sabato, gennaio 26, 2008

Che eroe che e' adesso... In un paese normale sarebbe stato il minimo..

PALERMO - Il Governatore della Sicilia, Salvatore Cuffaro, ha annunciato in aula le sue dimissioni "irrevocabili", dopo le polemiche legate alla condanna a cinque anni di reclusione per favoreggiamento semplice che gli è stata inflitta venerdì scorso dal tribunale di Palermo.
"Non potevo lasciare che ogni mia decisione fosse assunta senza conoscere la volontà dell'Assemblea Regionale. Le odierne dimissioni non sono, dunque, frutto di alcun automatismo. Esse costituiscono, invece, una scelta personale, assunta per ragioni umane e politiche". Ha detto nel suo discorso all'Ars, il presidente della Regione Salvatore Cuffaro, spiegando così i motivi che lo hanno indotto a dimettersi dalla carica.
"Insieme a tantissime manifestazioni di affetto e sostegno politico ho visto diffondersi, in questi giorni, una crescente ostilità verso la mia persona. Un sentimento che non mi appartiene nè culturalmente nè politicamente ed al quale in questi anni non ho saputo nè voluto dare spazio".
"E siccome, il popolo, più che i salotti o le manovre di palazzo, è sempre stato l'elemento centrale della mia esperienza politica - ha aggiunto - anche in questa circostanza così delicata non voglio sottrarmi a un confronto leale con esso".
"In questi anni alla guida del governo regionale - ha proseguito Cuffaro - ho sempre cercato di tessere le ragioni dell'unità e del bene comune, in una terra straordinaria e difficile come la nostra. Sarebbe, perciò, risultato insopportabile alla mia coscienza l'idea di potere costituire, con la scelta di rimanere in carica, un fattore di divisione e contrapposizione sociale. Tutto ciò avrebbe alimentato ulteriori polemiche, poco utili, peraltro, a riaffermare il vero significato di atti e di eventi che, dal giorno della sentenza, ho visto quotidianamente distorti".
"Francamente preferisco la via dell'umiltà. Lo faccio per non tradire quegli ideali ai quali sono stato educato, lo faccio per la mia famiglia e lo faccio come ultimo atto di rispetto verso i siciliani, che in questi anni ho servito con dedizione, semplicità e con quella onestà che sono certo mi verrà completamente riconosciuta".
"Fino a quando non ci sarà una sentenza definitiva - ha spiegato - ci sarà una verità processuale e una verità sostanziale. Con la mia decisione rispetterò la prima, in coerenza con il comportamento che ho tenuto in questi anni nei confronti della magistratura e delle istituzioni, ma con determinazione - ha concluso il Governatore - mi batterò, in tutte le sedi, per l'affermazione della verità sostanziale, a difesa della mia vita pubblica e privata".
"Ho vissuto anni di intensa sofferenza confortato, oltre che dall'affetto di tanti siciliani, dalla cristiana consapevolezza che nella vita di un uomo essa non è mai vana".
"Mi ha confortato - ha aggiunto - il riconoscimento, anche da parte del giudice, di quanto nel mio cuore era stato sempre certo: ossia l'assoluta estraneità del mio agire e del mio sentire, pubblico e privato, alle finalità di un'organizzazione come la mafia".
"Ma tale sollievo - osserva il Governatore - non mi ha mai sottratto a quell'intensa riflessione che oggi mi vede nuovamente di fronte a voi per comunicarvi le mie irrevocabili dimissioni dalla carica di Presidente della Regione".
Cuffaro spiega infine: "già al momento della sentenza sentivo dentro di me il dovere di compiere questo passo, ma ho deciso di attendere sino all'approvazione del Bilancio e della Legge Finanziaria, per senso di responsabilità verso una terra che continuerò ad amare e che in questi anni ho servito fedelmente, consegnando ad essa tutto il mio tempo e le mie energie".
Il presidente della Regione Salvatore Cuffaro ha aggiunto che comunicherà le proprie dimissioni al presidente della Repubblica. Cuffaro ha concluso il suo discorso tra gli applausi di numerosi parlamentari e di tutti i presenti sul banco del governo.
26/01/2008
Fonte: La Sicilia
Che Bravo cristiano.........

domenica, gennaio 20, 2008

Non ho parole... Sciopero per qualche giorno...

PALERMO - Il presidente della Regione siciliana, Salvatore Cuffaro(figlio di puttana) è stato dichiarato colpevole (e bastardo) e condannato a 5 anni di reclusione per favoreggiamento semplice e rivelazione di segreto d'ufficio. E' caduta dunque l'aggravante del favoreggiamento a Cosa nostra. L'imprenditore Michele Aiello, indicato come il "re Mida" della sanità siciliana e personaggio chiave del processo, è stato condannato a 14 anni di reclusione."Non ho mai favorito la mafia. Quello che farò lo sapete già: domani alle 8 sarò al mio tavolo di lavoro", ha detto il presidente della Regione commentando la sentenza del processo sulle talpe Dda. "Voglio ringraziare e abbracciare mia moglie, i miei figli, i miei genitori e i siciliani che mi hanno sostenuto in questi momenti difficili. Vorrei ringraziare anche i miei avvocati", ha aggiunto il governatore, assediato dai giornalisti all'uscita dall'aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo."Ho sempre sperato che la verità di cui ero moralmente certo venisse riconosciuta anche in sede giudiziaria - ha proseguito -. La sentenza di oggi conferma che non ho mai commesso atti tesi a favorire la mafia, vero e proprio cancro della Sicilia, che ho sempre combattuto con tutte le mie forze. Proprio per questo, come già detto in passato, ritengo, comunque, giusto, importante e doveroso continuare a svolgere il compito al quale sono stato chiamato dai siciliani"."Tuttavia non posso nascondere lo stato di disagio nel quale mi trovo di fronte a una sentenza di primo grado che mi vede, comunque, condannato. Per il rispetto che ho sempre manifestato nei confronti delle istituzioni non intendo commentare la sentenza ma preannuncio fin da ora un ricorso affinché venga riconosciuta la mia completa innocenza di cui mantengo l'intima certezza".Cuffaro è stato condannato all'interdizione "in perpetuo" dai pubblici uffici e all'interdizione legale "durante l'espiazione della pena". L'interdizione, tuttavia, non è esecutiva. Il presidente ha infatti annunciato che ricorrerà in appello. "Visti gli articoli 28, 29, 31 e 32 del codice penale il tribunale dichiara Michele Aiello, Giorgio Riolo e Salvatore Cuffaro interdetti in perpetuo dai pubblici uffici e in stato di interdizione legale durante l'espiazione della pena": queste le parole pronunciate in aula dal presidente Vittorio Alcamo durante la lettura del dispositivo. Alcamo, visibilmente emozionato, ha dovuto a un certo punto interrompersi per far cessare il brusio del pubblico presente in aula. "Per favore - ha detto Alcamo -, dobbiamo fare silenzio. Per cortesia, per rispetto di tutte le parti processuali e del tribunale gradirei il massimo silenzio". Poi ha continuato la lettura della sentenza.Cuffaro, contrariamente a quanto aveva anticipato, si è presentato nell'aula, seguito dalla scorta, per assistere alla lettura della sentenza. Prima del verdetto ha stretto la mano ai due pubblici ministeri Maurizio De Lucia e Michele Prestipino e al procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone, che hanno lasciato l'aula senza rilasciare alcun commento.
18/01/2008
Fonte: La Sicilia

martedì, gennaio 15, 2008

Stangata al clan Brunetto...

