martedì, giugno 27, 2006

Contrasti all'interno della mafia etnea

CATANIA - Non è servito neppure il "carisma" e l'autorevolezza di un presunto boss di grande prestigio come gli investigatori ritengono sia Eugenio Galea, a ricomporre la frattura esistente all'interno di cosa nostra a Catania dove due opposte fazioni della stessa famiglia si contendono la leadership, soprattutto nel settore delle estorsioni.È quanto emerge dalle indagini dei carabinieri del Raggruppamento operativo speciale di Catania, avviate nel 2004 dopo la scarcerazione dell'indagato, che sono culminate con l'arresto del presunto capo mafia e di un suo luogotenente di fiducia, Biagio Greco di 37 anni. L'ordine restrittivo, che ipotizza i reati di associazione mafiosa e estorsione, è stato emesso dall' ufficio del Gip etneo su richiesta della locale Procura antimafia.Secondo i militari del Ros, Galea, arrestato nel 1995 dopo due anni di latitanza, indicato come rappresentante provinciale di cosa nostra a Catania, dopo la scarcerazione, nel 2004, ha assunto il ruolo di "supervisore" nella spartizione delle "entrate" della cosca. Ma neppure la sua gestione, più "flessibile" e "moderata" rispetto a quella precedente del presunto boss Alfio Mirabile, avrebbe ricomposto la frattura nella "famiglia". Le frazioni infatti, lo storico gruppo Ercolano-Mangion-Santapaola da una parte e i fratelli e un nipote del capomafia Benedetto Santapaola e il boss Francesco La Rocca dall'altra, sarebbero ancora in forte contrapposizione tra loro.Tra le estorsioni scoperte dagli investigatori del Ros contestate a Galea c'è quella all'impresa Ira costruzioni i cui rapporti era stati delegati a Biagio Greco. La riscossione del pizzo avveniva in maniera indiretta, secondo l'accusa, ovvero con rapporti di forniture e di subappalto che consentivano di dissimulare, anche contabilmente, il pagamento della tangente.L'arresto di Galea e Greco rappresenta il proseguo dell'operazione Dionisio dei carabinieri del Ros realizzata nel luglio del 2005 contro 83 presunti appartenenti a cosa nostra della Sicilia orientale. Le indagini misero in luce i rapporti rapporti di cosa nostra di Catania con le articolazioni mafiose di Enna (tramite Raffaele Bevilacqua), Agrigento (Maurizio Di Gati), Gela (Daniele Emanuello), Messina e Mistretta (Sebastiano Rampulla).
27/06/2006
Fonte: La Sicilia

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