la notizia di un'indagine nei suoi confronti per una presunta truffa allo Stato, che coinvolge anche la nipote Daniela. Prestigiacomo era arrivato alla guida degli industriali palermitani dopo le dimissioni di Fabio Cascio, che aveva lasciato l'incarico insieme al presidente di Confindustria Sicilia, Giuseppe Costanzo: ad entrambi la magistratura aveva sequestrato quote di aziende che da anni annoverano tra i soci figli dei boss mafiosi Bontade e Teresi. Geraci si dimise poche ore dopo aver appreso la notizia, Costanzo lasciò dopo un paio di settimane e fu sostituito dall'imprenditore della pomice Vincenzo D'Ambra.
Dal mondo politico, il capogruppo di Rifondazione comunista all'Assemblea siciliana, Francesco Forgione, afferma che "è necessario che la Regione avvii una indagine sulla gestione degli incentivi statali e regionali: "Ci rendiamo conto - conclude - che è chiedere troppo a un governo immorale come quello di Cuffaro, che sullo scambio tra politica e imprese ha costruito un proprio sistema di affari".
22 Febbraio 2006

martedì, febbraio 21, 2006

Mori e Ultimo assolti

PALERMO - I giudici della terza sezione del tribunale di Palermo hanno assolto il prefetto Mario Mori ed il tenente colonnello Sergio de Caprio dall'accusa di favoreggiamento alla mafia con la formula piena perché il fatto non costituisce reato. I giudici sono stati in camera di consiglio per tre ore ed hanno accolto le richieste della difesa degli imputati. Nel dispositivo i magistrati hanno disposto la trasmissione alla Procura dei verbali di udienza con le deposizioni rese in aula dai pentiti Santo Di Matteo e Baldassare di Maggio. I pm avevano chiesto la trasmissione degli atti per procedere per falsa testimonianza nei confronti dei collaboratori."Va bene così. È una sentenza favorevole che mi restituisce la felicità turbata". Lo ha detto il tenente colonnello Sergio de Caprio, noto come "Ultimo", parlando al telefono con il proprio legale l'avvocato Francesco Romito dopo la lettura della sentenza che lo ha assolto dall'accusa di favoreggiamento della mafia. "La consapevolezza che avevano questi uomini - ha affermato Romito - era di combattere la mafia e niente altro". Soddisfazione per il verdetto è stata espressa anche dal prefetto Mario Mori, contattato al telefono dall'avvocato Pietro Milio. "Questi due uomini - ha detto Milio - hanno subito in silenzio. Temo che gli attacchi non finiranno con questa sentenza. Mi sento indignato come cittadino perchè il meglio degli investigatori italiani è stato tenuto sotto processo per molti anni".
20 Febbraio 2006

domenica, febbraio 19, 2006

Scapagnini a giudizio

CATANIA - Il gup di Catania Antonino Ferrara, in udienza camerale, ha rinviato a giudizio il sindaco del capoluogo etneo, Umberto Scapagnini, per abuso d'ufficio. Nel luglio del 2004 il pm Antonino Fanara aveva chiesto l'archiviazione dell'inchiesta, ma l'istanza era stata rigettata.
La vicenda giudiziaria riguarda la nomina, avvenuta nel gennaio 2001, di Carmelo Guglielmino quale consulente del Comune con l'incarico di "coordinare le attività connesse al rilascio e alla riqualificazione degli spettacoli teatrali dialettali", con un compenso complessivo di circa 5 mila euro. Secondo l'accusa, Guglielmino era legato da "cointeressenze di affari" con la moglie del sindaco, Elena Sortino, alla quale faceva, sostiene la Procura, da autista personale. Sulla delibera à stata eseguita anche una perizia calligrafica. Nell'ambito della stessa inchiesta è stato aperto anche un altro fascicolo su presunte responsabilità collaterali sulla delibera. La prima udienza del processo si terrà il 19 aprile davanti la terza sezione penale del Tribunale in composizione collegiale. Secondo il legale del sindaco Scapagnini, Guido Ziccone, del "delitto di abuso d'ufficio mancano tutti i presupposti in fatto e in diritto". Il legale si dice "certo che il Tribunale riconoscerà l'estraneità ai fatti del sindaco Scapagnini che, tra l'altro, - sottolinea Ziccone - non si è avvalso dell'immunità parlamentare come avrebbe potuto fare, visto che all'epoca dei fatti era eurodeputato". Il penalista osserva anche che "non risultano procedimenti collaterali che riguardano il sindaco. L'ipotesi accusatoria riguarda una consulenza per un importo complessivo inferiore a 5 mila euro. La delibera, alla quale il sindaco non ha partecipato, come risulta dagli atti, ha previsto tale somma a titolo di rimborso spese forfettario. Il consulente Guglielmino, che non è imputato, ha svolto per Scapaganini il ruolo di dipendente nella segretaria locale del sindaco quando era eurodeputato. E in relazione a questa qualità ha costituito, come previsto dalle norme Ue, una società con la signora Sortino per svolgere esclusivamente le mansioni istituzionali richieste. Il rimborso spese ha invece riguardato Guglielmino che realmente ha svolto l' incarico, e non c' è stato, quindi, nessun rapporto di affari o di altro genere".
18 Febbraio 2006

venerdì, febbraio 17, 2006

La Cassazione scagiona i padrini (scandaloso...)