CATANIA - Quindici persone ritenute vicine alla cosca Brunetto arrestate e beni stimati in 52 milioni di euro sequestrati. È il bilancio di un'operazione contro il riciclaggio condotta dalla guardia di finanza del comando provinciale di Catania, denominata 'Little brown', che, secondo l'accusa, fa luce sulla gestione di soldi provenienti da usura, estorsioni e spaccio di droga ripuliti attraverso due società di trasporto e una di costruzioni.
L'inchiesta, coordinata dalla Dda della Procura di Catania, riguarda il presunto clan mafioso che fa capo a Paolo Brunetto, 51 anni, che opera nella zona Ionica di Fiumefreddo di Sicilia. Tra gli arrestati, oltre allo stesso Brunetto, ci sono la moglie, Carmela Magnera, 52 anni, e il suo presunto 'guardaspalle', Attilio Amante, 44, che sarebbero gestori dell'azienda di trasporti Ambra Transit, che è tra le società sequestrate. Per la Procura di Catania Carmela Magnera durante la detenzione del marito gli sarebbe subentrata nella conduzione del gruppo criminale.
Le altre aziende alle quali le Fiamme gialle hanno posto i sigilli sono la Francesco Argiri Carrubba, gestita dall'omonimo titolare, di 26 anni, e dal padre Rosario, di 45, entrambi arrestati; e la Cosma Costruzioni di Mascali. Con l'accusa di associazione mafiosa gli investigatori hanno inoltre arrestato Salvatore Antonino Benedetto, 41 anni, Giovanni Pernicano, 63, e Lorenzo Pocorobba, 51; mentre devono rispondere di concorso in riciclaggio Salvatore Cannizzo, 65 anni, Roberto Cavallo, 41, Giuseppe Cucè, 69, Antonino Galasso, 50, Francesco Sofia, 44, e Salvatore Tardà. A quest'ultimo il provvedimento restrittivo è stato notificato in carcere perchè già detenuto per altra causa. Tra gli indagati raggiunti da ordine di custodia cautelare in carcere c'è anche un usciere della Banca popolare di Lodi, Vito Concetto Orazio Ingrassia, 44 anni, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo l'accusa avrebbe messo a disposizione di esponenti del clan le sue conoscenze e fornito alla cosca anche informazioni sulle indagini bancarie condotte dalla guardia di finanza, che avrebbe cercato di osteggiare con un comportamento definito dagli investigatori ostruzionistico.
Dalla Procura della Repubblica di Catania si sottolinea che "l'indagine, ancora in corso, e vede il coinvolgimento di altre persone, compresi dipendenti di altri istituti di credito la cui posizione è al vaglio" della magistratura.

15/01/2008
Fonte: La Sicilia

Ci siamo...

PALERMO - La terza sezione del Tribunale, presieduta da Vittorio Alcamo, si ritirerà domani in camera di consiglio nell'aula bunker di Pagliarelli per emettere la sentenza del processo alle cosiddette "talpe" della Dda. Secondo alcune indiscrezioni, i pm Maurizio De Lucia e Michele Prestipino avrebbero fatto sapere che non replicheranno alle arringhe dei difensori. Nel processo sono imputate 13 persone, tra cui il presidente della Regione siciliana Salvatore Cuffaro, accusato di favoreggiamento di Cosa nostra, l'imprenditore della sanità Michele Aiello, accusato di associazione mafiosa e l' ex maresciallo del Ros Giorgio Riolo, accusato di concorso in associazione mafiosa. Il collegio giudicante avrebbe prenotato gli alloggi, che si trovano nell'istituto di pena, per due giorni, circostanza che fa ritenere che la sentenza potrebbe arrvare giovedì sera o al massimo venerdì mattina.
15/01/2008
Fonte: La Sicilia

I nomi...

Da un lato le indagini, persino le condanne. Numerose, numerosissime, in crescita. Dall'altro i provvedimenti degli Organi professionali, uno, due, tre, neanche una decina. Un buco nero, una voraggine su cui «La zona grigia, professionisti al servizio della mafia», di Nino Amadore (La Zisa, 145 pagg., 10 euro) richiama l'attenzione. E rompe il silenzio. Perché dei colletti bianchi della mafia si parla spesso, ma sempre in astratto, o più drammaticamente con il fanalismo di un danno collatterale. Senza invece fare nomi e cognomi, senza cercare di capire quanto, come, e dove i collusi o i favoreggiatori agiscono.
Il libro di Nino Amadore di nomi ne fa. Quelli dei medici degli avvocati, dei commercialisti, degli ingegneri coinvolti dalle inchieste della magistratura. Con gradi di responsabilità diversi: c'è ad esempio Giuseppe Guttadauro medico ma anche capomandamento di Brancaccio, ci sono gli avvocati Gianni Lapis e Giorgio Ghiron legati a Massimo Ciancimino e al centro di una maxi operazione di riciclaggio. Intanto gli Ordini, per agire, prendono tempo e aspettano (forse) la Cassazione.
Fonte: Il Sole 24 Ore

Trasferta in Germania

Roma, 13 gen. (Adnkronos) - La Commissione Parlamentare Antimafia sara' in missione in Germania da domani fino a mercoledi' 16 gennaio. La Commissione, informa una nota, si rechera' a Berlino, Dusseldorf, Duisburg, Wiesbaden e Francoforte per incontri con le autorita' politiche federali tedesche, dei Land, della magistratura e della polizia, per approfondire lo stato delle politiche di miglioramento degli strumenti di contrasto alla criminalita' organizzata sia nei due paesi che in ambito europeo. Particolare attenzione sara' posta sulle attivita' antiriciclaggio e sugli sviluppi successivi alla strage di Duisburg dell'agosto 2007.
Fonte: Adn Kronos

lunedì, gennaio 14, 2008

E a Messina...

