venerdì, luglio 31, 2009

Aumentano i dubbi...

PALERMO - Gaetano Murana, Giuseppe La Mattina, Cosimo Vernengo e il boss Pietro Aglieri, condannati, a vario titolo, per la strage di via D'Amelio, si costituiranno parte civile contro l'ex collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino e contro Salvatore Candura, indagati ora dalla Procura di Caltanissetta per calunnia. Il loro racconto delle fasi preparatorie dell'attentato in cui morì il giudice Paolo Borsellino e del summit in cui Totò Riina avrebbe annunciato l'intenzione di eliminare il magistrato mostra contraddizioni e lacune. A indurre i pm a rivedere le dichiarazioni di Scarantino e Candura sono state le rivelazioni di Gaspare Spatuzza (nella foto), ex reggente del mandamento di Brancaccio, aspirante collaboratore di giustizia, che ha riscritto parte della storia dell'eccidio di via d'Amelio. Il legale di Murana, La Mattina, Vernengo e Aglieri, l'avvocato Rosalba Di Gregorio, ha inviato in carcere ai suoi clienti la lettera di nomina per la costituzione di parte civile. L'inchiesta per calunnia a carico di Scarantino e Candura non è l'unica iniziativa della dda nissena che sta indagando per accertare se, dietro alle menzogne di Scarantino, ci sia la mano di un investigatore che avrebbe indotto l'ex spacciatore della Guadagna a fornire una versione falsa di alcuni aspetti dell'attentato. In particolare, i magistrati stanno concentrando l'attenzione su un verbale di interrogatorio, reso da Scarantino nel 1994, pieno di annotazioni a margine che sarebbero state fatte da un poliziotto. L'agente, già interrogato dai giudici del processo per la strage, ha sostenuto che fu Scarantino a dettargli le note; mentre il pentito, nel 1998, disse che le scritte erano state fatte per fargli ripassare la versione da dare. Tra indagini per presunti depistaggi, false dichiarazioni e misteri, intanto, potrebbero tornare davanti all'autorità giudiziaria stralci dei due processi Borsellino uno e bis, già passati in giudicato. La procura di Caltanissetta sta valutando l'ipotesi di chiedere, attraverso la procura generale, la revisione dei dibattimenti, almeno per le posizioni degli imputati accusati da Scarantino. L'esistenza di un verbale d'interrogatorio del 1994, reso dall'allora collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino, pieno di annotazioni a margine che sarebbero state fatte da un poliziotto, era agli atti del Parlamento da oltre dieci anni. Nel febbraio del 1999, infatti, il senatore Pietro Milio della lista Pannella, presentò un'interrogazione ai ministri della Giustizia e dell'Interno su quel verbale "anomalo" che ha portato all'avvio di nuove indagini da parte della Procura di Caltanissetta. I magistrati hanno già interrogato l'agente, ipotizzando un tentativo di depistaggio nell'inchiesta sulla strage di via D'Amelio. Milio, avvocato penalista, difensore in alcuni processi dell'ex funzionario del Sisde Bruno Contrada e dell'ufficiale del Ros Mario Mori, denunciò al Senato "che nel corso dei processi per la strage di via D'Amelio la difesa del pentito Vincenzo Scarantino, sulle cui dichiarazioni si basa il processo, ha prodotto verbali di interrogatorio resi alla procura di Caltanissetta dallo stesso Scarantino, che risultano infarciti di 'segnalibri' ed annotazioni, con indicate circostanze, nomi e fatti diversi da quelli già narrati e poi, nei successivi suoi interrogatori, 'adeguatì opportunamente". "Scarantino - dichiarò in quell'occasione Milio - ha addirittura prodotto atti e documenti non firmati e da lui acquisiti durante il periodo in cui è stato sottoposto a regime di rigorosa protezione. Per questo ho chiesto ai ministri se non ritengano di dover disporre una seria indagine ispettiva anche al fine di accertare come lo Scarantino abbia potuto disporre - e chi gliela abbia data - della copia degli interrogatori, quasi tutti annotati, mentre la difesa degli imputati ha avuto, a suo tempo, rilasciate soltanto copie parziali e quali provvedimenti intende adottare ove venissero rilevate condotte illecite". Quell'interrogazione, presentata ai ministri del governo di centrosinistra presieduto da Massimo D'Alema "non ebbe mai alcuna risposta", come sottolinea oggi l'ex parlamentare della lista Pannella. "Ebbi modo di vedere personalmente copia di quel verbale d'interrogatorio - ricostruisce Milio - attraverso uno dei difensori degli imputati. Ricordo che rimasi sconcertato di fronte a quegli appunti e a quelle annotazioni scritte a matita. Sono contento che oggi, sia pure a distanza di 10 anni, qualcuno abbia le mie stesse perplessità di allora". Milio commenta infine gli ultimi sviluppi sull'indagine riguardante la strage di via D'Amelio: "Più che i suggeritori occulti - afferma - basterebbe individuare quelli palesi".
30/07/2009

Fonte: La Sicilia

mercoledì, luglio 29, 2009

Casa Provenzano...

Palermo, 28 lug. - (Adnkronos) - Un'azienda, un centro di stoccaggio dei prodotti, un'enoteca e una grande bottega dei sapori. Tutto questo sara' realizzato nei beni confiscati ai mafiosi Bernardo Provenzano e Giovanni Genovese. Il ministero dell'Interno, nell'ambito del Pon Sicurezza 2007-2013, ha ammesso al finanziamento due progetti del Consorzio sviluppo e legalita', che gestisce i beni confiscati alla mafia nei Comuni di Altofonte, Camporeale, Corleone, Monreale, Piana degli Albanesi, Roccamena, San Cipirello, San Giuseppe Jato. Un milione e mezzo di euro per trasformare, entro la prossima primavera, altri due luoghi in simboli della vittoria dello Stato sulla mafia.
''Prosegue la nostra attivita' che in otto anni si e' tradotta nel proficuo utilizzo degli immobili sottratti a soggetti che portano nomi pesanti nella gerarchia mafiosa - spiega Antonino Giammalva, sindaco di San Cipirello (Palermo) e presidente del Consorzio -. Abbiamo sensibilizzato gli studenti e le associazioni nell'impegno per promuovere la legalita', ma abbiamo anche creato nuove condizioni di sviluppo. Sui beni che erano di proprieta' di potenti e temuti esponenti di Cosa nostra - conclude - oggi lavorano molti giovani che producono olio, vino, pasta, legumi commercializzati su scala nazionale. Tutto questo ci inorgoglisce e, al contempo, ci stimola a proseguire il nostro impegno'' .
In particolare, la casa appartenuta al boss Provenzano, in via Colletti, nel centro storico di Corleone, ospitera' una vetrina dei sapori dove sara' possibile acquistare i prodotti provenienti dalle terre del Consorzio: pasta, olio, vino e tanto altro ancora. I locali ospiteranno anche uno spazio destinato ad incontri e dibattiti ed una piccola libreria che raccogliera' volumi sulla mafia. Grazie al finanziamento del ministero dell'Interno il bene, che fino a qualche tempo fa era luogo di residenza della famiglia Provenzano, diventera' un simbolo concreto di riscatto sociale, un luogo aperto a tutti, dove esercitare la memoria e costruire l'impegno.

