sabato, ottobre 31, 2009

Ammesso Spatuzza al processo Dell'Utri

PALERMO - Il pentito Gaspare Spatuzza deporrà al processo d'appello al senatore del Pdl Marcello Dell'Utri, imputato, a Palermo, di concorso esterno in associazione mafiosa. Lo hanno deciso i giudici della Corte d'appello che, accogliendo la richiesta del pg Nino Gatto, hanno sospeso la discussione ormai giunta alle battute finali - la pubblica accusa avrebbe dovuto formulare la richiesta di pena - e riaperto l'istruttoria. Secondo i magistrati l'esame del collaboratore è rilevante e assolutamente necessario ai fini del verdetto. Il provvedimento segue il deposito, da parte del procuratore generale, di un verbale di interrogatorio reso dal collaboratore di giustizia il 6 ottobre scorso ai pm di Palermo. Sentito dai magistrati, Spatuzza ha indicato Dell'Utri e il presidente del consiglio Silvio Berlusconi come i referenti politici di Cosa nostra dopo le stragi del '92. Il pentito ha raccontato di avere appreso la circostanza da Giuseppe Graviano, in due diversi incontri a cui avrebbe partecipato anche il boss Cosimo Lo Nigro. Dai colloqui col capomafia, prima col capomafia, poi col fratello Filippo, quest'ultimo visto in carcere nel 2003, Spatuzza dedusse che tra Cosa nostra e lo Stato era in corso una trattativa e che i referenti politici dei boss fossero proprio Dell'Utri e Berlusconi. I legali del senatore del Pdl si sono opposti alla riapertura dell'istruttoria e alla sospensione della discussione. La Corte, che ha ritenuto assolutamente rilevante per il giudizio l'esame del pentito, ha però disposto che il procuratore generale depositi le dichiarazioni rese da Spatuzza su Dell'Utri non solo ai magistrati di Palermo ma anche a quelli di Caltanissetta. Il collaboratore, dunque, verrà esaminato sul contenuto di tutti gli interrogatori a cui è stato sottoposto sul senatore del Pdl. Era stata la difesa dell'imputato a chiedere che, qualora i giudici avessero deciso di sospendere la discussione del processo e chiamare a deporre Spatuzza, l'esame non si fosse limitato alle sole dichiarazione rese alla Dda del capoluogo, ma anche a quelle fornite ai magistrati nisseni e fiorentini. In relazione ai verbali della Dda di Firenze, però, la Corte si è riservata la decisione di chiederne il deposito in quanto "al momento i contenuti noti sono vaghi e non è possibile stabilirne la rilevanza". I giudici, infine, decideranno solo dopo avere sentito il pentito se citare sul banco dei testimoni, come sollecitato dal procuratore generale, i tre capi mafia Giuseppe e Filippo Graviano e Cosimo Lo Nigro. Il processo è stato rinviato al 6 novembre, data in cui verrà stabilito il calendario delle audizioni di Spatuzza. "I giudici - ha commentato l'avvocato Giuseppe Di Peri, legale di Dell'Utri - hanno un'ampia discrezionalità e quindi avevamo messo nel conto questa decisione anche se per noi le dichiarazioni di Spatuzza sono assolutamente inconducenti e non provate. I verbali saranno adesso a disposizione delle parti. Su quelli Spatuzza sarà esaminato. I tempi non credo che si allungheranno tantissimo".
30/10/2009

Fonte: La Sicilia

venerdì, ottobre 30, 2009

Questi sono eroi riconosciuti! Non Mangano..