ROMA - La Cassazione piccona il 'teorema Buscetta' - sancito nel primo maxi-processo alla mafia, imbastito da Giovanni Falcone - e afferma senza mezzi termini che i boss che siedono nella 'cupola' di 'Cosa Nostra' non sono automaticamente responsabili di tutti i delitti eccellenti deliberati dal 'gotha' mafioso: il loro ruolo apicale può, tutt' al più, costituire un grave indizio di responsabilità ma non ne è "di per sè prova piena". Inoltre la Suprema Corte - con una sorta di applicazione 'ante-litteram' dei principi della 'Pecorella', seguendo la decisione delle Sezioni Unite su Giulio Andreotti - esorta i giudici di merito ad andarci con i piedi di piombo quando capovolgono in condanna, in secondo grado, un verdetto di assoluzione. Queste indicazioni si leggono nelle 175 pagine delle motivazioni - depositate oggi dalla Sesta sezione penale di Piazza Cavour - in base alle quali, lo scorso 20 maggio, sono state annullate con rinvio le condanne al carcere a vita per 'padrini' del calibro di Bernardo Provenzano, Pippo Calò e Pietro Aglieri. Gli annullamenti disposti dalla Suprema Corte riguardavano 45 imputati - tra i quali capimandamento di rango, killer, fiancheggiatori dei gruppi di fuoco - in relazione al processo 'Tempesta' sui 127 omicidi avvenuti nel palermitano (tra il 1973 e il 1991) durante la cosiddetta 'Seconda guerra di mafia', conclusasi con la vittoria dei sanguinari corleonesi di Totò Riina. Ecco che cosa scrivono gli 'ermellini' a proposito dell'annullamento con rinvio dell'ergastolo a Pippo Calò - ritenuto il cassiere di Cosa Nostra, e capo del mandamento di Porta Nuova - inflittogli per l'omicidio dei carabinieri Mario D'Aleo, Giuseppe Bommarito e Pietro Morici (13 giugno 1983), avvenuto quando il boss era già chiuso in carcere. Dice la Cassazione - che "la prova della sua responsabilità, al pari di altri imputati, viene desunta dai giudici di merito dalla posizione apicale rivestita dall'imputato, traendone la deduzione logica per cui, in base alle regole mafiose (tratteggiate da Buscetta) riconosciute come inderogabilmente operanti a far capo dalla sentenza emessa nel maxiprocesso dalla Corte di Assise di Palermo (17 marzo 1995), era da ritenere storicamente accertato che, almeno fino all'epoca dell'omicidio Lima (marzo 1992), tutti i capi di mandamento dovevano essere necessariamente presenti in caso di deliberazione di un omicidio rientrante nella competenza di quel consesso". Questo assioma - noto come 'teorema Buscetta' - viene ridotto dagli 'ermellini' a "regola comportamentale" dei boss, la cui osservanza deve essere, dalle corti di merito, "accertata" di volta in volta sulla base di "concreti elementi di fatto". Così i massimi togati affermano il principio di diritto per cui "posta l'esistenza di un organismo collegiale di vertice investito del potere di deliberare in ordine alla commissione di fatti criminosi di speciale importanza per la vita di una organizzazione criminale, e in particolare di omicidi di persone di rilievo (delitti eccellenti), l'appartenenza di taluno degli imputati al suddetto organismo ('cupola') può costituire certamente un grave indizio di responsabilità per il fatto criminoso ma non di per sè prova piena di esso". Insomma per condannare un 'padrino' serve la prova che lui "sia stato in concreto informato" della condanna a morte emessa dal concilio dei boss e "abbia prestato il proprio consenso, anche tacito". Bocciata, dunque, la tesi che Calò sebbene detenuto potesse aver fornito il suo 'placet' tramite i familiari che andavano a trovarlo in carcere. La Suprema Corte è più propensa a credere che i tre carabinieri - soprattutto il capitano D'Aleo - siano stati uccisi per solitaria decisione di Totò Riina come "ritorsione contro l'incalzante attività condotta contro la famiglia Brusca". Insomma - visto che il triplice omicidio è del 1983 e che senz'altro l'uccisione di uomini delle forze dell'ordine rientrava nella categoria dei 'delitti eccellentì - la Cassazione nega che il 'teorema Buscetta', la cui operatività è stata riconosciuta da numerose sentenze fino al 1992, sia stata una regola seguita con ortodossia nei 20 anni della spietata 'Seconda guerra di mafia'. Nel caso dell'annullamento, con rinvio, dell'ergastolo a Filippo Graviano per l'uccisione di Giuseppe Fragale, la Cassazione ha ritenuto non sufficientemente indiziante nemmeno la circostanza che il boss fosse "fisicamente presente" all'omicidio. Annullando, con rinvio, l'ergastolo a Provenzano - per gli omicidi di appartenenti alla 'famiglià Bonanno (strage di Misilmeri) - la Cassazione dando credito al pentito Brusca dice che dal 1987, all'interno della 'cupola', si era già registrata "nell'ambito della 'politica internà di Cosa Nostra" un "dissidio", una "incrinatura del patto tra i capi" (Provenzano e Riina), per cui non tutti i boss devono essere considerati mandanti dei delitti eccellenti compiuti, quanto meno, dal 1987 in poi. Quanto all'applicazione di principi - in parte formalizzati dalla 'Pecorella' - sono gli stessi supremi giudici, che pure hanno tanto osteggiato questa normativa, a dire che il giudice ha un "obbligo rafforzato di motivazioni in caso di ribaltamento della sentenza assolutoria di primo grado". In tale ipotesi - conclude la sentenza 6221 - "grava sul giudice d'appello, tanto più in mancanza di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, un obbligo rafforzato di motivazione che si sostanzia anche nel compito di confutare specificamente le ragioni che avevano condotto il primo giudice ad una decisione assolutoria, tenendo altresì conto dei contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello".
16 Febbraio 2006