Fonte: Adnkronos

Ricordando Chinnici

PALERMO - Si celebra oggi il 26/mo anniversario della strage di via Pipitone Federico a Palermo, in cui furono uccisi dalla mafia il consigliere istruttore Rocco Chinnici, i carabinieri maresciallo Mario Trapassi e appuntato Salvatore Bartolotta e il portiere dello stabile in cui Chinnici abitava, Stefano Li Sacchi. Sul muro della strada della strage, davanti ai familiari delle vittime, sono state deposte corone di fiori. Poi è stata celebrata una messa nella cappella della legione dei carabinieri della Sicilia, nella caserma Carlo Alberto Dalla Chiesa. Nella stessa caserma è cominciato il dibattito sulla riforma del processo civile "Efficienza e Legalità". A Partanna (Tp), luogo dove Chinnici fu pretore, per iniziativa del comune è stata deposta una corona di fiori sul cippo dedicato al giudice, nel piazzale antistante agli uffici giudiziari. A Misilmeri (Palermo) dove Chinnici nacque, stasera alle 21 si svolgerà lo spettacolo teatrale intitolato 'Lu priturì, con la regia di Giovanni Furnari.
L'ATTENTATO. Il 29 luglio 1983 in via Pipitone Federico, nel centro di Palermo, per uccidere il magistrato, Cosa nostra fece esplodere un'autobomba inaugurando una nuova tipologia stragista alla "libanese". Sopravvisse solo il suo autista, Giovanni Paparcuri, anche se gravemente ferito. Per la strage, dopo travagliati processi giunti fino in Cassazione, sono stati condannati: a 18 anni di carcere i pentiti Giovanni Brusca, Calogero Ganci, Franceco Paolo Anzelmo e Giovan Battista Ferante; all'ergastolo i boss Antonino Madonia, Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Francesco Madonia, Giuseppe Calò, Antonino Geraci, Matteo Motisi, Raffaele Ganci, Salvatore Buscemi, Giuseppe Farinella, tutti accusati di essere mandanti; Stefano Ganci e Vincenzo Galatolo, Salvatore e Giuseppe Montalto, ritenuti esecutori. A Chinnici - ha detto il senatore del Pd Lumia - si deve l'intuizione del lavoro di gruppo e la condivisione delle indagini che poi sfociarono rispettivamente nella nascita del pool antimafia e nel maxiprocesso".
29/07/2009

Fonte: La Sicilia

martedì, luglio 28, 2009

10 anni per Mercadante...

PALERMO - Dopo oltre 17 ore di camera di consiglio, i giudici della II sezione del tribunale di Palermo, presieduta da Bruno Fasciana, hanno condannato a 10 anni e otto mesi di carcere, per associazione mafiosa, l'ex deputato regionale di Forza Italia Giovanni Mercadante. (nella foto a destra)

L'ex parlamentare era sotto processo insieme ad altre otto persone accusate, a vario titolo, di mafia, estorsione e favoreggiamento aggravato. Tra gli imputati i boss Bernardo Provenzano e Lorenzo Di Maggio, il medico Antonino Cinà e quattro commercianti. Sedici anni la pena inflitta a Cinà, già condannato per associazione mafiosa, ritenuto uomo di fiducia del boss Totò Riina.

Il capomafia Bernardo Provenzano, imputato di tentata estorsione, ha avuto, sei anni. A nove anni e quattro mesi è stato condannato il boss Lorenzo Di Maggio. Assolto invece Marcello Parisi, ex consigliere di circoscrizione di Fi. Infine sono stati assolti i commercianti Maurizio Buscemi, Calogero Immordino e Vito Lo Scrudato, che negando di avere ricevuto richieste estorsive, secondo la Procura, avrebbero favorito Cosa nostra; condannato invece a sei mesi un quarto commerciante, Paolo Buscemi. Il processo scaturisce dall'indagine denominata Gotha, che portò all'arresto di decine di colonnelli e gregari del boss Bernardo Provenzano.

Per il gip che, nel 2006, ne ordinò l'arresto, sarebbe stato tanto vicino al capomafia Bernardo Provenzano da far parte di "una Cosa sua", più che di Cosa Nostra. Un'espressione che dà l'idea dello stretto legame che univa il padrino di Corleone a Giovanni Mercadante, il medico eletto all'Assemblea Regionale Siciliana nelle fila di Forza Italia, oggi condannato per mafia a 10 anni e 8 mesi.

Radiologo, 61 anni, parente dello storico boss di Prizzi Tommaso Cannella, Mercadante sarebbe stato medico di fiducia delle cosche e punto di riferimento dei boss nel mondo della politica. Indagato già in passato, la sua posizione venne archiviata per due volte. Poi, nel 2006, la svolta nell'inchiesta e l'arresto. A carico dell'ex deputato, alle accuse dei pentiti, si sono aggiunte le intercettazioni ambientali realizzate nel box del capomafia Nino Rotolo, luogo scelto dai clan per i loro summit. Nei colloqui, registrati per oltre un anno, il nome di Mercadante è emerso tante volte, collegato sempre ad affari illeciti. Per i pm Nino Di Matteo e Gaetano Paci (nella foto a sinistra), l'ex parlamentare azzurro sarebbe stato "pienamente inserito nel sodalizio criminoso".
Fonte: La Sicilia

Nuovi nomi nell'inchiesta sul '92 all' Addaura

PALERMO, 28 LUG - Nuovi nomi nelle inchieste dei giuidici magistrati di Caltanissetta sulle stragi del '92 e sul fallito attentato a Falcone all'Addaura. La notizia e' stata confermata dagli inquirenti. A dare nuovi input alle inchieste del pool nisseno - scrive il Giornale di Sicilia - due collaboratori di giustizia: Angelo Fontana, ex boss dell'Acquasanta, e Gaspare Spatuzza, reggente del mandamento di Brancaccio. Nel registro degli indagati ci sarebbero alcuni mafiosi ma anche uomini dei servizi segreti.
Fonte: Ansa

Sequestro per 200 mln di euro

Palermo, 24 lug. - Beni per complessivi 200 milioni di euro sono stati sequestrati all'alba dalla Dia di Palermo ad un imprenditore palermitano ritenuto dagli inquirenti socio in affari di esponenti del clan mafioso della Noce e di Palermo Centro. Tra i beni finiti sotto sequestro numerosi appartamenti, ville, magazzini, terreni, quote societarie di aziende e rapporti bancari.
L'operazione e' il secondo sequestro per entita' economica compiuto nel corso del 2009 dagli investigatori della Direzione investigativa antimafia del capoluogo siciliano dopo quello a carico dell'imprenditore Rosario Cascio del valore di 400 milioni. I particolari del sequestro verranno illustrati nel corso di una conferenza stampa che si terra' alle 10,30 al Palazzo di giustizia di Palermo alla presenza degli investigatori.
Fonte: Adnkronos

lunedì, luglio 27, 2009

Rubrica estero

In carcere dal 1993, Totò Riina ha appena infranto per la prima volta la legge dell’omertà per accusare indirettamente lo Stato e la classe politica di essere implicati nell’assassinio del giudice Borsellino.

Tutto parte dalle accuse lanciate da un «pentito», un certo Gasparre Spatuzza. Questo ex capo di un clan di Palermo è in prigione per aver fornito la Fiat 126 imbottita d’esplosivo che ha ucciso il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta, il 19 luglio 1992.
Secondo Spatuzza, Borsellino sarebbe stato eliminato perchè conduceva indagini su rapporti tra la Mafia e certi ambienti politici. Un’ipotesi sostenuta da Massimo Ciancimino, figlio di un ex sindaco di Palermo morto nel 2002 mentre scontava l’ergastolo per collusione con Cosa Nostra.
Ciancimino junior, condannato a sei anni di reclusione per riciclaggio del “tesoro” segreto di suo padre, sostiene di disporre di un documento che mette sotto accusa un agente “deviato” dei servizi segreti, un certo Franco. Tale documento, che non ha tuttavia prodotto, conterrebbe i nomi di uomini politici all’epoca in connivenza con la Mafia.
Tale Franco, la cui identità reale sembra essere ignota, sarebbe stato visto sui luoghi dell’attentato di Borsellino. L’agenda rossa sulla quale il magistrato annotava i dettagli delle proprie inchieste è scomparsa durante l’attentato. Il procuratore capo di Caltanissetta, Sergio Lari, attribuisce il furto a “persone al di fuori della Mafia”.
“Sono loro ad averlo ucciso”