WASHINGTON - "Giovanni Falcone è stato un martire della causa della giustizia": così il giudice della Corte suprema Usa Antonino Scalia ha ricordato oggi a Washington il giudice italiano ucciso nel 1992 in una cerimonia nella sede del massimo organo giudiziario statunitense. Cerimonia che ha visto la partecipazione di altre due giudici della Corte Suprema (il Chief Justice John Roberts e Samuel Alito), del ministro per la sicurezza interna Janet Napolitano, dei numeri due del ministero della giustizia e dell'Fbi. Dall'Italia erano giunti per l'occasione il sottosegretario agli esteri Enzo Scotti e Claudio Martelli, rispettivamente ministri degli interni e e della giustizia all'epoca della morte di Falcone e del suo collega Paolo Borsellino. In quasi tutti gli interventi sono state sottolineate le innovazioni portate da Falcone nella lotta al crimine organizzato: l'uso di moderni metodi di indagine (come l'attenzione particolare dedicata alla "pista del denaro") e la stretta cooperazione internazionale con le altre agenzie (specie Usa) impegnate nella lotta alla mafia. La ministra Napolitano ha osservato che il 'modello Falcone' è ancora usato oggi negli Usa per combattere, ad esempio, la criminalità organizzata in Messico. Gli agenti Usa studiano le tecniche innovativa lanciate da Falcone. Il Chief Justice, John Roberts, ha detto che "l'esempio coraggioso di Falcone" è ancora con tutti noi. Il numero uno della Corte Suprema ha detto che Falcone era l'incarnazione della massima che "per essere liberi bisogna essere coraggiosi". Il giudice Samuel Alito ha definito Falcone "un grande uomo, un giudice coraggioso: la sua eredità vivrà per sempre". Il giudice Antonino Scalia, uno dei promotori dell'evento, ha detto che Falcone è stato "un martire alla causa della giustizia". "La sua uccisione provocò un tale orrore in Italia da infondere nuova vita alla lotta alla mafia", ha ricordato.Il sottosegretario Scotti ha accomunato al tributo a Falcone anche a quello al giudice Borsellino "due patrioti uccisi per difendere la legalità e la democrazia del nostro Paese". Scotti ha ricordato i numerosi progressi fatti in quel periodo nella lotta alla mafia e la sua offerta a Borsellino (dopo l'uccisione di Falcone) di ricoprire l'incarico di procuratore generale antimafia. Borsellino rispose con una "lettera straordinaria" in cui affermava che "le affettuose insistenze del mio ufficio mi inducono a continuare a Palermo la mia opera appena iniziata in procura della Repubblica, che è sicuramente quella più direttamente e aspramente impegnata nelle indagini sulla criminalità mafiosa", ha detto Scotti. Martelli ha messo in evidenza l'abilità di Falcone di imparare "anche dai nemici" le strategie migliori per la lotta alla mafia. L'ambasciatore d'Italia a Washington, Giulio Terzi, ha sottolineato le più importanti innovazioni introdotte da Falcone nella lotta al crimine organizzato (compreso l'uso dei pentiti). Durante il commosso tributo nella sede della Corte Suprema Usa, coordinato dall'attachè per la giustizia, Giannicola Sinisi, è stato proiettato anche un video sulla vita di Falcone.
30/10/2009
Fonte: La Sicilia

8 mln di euro sequestrati

Catania, 30 ott. - Il Gip presso il tribunale di Catania ha disposto la confisca dei beni, per un valore di oltre otto milioni di euro appartenenti a un uomo di 53 anni, considerato elemento di spicco del clan Nardo, sequestrati nel 2008 dalla Direzione Investigativa Antimafia di Catania. I beni confiscati sono una societa' di trasporti, una licenza di autotrasporto per conto terzi, 40 automezzi tra autovetture e mezzi pesanti, un autolavaggio, un distributore di benzina, un'autofficina meccanica, un immobile adibito ad uffici, vari conti bancari, una villa di due piani e diversi immobili.
Floridia a seguito di indagini condotte dai carabinieri di Siracusa, era stato arrestato per associazione mafiosa nell'ambito delle operazioni ''Gorgia'' e ''Gorgia 3''. Il provvedimento e' stato adottato in seguito alla recente condanna dell'uomo ad otto anni e sei mesi di reclusione per estorsione aggravata e concorso esterno in associazione mafiosa.

Fonte: Adnkronos

giovedì, ottobre 29, 2009

Udienza a porte chiuse

PALERMO - Massimo Ciancimino ha partecipato all'udienza del processo d'appello in cui è imputato per riciclaggio. L'udienza, nell'aula bunker del carcere Pagliarelli, si è svolta a porte chiuse. Ciancimino aveva anticipato la volontà di rendere dichiarazioni spontanee. Oltre al figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, nel processo sono imputati anche la madre Epifania Scardina, l'avvocato Giorgio Ghiron e l'avvocato Gianni Lapis. "In tante intercettazioni dove ci sono elementi a mia discolpa e notizie di reato sono state segnati nei brogliacci come irrilevanti" ha detto lasciando il Pagliarelli. "Io ritengo che l'ufficiale di polizia giudiziaria che ascolta - ha proseguito - e sente notizie di reato, ha l'obbligo di informare l'autorità giudiziaria. Queste intercettazioni sono state valutate irrilevanti non solo per gli elementi a mia discolpa ma anche per le notizie di reato". Nel corso delle dichiarazioni Ciancimino aveva anche detto che proprio su quelle parti definite nei brogliacci delle intercettazioni 'irrilevanti', nove magistrati hanno aperto inchieste. Secondo Ciancimino in tutta questa vicenda ci sono tante cose che non vanno: "Con la logica che devono salvare, al solito, altri non voglio sapere chi e che accordi ci sono a monte e non so se adesso usciranno 'papelli' non mi interessa e voglio essere condannato per quello che ho fatto". Ieri, dall'appartamento di via Torrearsa, nel centro di Palermo, secondo quanto sostiene lo stesso Ciancimino sono sparite le lettere personali che il padre avrebbe scritto dal carcere al figlio e una serie di fotografie. Non sono stati portati via oggetti di valore, circostanza che ha indotto gli inquirenti a escludere che si sia trattato di un furto. Sembra, dunque, che dietro l'incursione ci sia stato un atto intimidatorio.
29/10/2009
Fonte: La Sicilia