PALERMO - E' quella di Messina la provincia siciliana in cui il racket tende a imporre alle imprese il pizzo più oneroso, nel commercio così come nel settore edile. Ma in genere il "principio" a cui gli estorsori s'ispirano nell'Isola è l'ormai noto "far pagare poco, far pagare tutti".

Sono due delle conclusioni a cui è pervenuta la ricerca su "I costi dell'illegalità", promossa dalla Fondazione Chinnici e condotta nell'Isola tra il 2006 e il 2007. Lo studio sarà presentato a Palazzo Steri di Palermo durante un convegno che si aprirà venerdì pomeriggio, alle 15.30, e proseguirà sabato mattina.

I lavori saranno conclusi dal presidente del Senato, Franco Marini. Venerdì sarà il presidente della commissione parlamentare Antimafia, Francesco Forgione, a tirare le conclusioni dopo gli interventi di Alessandro Pajno, sottosegretario del ministero degli Interni, e di Ettore Artioli, vicepresidente di Confindustria. A presiedere i lavori sarà il presidente del Tribunale di Palermo, Giovanni Bosco Puglisi.

Sabato a prendere la parola saranno, tra gli altri, Clemente Mastella, ministro della Giustizia; Luigi Cocilovo, vicepresidente del Parlamento europeo; il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso; il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, il procuratore aggiunto Guido Lo Forte, e Antonio Balsamo, magistrato di Cassazione.
L'assise si aprirà con un ricordo di Rocco Chinnici della figlia Caterina, procuratore della Repubblica presso il tribunale dei minori di Caltanissetta e vicepresidente della fondazione intitolata al padre.

14/01/2008
Fonte: La Sicilia

domenica, gennaio 13, 2008

Arrestati per "pizzauto"

PALERMO - I carabinieri del Comando provinciale di Palermo hanno arrestato tre appartenenti a Cosa Nostra, accusati di aver imposto (e anche riscosso) il "pizzo" al titolare delle autoconcessionarie Hyundai del capoluogo siciliano. I provvedimenti di fermo, emessi dalla Dda di Palermo, riguardano esponenti dei mandamenti Pagliarelli e Noce. In un video sono state registrate la voce e le immagini degli "esattori" mentre riscuotono la quota prevista per le recenti festività natalizie.

Le indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Guido Lo Forte e dai sostituti Roberta Buzzolani e Marcello Viola, partono dalle dichiarazioni del collaboratore Giuseppe Calcagno e si sviluppano in seguito all'arresto del "re del pizzo", Enrico Scalavino. I carabinieri hanno monitorato diverse attività imprenditoriali palermitane, scoprendo che Pietro Tumminia, 36 anni, si era sostituito a Scalavino nell'attività di riscossione del "pizzo" per ogni singola sede delle concessionarie. Tumminia è uno degli attuali vertici del mandamento mafioso della Noce, reggente della famiglia di Altarello.

Tra gli arrestati uno dei personaggi di spicco della famiglia mafiosa di corso Calatafimi, inserita nel mandamento di Pagliarelli, Ferdinando La Innusa, 52 anni, che faceva l'esattore del "pizzo" sotto il coordinamento di Tumminia, il quale si serviva a sua volta di un altro personaggio della propria famiglia, Daniele Formisano, 33 anni.

13/01/2008
Fonte: La Sicilia

venerdì, gennaio 11, 2008

Pensa, sono indignati... Ma vaffanculo!!!

Il premio per la legalità ai poliziotti che hanno ucciso il boss mafioso Daniele Emmanuello, nel corso della cattura, non piace ai famigliari del boss. Gli Emmanuello, attraverso una lettera, si dicono "indignati e sdegnati" per l'iniziativa del sindaco di Gela, Rosario Crocetta, che il prossimo 23 febbraio consegnerà ai poliziotti della squadra "catturandi" il premio alla legalità del comune di Gela. Gli Emnmanuello contestano il fatto che i poliziotti abbiano sparato per contrastare una fuga passiva, non armata, "una condotta illegale, non merita certamente la attribuzione di un 'premio della legalità'", dicono.

Il sindaco risponde dalle colonne del Giornale di Sicilia di oggi: "Non si può capovolgere il mondo. Vogliamo dipingere i ladri come santi e le guardie come demoni? Daniele Emmanuello, condannato a due ergastoli per alcuni omicidi che ha commesso, considerato uno dei più pericolosi capimafia latitanti, è caduto perché non si voleva fare arrestare, perché ha tentato di fuggire".
Fonte: vita online

Ci siamo...

PALERMO - Potrebbe essere emessa il 17 o il 18 gennaio, nell'aula bunker di Pagliarelli, la sentenza del processo per le Talpe alla Procura di Palermo, che vede tra gli imputati il presidente della Regione siciliana Salvatore Cuffaro, accusato di favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e rivelazione di segreto d'ufficio. Intanto stamane, davanti ai giudici della terza sezione del tribunale di Palermo, si è tenuta l'arringa dell'avvocato Nino Mormino, uno dei legali del governatore. Il difensore dovrebbe concludere il 16 gennaio, giorno in cui i giudici dovrebbero ritirarsi in camera di consiglio per il verdetto finale. La Procura per Cuffaro ha chiesto otto anni.

"Non c'è mai stato alcun rapporto" tra il presidente della Regione Sicilia, Salvatore Cuffaro e il boss mafioso Giuseppe Guttadauro. Ha detto l'avvocato Antonino Mormino nella sua arringa difensiva davanti ai giudici della terza sezione penale del Tribunale di Palermo. Secondo l'accusa Cuffaro, attraverso l'ex assessore comunale Domenico Miceli, avrebbe intrattenuto rapporti con il boss di Brancaccio. “Non è mai emerso in nessuna occasione un collegamento tra Guttadauro e Cuffaro - ha continuato - Cuffaro ha visto la moglie di Guttadauro solo due volte”. E ha ricordato la vicenda della candidatura dell'avvocato Salvatore Priola, che sarebbe stata 'sponsorizzata'' da Guttadauro.