Duro colpo a Trabia

PALERMO - Una operazione antimafia coordinata dalla Dda di Palermo ha portato all'arresto di dodici tra politici, imprenditori e impiegati comunali, fermati dai carabinieri della compagnia di Termini Imerese. I militari hanno eseguito le dodici ordinanze di custodia cautelare firmate dal gip Antonio Caputo, su richiesta del procuratore aggiunto Sergio Lari e dei pm della Dda Lia Sava, Costantino Derobio e Michele Prestino.L'inchiesta ha preso il via dalle indagini per la ricerca del boss latitante Salvatore Rinella, arrestato nel 2003. Sono finiti in manette esponenti e favoreggiatori dei boss del mandamento mafioso di Caccamo e fra loro anche l'ex sindaco di Trabia e l'attuale capo ufficio tecnico del comune, oltre a vari imprenditori che hanno interessi economici tra Termini Imerese e Bagheria. L'inchiesta è basata in gran parte su intercettazioni ambientali e telefoniche, che riguardano, oltre al pilotaggio degli appalti pubblici e delle estorsioni, anche il sistema di controllo sulla politica e le passate campagne elettorali. Tra le persone arrestate c'è l'ex sindaco di Trabia, Giuseppe Di Vittorio (Forza Italia), accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, il capo dell'ufficio tecnico del Comune, Giovanni Ciaccio, e l'imprenditore Salvatore Buttitta.Le indagini sono uno sviluppo di quelle che erano state avviate nel 1999 per le ricerche dell'allora latitante Salvatore Rinella. Sono state messe in luce le infiltrazioni dei capimafia nella vita amministrativa ed economica di Trabia, grazie anche al ruolo dell'ex sindaco Di Vittorio, indicato come il referente del boss. Secondo il collaboratore di giustizia Antonino Giuffrè "a Trabia ci sono sempre stati sindaci che erano nelle mani di cosa nostra". Il pentito descrive il paese come una "roccaforte" dei mafiosi, dove un solo sindaco, racconta Giuffrè, "non è stato nelle mani dei boss" e si chiama Di Vittorio, omonimo dell'indagato arrestato oggi. Nelle intercettazioni effettuate a Trabia - secondo quanto risulta da atti dell' inchiesta - emerge, inoltre, l'interessamento dei mafiosi nella campagna elettorale di un avvocato penalista che è stato poi eletto alla Camera dei Deputati. I boss, da quanto emerge dalle registrazioni, si sarebbero dati da fare per far votare il penalista. Un filone d'indagine ha riguardato anche la gestione di appalti pubblici e una serie di estorsioni. Tra gli arrestati anche due coniugi, Giovanni e Rosanna La Barbera, che secondo i carabinieri favorirono la latitanza di Rinella."Gli uomini di Cosa nostra si infiltrano nelle amministrazioni comunali tanto da gestire direttamente le attività economiche e politiche di un paese. E tutto ciò si ripercuote nella politica, da quella locale fino a quella regionale e nazionale". Così Piero Grasso, procuratore nazionale antimafia, commenta l'inchiesta della Dda di Palermo che stamani ha portato all'arresto nel palermitano di politici locali, impiegati comunali e imprenditori perchè accusati di concorso esterno in associazione mafiosa. "I boss - afferma Grasso - si annidano nelle amministrazioni locali e le inchieste delle Dda siciliane dimostrano sempre più spesso questo intreccio". Il capo della Dna si è complimentato, infine, con i magistrati della procura di Palermo che hanno coordinato l'inchiesta.Le persone arrestate nell'ambito dell'inchiesta coordinata sulla cosca mafiosa di Trabia sono: Giuseppe Di Vittorio, di 60 anni, ex sindaco di Trabia; Giuseppe Mario Conti, di 43; Salvatore La Barbera, di 52; Innocenzo Ponziano, di 37; Giovanni La Barbera, di 33; Rosanna Modica, di 30; Giovanni Ciaccio, di 66; Francesco Virga, di 60; Andrea Anello, di 56 e Salvatore Buttitta, di 81, a quest'ultimo sono stati concessi gli arresti domiciliari. In carcere il provvedimento è stato notificato a Diego Rinella.
16 Febbraio 2006

mercoledì, febbraio 15, 2006

Chieste 35 condanne

Quando la mafia torna ai vecchi sistemi...