PALERMO, 28 OTT - La polizia indaga su un tentativo di effrazione nella casa di Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo Vito. Ciancimino, da mesi, rende dichiarazioni ai magistrati sulla trattativa tra mafia e Stato di cui il padre sarebbe stato tra i principali protagonisti. Ciancimino al momento non vive nella casa palermitana, a causa di alcuni episodi intimidatori subiti. Si e' trasferito a Bologna.

Fonte: ANSA

Beccati

CATANIA - I poliziotti li hanno bloccati, mentre intascavano il pizzo, all'interno di un'autorimessa, in via Paolo Lioy, nella zona di Nesima, a Catania. In manette per estorsione, aggravata dal metodo mafioso, sono finiti Alfio Muzio, 35 anni, pregiudicato, e Marco Pellegrino, 19 anni. Muzio è cognato del latitante Francesco Di Stefano, esponente di spicco del clan mafioso dei Cursoti Milanesi. Le indagini sono state avviate il 7 ottobre scorso, dopo una singolare rapina messa a segno proprio all'interno dell'autorimessa da alcuni malviventi, incappucciati e armati di pistola, che si impossessarono di tre mezzi, tra quelli custoditi all'interno del garage, di minore valore. Così la polizia ha intensificato i controlli, tenendo d'occhio l'autorimessa, fino a quando ieri non si sono presentati Muzio e Pellegrino. I due, secondo quanto accertato dagli investigatori, avrebbero chiesto 1.500 euro per la restituzione dei mezzi rapinati e per la garanzia che presso il garage non sarebbe accaduto più nulla di spiacevole. E i poliziotti sono intervenuti subito dopo la consegna del denaro. Entrambi sono stati accompagnati presso il carcere di Piazza Lanza.
28/10/2009
Fonte: La Sicilia

5 anni di inibizione per Sferrazza

Roma, 27 ott. - Cinque anni di inibizione a Gioacchino Sferrazza, amministratore unico e legale rappresentante dell'Akragas Calcio, e un punto di penalizzazione in classifica da scontarsi nella corrente stagione alla societa' per responsabilita' diretta: lo ha deciso la Commissione disciplinare del Comitato regionale Sicilia, competente per territorio.
La sentenza fa riferimento al deferimento del procuratore Federale in merito alle dichiarazioni rilasciate da Sferrazza che, al termine della gara Akragas-Arenella Palermo del campionato di eccellenza del 27 settembre scorso, ha dedicato la vittoria della sua squadra ad un presunto boss mafioso.

Fonte: Adnkronos

Ergastoli per l'omicidio Geraci

PALERMO - La terza sezione della Corte d'Assise di Appello di Palermo ha confermato le condanne all'ergastolo di Nicola Mandalà, Ezio Fontana e Damiano Rizzo accusati dell'omicidio dell'imprenditore di Altavilla Milicia, Salvatore Geraci, ucciso il 5 ottobre del 2004 a Palermo. Secondo gli inquirenti, il mandante del delitto sarebbe il boss di Belmonte Mezzagno Ciccio Pastoia, che poi si è suicidato in carcere. Geraci sarebbe stato ucciso perché, dopo essere uscito dal carcere per una condanna per mafia, aveva cercato di reinserirsi nel mondo degli appalti senza avere l'autorizzazione della mafia. Mandalà, Fontana e Rizzo sono stati individuati anche grazie alle intercettazioni ambientali disposte nell'ambito dell'indagine "Grande mandamento" sui favoreggiatori del boss Bernardo Provenzano. La Corte ha disposto risarcimenti da duemila a tremila euro per i familiari di Geraci che si erano costituiti parte civile.
29/10/2009
Fonte: La Sicilia

Niente domiciliari per Brusca

ROMA, 28 OTT - Giovanni Brusca, il boss responsabile della strage di Capaci, resta in carcere. La Cassazione ha detto no agli arresti domiciliari. I giudici hanno respinto il ricorso di Brusca contro l'ordinanza con la quale il tribunale di sorveglianza di Roma, lo scorso 21 aprile, aveva rigettato l'istanza di detenzione domiciliare. Brusca ha piu' condanne all'ergastolo ma gode di alcuni benefici perche' ha collaborato con la giustizia.
Fonte: ANSA

Lipera ci riprova..