Questa storia ha subito nuovi sviluppi negli ultimi giorni con l’entrata in scena di Totò Riina. Lo storico boss della Mafia fu arrestato all’inizio del 1993 e condannato a diversi ergastoli per decine di omicidi, tra i quali quello dei due giudici [Falcone e Borsellino, N.d.T.]. È incarcerato nel più totale isolamento, senza giornali, radio o televisione. Solo il suo avvocato ha facoltà di vederlo, una volta al mese.
Uscendo dalla sua ultima visita, l’avvocato, Luca Cianferoni, ha fornito rivelazioni sensazionali. Riina avrebbe smentito ogni negoziato con i carabinieri od/o i servizi segreti: “Questa storia del patto con lo Stato non regge. Non so nulla del documento in questione. Borsellino, sono loro ad averlo ucciso.”
“Loro” potrebbe essere Vito Ciancimino, con il quale era in contatto e che gli serviva come intermediario con il mondo politico. Od/O ancora altri capi della Mafia che avrebbero avuto interesse a sbarazzarsi di lui. A cominciare da Bernardo Provenzano, che gli successe al comando di Cosa Nostra. Sarebbe stato il capro espiatorio di negoziati segreti volti ad eliminare magistrati coraggiosi? Un patto tra lo Stato e la Mafia ha avuto luogo? È ancora troppo presto per delineare tutti i dettagli di questa vicenda estremamente complessa. Ciononostante, per la prima volta, Totò Riina sembra disposto a parlare. I magistrati di Palermo e di Caltanissetta, che indagano su queste due tragedie, si sono detti pronti ad ascoltarlo “senza porre condizioni”.
Per l’avvocato storico dei pentiti Luigi Li Gotti, Riina cerca soltanto di “depistare le inchieste”. Borsellino, che investigava sulle connivenze tra Mafia e forze di sicurezza, avrebbe incontrato l’ex ministro Nicola Mancino poco prima dell’attentato. Tuttavia quest’ultimo nega. Secondo un altro pentito, il presunto mandante dell’attentato sarebbe sceso in un famoso hotel di Palermo, dove avrebbe appreso al telefono la morte del magistrato.
Un uomo dal viso orrendamente deformato, da cui il soprannome di “mostro”, avrebbe ugualmente cercato al/nel suo domicilio, dopo l’attentato, l’agente segreto Nino Agostino, che verrà in seguito giustiziato, con sua moglie incinta. Il “mostro” non è mai stato trovato.

Fonte: italiadallestero

Vedi l'originale

giovedì, luglio 16, 2009

L'agenda e il papello...



PALERMO - "Mio fratello era stato sicuramente informato dagli organi istituzionali della trattativa in corso tra mafia e Stato, perchè erano in mano sua le indagini sull'assassinio di Falcone e sulla mafia in Sicilia. Non poteva non esserne informato". Così a '24 Mattino' su Radio 24 Salvatore Borsellino, fratello del magistrato Paolo Borsellino, ucciso il 19 luglio 1992 in via D'Amelio commenta le nuove rivelazioni sul patto tra Stato e mafia fatte da Massimo Ciancimino. "Sostengo dal 1997 - ha aggiunto Borsellino - che il motivo dell'accelerazione della eliminazione di Paolo sia stato il fatto che lui si era messo di traverso rispetto a questa trattativa nel momento in cui ne fu informato, e questo avvenne al ministero dell'Interno il primo luglio 1992. A quel punto era necessario, per poter continuare a condurre la trattativa, eliminare l'ostacolo principale, Paolo Borsellino, ed eliminarlo in fretta". Ciancimino jr. ha detto che una copia del famoso 'papello' era nella cassaforte di casa sua a Mondello ma i carabinieri durante una perquisizione evitarono di controllare: "C'è da chiedersi il perchè non sia stata aperta quella cassaforte - ha detto Borsellino - Credo che sia lo stesso motivo per cui dopo l'arresto di Riina è stato lasciato incustodito il suo rifugio, finchè squadre della criminalità organizzata hanno potuto ripulire la casa e prelevare la cassaforte, nella quale c'erano cose che non dovevano venire fuori". "Ciò che dice Ciancimino jr a proposito della sua cassaforte non perquisita mi fa venire in mente che con queste casseforti nella storia della mafia e degli apparati che le ronzano intorno ci sono sempre problemi. Mi vengono in mente la cassaforte di Dalla Chiesa o il pc e le agende elettroniche di Giovanni Falcone, ispezionati da qualcuno e ripuliti"Il "papello" sarebbe la lista di richieste che la mafia avrebbe avanzato nel 1992 fra le stragi Falcone e Borsellino a uomini delle istituzioni per vantaggi in favore di Cosa nostra. "Ciancimino non è un pentito - ha detto Borsellino - ma uno che vuole salvare il salvabile, quel famoso tesoro del padre di cui evidentemente gli hanno sequestrato solo una minima parte. Ora ha scelto di collaborare e sta dando un validissimo contributo, ma per patteggiare la sua impunità". Sulla ricorrenza di quest'anno, il 19 luglio Salvatore Borsellino ha riferito che "quest'anno ho voluto rompere con le manifestazioni avvenute negli ultimi 17 anni quando ci hanno continuato a imporre i funerali di Stato che rifiutammo nel 1992 - ha detto Borsellino -. Ancora ce li impongono con autorità" che vengono in via D'Amelio, mettono corone, pronunciano discorsi spesso ipocriti". "Faremo invece una manifestazione in cui se qualcuno si dovesse presentare, e spero che non lo faccia, a mettere corone e pronunciare discorsi di circostanza, sarà accolto da un mare di persone che avranno in mano un'agenda rossa. Quell'agenda rossa di mio fratello sparita dalla macchina poco dopo l'attentato".
15/07/2009

Fonte: La Sicilia

6 mln di euro di sequestri

Palermo, 15 lug. - Beni per complessivi sei milioni di euro sono stati confiscati dalla Dia di Messina riconducibili a un uomo, ritenuto dagli inquirenti il rappresentante provinciale di Cosa Nostra messinese. Il provvedimento di confisca e' stato emesso dal Tribunale di Catania. I giudici hanno anche aggravato, aumentandola di due anni, la misura della sorveglianza speciale inflitta al presunto boss che è stato condannato dalla corte d'Appello di Caltanissetta a 14 anni per tentato omicidio
Fonte: Adn kronos

mercoledì, luglio 15, 2009

Colpo alla mafia ennese...

ENNA - Il Reparto operativo del comando provinciale carabinieri e la squadra mobile di Enna hanno eseguito quattro ordinanze di custodia cautelare in carcere, emesse dal gip, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia della Procura di Caltanissetta, nei confronti di esponenti di spicco della mafia ennese. Con l'operazione, denominata "Old-one" e nella quale sono stati impegnati un centinaio di uomini delle forze dell'ordine, "viene decapitato - sostengono gli inquirenti - il vertice provinciale di Cosa nostra, attivo nella riscossione del pizzo e nella gestione degli appalti". In particolare tra gli arrestati figura il presunto capomafia di Enna, che sarebbe stato incaricato della riorganizzazione mafiosa dell'intero territorio provinciale ma con forti interessi anche in altre aree della Sicilia. Un boss, sostengono gli investigatori, che fondava la sua autorità sul sostegno di Ciccio La Rocca, uno dei capi storici di Cosa nostra nella Sicilia orientale. Agli indagati vengono contestate una serie di estorsioni relative ad alcuni appalti.
L'ELENCO DEGLI ARRESTATI. In carcere su richiesta della Direzione distrettuale antimafia della Procura della Repubblica a Caltanissetta sono finiti, Salvatore Seminara, nato a Caltagirone, 63 anni residente a Mirabella Imbaccari, allevatore, pregiudicato, indicato dagli inquirenti come capo provinciale di Cosa nostra nell'Ennese; Gaetano Drago, nato ad Aidone, 54 anni, commerciante, pregiudicato, al quale viene contestato anche un tentativo di estorsione tuttora in corso ai danni di una ditta sub appaltatrice per un lavoro nel comune di Aidone, Isidoro Di Pino, nato ad Aidone, 57 anni, operaio stagionale forestale, pregiudicato e Antonino Spitaleri, nato a Enna, 43 anni, residente ad Aidone, manovale, pregiudicato.Di Pino e Spitaleri oltre che di associazione mafiosa, sono accusati anche di estorsione nell'ambito di un lavoro appaltato dal comune di Aidone per circa un milione di euro.
14/07/2009

Fonte: La Sicilia

Meglio tardi che mai..