“Quando viene prospettata a Cuffaro la candidatura di Priola -ha detto Mormino- Cuffaro tronca subito il discorso, dicendo 'non ne voglio sentire parlare', così la candidatura di Priola non passa”. E ha aggiunto: “la volontà di Cuffaro di favorire Guttadauro è assolutamente improponibile e non configurabile”. Durante la sua arringa difensiva, l'avvocato Antonino Mormino ha ribadito con forza che “è escluso che la fonte di informazione di Cuffaro sia stata Antonio Borzacchelli, non è provato”. Secondo l'accusa, invece, sarebbe stato l'ex maresciallo dei carabinieri ed ex deputato regionale Antonio Borzacchelli a riferire a Cuffaro su notizie di indagini segrete.

“L'ipotesi dell'accusa -ha detto Mormino- è che l'informatore di Cuffaro possa essere stato Borzacchelli, un'ipotesi tutta da verificare. Riguarda una fonte che viene qualificata come un pubblico ufficiale non più operativo”. Per la difesa del governatore siciliano, oggi assente in Aula, “Cuffaro si è servito di Borzacchelli per intervenire nelle precauzioni e verificare la possibilità di essere intercettato. Dov'è la prova della funzione permanente di Borzacchelli quale informatore di notizie riservate?

I rapporti tra Borzacchelli e Cuffaro sono di natura politica”. E citando il pentito Francesco Campanella, secondo cui Cuffaro si teneva buono Borzacchelli perchè lo informasse delle indagini a suo caricò, l'avvocato Mormino ha ribadito che “i rapporti tra Cuffaro e Borzacchelli risalivano a molto tempo prima”. E poi ha sottolineato: “i traditori non stanno nella politica in questo caso, ma si annidano nelle istituzioni”.

Ha anche ribadito con forza che Cuffaro abbia riferito notizie riservate a Domenico Miceli. “L'unicità della fonte -ha detto- rimane Salvatore Aragona”, cioè il medico che ha collaborato con i magistrati e che ha riferito delle presunte rivelazioni di indagini da parte di Cuffaro”. Poi, parlando dell'episodio del giugno 2001 quando, secondo i pm Cuffaro avrebbe appreso della presenza di microspie a casa del boss Guttadauro, Mormino ha detto: “non c'è alcuna conferma che Cuffaro già nel giugno 2001 fosse a conoscenza delle microspie a casa di Guttadauro”.
09/01/2008

Fonte: La Sicilia

Pizzo a Torino

PALERMO - Un imprenditore, che gestisce una sala Bingo, ha denunciato alla polizia di avere subito minacce e intimidazioni per costringerlo a pagare il pizzo. Così i pm della procura di Palermo hanno disposto due fermi che sono stati eseguiti dagli agenti della Squadra mobile, in un'indagine tra Palermo e Torino.

Sono finiti in cella i pregiudicati Ottavio Magnis, di 37 anni, e Calogero Pillitteri, di 38, entrambi accusati di estorsione. L'imprenditore palermitano gestiva, a Moncalieri in provincia di Torino, la sala Bingo più grande d'Europa. I provvedimenti di fermo di polizia giudiziaria sono stati emessi dai pm della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, Marzia Sabella e Francesco Del Bene, coordinati dai procuratori aggiunti, Giuseppe Pignatone e Alfeddo Morvillo.

L'imprenditore ha raccontato di aver subito minacce e intimidazioni da parte dei due indagati arrestati dalla polizia.Dalle indagini è emerso che un primo contatto con gli estortori è avvenuto a Palermo, dove l'imprenditore ha subito anche la minaccia di un attentato dinamitardo, seguito dalla richiesta del pagamento di 700 mila euro. Contemporaneamente a questo episodio alcuni complici legavano con delle catene i cancelli della sala Bingo di Moncalieri.

L'uomo ha denunciato i fatti, e le indagini che sono state sviluppate, anche grazie alle intercettazioni, hanno portato a delineare il quadro della vicenda legata al racket delle estorsioni.

Calogero Pillitteri, uno degli arrestati, è cognato di Francesco e Giovanni Bonanno, indicati come esponenti mafiosi. L'uomo è stato bloccato a Palermo dagli agenti della polizia. Mentre Ottavio Magnis è stato arrestato a Torino grazie alla collaborazione della locale Squadra Mobile.

L'imprenditore era nel libro "mastro" dei Lo Piccolo. Il nome dell'azienda, con attività a Palermo e Moncalieri (To) era dell'elenco delle ditte trovate nel libro mastro delle estorsioni sequestrato ai boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo. L'imprenditore, molto tempo prima della pubblicazione dell'elenco, si era rivolto ad Addiopizzo e all'associazione antiracket Libero Futuro ai quali aveva raccontato di avere subito minacce.

Proprio grazie al sostegno delle associazioni, l'imprenditore aveva deciso di denunciare tutto alla polizia. Per le associazioni antiracket "l'operazione di polizia segna un nuovo successo all'attività di contrasto dello Stato".

"Libero Futuro, Fai e comitato Addiopizzo - si legge in una nota - hanno seguito e sostenuto sin dal primo momento l'imprenditore cha ha sempre denunciato ogni tentativo di estorsione. La pubblicazione del libro mastro e dei documenti di Lo Piccolo ha certamente condizionato il corso delle indagini e ha gettato una cattiva luce su un imprenditore che invece ha avuto un atteggiamento ineccepibile sin dal primo momento e cioè prima che la lista fosse pubblicata".

Il referente torinese. Dei due indagati, Ottavio Magnis è stato arrestato a Torino. Secondo l'inchiesta, avrebbe avuto un ruolo di referente torinese e appoggio logistico nei vari tentativi di intimidazione nei confronti dell'imprenditore palermitano, titolare della sala bingo a Moncalieri.Emergono d'altra parte alcune connessioni di Magnis con la gestione e l'utilizzo di videopoker non regolari in sale gioco torinesi. L'uomo era noto da tempo alla squadra mobile di Torino per reati contro il patrimonio e la persona, tra cui delle rapine, e per questo aveva scontato alcuni periodi di detenzione, ma era libero ormai da alcuni anni. L'hanno catturato ieri vicino alla sua abitazione, un appartamento che avevo preso in affitto in corso Agnelli, in una zona semiperiferica della città, dove stava con la famiglia, anche se la sua residenza ufficiale era a Nichelino, nell'hinterland torinese. Di fronte agli agenti della Questura si è mostrato incredulo e ha affermato: "Io non c'entro niente, mi hanno incastrato" e con estrema calma ha continuato a mantenere la sua versione. Non è chiaro però come potesse mantenere il suo tenore di vita, a partire dall'appartamento in affitto fino all'utilizzo di un'automobile Mercedes, dal momento che non risulta avere redditi legali ormai da anni.