CATANIA - Sarà discussa domani davanti la settima sezione della Cassazione il ricorso presentato dal legale di Bruno Contrada contro la decisione della Corte d'appello di Catania di trasferire ai giudici di Caltanissetta, per competenza territoriale, la richiesta del suo assistito di revisione della sentenza di condanna a 10 anni di reclusione per concorso esterno all'associazione mafiosa. L'avvocato Giuseppe Lipera aveva presentato il ricorso a Catania sostenendo che a Caltanissetta, dove la richiesta è stata già rigettata nel febbraio del 2008 con sentenza poi condivisa dalla Cassazione nell'ottobre dello stesso anno, è presidente della Corte d'appello il giudice Francesco Ingargiola. Lo stesso giudice che ha presieduto il Tribunale di Palermo che il 5 aprile del 1996 condannò Contrada. Secondo il penalista per questo motivo "la Corte d'appello di Caltanissetta non possiede quella serenità necessaria per valutare obiettivamente l'istanza di revisione".
28/10/2009
Fonte: La Sicilia

martedì, ottobre 27, 2009

IL 41 bis è legale

ROMA - La corte d'assise di Palermo, presieduta da Salvatore Di Vitale, ha respinto l'eccezione di legittimità costituzionale dell'articolo 41 bis, la norma che disciplina il carcere duro per i mafiosi. La questione era stata sollevata dalla difesa del capomafia palermitano Giuseppe Graviano alla prima udienza del processo per il sequestro e l'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del collaboratore di giustizia rapito nel '93 e assassinato nel '96 per indurre il padre a ritrattare le sue dichiarazioni. Il difensore di Graviano, imputato assieme ad altri 5 capimafia, aveva sostenuto l'incostituzionalità della norma sul carcere duro in quanto, dopo le ultime modifiche legislative, che prevedono un massimo di tre colloqui al mese tra detenuti e legali, ciascuno di un'ora, limita il diritto di difesa. La corte, che ha dichiarato la questione manifestamente infondata, ha sostenuto che la corte costituzionale si è già ampiamente pronunciata sulla compatibilità tra il 41 bis e la costituzione e che non sia riscontrabile alcuna lesione del diritto di difesa. Il processo, dunque, va avanti con la costituzione delle parti e l'illustrazione dell'accusa da parte del pm della Dda Fernando Asaro. Alla sbarra, oltre a Graviano, ci sono Salvatore Benigno, Francesco Giuliano, Luigi Giacalone e Matteo Messina Denaro, accusati dell'ideazione e delle prime fasi del sequestro. Imputato anche il pentito Gaspare Spatuzza, che si è autoaccusato del rapimento nei mesi scorsi
26/10/2009

Fonte: La Sicilia

L'aiuto della Chiesa...

PALERMO - Per ottenere un alleggerimento della pressione dello Stato e dei disagi del carcere duro, la mafia avrebbe tentato di ottenere un intervento "umanitario" della Chiesa. Ne parlano, in un colloquio dell'aprile 2003 il generale Mario Mori e il pm fiorentino Gabriele Chelazzi, poi morto d'infarto, che indagava sulla stagione delle stragi. Era stato l'eccidio di via d'Amelio in cui erano morti Paolo Borsellino e cinque uomini della scorta a provocare, nella notte tra il 19 e il 20 luglio 1992, il trasferimento a Pianosa di una cinquantina di detenuti sottoposti al regime del 41 bis. Il provvedimento aveva creato un certo subbuglio tra i boss tanto che Riina aveva tenuto alcune riunioni nella zona di Mazara del Vallo dove trascorreva la latitanza. Ma aveva anche indotto i familiari di alcuni detenuti a chiedere un intervento al vescovo di Trapani, Domenico Amoroso. Al prelato erano stati consegnati appelli e documenti che monsignor Amoroso si era limitato a riversare su canali istituzionali. A quel tempo, si ricorda nelle carte del pm Chelazzi, stava partendo la presunta "trattativa" mediata dall'ex sindaco Vito Ciancimino. I boss speravano in un intervento della chiesa che invece con Giovanni Paolo II rivolse il 9 maggio 1993 un duro anatema ai mafiosi. Per tenere caldo il canale della "trattativa" Cosa nostra organizzò nel luglio 1993 gli attentati che dovevano mandare un messaggio allo Stato. Ma nel mirino c'era anche la chiesa, colpita con le bombe a San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro. Forse anche l'uccisione, il 15 settembre 1993, di don Pino Puglisi è riconducibile a quella strategia. Identici erano gli obiettivi e anche gli organizzatori sia degli attentati che dell'uccisione del parroco di Brancaccio: gli uomini della cosca dei Graviano.
26/10/2009
Fonte: La Sicilia

A Pistoia si.. In Sicilia no..