Palermo, 13 lug.- A vent'anni anni di distanza dall'agguato di Gela (Caltanissetta) in cui tre uomini rimasero feriti da colpi di arma da fuoco, la Polizia di Stato e' riuscita a fare luce sul triplice tentato omicidio. Otto le ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip di Caltannissetta ed eseguite dagli uomini della Squadra mobile guidati da Giovanni Giudice. I provvedimenti sono stati richiesti dal Procuratore capo di Caltanissetta Sergio Lari, dall'aggiunto Domenico Gozzo e dal pm Antonino Patti.
Le vittime predestinate, ma scampate all'agguato avvenuto il 18 marzo del 1989, erano Salvatore Bacarella, Marcello Sultano (dal 2006 collaboratore di giustizia) e Salvatore La Russa. Due di loro erano esponenti della 'Stidda' di Gela. I tre vennero feriti da diversi colpi di arma da fuoco, ma riuscirono a sopravvivere. Le indagini della Squadra mobile nissena e dei commissariati di Gela e Niscemi hanno fatto luce sulla vicenda, grazie anche alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia.
Alla fine degli anni Ottanta Gela era stata insanguinata da diversi fatti di sangue con omicidi e tentati omicidi su cui spesso non e' stata fatta luce.

Fonte: Adn kronos

Il "papello"

PALERMO - Il "papello", la lista di richieste che la mafia avrebbe avanzato nel 1992 fra le stragi Falcone e Borsellino a uomini delle istituzioni per vantaggi in favore di Cosa nostra, Massimo Ciancimino lo avrebbe conservato fino al 2005 nella cassaforte di casa sua a Palermo. Gli investigatori, nel corso di una perquisizione domiciliare, non controllarono però il forziere blindato. E' quanto emerge dall'interrogatorio al quale il dichiarante è stato sottoposto oggi dalla Procura di Catania, nell'ambito di un'inchiesta che coinvolge anche professionisti e imprenditori di Palermo. Ciancimino, rispondendo alle domande del procuratore della Repubblica Vincenzo D'Agata e del sostituto Antonino Fanara, ha ricordato che durante la prima perquisizione alla quale è stato sottoposto nel 2005, nell'ambito dell'inchiesta sfociata nella condanna per riciclaggio a cinque anni e otto mesi, gli investigatori non aprirono la cassaforte della sua abitazione. Secondo il figlio di don Vito, nel forziere vi erano diversi appunti del padre, compreso il papello. Il dichiarante ha già annunciato che intende consegnare il documento ai magistrati.
14/07/2009
Fonte: La Sicilia

lunedì, luglio 13, 2009

"Certi vantaggi avuti..."

PALERMO - Vito Ciancimino si preoccupava che non venisse ucciso il figlio di Silvio Berlusconi, nè ci fossero altre stragi, perchè "sarebbero state controproducenti per i mafiosi". La rivelazione, racchiusa in un verbale di interrogatorio dell'1 luglio scorso, è del figlio di Vito, Massimo, che ha chiarito alla Dda di Palermo il contenuto delle lettere che Bernardo Provenzano avrebbe inviato a Silvio Berlusconi fra il 1991 e il 1994 all'epoca della presidenza del gruppo Fininvest. "Mio padre - ha detto Ciancimino jr - era per la non attuazione delle minacce, e forse per questo alla fine è stato messo da parte in questa trattativa. Mio padre diceva che bisognava toccargli il polso alle persone, nel senso scuoterle - ha spiegato il dichiarante - ma non di più. Non bisognava usare il braccio forte. Dicevano di riconoscenza, che il soggetto era irriconoscente, si stava scordando di certe situazioni, di certi vantaggi avuti, di certe robe varie...". Il procuratore aggiunto Antonio Ingroia e il sostituto Nino Di Matteo hanno chiesto a Ciancimino chi fosse "il soggetto". La risposta: "Il dottor Berlusconi".
11/07/2009
Fonte: La Sicilia

A me sembra una lettera scritta da un 15enne...

Palermo, 11 lug. - Nuova intimidazione per il senatore del Pdl, Carlo Vizzini. Ignoti gli hanno fatto recapitare a casa una lettera contenente "pesanti minacce". Si tratta per l'esponente del partito di Berlusconi di 'avvertimenti' non nuovi. Gia' in passato, infatti, Vizzini ha ricevuto messaggi intimidatori. Sull'episodio indaga la Polizia."Smettila di scassare con le tue denunce del c... Noi dobbiamo costruire il futuro per Palermo, non possiamo stare attenti ai tuoi sproloqui. Smettila di disturbarci e di attirare gli occhi di quei pezzi di m... di magistrati e poliziotti su di noi, altrimenti te la facciamo pagare con il sangue". Sono alcuni dei passaggi della lettera di minacce ricevuta dal senatore del Pdl, Carlo Vizzini. La missiva con un nome ed un indirizzo di Brancaccio (Palermo), come falso mittente, e' stata fatta recapitare ieri per posta ordinaria presso l'abitazione dell'esponente del Pdl.
Nella lettera si legge ancora: "Tu ostacoli i patti con gli amici nostri che contano... Ci vuoi fare isolare con le tue leggi e farci morire poveri.. perbenista, schifoso e buffone". Poi la conclusione: "Questo e' l'ultimo avvertimento, poi ti faremo la festa".
Fonte: Adn kronos

venerdì, luglio 10, 2009

I misteri della lettera..(Foto "Espresso")

PALERMO - Sarebbe stato inviato dal boss Bernardo Provenzano il messaggio che aveva come destinatario finale Silvio Berlusconi: è quanto emerge dall'interrogatorio di Massimo Ciancimino, depositato stamani nel processo in Corte d'appello in cui è imputato il senatore Marcello Dell'Utri (Pdl), accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Il messaggio cui fa riferimento Ciancimino è quello trovato scritto in una lettera sequestrata nel 2005 tra le carte di Vito Ciancimino, e scoperta solo adesso dai pm della procura di Palermo. Nella missiva si fa riferimento "all'onorevole Berlusconi" e a una minaccia che gli sarebbe stata rivolta nel caso in cui non avesse metto a disposizione una delle sue reti televisive. Nel messaggio, vergato a mano, si fa anche riferimento a un "contributo" politico che l'autore della missiva avrebbe dato. Sono due i verbali depositati stamani dalla Procura generale e sono datati 30 giugno e 1 luglio. Secondo quanto sostiene Massimo Ciancimino, la lettera doveva avere come mediatore proprio il senatore Dell'Utri, che avrebbe dovuto girare il messaggio a Berlusconi. La lettera che avrebbe come destinatario finale Silvio Berlusconi, sequestrata dai carabinieri fra le carte di Vito Ciancimino, sarebbe stata consegnata a Massimo Ciancimino da Pino Lipari, uomo di fiducia di Bernardo Provenzano. Il messaggio, secondo quanto racconta il figlio dell'ex sindaco di Palermo condannato per mafia e poi morto, lo avrebbe ricevuto nella villa a San Vito Lo Capo di proprietà di Lipari, e in quella occasione sarebbe stato presente anche Provenzano. Massimo Ciancimino non ricorda con precisione la data in cui avvenne la consegna. Ma sottolinea invece che il messaggio era completo, cioè non era tagliato nella prima parte così com'è stato trovato dai carabinieri durante una perquisizione. Il foglio di carta, infatti, è strappato a metà e in questo modo i pm lo hanno mostrato a Ciancimino. Questo particolare ha fatto preoccupare il dichiarante, il quale ha detto ai pm che questo fatto lo ha colto alla sprovvista e sostiene che si tratta di una vicenda "più grande di me". Infine, secondo Ciancimino, vi sarebbero altre due lettere che Provenzano avrebbe inviato a Berlusconi attraverso Ciancimino e poi Dell'Utri, di cui però ancora non vi è traccia. I giudici della corte d'appello che stanno processando il senatore Marcello Dell'Utri (Pdl), accusato di concorso esterno in associazione mafiosa (in primo grado è stato condannato a 9 anni di reclusione), si sono riservati di accogliere la documentazione prodotta dalla procura generale. I giudici scioglieranno la riserva il 17 settembre.
10/07/2009

Fonte: La Sicilia


A questo punto ho alcune domande:

- Perchè la lettera è tagliata?