GELA (CALTANISSETTA) - Un cane è stato impiccato alla recinzione di un vigneto come messaggio intimidatorio per il proprietario, un agricoltore di 43 anni, nelle campagne di Gela, in contrada "San Bugi". È stato lo stesso produttore agricolo a scoprire il macabro avvertimento e a denunciare l'episodio ai carabinieri, che hanno avviato indagini. Sempre a Gela, durante la scorsa notte, qualcuno, in via Ermocrate, nel quartiere "Carrubbazza", ha incendiato l'automobile di un operaio di 24 anni, e, in via Farini, nel rione "S. Giacomo", ha appiccato le fiamme al portone dell'edificio di due piani dove abita la famiglia di un carpentiere di 48 anni. Gli incendi sono stati domati dai vigili del fuoco. Carabinieri e polizia indagano su questi due episodi e su un terzo rogo avvenuto, sempre la scorsa notte, a Mazzarino, dove è andata distrutta la "Fiat Uno" di un disoccupato di 63 anni, che l' aveva parcheggiata sotto casa, in via Porto Catenaccio.

5 auto incendiate

LICATA (AGRIGENTO) - Cinque auto sono state incendiate questa notte a Licata: tra le vetture distrutte dalle fiamme anche quella di Antonio Franco Morello, 51 anni, capo dell'ufficio stampa del Comune e quella di Roberto Di Cara, 58 anni, ingegnere, ex vice sindaco dei Ds e dirigente del centro Padre Pino Puglisi. Le altre vetture bruciate sono di un titolare di una gelateria, di una casalinga e di una commercialista.

Un altro politico condannato. Strano che sia dell' UDC...

PALERMO - I giudici della terza sezione del tribunale hanno condannato a due anni e sei mesi di reclusione il capogruppo dell'Udc alla Provincia di Palermo, Gigi Tomasino. Il politico è accusato di turbativa d'asta e falso, reati aggravati dall'avere avvantaggiato l'organizzazione mafiosa. Il collegio ha assolto l'altro imputato, l'ex consigliere provinciale Antonino Cosimo D'Amico, pure lui dell'Udc. L'accusa era sostenuta dal pm Gino Cartosio. Per gli inquirenti il politico condannato è ritenuto vicino al boss latitante Bernardo Provenzano. L' inchiesta, condotta dai carabinieri del Nucleo operativo di Palermo, era sfociata due anni fa nell' arresto dei due esponenti politici per turbativa d'asta. Lo sviluppo delle indagini ha portato gli investigatori a scoprire che nella carriera politica di Tomasino avrebbero avuto un ruolo importante i boss. I carabinieri hanno scoperto che Tomasino avrebbe appoggiato illegalmente una impresa di Giuliana (Palermo) nell' aggiudicazione di un appalto pubblico.

Il Tar di Catania in stato di agitazione

CATANIA - Il personale del Tar di Catania è in stato di agitazione. La decisione è stata presa dalle organizzazioni sindacali Cisl-Fps, Uil-Pa, Cgil-Fp, Confsal-Unsa e dalla Rsu che lamentano un organico insufficiente a fronte di aumentati di carichi di lavoro e della prestazione di nuovi servizi. "La situazione è diventata insostenibile - spiega Delfo Battiato, della segreteria provinciale Cisl Fp - con un organico di 33 unità e un arretrato di circa 66 mila ricorsi pendenti, non è possibile gestire l'attività giurisdizionale del Tribunale che affronta problematiche di rilievo che riguardano cinque province della Sicilia orientale, quali Catania, Messina, Siracusa, Ragusa ed Enna". "Se il Tar Catania ha continuato a svolgere regolarmente la normale attività giurisdizionale - aggiunge il sindacalista - lo si deve esclusivamente al senso di responsabilità e alla buona volontà del personale, costretto, di fatto, a svolgere mansioni superiori (se non anche inferiori!) senza averne alcun riconoscimento nè giuridico, nè economico". "I ripetuti appelli fatti all'amministrazione centrale, cioè al Consiglio di Stato - conclude Battiato - sono rimasti inascoltati. Oggi, il personale si trova costretto a dire basta e a decidere lo stato di agitazione".

martedì, febbraio 14, 2006

Un altro membro dell' UDC

PALERMO - Sequestrati dalla Dia immobili e quote societarie per un valore di 5 milioni 200 mila euro all'ex deputato regionale siciliano dell'Udc, Vincenzo Lo Giudice, a giudizio per associazione mafiosa. Il politico agrigentino, che fino all'arresto era presidente della Commissione Sanità dell'Assemblea siciliana, finì in manette nel marzo del 2004 nell'operazione "Alta mafia".I beni, intestati a Lo Giudice e ad alcuni suoi parenti, si trovano a Caltanissetta e nei comuni agrigentini di Canicattì e Joppolo Giancaxio. Gli immobili sequestrati sono una decina tra appartamenti e magazzini, due appezzamenti di terreno, un terzo delle quote di una tipografia di Canicattì e la partecipazione proprietaria a una farmacia di Joppolo Giancaxio.