10/01/2008
Fonte: La Sicilia

Inasprito il 41 bis

NOVARA - È stato aggravato il carcere duro per il capomafia Bernardo Provenzano, arrestato l'11 aprile del 2006 dopo una latitanza record (43 anni). Il provvedimento con il quale viene applicato il 14 bis, che si somma al 41 bis dell'ordinamento penitenziario è stato decretato dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria su proposta della Direzione generale dei detenuti. Questo duro regime carcerario, secondo quanto si legge nel provvedimento, ha come scopo "quello di impedire le comunicazioni con l'esterno".

Il provvedimento è stato deciso in seguito ad attività di analisi e indagini che ha avuto anche il nullaosta di varie Procure in cui Bernardo Provenzano è imputato. Il 14 bis, che inasprisce il 41 bis, nei mesi scorsi è già stato applicato al boss mafioso Leoluca Bagarella e al capomafia trapanese Andrea Manciaracina.
11/01/2008
Fonte: La Sicilia

lunedì, gennaio 07, 2008

Anniversario Pippo Fava

È stato ricordato ieri il 24mo anniversario dell'uccisione di Giuseppe Fava, ucciso dalla mafia la sera del 5 gennaio del 1984 davanti al teatro Stabile di Catania, in via via che adesso ha il nome del giornalista assassinato. Un anno prima della sua morte Fava aveva fondato il mensile «I siciliani», dalle cui pagine denunciava i rapporti tra criminalità e politica. Come mandanti dell'omicidio sono stati condannati all'ergastolo, con sentenza definitiva, i boss Nitto Santapaola e Aldo Ercolano, mentre furono assolti Marcello D'Agata e Franco Giammuso, condannati in primo grado come esecutori dell'uccisione. Maurizio D'Avola, reo confesso del delitto, fu condannato a sette anni. Sul luogo dell'omicidio, ricordato da una targa, ieri pomeriggio a Catania si è svolto un presidio al quale ha preso parte, tra gli altri la Provincia Regionale di Catania. A rappresentare l'ente, su delega del presidente Raffaele Lombardo, è stato l'assessore Orazio Pellegrino.
Fonte: La Sicilia

Addiopizzo cresce...

C'è un'autocarrozzeria nel cuore del quartiere Uditore, dove è stato catturato Totò Riina. C'è una ditta artigiana di lavori edili di ristrutturazione a Partanna Mondello, feudo del "re delle estorsioni" Salvatore Lo Piccolo. E poi commercianti di via Libertà, di via Roma, di viale Regione Siciliana. Un esercito che diventa sempre più numeroso: sono ormai 227 gli esercenti di Palermo che aderiscono al movimento "Addio pizzo" e dichiarano di non pagare il clan di estorsori. La lista dei commercianti e imprenditori "pizzo free" si allunga ogni giorno che passa, e fa da contraltare alla lista di chi invece per paura o per convenienza decide di pagare gli emissari dei clan. Un fenomeno sempre più diffuso, a Palermo, come dimostrano la contabilità e i "pizzini" sequestrati al boss Salvatore Lo Piccolo, il capomafia che ha sostituito fino alla sua cattura Bernardo Provenzano alla guida di Cosa Nostra. Ma la ribellione dei commercianti e degli imprenditori onesti, guidata dai giovani di "Addio pizzo", procede senza sosta anche se ci sono alcuni quartieri della città come Brancaccio e la Noce dove le caselle degli imprenditori "pizzo free" restano vuote. «Leggete con attenzione l'elenco, portatelo sempre con voi, acquistate i prodotti di questi nostri coraggiosi concittadini; fatelo facendovi riconoscere!», si legge nel sito internet di "Addio pizzo". «Dimostrate loro tutta la nostra stima e la nostra gratitudine. Diffondete questa lista tra amici e parenti, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle università, tra colleghi e conoscenti». Una rivoluzione, quella lanciata da "Addio pizzo", che ha toccato la quota di 9.190 consumatori aderenti e l'appoggio di Confindustria, Unioncamere e Confcommercio, protagoniste anche nella lotta contro il racket. Tutto è partito la mattina del 29 giugno 2004, quando su centinaia di piccoli adesivi listati a lutto affissi per le strade del centro di Palermo, si leggeva il messaggio diventato slogan e per alcuni imperativo categorico: «Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità». Da quegli adesivi anonimi ora si è arrivati alla scelta di 227 tra commercianti e imprenditori che espongono sulle loro vetrine l'adesivo con la scritta "Addio pizzo". E mentre gli imprenditori-coraggio Giuseppe Catanzaro e Antonello Montante decidono di acquistare a proprie spese due auto blindate per poter continuare a lavorare senza intoppi («Con le blindate dello Stato», dicono senza polemica, «rischiamo di restare a piedi»), oggi a Palazzolo Acreide, presente Ivan Lo Bello, presidente di Confindustria Sicilia, ai protagonisti della ribellione anti-racket viene assegnato il premio giornalistico "Giuseppe Fava".
Fonte: Il sole 24 ore

Lo zio ricoverato...

PALERMO - E' Giuseppe Savoca, indicato nei pizzini di Salvatore e Sandro Lo Piccolo come "lo zio Pino", il boss ricoverato, su disposizione dell'autorità giudiziaria, nella clinica privata di Palermo gestita dall'imprenditrice Barbara Cittadini. L'indiscrezione è stata confermata in ambienti giudiziari. Per la degenza e le cure prestate, Savoca ha pagato 35 mila euro, la stessa cifra che compare nell'appunto sequestrato tra le carte dei Lo Piccolo: "Cittadini, clinica Candela, per zio Pino, 35 mila euro. Una parte va restituita". L'imprenditrice, che si è presentata stamani davanti ai magistrati per essere sentita come testimone, ha mostrato la fattura rilasciata a Savoca. Secondo gli inquirenti l'organizzazione potrebbe aver prestato a Savoca il denaro necessario per pagare la degenza, chiedendo poi al boss la restituzione di almeno il 50% della somma anticipata.
07/01/2008
Fonte: La Sicilia

E poi dicono che la mafia non fa più queste cose...