- Perchè dal 2005 al 2009 Pignatone e Grasso non hanno mai menzionato questa lettera?

- Perchè Ciancimino dice "è una vicenda più grande di me"?

- Dove possono essere le due altre lettere?

E soprattutto...
- Dato che non c'è stato nessun "evento luttuoso" in casa Berlusconi, è quindi vero che lui ha adempito alla richiesta di Provenzano avendo in cambio il "contributo politico" dal boss promesso?
Pensare grazie...

La televisione...

AGRIGENTO - Michele Bongiorno, 19 anni, è stato arrestato dai carabinieri del reparto operativo di Agrigento con l'accusa di essere uno dei due assassini di Luigi Salvo, l'imprenditore di Serradifalco (Caltanissetta) il cui cadavere carbonizzato è stato trovato ieri sera nelle campagne di Favara(Agrigento). La scomparsa della vittima era stata denunciata il 18 giugno scorso dalla moglie. La contrada dove è stato trovato il corpo dista circa duecento metri da un terreno di proprietà di Rosario Stuto, 19 anni, in carcere dallo scorso 24 giugno per l'omicidio e il sequestro dell'imprenditore. Secondo l'accusa, Stuto e Bongiorno, entrambi di Favara, avrebbero caricato Salvo su una Fiat Uno rossa; nella vettura i carabinieri del Ris trovarono tracce di sangue umano. Le indagini dei carabinieri, coordinati dai Pm Adriano Scudieri e Gemma Miliani, della Procura della Repubblica di Agrigento, hanno consentito di appurare che Luigi Salvo, commerciante di legname, vantava un credito di circa 200 euro nei confronti di uno dei due arrestati. Per questo motivo sarebbe stato prima sequestrato nel centro di Favara, dove si era recato in auto con la moglie, e successivamente portato in un casolare di contrada Caltafaraci e ucciso con alcuni colpi d'arma da fuoco. Il cadavere sarebbe poi stato dato alle fiamme per eliminare ogni traccia. Particolari agghiaccianti sono emersi durante la conferenza stampa in procura ad Agrigento. Michele Bongiorno e Rosario Stuto emulavano i criminali della fiction 'Capo dei capi'. In uno dei loro computer sarebbero state anche trovate delle fotografie che ritraggono, messi in posa, i due favaresi con in mano delle armi. Altre due o tre persone, anche loro giovanissime, potrebbero essere coinvolte. I carabinieri del reparto operativo di Agrigento stanno effettuando i controlli sui tabulati telefonici e verificando i segnali dei telefonini dei sospettati.
10/07/2009
Fonte: La Sicilia

Ecco il prestanome..

PALERMO, 10 LUG - L'imprenditore Giovanni Borruso, di Palermo, e' stato arrestato stamani per intestazione fittizia di beni. L'uomo, proprietario di una catena di negozi di ottica, e' accusato di essere il prestanome di un boss mafioso. Il provvedimento cautelare e' del gip del tribunale di Palermo, su richiesta del pm Roberto Scarpinato ed eseguito dalla Dia. Il giudice ha anche ordinato il sequestro di un'azienda.
Fonte: ANSA

Altadonna arrestato...

PALERMO - Agenti della Polizia di Stato appartenenti alla sezione "Catturandi" della squadra mobile di Palermo hanno arrestato Lorenzo Altadonna, 46 anni, imprenditore palermitano, in esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa l'8 luglio scorso dalla terza sezione penale del tribunale. L'imprenditore è stato condannato a 12 anni di carcere, in primo grado, per concorso esterno in associazione mafiosa, nel contesto del processo sull'operazione denominata "Occidente". Altadonna, ritenuto vicino alla famiglia mafiosa di Carini, venne scarcerato dopo l'arresto nel marzo 2007 poichè il tribunale del riesame dichiarò nulla l'ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa il 23 gennaio. Ieri, dopo la condanna in primo grado, le porte del carcere si sono riaperte per l'imprenditore di Carini.
10/07/2009
Fonte: La Sicilia

mercoledì, luglio 08, 2009

Imprenditore bruciato in macchina..

SCIACCA (AGRIGENTO) - Sarebbe stato raggiunto da almeno due colpi d'arma da fuoco prima di essere bruciato all'interno della sua Mercedes, Amedeo Tolentino, l'imprenditore di 37 anni di Siculiana trovato carbonizzato a Sciacca. Lo ha stabilito l'ispezione cadaverica eseguita dal medico legale Vincenzo Battaglia, nominato dal pm che si sta occupando dell'inchiesta, Paolo Pietro Mazza. I magistrati, per le modalità del delitto, ritengono probabile che si tratti di un omicidio di mafia. L'autopsia è stata disposta per giovedì, sarà effettuata da un esperto di medicina legale dell'università di Palermo. Tolentino, sposato e padre di due bambini, era titolare di due supermercati, aderenti alla catena commerciale Sisa, in via Roma a Siculiana. Secondo i carabinieri del reparto operativo di Agrigento, l'imprenditore stava per aprire un altro esercizio commerciale, sempre nel paese, e aveva delle compartecipazioni societarie in altri due punti vendita della zona saccense. A rendere possibile l'identificazione del corpo, totalmente devastato dalle fiamme, sono state la tessera sanitaria e la patente di guida ritrovate dai vigili del fuoco, all'interno del portafogli bruciacchiato. I carabinieri del reparto operativo da stamattina continuano a interrogare parenti, amici, dipendenti e altri commercianti sia di Siculiana che di Sciacca. "Le indagini vanno avanti a 360 gradi - ha detto il procuratore di Sciacca Vincenzo Pantaleo - Le modalità con le quali è stato realizzato l'omicidio sono però decisamente inquietanti".
07/07/2009
Fonte: La Sicilia

Paci chiede 13 anni per Pizzuto..

TRAPANI - Il pm Gaetano Paci ha chiesto la condanna a 14 anni di Agostino Pizzuto, l'ex custode della storica Villa Malfitano di Palermo, arrestato a maggio con l'accusa di associazione mafiosa. Nel processo, celebrato per direttissima e con il rito abbreviato, davanti alla V sezione del Tribunale, presieduta da Gioacchino Scaduto, Pizzuto risponde solo di detenzione di armi, munizioni ed esplosivi da guerra: dopo il suo arresto, avvenuto nell'ambito dell'operazione Eos, in una grotta di villa Malfitano fu infatti ritrovato - grazie a quanto era già emerso dalle intercettazioni ambientali e alle successive indicazioni fornite dal neopentito Michele Visita - un vero e proprio arsenale. Nello stesso processo è imputato Vincenzo Troia, accusato di detenzione di una pistola, ritrovata nella perquisizione avvenuta al momento dell'arresto, il 14 maggio scorso: per lui il pm Paci ha chiesto 4 anni e 4 mesi. La sentenza è attesa entro il pomeriggio.
08/07/2009
Fonte: La Sicilia