Condanna a 14 anni

PALERMO - Il giudice per l'udienza preliminare di Palermo Antonella Consiglio ha condannato a 14 anni di carcere per estorsione aggravata dal favoreggiamento mafioso il boss Benedetto Spera. Sei anni sono stati inflitti al cugino Giovanni, accusato di riciclaggio aggravato ed otto anni e sei mesi a Domenico Virga, imputato di tentativo di estorsione. Virga e Giovanni Spera sono stati arrestati, l'anno scorso, nel corso di una operazione contro le cosche delle Madonie. Del loro ruolo in Cosa nostra aveva parlato il pentito Nino Giuffrè. Le posizioni dei due imputati sono state riunite a quelle dei favoreggiatori del boss latitante Bernardo Provenzano finiti sotto inchiesta nell'ambito della cosiddetta operazione 'Grande Mandamentò e poi stralciate e trattate separatamente per motivi processuali.

Chiesta l'assoluzione per Mori e "Ultimo"

PALERMO - "Questa vicenda se avesse un colore sarebbe il grigio: il bianco e il nero si confondono perchè ci sono stranezze, condotte incomprensibili e talune ombre che hanno minacciato di oscurare un'operazione di polizia così importante che ha portato all'arresto di Riina". Così Antonio Ingroia nella requisitoria del processo al prefetto Mario Mori e al tenente colonnello Sergio De Caprio. Il magistrato ha sottolineato che in questa vicenda si è tenuto conto solo dei fatti giudiziari, lasciando fuori ipotesi, suggestioni e congetture che "spettano ad altri". "Le aule giudiziarie - ha detto Ingroia - non possono supplire ad altre eventuali inerzie". Ingroia ha voluto sottolineare che la procura di Palermo ha "applicato le leggi e adempiuto alle conseguenze del provvedimento del gip che imponeva l'imputazione coatta per Mori e De Caprio".Il pm dopo avere "sgomberato il campo da ipotesi" e basandosi solo sulle reali condotte "penalmente rilevanti" di cui sono accusati i due imputati ha affermato la questione giuridica del reato di favoreggiamento. Ingroia ripete però più volte che è "un fatto semplice e banale" e cita Leonardo Sciascia per dire che è "una storia semplice". Per il magistrato, infatti, la perquisizione dopo l'arresto di un latitante è una cosa normale che venga fatta. Ma rifacendosi alla questione giuridica del favoreggiamento tiene a precisare che "il diritto va valutato e calato rispetto alle condizioni a cui fa riferimento".In mattinata il pm Michele Prestipino aveva iniziato la requisitoria nel processo in cui sono imputati il prefetto Mario Mori, direttore del Sisde, e il tenentecolonnello dei carabinieri Sergio De Caprio, conosciuto come "Capitano Ultimo", accusati di favoreggiamento nei confronti della mafia. Per gli inquirenti avrebbero ritardato la perquisizione al covo di Riina dopo il suo arresto avvenuto il 15 gennaio '93, ed inoltre non avrebbero avvertito la procura dello smantellamento dei servizi di osservazione alla villa del boss.Il pm ha iniziato la requisitoria davanti ai giudici della quarta sezione del tribunale di Palermo. Sono presenti in aula gli imputati, protetti dai carabinieri e da agenti dei servizi segreti. "Questo processo è alla condotta dei due imputati e non al Ros e nemmeno all'attività di Mori e De Caprio". Così il pm Michele Prestipino durante la requisitoria in corso a Palermo davanti ai giudici della Quarta sezione presieduta da Raimondo Lo Forti. Il pm ha ricostruito le fasi del processo e le testimonianze raccolte al dibattimento di magistrati e ufficiali. In particolare, Prestipino si è soffermato sulla richiesta avanzata la mattina del 15 gennaio '93 dall'allora capitano Sergio De Caprio, di rinviare la perquisizione in via Bernini 54, dove Riina aveva trascorso la sua latitanza insieme alla famiglia. Per l'ufficiale del Ros si trattava di proseguire l'osservazione del complesso immobiliare "per scoprire - disse De Caprio nel richiedere il rinvio della perquisizione - nelle 48 ore successive all'arresto, eventuali complici o persone insospettabili".Prestipino ricorda che solo il 30 gennaio '93 il Ros comunicò alla Procura che i controlli erano cessati nel pomeriggio dell'arresto del capo mafia e la perquisizione venne effettuata il 2 febbraio. "Gli inquirenti - afferma il pm - accertarono che l'unità immobiliare di via Bernini 54 era stata abitata dalla famiglia Riina solo grazie alla scoperta di un piccolo frammento di una lettera scritta da uno dei figli del boss". Il pm punta su tre circostanze che avrebbero determinato il favoreggiamento a causa del ritardo nella perquisizione: che la mattina dell'arresto Riina doveva partecipare ad un summit con altri capimafia, che in seguito alla sua cattura sfuggirono; che i mafiosi Giovanni Sansone, Gioacchino La Barbera e Antonino Gioè curarono il trasferimento della moglie di Riiina e dei figli prima alla stazione Centrale di Palermo e da qui a Corleone.E poi, al fatto che a più riprese i tre mafiosi, dopo aver bruciato alcuni oggetti, riuscirono a rimuovere i mobili di via Bernini e a imbiancare le pareti. Il pm Antonio Ingroia ha chiesto ai giudici l'assoluzione perchè il fatto non sussiste e perchè non costituisce reato, riferendosi alle imputazioni che riguardavano la disattivazione dei controlli dell'omessa comunicazione alla Procura. Ingroia ha poi chiesto di non doversi procedere per il reato di favoreggiamento, che deve intendersi estinto per prescrizione in base alla legge ex Cirielli.La Procura non ha ritenuto che alla condotta dei due imputati venga applicata l'aggravante di favoreggiamento all'associazione mafiosa."Le condotta di Mori e De Caprio - ha detto Ingroia ai giudici - sono state dettate da ragioni di Stato e non da altro". Le richieste dei pm fanno riferimento a due differenti condotte di favoreggiamento contestate agli imputati: avere mentito sull'intenzione di tenere sotto controllo il covo del boss Totò Riina, dopo l'arresto; avere interrotto il servizio di telecamere installato davanti al rifugio, tacendolo ai magistrati ed impedendo loro di disporre una tempestiva perquisizione. Quanto alla prima condotta, secondo i magistrati il fatto non sussisterebbe e non costituirebbe reato. Mancherebbe cioè sia l'elemento oggettivo del favoreggiamento che l'intenzionalità. Diversa la valutazione data sulla decisione di non comunicare la disattivazione del sistema video alla procura di Palermo. In questo caso i pm escludono che gli imputati abbiano agito con l'intenzione di favorire Cosa nostra: dal favoreggiamento aggravato si passa dunque a quello semplice ormai prescritto, soprattutto alla luce delle norme introdotte dalla ex Cirielli che riduce i termini di prescrizione del reato a sei anni. Da qui la decisione di chiedere il non doversi procedere.
13 Febbraio 2006