GROTTE (AGRIGENTO) - Una testa di agnello mozzata è stata lasciata davanti all'ingresso dell'abitazione di un imprenditore agricolo di Grotte, nell'agrigentino. Si tratta del secondo avvertimento in pochi giorni nei confronti di Pietro Costanza, di 56 anni. A Natale due colpi di fucili erano stati esplosi sempre contro il portone della sua casa.
07/01/2008

Fonte: La Sicilia

domenica, gennaio 06, 2008

Inaugurazione di Libero Fututro

PALERMO - Domani, alle 12, sarà inaugurata in via De Gasperi 53 la sede dell'associazione antiracket "Libero Futuro". L'immobile, confiscato all'ex geometra Pino Lipari, indicato come contabile e prestanome del boss Bernardo Provenzano, sarà condiviso dall'associazione con il comitato "AddioPizzo", in attesa che questi ristrutturerà la nuova sede di via Lincoln, assegnatagli e confiscata al boss di Cosa nostra Tommaso Spadaro.
La cerimonia, che si terrà alle presenza del presidente della Fai Tano Grasso e dei vertici provinciali delle forze dell'ordine, rappresenterà l'occasione per salutare - informa una nota - il prefetto Giosuè Marino "importante compagno di strada di AddioPizzo e Libero Futuro", che dopo quattro anni lascerà la città di Palermo.


06/01/2008
Fonte. La Sicilia

Anniversario Mattarella. Questo era un presidente della Regione...

PALERMO - A 28 anni dall'uccisione del presidente della Regione, Piersanti Mattarella (Dc), avvenuta il 6 gennaio del 1980, questa mattina sono state deposte corone di fiori sul luogo dell'omicidio, in via Libertà, a Palermo.
Mattarella che era stato eletto due anni prima, nel '78, era appena salito sulla sua Fiat 132 con la moglie Irma Chiazzese quando venne avvicinato da sicari della mafia che spararono una serie di colpi. Morì mezz'ora dopo in ospedale. Figlio di Bernardo, uomo politico della Democrazia cristiana, e fratello di Sergio, Piersanti Mattarella, alla fine degli anni '70, stava per dare una svolta alla politica regionale, dicendo di voler recidere i legami con la mafia e guardando alla sinistra ed al Pci.
Alla commemorazione sono intervenuti Sergio Mattarella, l'assessore regionale ai Lavori pubblici, Agata Consoli e l'assessore comunale ai Rapporti con il Governo ed il Parlamento, Carlo Vizzini. "Mattarella è stato un eroe - ha detto Consoli - che intendeva cambiare la politica del Governo della Regione, ma non vi è riuscito ed è stato ucciso".
"Esiste ancora oggi - ha sottolineato Vizzini - una mafia degli affari, che cerca di penetrare la politica. Ricordare Piersanti Mattarella ha un senso se la politica di oggi ha il coraggio di guardarsi dentro e fare pulizia, senza sconti, dei mediatori di mafia che ancora allignano all'interno dei partiti".


06/01/2008
Fonte: La Sicilia

sabato, gennaio 05, 2008

Risarcimento per la famiglia Borsellino

PALERMO - La vedova di Paolo Borsellino ed i tre figli del magistrato ucciso dalla mafia il 19 luglio del '92 saranno risarciti da Ninetta Bagarella, moglie del boss Totò Riina (privato di ogni diritto e legalmente interdetto) per 3 milioni 360 mila euro (la richiesta era di 5 milioni). È quanto ha deciso il giudice Luigi Petrucci, della prima sezione civile del Tribunale di Palermo. A pagare la somma sarà il Fondo per le vittime di mafia.
Il processo è stato promosso dalla vedova del magistrato, Agnese Piraino Leto e dai figli Lucia, Manfredi e Fiammetta (assistiti dall'avvocato Nino Lo Presti), contro Ninetta Bagarella e Giuseppina Gioè, moglie di Salvatore Biondino, arrestato insieme a Riina e capomafia del quartiere palermitano di San Lorenzo. Entrambe non si sono costituite in giudizio, nel corso del quale l'Avvocatura aveva sostenuto l'insussistenza del danno esistenziale. Ma il Tribunale, nel valutare il danno biologico, morale ed esistenziale ha stabilito che "la perdita del marito e del padre, nel modo tragico che ha sconvolto le coscienze del Paese, non potrà mai essere integralmente compensata da una somma di denaro".
Cos'è il fondo di rotazione per i familiari delle vittime
I familiari delle vittime della mafia ottengono le somme di denaro non direttamente dai boss condannati, ma dallo Stato. È il Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, istituito presso il Ministero dell'Interno ed alimentato da un contributo annuale dello Stato e da somme derivanti dalla confisca di beni mafiosi, a pagare le richieste in sede civile fatte dai familiari della vittime.
Scopo del Fondo è quello di assicurare alle vittime (o ai loro eredi, o agli enti che si siano costituiti parte civile in giudizio), a favore delle quali è stata emessa una sentenza di condanna al risarcimento dei danni subiti o una provvisionale, di ottenerne l'effettivo e sollecito pagamento attraverso il diretto intervento dello Stato attraverso il Fondo di rotazione.
Sulle domande di accesso al Fondo decide, disponendo la corresponsione delle somme richieste agli aventi diritto, il Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso presieduto dal Commissario per il coordinamento delle iniziative di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso, costituito con decreto ministeriale il 12 ottobre 2000.
La somma complessivamente deliberata in favore degli aventi diritto, fino al 31 ottobre 2007, ammonta a 136.708.734,32 euro per risarcimenti, provvisionali e spese di giudizio.


05/01/2008
Fonte: La Sicilia

Messina Denaro nei pizzini...

PALERMO - Tra i "pizzini" trovati al mafioso Sandro Lo Piccolo il giorno del suo arresto, avvenuto il 5 novembre scorso a Giardinello (Palermo), due, secondo gli investigatori, sarebbero del boss latitante Matteo Messina Denaro, il capo di Cosa nostra a Trapani, indicato come il naturale successore di Bernardo Provenzano al vertice dell'organizzazione.
Le due lettere sono state mostrate oggi da SkyTg24. In un "pizzino", indirizzato a Salvatore Lo Piccolo, è riportato un ringraziamento relativo, probabilmente, all'invio di un documento falso sul quale apporre una fotografia. Messina Denaro ringrazia ma fa presente al boss di non potere utilizzarlo perchè il suo "tipografo" di fiducia, arrestato e scarcerato non può più aiutarlo. Nella lettera si legge: "Non diamogliela vinta a questi quattro sbirri".
Il secondo è "per il giovane" e c'è un'esortazione: "stai sempre vicino a tuo padre. Questa è la cosa più importante per te e per lui. So che per un giovane è difficile vivere questa situazione - continua - e so che la gioventù vorrebbe essere vissuta in altro modo ma purtroppo un uomo non può cambiare il suo destino".