martedì, luglio 07, 2009

Comunicato stampa dell' OSCE per l'Italia

VIENNA, 24 Giugno 2009 – Miklos Haraszti, Rappresentante OSCE della Libertà dei Media, ha chiesto oggi, ai legislatori italiani, di accantonare due previsti provvedimenti di legge che limiterebbero la libertà in Internet ed i resoconti sui casi giudiziari. “Le disposizioni non riconoscono numerosi parametri internazionali riguardo la libertà dei mezzi di comunicazione”, ha scritto Haraszti in una lettera al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Presidente del Senato e al Ministro della Giustizia. La proposta “sulla pubblica sicurezza” imporrebbe multe fino a 250,000 euro per i fornitori di servizi internet che non bloccano materiale considerato di istigazione o di apologia di reato. La Camera dei Deputati ha votato a maggio per cancellare questa clausola, ma la versione definitiva deve essere ancora approvata dal Senato. Un disegno di legge “sul controllo telefonico e le intercettazioni elettroniche”, approvato l’11 Giugno dalla Camera dei Deputati, proibirebbe riferimenti pubblici a qualsiasi documento inerente processi giudiziari o indagini della polizia, prima della fine delle inchieste preliminari. I trasgressori rischiano una condanna fino a cinque anni di reclusione. “Il disegno di legge non prevede eccezioni per casi in cui le informazioni pubblicate fossero di interesse pubblico. Non c’è distinzione neanche tra i funzionari responsabili della fuga di notizie e coloro che le trasmettono o le pubblicano” ha affermato Haraszti. “Queste lacune sono inammissibili in una democrazia che riconosce ai cittadini il diritto all’informazione”. Haraszti ha insistito che le informazioni – anche in caso, talvolta, di fughe di notizie da parte di funzionari - possono giocare un ruolo importante nella lotta alla corruzione. “La diffusione di notizie di questo tipo non dovrebbe essere perseguita, a patto che esista la possibilità di difendersi per aver agito in “buona fede” e quindi nell’interesse pubblico”, ha dichiarato. Haraszti ha invitato il Senato a seguire i suggerimenti della Camera dei Deputati riguardo il disegno di legge sulla pubblica sicurezza e a portare il disegno di legge sul controllo telefonico e le intercettazioni elettroniche in linea coi parametri OSCE e i principi di libertà di stampa europea.
Fonte: italiadallestero.info


Ingroia al "The Indipendent"


LONDRA - Silvio Berlusconi sarebbe entrato in politica dopo le minacce subite da Cosa nostra con la richiesta di mettere a disposizione della mafia una della sue reti televisive. È quanto scrive oggi il quotidiano britannico Independent citando il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia che ha detto al giornale: "Non solo credo che sia possibile che Berlusconi sia entrato in politica per questa ragione, credo sia probabile". Il quotidiano britannico solleva l'ipotesi con riferimento alla lettera sequestrata fra le carte personali di Vito Ciancimino in cui compare Berlusconi e che la procura distrettuale antimafia di Palermo ha trasmesso ai giudici della Corte d'appello davanti ai quali si svolge il processo a Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco di Palermo, accusato di riciclaggio. "La mossa (dell'ingresso in politica di Berlusconi) - scrive il giornale - è spesso attribuita ai timori che politici di sinistra potessero nazionalizzare il suo impero televisivo. Ma le nuove rivelazioni delle minacce della Mafia fanno emergere altre ragioni: la protezione e la sicurezza offerte a chi ricopre alte cariche". Nell'articolo dell'Independent si legge che, alla domanda sulle motivazioni dietro l'interesse di Cosa nostra per un canale televisivo, Ingroia ha affermato: "Credo che volessero un canale che screditasse i magistrati e le loro indagini". Secondo gli inquirenti, che hanno effettuato diversi interrogatori, il messaggio che i mafiosi avrebbero fatto arrivare a Silvio Berlusconi potrebbe risalire all'indomani della sua discesa in politica. Dal foglio di carta, depositato agli atti della Corte d'appello si legge:"...posizione politica intendo portare il mio contributo (che non sarà di poco) perchè questo triste evento non ne abbia a verificarsi. Sono convinto che questo evento onorevole Berlusconi vorrà mettere a disposizione una delle sue reti televisive". Il testo è parziale, perchè la lettera è strappata nella parte iniziale. Gli accertamenti ordinati dai pm Antonio Ingroia e Nino Di Matteo hanno portato a stabilire che il messaggio è stato scritto nei primi anni Novanta. E poi il fatto che Berlusconi è indicato come "onorevole", porta a considerare che si parte dal 1994 in poi. L'inchiesta riservatissima punta non solo ad accertare l'autore del messaggio a Silvio Berlusconi, che sarebbe da ricercare fra i "corleonesi", ma anche il "contributo" politico che nella lettera sostengono di poter dare. Il canale che i boss avrebbero scelto per far giungere il messaggio a destinazione, secondo indiscrezioni giudiziarie, sarebbe stato quello di Vito Ciancimino. E su questi retroscena è stato sentito dai pm il figlio dell'ex sindaco, Massimo Ciancimino, il cui verbale è stato secretato. I magistrati hanno acquisito, inoltre, anche una parte del rapporto del Ros dei carabinieri del 1996, in cui il mafioso-confidente Luigi Ilardo aveva detto al colonnello Michele Riccio che i boss palermitani, durante una riunione a Caltanissetta, avevano dato disposizioni "di votare Forza Italia" e inoltre, "avevano fatto chiaramente comprendere che i vertici palermitani avevano stabilito un contatto con un esponente insospettabile di alto livello appartenente all'entourage di Berlusconi". Sono stati acquisiti anche i verbali dei carabinieri dei Ros di Palermo del 2004 in cui si descrivono diversi incontri nell'abitazione palermitana di Massimo Ciancimino con l'allora coordinatore regionale di Forza Italia, Gianfranco Miccichè, ed il suo collaboratore Pippo Fallica.
06/07/2009
Fonte: La Sicilia

Intimidazione al Parroco

GELA (CALTANISSETTA) - Il parroco della Chiesa di Santa Lucia, a Gela, don Luigi Petralia, ha subito sabato notte un'intimidazione su cui stanno indagando la Squadra mobile di Caltanissetta e il commissariato di Gela. Due giovani sono entrati nella chiesa ed hanno dato fuoco allo striscione del Grest che era sistemato su un muro nel giardino della parrocchia. La scena è stata registrata dalle telecamere a circuito chiuso e dalle immagini si notano i due autori entrare ed evitare accuratamente il sistema di sicurezza. Per il sindaco di Gela, Rosario Crocetta "ovviamente una vicenda così si sarebbe potuta leggere come un'azione di vandalismo se i ragazzi non dimostrassero di conoscere dettagliatamente il sistema di sicurezza e il parroco non fosse una delle personalità della città più impegnate nella lotta alla mafia". "Nessuno pensi - aggiunge - che attraverso questi atti intimidatori possano fermare l'attività di don Luigi e della sua parrocchia o intimidire il movimento antimafia della città. La battaglia contro la mafia continuerà ad andare avanti e darà ulteriori risultati".
06/07/2009
Fonte: La Sicilia

Addiopizzo contro il lodaccio Alfano..

PALERMO - Una cinquantina di persone hanno partecipato questa mattina a Palermo al sit in organizzato da Addiopizzo contro il ddl sulle intercettazioni. Il presidio si è svolto in piazza della Memoria, davanti al Palazzo di Giustizia. L'associazione, che da tre giorni ha oscurato il sito in segno di protesta, contesta il provvedimento che - dice in una nota - "vuole porre un freno alle intercettazioni, che sono invece uno strumento fondamentale di cui dispongono gli investigatori e la magistratura nella lotta alla mafia. Le tecnologie hanno fornito, infatti, fino ad oggi un supporto vitale alle sofisticate indagini che hanno permesso l'arresto di centinaia di mafiosi e sono i migliori occhi e le migliori orecchie dell'antimafia". "La nuova legge - scrive il comitato - consente di disporre intercettazioni solo quando si è praticamente sicuri di aver individuato il reato e il colpevole, rendendole dunque inutili. Essa pone dei limiti di tempo che è assurdo concepire per reati di mafia, che per la loro peculiarità hanno bisogno di indagini lunghe e complesse che possono durare anche anni".
06/07/2009
Fonte: La Sicilia

sabato, luglio 04, 2009

Agguato a boss..