venerdì, febbraio 10, 2006

Rinvio a giudizio per Scapagnini

CATANIA - La Procura di Catania ha chiesto il rinvio a giudizio del sindaco Umberto Scapagnini e di otto ex assessori della sua giunta in carica nel 2005 nell'ambito dell'inchiesta sui contributi previdenziali pagati dal Comune ai propri dipendenti per i danni da cenere lavica tre giorni prima del voto amministrativo nel capoluogo etneo.L'udienza preliminare si terrà domani mattina davanti al Gip Antonino Caruso. La richiesta di rinvio a giudizio è stata presentata dal procuratore Mario Busacca e dai sostituti Francesco Puleio e Ignazio Fonzo. Oltre all'allora sindaco, poi riconfermato, Umberto Scapagnini, sono imputati e otto degli ex assessori che componevano la sua giunta: Nino Strano, Fabio Fatuzzo, Orazio D'Antoni, Angelo Rosano, Antonino Nicotra, Filippo Grasso, Ignazio De Mauro e Rosario D'Agata. I reati ipotizzati, a vario titolo, sono abuso d'ufficio e violazione della legge elettorale.Al centro dell'inchiesta ci sono due delibere comunali per la restituzione dei contributi previdenziali il cui prelievo doveva essere sospeso durante l'emergenza cenere lavica creata da una fase eruttiva dell'Etna. Per questo i circa 4 mila dipendenti comunali avrebbero ricevuto in busta paga una somma compresa tra i 300 e i mille euro, che dovranno restituire senza interessi in 11 anni al loro ente previdenziale.
10 Febbraio 2006

mercoledì, febbraio 08, 2006

Omicidio Calcagno

Il sindaco Crocetta continua a tenere duro

Ricovero del Santapaola

CATANIA - La quarta sezione penale del tribunale di Catania ha disposto "il ricovero urgente di Santapaola Antonino in un reparto di chirurgia convenzionato con l'amministrazione penitenziaria al fine di consentire gli interventi chirurgici" di cui ha bisogno. L'ordinanza sul fratello del boss Benedetto Santapaola è stata emessa ieri dopo la consegna della consulenza medico-legale eseguita dai periti nominati dai giudici.Lo ha reso noto il legale di Antonino Santapaola, l'avvocato Giuseppe Lipera, sottolineando che il suo assistito si trova ancora nella struttura ospedaliera per malati mentali del carcere di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina).Nella relazione il medico legale sottolinea che il paziente è affetto da ernia inguinale che "potrebbe essere soggetta a complicanze anche gravi (strozzamento)" e per "tale motivo urge un trattamento chirurgico ad hoc". Per questo il medico legale ritiene "auspicabile un ricovero urgente del paziente presso un reparto di chirurgia"."È pleonastico ripeterlo - sottolinea l'avvocato Lipera - perché le gravissime condizioni cliniche del Santapaola sono ormai ben note a tutti: l'esame della presente istanza riveste il carattere della massima urgenza perché il detenuto può morire".
8 Febbraio 2006