QUARRATA (PISTOIA) - Una strada di Quarrata (Pistoia) sarà intitolata ad Antonino e Ida Agostino, i coniugi assassinati in un agguato mafioso il 5 agosto 1989 a Palermo.

L'intitolazione, si terrà domani, martedì 27 ottobre, alle 12 nella zona di via di Lucciano e via Rossini. Antonino Agostino era un agente della polizia di Stato in servizio presso la questura di Palermo e stava conducendo, al momento in cui fu ucciso, indagini sul fallito attentato dell'Addaura al magistrato Giovanni Falcone.
La moglie Ida Castelluccio, di appena 19 anni, incinta di cinque mesi di una bimba, morì insieme al marito nel tentativo di salvargli la vita.

"Con questa intitolazione - afferma il sindaco - vogliamo ricordare il loro sacrificio, e anche quello di tante altre persone, che hanno perso la vita per difendere i valori della giustizia e della democrazia".

26/10/2009
Fonte: La Sicilia

domenica, ottobre 25, 2009

Basta..

ROMA - Basta coi "papelli fatti di scelte incoerenti della politica". Basta coi condoni, i voti di scambio e le candidature di persone condannate per reati gravi.

Stop anche a riciclaggio e corruzione. Perchè per contrastare la criminalità organizzata bisogna eliminare tutte quelle misure "che la fanno esultare" e la rendono più forte. È quanto ha chiesto l'associazione "Libera" attraverso il "Manifesto per un mondo liberato dalle mafie", presentato oggi al termine degli stati generali dell'Antimafia.
Si tratta di un documento inedito, realizzato durante il fine settimana con il contributo di 2.500 persone e 100 relatori, che suddivisi in 17 gruppi hanno scritto una ricetta contro le mafie: un elenco di trenta punti che scandisce gli impegni dell'associazione e le richieste per la politica, validi per i prossimi 3 anni, e si conclude con la richiesta di un provvedimento legislativo che dedichi la giornata del 21 marzo di ogni anno alla memoria di tutte le vittime della mafia.
Il Manifesto chiede di approvare in tempi rapidi un testo unico della legislazione antimafia, "per superare le attuali disfunzioni e garantire una più efficace azione di contrasto; di istituire un'agenzia nazionale per la gestione dei beni sottratti alle mafie, di rivedere il reato del voto di scambio e della normativa sui Comuni sciolti per mafia, di adottare un codice etico che impedisca la presenza di persone condannate o rinviate a giudizio per gravi reati ("è opportuno che il Parlamento apra il dibattito e se necessario vari una norma vincolante", ha sottolineato Francesco Forgione, già presidente della commissione Antimafia).
Bisogna inoltre "contrastare l'abusivismo edilizio, eliminando il ricorso ai condoni; riformulare la legge sulla droga e sull'anti-doping mettendo al centro la tutela della persona; istituire un'Authority indipendente per contrastare il fenomeno del riciclaggio dei capitali di provenienza illecita, la repressione di traffici internazionali di armi, delle zone grigie e dei paradisi fiscali dove avvengono le triangolazioni, introducendo in particolare il reato di intermediazione".
Gli stati generali dell'Antimafia propongono anche una legge di iniziativa popolare per l'introduzione nel codice penale dei delitti contro l'ambiente e alle istituzioni chiedono il sostegno ai testimoni di giustizia (anche attraverso l'istituzione di un tutor), l'estensione del reato di corruzione tra i privati e l'istituzione di un'authority indipendente contro questo reato.
Infine, un'attenzione particolare sull'argomento da parte della televisione: la Rai dovrebbe "assicurare nei suoi palinsesti spazi di informazione e approfondimento sui grandi problemi sociali del Paese nel rispetto di quanto previsto dal contratto di servizio pubblico", puntando così allo sviluppo della docu-fiction oltre che a quello della fiction tradizionale.

25/10/2009
Fonte: La Sicilia

Borsellino sapeva..

ROMA, 25 OTT - Borsellino era al corrente della trattativa in corso tra Stato e mafia per fermare le stragi di mafia. Lo dice Claudio Martelli a Gente.