Catania, 3 lug. (Adnkronos) - A Catania è stato ucciso il presunto boss Raimondo Maugeri, 47 anni, ritenuto reggente della cosca Santapaola del rione Villaggio Sant'Agata del capoluogo etneo. L'uomo è stato ucciso in un agguato nel quartiere popolare Zia Lisa. In base a una prima ricostruzione Maugeri a bordo di un ciclomotore è stato affiancato da una moto di grossa cilindrata con due uomini a bordo che gli avrebbero sparato cinque colpi di pistola centrandolo al torace.
Il presunto boss nonostante sia rimasto ferito gravemente ha tentato la fuga evitando altri colpi ma è morto poco dopo. I carabinieri del reparto del comando provinciale stanno seguendo le indagini coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia della Procura catanese.

Fonte: Adnkronos

Riorganizzazione...

MARSALA (TRAPANI) - Hanno ripreso le redini della cosca di Marsala appena usciti di prigione. In poco tempo sono tornati a fare le estorsioni e si sono riforniti delle armi. Una riorganizzazione rapida quella dei boss marsalesi, scoperta da polizia e carabinieri che, oggi, hanno arrestato sei persone con l'accusa di associazione mafiosa, estorsione e detenzione di armi. Ai vertici della "famiglia" ci sono nomi noti agli investigatori: come Vito Vincenzo Rallo, fratello del capomafia Antonino. Scarcerato a luglio del 2007, Vincenzo Rallo è immediatamente tornato a pianificare e gestire il racket del pizzo e amministrare la cassa dell'organizzazione. Al suo fianco Francesco Giuseppe Raia, figlio del boss Gaspare, che sconta, al carcere duro, una condanna all'ergastolo. Uscito di prigione nel giugno del 2007 si è subito messo a disposizione di Rallo per la riscossione delle estorsioni. Il piano di riorganizzazione della cosca aveva avuto la "benedizione" del superlatitante trapanese Matteo Messina Denaro, che, dopo le operazioni di polizia che avevano messo in ginocchio la "famiglia", aveva espresso le sue preoccupazioni sul futuro di Cosa Nostra marsalese in diversi "pizzini" indirizzati al padrino di Corleone Bernardo Provenzano. Nelle lettere, ritrovate nel covo in cui il capomafia è stato arrestato ad aprile del 2006, Messina Denaro scriveva di non potere più esaudire le richieste di Provenzano relative alla zona di Marsala perchè lì erano stati arrestati "i rimpiazzi e pure i rimpiazzi dei rimpiazzi": una frase usata per indicare che nella zona non c'erano più uomini d'onore "fedeli" da utilizzare. L'indagine, condotta dai carabinieri del comando provinciale e dagli agenti della Mobile di Trapani, ha svelato la capillare pressione estorsiva esercitata dalla cosca: grazie alle intercettazioni gli inquirenti hanno scoperto, ad esempio, i taglieggiamenti subiti da un imprenditore del settore ittico della zona, costretto, dal 2003 al 2008, a versare tangenti da cinquemila euro.Costretti a sospendere le richieste di pizzo, mentre erano in prigione, i mafiosi marsalesi tornavano a taglieggiare commercianti ed imprenditori chiedendo loro tutte le rate "non versate". I boss, poi, si erano costituiti un arsenale di armi e munizioni ed esercitavano "attività" tipiche degli uomini d'onore come l'intermediazione in affari immobiliari: la cosca era intervenuta nell'acquisto di un terreno da adibire a parcheggio. Dall'inchiesta, infine, è emerso che la designazione di Rallo al vertice della "famiglia", caldeggiata da Messina Denaro, non era particolarmente gradita al vecchio boss detenuto Gaspare Raia, che aveva messo in guardia il figlio a stare attento al boss in passato sospettato di avere fatto la cresta sui soldi della cassa della cosca.

Volevano uccidere pm Piscitello. I boss di Marsala si erano procurati un fucile di precisione che, secondo gli inquirenti, sarebbe servito per eliminare il pm della Dda di Palermo, Roberto Piscitello, ora capo di gabinetto vicario del ministero della Giustizia, da anni impegnato nelle indagini sulla mafia trapanese. Da una intercettazione ambientale effettuata nell'auto di uno degli arrestati, Maurizio Bilardello, fratello naturale di Giuseppe Raia, esattore del pizzo della famiglia, è venuto fuori che i boss si erano procurati un fucile di precisione che avrebbero dovuto utilizzare in un attentato contro il magistrato. L'intercettazione risale all'estate del 2008. Dopo qualche mese a Piscitello vennero rafforzare le misure di sicurezza. L'arma, che sarebbe stata spostata dal luogo in cui veniva tenuta, a pochi metri da casa del pm, non è mai stata ritrovata. Tutti gli arrestati: Vito Vincenzo Rallo, 49 anni, ritenuto il reggente della cosca; Giuseppe Francesco Raia, 42 anni, l'uomo che gestiva il racket delle estorsioni per conto dei boss; Maurizio Bilardello, 40 anni, fratello naturale di Raia; Giuseppe Gaspare De Vita, 37 anni, podologo; Francesco Messina, 44 anni, imprenditore edile; Dario Cascio, 28 anni.
03/07/2009


Fonte: La Sicilia

venerdì, luglio 03, 2009

12 arresti a Gela..

CALTANISSETTA, 2 LUG - Imponevano agli imprenditori di Gela il pagamento di tangenti alla mafia, l'assunzione di operai e la fornitura di materiali.Le indagini hanno portato la polizia ad eseguire 12 ordini di custodia cautelare. Si tratta di indagati ritenuti affiliati alla famiglia gelese degli 'Emmanuello'. I provvedimenti sono stati notificati in carcere a 11 indagati, mentre uno e' agli arresti domiciliari. Sono accusati di associazione mafiosa ed estorsione continuata e aggravata.
Fonte: ANSA

Ecco.. Pure questa..

PALERMO - La Procura distrettuale antimafia di Palermo ha trasmesso ai giudici della Corte d'appello, davanti ai quali si svolge il processo a Massimo Ciancimino, accusato di riciclaggio, una lettera da cui emergono richieste estorsive e minacce a Silvio Berlusconi. La missiva, scritta a mano, risalirebbe ai primi anni Novanta, ed è stata sequestrata nel 2005 fra le carte personali di Vito Ciancimino, l'ex sindaco mafioso di Palermo. L'autore non è indicato. Nel verbale di sequestro redatto dai carabinieri, si legge: "Parte di foglio A4 manoscritto contenente richieste all'on. Berlusconi di mettere a disposizione una delle sue reti televisive". Nel testo della missiva, che è incompleto perché la prima parte è stracciata, emerge, però, l'intimidazione legata al fatto che se non si fosse dato corso alla richiesta avanzata ci sarebbe stato "il luttuoso evento". Il documento fa parte dei reperti acquisiti nel processo a Massimo Ciancimino, ed è stato trovato durante la prima perquisizione che gli è stata fatta nel febbraio 2005, e per questo adesso è stato trasmesso ai giudici della Corte d'appello. Sul contenuto della lettera, è stata avviata un'inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dal pm della Dda, Nino Di Matteo.
02/07/2009
Fonte: La Sicilia