Duro colpo al clan

ROMA - La polizia di Stato di Siracusa sta eseguendo provvedimenti restrittivi, richiesti dalla Direzione distrettuale antimafia di Catania, nei confronti di 14 persone ritenute responsabili di associazione mafiosa finalizzata al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti, omicidio e rapina.Gli investigatori della Squadra mobile della questura di Siracusa hanno portato alla luce le diversificate attività criminali del clan 'Santa Panagia', che opera nella zona nord della città, a sua volta collegato al più ampio cartello mafioso Aparo-Nardo-Trigila, attivo in tutta la provincia.Le indagini - supportate anche dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia - hanno anche consentito di individuare gli organizzatori e gli esecutori dell'omicidio di Antonio Zimmiti, avvenuto nel gennaio 1996 a Siracusa. Zimmiti avrebbe, all'insaputa della cosca mafiosa di appartenenza, gestito autonomamente un traffico di droga, appropriandosi, inoltre, dei proventi della gestione di una bisca clandestina a lui affidatagli. Per quest'omicidio oggi sono stati arrestati Salvatore Bruno di 43 anni e Carmelo Latino di 37, quest'ultimo già detenuto. L'omicidio di Antonio Zimmitti, ucciso con numerosi colpi di postola, sarebbe maturato nell'ambito di una più vasta operazione di pulizia interna del clan. La polizia di Siracusa è inoltre riuscita a ricostruire le responsabilità di alcuni affiliati all'organizzazione in varie rapine perpetrate, negli anni scorsi, in istituti di credito siracusani. Obiettivo delle rapine era quello di reperire liquidità da reinvestire nell' acquisto di cocaina ed eroina, destinate poi allo spaccio nei quartieri di quel capoluogo sotto l'influenza del clan mafioso.Con la terza fase dell'operazione 'Santa Panagia', la polizia ritiene di aver definitivamente smantellato il clan egemone tra gli anni '90 e il 2000 a Santa Panagia. Dall'inchiesta è emerso anche che il gruppo aveva compiuto tra il 1997 e il 1999 una serie di rapine in banca o ai danni di grosse aziende, colpi che servirono per reperire liquidità finanziaria che veniva sistematicamente reinvestita nell'acquisto di droga. Il traffico e lo smercio degli stupefacenti, infatti, costituiva una delle principali attività del gruppo che si avvaleva della collaborazione di numerosissimi pusher che piazzavano materialmente la droga in diverse zone della città tutte poste rigidamente sotto il controllo del clan.
8 Febbraio 2006

Aiello cambia versione...

PALERMO - "Da Cuffaro non ho mai avuto alcuna notizia di persone indagate o di indagini in corso". Così Michele Aiello, imprenditore della sanità privata, imputato di associazione mafiosa, ha risposto in aula ai pm che lo hanno interrogato nel processo in cui è imputato insieme, fra gli altri, al governatore Totò Cuffaro, al medico radiologo Aldo Carcione e al maresciallo dei carabinieri, Giorgio Riolo.In quasi cinque ore di interrogatorio Aiello si è contraddetto spesso rispetto alle dichiarazioni rese durante la fase preliminare, sottolineando la situazione psicologica in cui si trovava nel periodo in cui era in carcere e le cattive condizioni di salute che non gli avrebbero consentito la necessaria lucidità. La sua testimonianza sembra essere una marcia indietro rispetto alle dichiarazioni iniziali ai pm, con accuse nei verbali di interrogatorio di pochi mesi fa rettificate dall'imprenditore nell'udienza di oggi.L'imputato ribatte alle osservazioni dei pm, e puntualizza le vecchie dichiarazioni in cui parlava di presunte "talpe romane". La circostanza sarebbe stata appresa da Aiello durante un incontro con Cuffaro avvenuto nel retrobottega di un negozio di Bagheria. L'imprenditore aveva sostenuto in precedenza che il governatore lo avrebbe informato di indagini avviate dalla procura nei suoi confronti. Una versione che oggi ha invece modificato: "Con il presidente non ho mai parlato di intercettazioni, né di persone indagate. Con lui mi sono limitato a discutere del problema del tariffario che veniva esaminato dall'assessorato regionale alla Sanità e solo alla fine mi ha detto di stare attento a parlare al telefono con Riolo". Aiello si spinge oltre, e quando il pm Nino Di Matteo gli rilegge la trascrizione delle intercettazioni telefoniche in cui parla con Carcione o con i marescialli Giuseppe Ciuro e Giorgio Riolo, l'imprenditore anche davanti alle affermazioni registrate dai carabinieri, tenta di dare nuove interpretazioni alle parole da lui stesso pronunciate quando parlava della scoperta di indagini segrete avviate dalla Dda. Aiello ribadisce che la persona che "terrorizzava il presidente Cuffaro" era l'ex maresciallo Antonio Borzacchelli, eletto deputato regionale dell'Udc nel 2001, poi arrestato con l'accusa di concussione: "Borzacchelli faceva opera di terrorismo perché minacciava di far avviare indagini che mi avrebbero rovinato e per questo sono stato costretto ad assecondare alle sue richieste di denaro. Prima voleva il 5 per cento delle azioni della Diagnostica, poi ha cambiato idea e mi ha chiesto 4 o 5 miliardi delle vecchie lire"."Per proteggerci dai ricatti di Borzacchelli avevamo creato, su idea del maresciallo Giuseppe Ciuro, una rete riservata di telefonini in cui potevamo parlare senza essere intercettati". Così Michele Aiello spiega in aula la "rete riservata" di cellulari che è stata poi scoperta dai carabinieri del Reparto operativo di Palermo che hanno condotto le indagini sulle "talpe alla Dda".Secondo l'imprenditore della sanità privata il problema era rappresentato dal deputato regionale Borzacchelli che "faceva il terrorista" per ottenere soldi e spaventare il governatore. "Borzacchelli mi riferì - afferma Aiello - che il pentito Giuffrè parlava di me. Mi disse che se volevo avere ulteriori informazioni potevamo andare a parlare con il comandante della compagnia dei carabinieri di Termini Imerese. Risposi che non mi interessava, ma in quella occasione diedi dei soldi a Borzacchelli". L'imputato, rispondendo alle domande del pm Nino Di Matteo ha inoltre rivelato che il maresciallo Giorgio Riolo conosceva Cuffaro da diverso tempo. "Riolo e Borzacchelli - dice Aiello - erano stati da Cuffaro nel novembre 1998 per chiedere di poter assumere la moglie di Riolo, ma solo alcuni anni dopo venne assunta nella mia clinica". L'esame dell'imputato dopo cinque ore è stato sospeso e il tribunale, presieduto da Vittorio Alcamo, lo ha rinviato a martedì 14 febbraio.
7 Febbraio 2006