Martelli che all'epoca era ministro della Giustizia, riferisce di un rapporto utile ai fini investigativi dopo la strage di Capaci. Ma, per Martelli, piu' che una trattativa sembra che in diverse situazioni ci sia stato un comportamento aberrante di funzionari dello Stato. E si augura che questo nuovo 'sollevare tappeti' faccia luce sulle 'verita' nascoste'
Fonte: ANSA

venerdì, ottobre 23, 2009

Dell'Utri è nervosetto...

PALERMO - "Sono tutte grandi cazzate di cui, per fortuna, riesco ancora a ridere. È tutto un teatrino che mi fa divertire. Lo faccio passare, altrimenti il danno sarebbe maggiore di quello che viene dalle sentenze". Il senatore del Pdl Marcello dell'Utri, a Palermo per assistere all'udienza del processo d'appello in cui è imputato di concorso in associazione mafiosa, ha così bollato le nuove accuse a suo carico del pentito Gaspare Spatuzza che lo ha definito "referente politico di Cosa nostra". "C'è tutta un'organizzazione - ha replicato Dell'Utri - per dare rilevanza mediatica a delle banalità: evidentemente ci sono obiettivi superiori. Quando tutto sarà finito - ha proseguito - ci sarà da fare una riflessione su come sono state condotte alcune inchieste nel nostro Paese. Perchè i magistrati, invece di perdere tempo con me, non indagano su chi ha fatto le stragi? I tre processi per l'eccidio di Borsellino pare siano stati un fallimento e non potrà passare sotto silenzio. E invece se la prendono con me e con i carabinieri". Il procuratore Generale Antonino Gatto ha riferito in aula le dichiarazioni del pentito che avrebbe affermato: "Graviano era esultante: 'mi disse abbiamo avuto quello che volevamo, abbiamo il Paese in mano perchè abbiamo persone serie, come Berlusconi e il nostro paesano, non come quei crastazzi dei socialisti". Spatuzza e Graviano, secondo quanto riferisce il collaboratore, si incontrarono per parlare delle nuove coperture politiche di Cosa Nostra a Roma, nel gennaio del '94. Le dichiarazioni del pentito sono state acquisite dalla Procura che sta indagando sulla cosiddetta "trattativa" tra lo Stato e Cosa Nostra. Sulla base di queste dichiarazioni il Procuratore generale di Palermo, Antonino Gatto, ha chiesto la sospensione della discussione del processo, giunto ormai alle battute finali, e la riapertura dell'istruttoria per interrogare in aula il pentito Gaspare Spatuzza, e i boss di Brancaccio Giuseppe e Filippo Graviano. L'istanza è stata sollevata dopo che il Pg ha ricevuto dalla Procura i verbali con l'interrogatorio reso da Spatuzza il 6 ottobre scorso. La difesa di Dell'Utri si è opposta stigmatizzando il tentativo della procura "di forzare la situazione". I giudici hanno concesso un termine ai legali per visionare il verbale e decideranno il 30 ottobre. Il senatore Dell'Utri ha commentato così: "La procura tenta di condizionare il processo come hanno detto i miei avvocati. Il fatto che io sia stato il punto di riferimento dopo le stragi per la presunta trattativa tra mafia e Stato è un'assurdità così grossa che non ha bisogno di commenti. È una cosa allucinante. I Graviano non li conosco, mai visti, mai sentiti neanche per telefono. Ho già detto nel processo chi conoscevo e con chi ho parlato".
23/10/2009

Fonte: La Sicilia

La proposta di Ingroia

PALERMO, 23 OTT - 'Una super Procura mondiale che coordini le indagini sulle attivita' criminali mafiose ormai globalizzate'. Lo propone il pm Ingroia. Il giudice palermitano suggerisce un'azione comune contro l'internazionalita' degli interessi e delle azioni delle mafie: 'Bisogna pensare a forme sovranazionali di coordinamento dell'azione della magistratura e delle forze dell'ordine. Quelle attualmente presenti, come l'Eurojust, all'Aja, che dovrebbe coordinare le magistrature europee, sono molto deboli'.
Fonte: ANSA