mercoledì, luglio 01, 2009

Miceli a Roma

ROMA - E' stato estradato verso l'Italia il boss mafioso e superlatitante Salvatore Miceli, 63 anni, arrestato dieci giorni fa in Venezuela. Miceli è atterrato a Roma poco dopo le 9 di stamani all'aeroporto di Fiumicino, proveniente da Caracas. L'uomo è stato consegnato ai militari dell'Arma. Il capomafia di Salemi, città dei cugini esattori Nino e Ignazio Salvo, ha 63 anni ed era considerato un elemento di spicco del narcotraffico internazionale nel 2001. Nipote del boss di Salemi Salvatore Zizzo, morto nel 1981, Miceli era legato al boss latitante trapanese Matteo Messina Denaro e aveva anche il compito di cucire rapporti tra Cosa nostra, la 'Ndrangheta calabrese e i cartelli colombiani della cocaina. "Miceli era ricercato dall'Interpol e dalle autorità italiane per traffico di cocaina, eroina ed altre droghe in Europa", ha ricordato il ministro venezuelano. Già nei giorni scorsi la stampa del paese sudamericano aveva rivelato che Miceli risiedeva in Venezuela dal 2001, dove conduceva una vita tranquilla e modesta insieme alla moglie e a un figlio. Il boss latitante viveva a Calabozo, nello stato centrale di Guarico, a 268 chilometri dalla capitale, dove era comproprietario di un aparthotel e che, tra l'altro, si recava spesso a Maracay, una città a circa 100 chilometri da Caracas. Miceli era già finito in manette nel marzo del 1983 (su di lui pendeva un provvedimento restrittivo della magistratura statunitense), nell'ambito di un'operazione congiunta tra carabinieri, polizia e finanza che aveva portato all'arresto di 22 persone. Nell'ottobre del '90 di Miceli si occupò l'allora procuratore di Marsala, Paolo Borsellino, che lo fece arrestare grazie alle dichiarazioni della collaboratrice di giustizia Giacoma Filippello, la quale lo indicò come personaggio di spicco del traffico internazionale di droga.
MICELI TRASFERITO A CIVITAVECCHIA. Il Dap ha disposto il trasferimento del boss narcotrafficante Salvatore Miceli, estradato oggi dal Venezuela, nel carcere di Civitavecchia. Il provvedimento è stato eseguito a poche ore dall' arrivo a Roma del capomafia. I carabinieri del reparto operativo di Trapani, come prima tappa, lo avevano accompagnato a Rebibbia. Miceli sarà comunque trasferito in un carcere di massima sicurezza.
01/07/2009

Fonte: La Sicilia

Forse Lipera ce la fa...

La Cassazione, infatti, accogliendo un ricorso presentato dal difensore dell'ex agente del Sisde oggi 78enne ha sottolineato che il Tribunale di Sorveglianza di Palermo, lo scorso 13 gennaio, nel bocciare la richiesta di differimento in libertà dell'esecuzione della pena non ha specificato con "elementi di fatto specifici, concreti e significativi l'attualità della pericolosità sociale del condannato". In effetti, rileva la sentenza 26763 della prima sezione penale, la Sorveglianza di Palermo si era limitata a bocciare la richiesta di differimento della pena sottolineando "l'attuale pericolosità sociale del Contrada".
Contro questa decisione il difensore dell'ex poliziotto ha fatto ricorso con successo in Cassazione facendo notare oltretutto che "le ripetute informative della Questura di Palermo" facevano desumere "con estrema chiarezza sia la totale mancanza di collegamenti con soggetti inseriti o gravitanti in contesti delinquenziali, sia l'assenza di rapporti di parentela o di frequentazione con persone appartenenti alla criminalità organizzata".
La Suprema Corte ha annullato l'ordinanza impugnata e, rinviando per nuovo esame il caso al Tribunale di Sorveglianza di Palermo, ha sottolineato che Contrada "non può lamentarsi della mancata considerazione delle due note della Questura di Palermo" dal momento che esse hanno una data anteriore al provvedimento "a lui sfavorevole del Tribunale di Napoli che le valuta espressamente". Detto questo, però, piazza Cavour sottolinea che "il Tribunale di Sorveglianza", cosa che non ha fatto, "avrebbe dovuto valutare nuovamente (anche d'ufficio) la pericolosità sociale del condannato, che deve essere attuale".

Fonte: Adn kronos

Gran tattica...

PALERMO - "Per me rappresenta un grande disonore essere indicato come il tesoriere di Riina e Provenzano, i due più grandi criminali d'Italia. E' una vergogna essere accusato di avere gestito i patrimoni di questi due, che non ho mai conosciuto. Forse per altri, come ad esempio i pentiti, può essere un vanto, ma per me no". Rompe il silenzio dalla latitanza Vito Roberto Palazzolo, 62 anni, ricercato perché condannato definitivamente a nove anni di carcere per associazione mafiosa, parlando con l'Ansa. L'uomo, originario del palermitano, dal 1986 si rifugiò in Sudafrica dove gestì attività economiche che riguardano le acque minerali. Negli anni Ottanta il giudice Giovanni Falcone lo accusò sostenendo che era il cassiere dei corleonesi, ma i processi che ha subito negli ultimi vent'anni non sono riusciti a dimostrarlo. E adesso che la Cassazione lo ha definitivamente bollato come un boss prende pubblicamente le distanze da Riina e Provenzano, indicandoli come "criminali". "Sfido la polizia italiana e quella di tutto il mondo, compresi i servizi di intelligence, a trovare una sola transazione che io avrei fatto in passato o nel presente in favore di Riina e Provenzano", aggiunge Palazzolo, sostenendo di non essere mai stato il tesoriere dei corleonesi. "Dal 1992, da quando si è concluso definitivamente il processo in Svizzera nei miei confronti per riciclaggio - dice Palazzolo -, sono sempre stato in Sudafrica e non ho commesso alcun reato. Per questo motivo posso dire che se qualcuno riesce a dimostrare che ho gestito solo dieci euro o dieci lire di Provenzano o Riina, sono subito disposto a trascorrere 30 anni in carcere. L'importante è che queste accuse non si basino soltanto sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Io Riina o Provenzano non li conosco, ma da quello che ho letto, dal loro profilo, si distinguono completamente dal tipo di altre famiglie come Bontate e Calò. Credo nella giustizia, l'ho vista operare bene in Sudafrica, e mi rivolgerò alla Corte europea dei diritti umani, dove penso che esponendo i fatti che mi riguardano potrò avere ragione". Riferendosi a Riina e Provenzano, il latitante li indica come "due paesani che non hanno mai aperto un conto corrente in banca, perché non saprebbero nemmeno come fare. E' gente che ha sempre vissuto nel proprio paese e dubito che possono essere in grado di pensare a come gestire capitali all'estero".
01/07/2009

Fonte: La Sicilia

Tedesco dai giudici...

PALERMO - Il calciatore Giovanni Tedesco è stato sentito dai giudici della seconda sezione del Tribunale di Palermo, nel processo "Addiopizzo". Tedesco ha negato di avere pagato il pizzo o di sapere che fossero state pagate tangenti ai mafiosi per il cantiere con cui fu ristrutturata la sua villa di Mondello. La vicenda era emersa nell'ambito dell'inchiesta che aveva coinvolto, tra gli altri, l'avvocato Marcello Trapani, arrestato nel settembre scorso. Secondo quanto risultò dalle intercettazioni ambientali e dalle dichiarazioni dei pentiti, il costruttore Giampiero Specchiarello era stato costretto ad abbandonare i lavori perchè si era rifiutato di sottostare al pagamento delle estorsioni. Inutile sarebbe stata la mediazione di Giovanni Pecoraro, ex responsabile del settore giovanile del Palermo calcio e cognato di Specchiarello. Anche Pecoraro - arrestato assieme a Trapani e scarcerato la settimana scorsa - è stato sentito dal collegio presieduto da Bruno Fasciana, ma si è avvalso della facoltà di non rispondere. Il processo è stato rinviato a mercoledì prossimo.
01/07/2009
Fonte: La Sicilia

Altro ergastolo per Bagarella

PALERMO - I giudici della quarta sezione della Corte d'assise di Palermo hanno condannato all'ergastolo il boss Leoluca Bagarella e Giuseppe Agrigento, riconosciuti colpevoli del duplice omicidio di Simone Lo Manto e Raimondo Mulè, assassinati a San Cipirello il 31 maggio del 1977. La sentenza è del collegio presieduto da Raimondo Loforti, che ha accolto la richiesta del pm Francesco Del Bene. Secondo l'accusa, Bagarella, cognato di Totò Riina e uno dei più violenti sicari di Cosa nostra, assieme ad Agrigento avrebbero dovuto assassinate solo Lo Manto, considerato responsabile di alcuni danneggiamenti all'azienda agricola di Nicola Salamone, boss di Altofonte e capo del mandamento che abbracciava anche San Cipirello. Assieme a Lo Manto c'era però Mulè, che, come hanno spiegato i pentiti, fu ucciso per caso, pagando con la vita il fatto di trovarsi in compagnia dell'amico.
01/07/2009
Fonte: La Sicilia