martedì, febbraio 07, 2006

Stroncato traffico di droga tra Sicilia e Belgio

AGRIGENTO - Un traffico internazionale di cocaina fra il Belgio e la Sicilia è stato scoperto dalla polizia che stamani ha eseguito nove ordinanze di custodia cautelare in carcere. I provvedimenti sono stati firmati dal gip del tribunale di Palermo su richiesta dei pm della Dda Fernando Asaro e Gianfranco Scarfò.L'inchiesta condotta dalla squadra mobile di Agrigento ha portato ad individuare i componenti di una organizzazione che acquistava la cocaina in Belgio e la faceva arrivare fino alla città dei Templi dove poi veniva spacciata in molte centri dell'Agrigentino. Gli acquirenti individuati dalla polizia sono in gran parte professionisti. I trafficanti effettuavano i pagamenti della cocaina attraverso operazioni economiche on line. All'operazione scattata all'alba collabora il Dipartimento anti crimine della polizia e vi partecipano circa cento agenti impegnati in controlli e perquisizioni.
7 Febbraio 2006

lunedì, febbraio 06, 2006

Beccati!! Scambio di tangenti ai piani alti.

Ecco un'altra foto in esclusiva: incontro tra Bernardo Provenzilla (a destra) e Salvatore Cufferpa, Presidente della Regione Sicilia (a sinistra), per uno scambio di tangenti....

Oltre vent'anni per tre boss...

domenica, febbraio 05, 2006

Ecco il trio delle meraviglie!


Ecco una foto in esclusiva che ritrae i boss Bernardo Provenzilla (a sinistra), Salvatore Riinillo (al centro) e Tano Badalamentaghi (a destra)... Posted by Picasa

mercoledì, febbraio 01, 2006

Un'altra avventura del nostro " Totò il campione"

PALERMO - I carabinieri indagavano sulla famiglia mafiosa di Villabate e sull'ex presidente del consiglio comunale del paese, Francesco Campanella, oggi pentito, già dal 2001. Lo dimostra un rapporto dell'Arma, in cui Campanella viene definito braccio politico dei boss Mandalà di cui i pm, che processano il governatore siciliano Salvatore Cuffaro, hanno chiesto l'acquisizione agli atti del dibattimento.Il documento, secondo i magistrati, proverebbe la bontà delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia che aveva detto di essere stato informato da Cuffaro della esistenza di un'inchiesta a suo carico già nel 2003. La difesa del presidente della Regione aveva contestato le dichiarazioni del pentito, sostenendo che fosse impossibile che il presidente sapesse, già nel 2003, dell'indagine, visto che il nome di Campanella è finito nel registro degli indagati della procura solo nel 2005. Il fascicolo dell'Arma, prodotto oggi e sottoposto alla difesa, sarebbe invece, secondo i pm, la prova che il governatore, già anni prima, poteva sapere dell'attività investigativa sui boss di Villabate e su Campanella grazie ai suoi rapporti con l'Arma dei carabinieri ed, in particolare, col maresciallo Antonio Borzacchelli. I risultati dell'indagine dei carabinieri, a cui prese parte anche un sottufficiale molto vicino a Borzacchelli, finirono in un fascicolo aperto dalla prefettura per l'ipotesi di scioglimento del comune di Villabate per infiltrazione mafiosa.
31 Gennaio 2006

E così si chiude... Posted by Picasa

Incendio ad autosalone... Posted by Picasa