05/01/2008
Fonte: La Sicilia

venerdì, gennaio 04, 2008

Carcere duro per "Fifetto"

PALERMO - È stato riapplicato il carcere duro al boss Cristoforo Cannella, detto "Fifetto", condannato definitivamente all'ergastolo per la strage di via d'Amelio ed a 30 anni per le bombe del 1993. Il mafioso era detenuto a Viterbo e i giudici del Tribunale di Sorveglianza di Roma avevano revocato il 41 bis dell'ordinamento penitenziario, così come richiesto dai difensori del boss. L'ergastolano è stato trasferito, su disposizione dell'amministrazione penitenziaria, nel carcere di Opera, a Milano, dov'è stato nuovamente sottoposto al duro regime carcerario. Il mafioso di Palermo, che faceva parte della famiglia di "Brancaccio", guidata dai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, nel 2002 è stato protagonista di un messaggio-proclama proprio contro il carcere duro per i mafiosi.

04/01/2008
Fonte. La Sicilia

Chiuse le indagini...

PALERMO - Il pm Nino Di Matteo ha notificato l'avviso di conclusione delle indagini a carico del prefetto Mario Mori, ex direttore del Sisde e del colonnello dei carabinieri Mauro Obinu, entrambi indagati per favoreggiamento aggravato dall'aver agevolato Cosa nostra, nell'ambito dell'inchiesta per il mancato arresto del boss Bernardo Provenzano, nel '95 a Mezzojuso (Palermo), scaturita dalle dichiarazioni del colonnello dell'Arma Michele Riccio. Il pm ha stralciato la posizione degli altri due indagati: il generale dei carabinieri Antonio Subranni, ex comandante del Ros e della divisione "Palidoro", anche lui sotto inchiesta per favoreggiamento aggravato e quella del colonnello dell'Arma Michele Riccio, che dopo aver accusato i tre ufficiali fu da loro denunciato per calunnia.
Per questa indagine, la Procura di Palermo aveva chiesto tre mesi fa l'archiviazione di tutti gli indagati, ma la richiesta era stata respinta dal gip Maria Pino, che aveva ordinato un supplemento d'indagine.


04/01/2008
Fonte: La Sicilia

giovedì, gennaio 03, 2008

Contrada resta in carcere!

NAPOLI - E' stato disposto il trasferimento di Bruno Contrada dall'ospedale Cardarelli di Napoli, al carcere di Santa Maria Capua Vetere. Dopo il primo ricovero lo stesso ex funzionario del Sisde aveva chiesto di tornare nell'istituto di pena. Il tribunale di sorveglianza del capoluogo campano ha dato seguito oggi a questa richiesta.
"Una volta l'avvocato combatteva per fare uscire una persona dal carcere - commenta l'avvocato Giuseppe Lipera - adesso ci siamo dovuti battere per far rispettare le volontà di Bruno Contrada e farlo tornare in cella".
Il legale ha poi aggiunto: "Non si comprende il perché di questo lungo ricovero a cui è stato obbligato il mio assistito e che lui non aveva chiesto. Fatto è che Contrada non viene trattato come un essere umano ma come un pacco postale puzzolente".
"Infatti - ha continuato il penalista - l'ultimo dell'anno, forse l'ultimo Capodanno della sua vita, si è riuscito a farglielo trascorrere in solitudine. A Contrada non è stata concessa neanche la presenza di un prete con cui poter chiaccherare". L'avvocato Lipera, che ha in programma nuove istanze al Tribunale di sorveglianza di Napoli, sottolinea: "Oggi, in cuor nostro, ci aspettavamo qualcosa di più".
Il nulla osta del giudice che permette il trasferimento di Bruno Contrada dall'ospedale Cardarelli di Napoli al carcere di Santa Maria Capua Vetere è solo "un atto dovuto" per l'avvocato Lipera. "Il provvedimento di oggi - ha ribadito - è soltanto il riconoscimento di un diritto che è stato violato: i giudici non hanno ancora il potere, in questo Paese, di mandare qualcuno in ospedale contro la sua volontà".
Il quadro clinico di Bruno Contrada è ulteriormente peggiorato. "E' molto provato - ha rivelato uno dei suoi penalisti - il dottor Palmieri, che mi ha accompagnato al Cardarelli nella qualità di consulente, mi conferma che il quadro clinico già compromesso come evidenziato nella precedente visita del 16 ottobre, è ulteriormente peggiorato. A riprova di ciò è stato riscontrato un notevole calo ponderale. Si tratta di un quadro clinico obiettivo e pertanto persistono le condizioni di incompatibilità con il regime detentivo. Ciò nei prossimi giorni sarà dettagliato in una nuova certificazione".
Per questo i familiari lanciano un appello, affinchè il loro congiunto "possa tornare presto a casa". "Bruno Contrada - dice il nipote Massimo - sta male. Ha quasi 80 anni. Siamo preoccupati per le sue condizioni di salute. Non lo vedo da venti giorni, da quando è stato possibile avere l'ultimo colloquio - conclude - ma del suo caso oramai si sa tutto, le carte processuali di questa vicenda sono anche tutte pubblicate sul sito www.brunocontrada.info".
"Anche per fare le radiografie mi volevano mettere le manette", ha detto Contrada appena uscito dall'ospedale Cardarelli di Napoli per essere trasferito nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. A riferirlo è stato il suo legale Giuseppe Lipera. Ad attendere l'ex dirigente del Sisde, fuori dall'ospedale, c'erano oltre all'ambulanza dell'esercito, 11 carabinieri di cui cinque in divisa, un maggiore dell'arma e una guardia carceraria.
L'ex dirigente del Sisde incontrerà nella mattinata alcuni suoi familiari nel carcere militare. Ci saranno i fratelli Vittorio e Ida e il cognato, il generale a riposo Giancarlo Tirri, che hanno visto l'ultima volta Contrada il giorno della vigilia di Natale proprio a Santa Maria Capua Vetere.


02/01/2008
Fonte: La Sicilia

mercoledì, gennaio 02, 2008

Lasciate stare Borsellino...