Spatuzza su Dell'Utri e Berlusconi

PALERMO - Il pentito Gaspare Spatuzza ha rivelato ai magistrati di Palermo che la trattativa tra la mafia e lo Stato durò almeno fino al 2003-2004 e i referenti politici della mafia sarebbero stati Berlusconi e Dell'Utri. Ad informarlo del dialogo aperto tra pezzi delle istituzioni e mafiosi era stato, ha precisato, un boss palermitano di spicco, Giuseppe Graviano. Graviano, di cui Spatuzza era braccio destro, riferì in due occasioni dell'esistenza della trattativa al pentito. La prima, dopo la strage di Firenze del '93, in un colloquio che i due ebbero a Campofelice di Roccella. "Voglio precisare - racconta Spatuzza in verbali depositati oggi al processo d'appello nei confronti del senatore Dell'Utri - che quell'incontro doveva essere finalizzato a programmare un attentato ai carabinieri da fare a Roma. Noi avevamo perplessità perchè si trattava di fare morti fuori dalla Sicilia. Graviano per rassicurarci ci disse che da quei morti avremmo tratto tutti benefici, a partire dai carcerati. In quel momento io compresi che c'era una trattativa e lo capii perchè Graviano disse a me e a Lo Nigro se noi capivamo qualcosa di politica e ci disse che lui ne capiva". "Questa affermazione - ha aggiunto - mi fece intendere che c'era una trattativa che riguardava anche la politica. Da quel momento io dovevo organizzare l'attentato ai carabinieri ed in questo senso mi mossi. Io individuai quale obiettivo lo stadio Olimpico". Il pentito si riferisce al progetto di attentato da fare fuori dallo stadio romano in cui sarebbero morti oltre 100 carabinieri, poi fallito. Il secondo incontro tra Graviano e Spatuzza, in cui si sarebbe parlato di rapporti tra mafia e politica è del gennaio del '94. I due si vedono nel bar Doney, in via Veneto a Roma. "Graviano - racconta Spatuzza - era molto felice, disse che avevamo ottenuto tutto e che queste persone non erano come quei quattro "crasti" dei socialisti. La persona grazie alla quale avevamo ottenuto tutto era Berlusconi e c'era di mezzo un nostro compaesano, Dell'Utri". "Io non conoscevo Berlusconi - aggiunge - e chiesi se era quello di Canale 5 e Graviano mi disse sì. Del nostro paesano mi venne fatto solo il cognome, Dell'Utri, non il nome. In sostanza Graviano mi disse che grazie alla serietà di queste persone noi avevamo ottenuto quello che cercavamo. Usò l'espressione ci siamo messi il Paese nelle mani". Dopo l'incontro Spatuzza ebbe il via libera per l'attentato all'Olimpico, che, secondo i pm, avrebbe dovuto riscaldare il clima della trattativa. L'attentato poi fallì e non si riprogrammò perchè i Graviano vennero arrestati. La prova che la trattativa sarebbe proseguita fino al 2004 Spatuzza la evince da un colloquio avuto con Filippo Graviano, fratello di Giuseppe, nel 2004. I due ebbero un incontro nel carcere di Tolmezzo, in cui erano detenuti. "Graviano mi disse - spiega - che si stava parlando di dissociazione, ma che noi non eravamo interessati. Nel 2004 ebbi un colloquio investigativo con Vigna, finalizzato alla mia collaborazione che, però, io esclusi. Tornato a Tolmezzo ne parlai con Graviano che mi disse: 'se non arriva niente da dove deve arrivare è bene che anche noi cominciamo a parlare con i magistratì". Secondo Spatuzza "fino al 2003-2004, epoca del colloquio a Tolmezzo con Graviano, era in corso la trattativa. Questo il senso della frase di Graviano". Il pentito, che collabora con i magistrati dall'estate del 2008, così giustifica il fatto di avere reso queste dichiarazioni solo nei mesi scorsi. "Non ho riferito subito le cose riguardanti Berlusconi perchè intendevo prima di tutto che venisse riconosciuta la mia attendibilità su altri argomenti ed anche per ovvie ragioni inerenti la mia sicurezza e per non essere sospettato di speculazioni su questo nome nella fase iniziale, già molto delicata, della mia collaborazione". Le dichiarazioni di Spatuzza, che riguardano anche il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri, sono state depositate agli atti del processo d'appello in corso a Palermo, al parlamentare.
23/10/2009

Fonte: La Sicilia

Da seguire...

CATANIA - "Sono all'oscuro di tutto: vado a informarmi su qualcosa che riguarda la mia vita e che non conosco". L'imprenditore antiracket Andrea Vecchio, che vive sotto protezione dopo le denunce per gli attentati a suoi cantieri, ha commentato così la notizia, pubblicata oggi dall'Unità, della citazione immediata a giudizio per simulazione di reato disposta nei suoi confronti dalla Procura di Catania. Il fascicolo è stato incardinato dopo la denuncia del presidente dell'Ance di Catania su due telefonate mute giunte in una notte del marzo del 2008 alla sua abitazione. Le indagini svolte dai carabinieri non trovarono riscontro alle due chiamate. Per questo i sostituti procuratori Agata Santonocito e Giovannella Scaminaci hanno deciso di disporre il gudizio immediato davanti al giudice monocratico. La procedura, che salta la richiesta di rinvio a giudizio davanti al Gip, è adottata per i cosidetti reati "minori". La prima udienza del processo si terrà il 1 giugno del 2010.
23/10/2009
Fonte: La Sicilia

2 milioni di sequestro...Una persona...