ROMA - E' scontro tra Contrada e la famiglia di Borsellino. L'ex funzionario del Sisde vanta un'antica amicizia con il magistrato ucciso nella strage di via D'Amelio. "Avevo ottimi rapporti, eravamo amici", dice l'ex-generale di Ps condannato a dieci anni di reclusione per appoggio esterno alla mafia, ma la vedova e i figli dell'ex procuratore smentiscono: "Mai rapporti di collaborazione, tanto meno di amicizia".
Rita Borsellino, sorella del magistrato e parlamentare regionale, sono giorni che ripete che Contrada non ha diritto ad alcuno sconto della pena: "Non sono crudele ma pretendo giustizia. Mio fratello non è morto nel suo letto. La grazia concessa ad un condannato per mafia sarebbe un precedente pericoloso".
Ma Contrada replica che tanto animosità contro di lui non è giustificata tanto più che con il giudice aveva un ottimo rapporto: "Di Paolo Borsellino ho un grandissimo ricordo", ha detto Contrada al suo legale che lo ha incontrato nell'ospedale Cardarelli di Napoli dove l'ex numero tre del Servizi segreti interni sconta la pena. "Con Borsellino c'era un'ottima collaborazione professionale, ma anche un'amicizia che ci portava a frequentarci fuori dal lavoro".
"Bugie", replicano scandalizzati i famigliari del magistrato ucciso dalla mafia nel luglio '92. "Borsellino - spiegano la vedova Agnese e i figli Lucia, Manfredi e Fiammetta - non ha mai lavorato con Contrada e tra loro non ci sono mai state né amicizia, né frequentazione. Conoscevamo i suoi collaboratori", spiegano i familiari del magistrato. "Contrada non era tra loro". Lo confermano anche i fratelli del magistrato, Rita e Salvatore: "Paolo non ha mai avuto rapporti di amicizia con Bruno Contrada".
Giuseppe Lipera, avvocato di fiducia del generale, ha incontrato anche oggi il suo cliente: "L'ho trovato depresso e molto stanco". Il legale ha chiesto che Contrada rientri nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere o sia trasferito all'ospedale militare del Celio: "E' inaccettabile per un uomo di 76 anni, che già soffre di stato ansioso-depressivo, restare in una piccola stanza, senza possibilità né di aria né di socialità".
In attesa di una decisione del magistrato di sorveglianza, dalla sua stanza di ospedale Bruno Contrada esprime "un grazie di cuore" a tutti coloro chegli hanno espresso solidarietà compreso il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga che nei giorni scorsi si era detto favorevole alla concessione del provvedimento di grazia.
Contrada - che ieri aveva denunciato "il potere giudiziario colpevole di volermi uccidere in carcere" - resta tuttavia combattivo e continua a respingere gli addebiti: "Sono stato condannato per un delitto infamante senza neppure che siano state spiegate le ragioni per cui avrei commesso quel delitto".
Fonte: La Repubblica

Il sogno del Palermo Calcio...

PALERMO - Nella Palermo Calcio non c'era soltanto l'osservatore sportivo incaricato di scovare nuovi talenti calcistici. Anche Cosa nostra aveva il suo. Un mafioso condannato al primo maxiprocesso alla mafia a 5 anni e quattro mesi di reclusione, Totò Milano, il cui nome ricorre spesso nei pizzini trovati nel covo del boss Salvatore Lo Piccolo, arrestato insieme al figlio Sandro nel novembre scorso. Arresti che hanno provocato un vero e proprio terremoto all'interno del clan mafioso. Da qualche mese, infatti, un altro uomo d'onore della famiglia Lo Piccolo, dopo Francesco Franzese, ha deciso di collaborare con la giustizia. Si tratta di Antonino Nuccio, soprannominato "Pizza", spesso citato nei pizzini trovati nel covo dei Lo Piccolo, perché uno dei grandi esattori del pizzo imposto a commercianti ed imprenditori di Palermo e dintorni.
"Pizza" ha già riempito pagine e pagine di verbali davanti ai magistrati della Dda di Palermo, Alfredo Morvillo, Anna Maria Picozzi, Gaetano Paci, Domenico Gozzo. I suoi più stretti familiari sono già al sicuro in una località lontana da Palermo. Ma dal capoluogo siciliano non si sono allontanati soltanto i parenti del nuovo pentito: anche due rapinatori, indicati nei pizzini trovati a Lo Piccolo come informatori dei "servizi segreti di Roma e di Palermo", sono fuggiti perché erano nel mirino di Salvatore e Sandro Lo Piccolo.
I pizzini di Lo Piccolo stanno dando un gran da fare a magistrati ed investigatori che stanno tentando di delineare anche il ruolo dell'"osservatore sportivo" di Cosa nostra. Totò Milano, stando a quei pizzini, seguiva attentamente tutti gli interessi che ruotavano attorno al Palermo Calcio, avvicinando dirigenti ed amministratori che, secondo quanto veniva riferito a Lo Piccolo, lo frequentavano pur negando di sapere chi fosse davvero.
Eppure il cognome Milano è uno di quelli pesanti nell'universo mafioso. Il padre, Nicola, detto "U ricciu", fu tra i primi trafficanti di sigarette e di droga negli anni 70-80, ed il fratello Nunzio, viene indicato come il capo mandamento (capo di più "famiglie") di Palermo Centro. E tutti sono imparentati con la storica famiglia dei Greco di Ciaculli. Una sorella di Nunzio e Totò Milano è infatti sposata con Giuseppe Greco, "il regista" (ha prodotto alcuni film con Franchi Franchi e Barbara Bouchet), figlio del primo capo della Commissione di Cosa Nostra, Michele Greco, detto "il papa" della mafia, adesso ottantenne che sta ancora scontando una condanna all'ergastolo nel primo maxiprocesso.
I dirigenti del Palermo, alcuni dei quali nati e cresciuti in città dove queste cose sono note a moltissimi, adesso prendono le distanze da Totò anche se quest'ultimo, fino a qualche giorno fa, era sempre presente alle partite e agli allenamenti dei rosanero che seguiva in trasferta anche nell'aereo della squadra. Stando ai pizzini trovati nel covo dei Lo Piccolo, Totò Milano, seguiva attentamente anche il business che ruotava attorno alla squadra del Palermo, contattava i dirigenti e, attraverso alcuni "corrieri" informava il boss Lo Piccolo sugli affari che si potevano fare. Così com'è indicato in un pizzino dove viene riferito a Lo Piccolo di alcuni lavori che sono in corso nel campo per gli allenamenti dei rosanero a Boccadifalco, o per la costruzione del nuovo stadio che dovrebbe essere realizzato nel quartiere Zen di Palermo.
Totò Milano, dopo avere scontato la condanna a 5 anni e quattro mesi inflittagli nel maxi processo, aveva ripreso le sue frequentazioni con il mondo sportivo. Sin dai tempi dei presidenti Polizzi e Ferrara. Ed ha continuato sino ad ieri. Per lui non c'erano ostacoli di sorta. Era in rapporti con il direttore sportivo Rino Foschi, l'amministratore delegato Rinaldo Sagramola e Giovanni Pecoraro, altro dirigente della squadra rosanero. Tutti, ora, dicono che Milano era un "tifoso come tanti". Ma da quanto emerge dai pizzini di Lo Piccolo, era molto di più: una sorta di osservatore sportivo di Cosa nostra.
Fonte: La Repubblica