PALERMO - Un patrimonio pari a due milioni di euro che sarebbe riconducibile a Gaspare Di Maggio, geometra, 49 anni in carcere per mafia e figlio del boss Procopio, storico capomafia di Cinisi è stato sequestrato dai carabinieri. Si tratta di conti correnti, libretti postali, appartamenti, terreni, licenze di attività di autonoleggio e di distributore di carburanti. Il decreto di sequestro, è stato emesso dalla sezione per l'applicazione delle misure di prevenzione del tribunale di Palermo. Il geometra è stato indicato da collaboratori di giustizia come componente della commissione provinciale di Palermo di Cosa Nostra, cui facevano parte, tra gli altri, Salvatore Riina, Bernardo Brusca, Giuseppe Calò, Francesco Madonia, Bernardo Provenzano e Antonino Giuffrè. È in carcere dal novembre 2007 con l'accusa di anche di narcotraffico, estorsioni, controllo degli appalti e forniture per opere pubbliche nonchè per aver favorito la latitanza dei noti boss mafiosi Salvatore Lo Piccolo e Sandro Lo Piccolo. È fratello di Giuseppe Di Maggio, assassinato con un colpo di pistola: il cadavere fu trovato nove anni fa in mare a circa due miglia dalla costa di Cefalù.
23/10/2009
Fonte: La Sicilia

Arrestato Turi Amato

CATANIA - Turi Amato, 54 anni, sorvegliato speciale con l'obbligo di soggiorno e cugino del boss Nitto Santapaola, è stato arrestato dai carabinieri a Catania per violazione degli obblighi di sorveglianza speciale, che avrebbe disatteso, stando a quanto accertato dai carabinieri, varie volte. L'uomo è stato sorpreso alla guida di un motociclo durante un'operazione nel quartiere San Cristoforo.
Fonte: La Sicilia

giovedì, ottobre 22, 2009

Rubrica estero

(Reuters) Il Ministro della Giustizia italiano ha promesso un’accurata indagine sui presunti negoziati segreti tenuti dai governi nei primi anni ‘90 con la mafia, per tentare di fermare una serie di attacchi allo Stato.

Ieri Angelino Alfano, parlando durante una visita a Palermo, capoluogo siciliano, ha detto di essere fiducioso che i magistrati “faranno il possibile per accertare la verità”. Alfano ha parlato un giorno dopo che il capo procuratore italiano antimafia, Piero Grasso, ha causato una bufera dicendo ad un quotidiano italiano di essere a conoscenza dei contatti tra tra lo Stato e la mafia nei primi anni ‘90.

E’ la prima volta che un funzionario del suo calibro dichiara così apertamente che il contatto abbia avuto luogo e i suoi commenti hanno avviato domande di indagini e chiarimenti.

“Sono mortificato” ha detto Antonio Di Pietro, ex magistrato ora a capo del partito Italia dei Valori. “Lo Stato faceva affari con la Mafia per garantire la pace pubblica mentre i servitori fedeli dello Stato venivano assassinati”.

I commenti di Grasso arrivano dopo che per settimane i giornali hanno raccontato della recente scoperta di una “lista dei desideri” dettata dall’ex mafioso “il boss dei boss” Toto “la bestia” Riina prima del suo arresto nel 1993.

Quella lista di 12 punti, scritta dal figlio di Riina su un pezzo di carta mentre suo padre era ancora latitante, conteneva 12 richieste della mafia in cambio della cessazioni di attacchi allo Stato. Nel 1992, l’anno in cui si ritiene che fosse stata scritta la lista e durante il quale si pensa ebbero luogo gli accordi segreti, la mafia assassinò due magistrati, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, in attacchi dinamitardi.

Le Autorità a quel tempo ebbero paura di ulteriori attacchi, ma nel 1993 Riina venne arrestato dopo quasi un quarto di secolo di latitanza, mettendo effettivamente fine a qualsiasi possibilità di un accordo.

I parenti delle vittime hanno espresso rabbia verso la possibilità che lo Stato al tempo volesse collaborare con la mafia. “Sono sconcertato da quanto ha detto Grasso. Perché solo ora le persone parlano di accordi con la mafia?” ha detto Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso.

Fonte: italiadallestero

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50 fermi

CATANIA - A Catania c'era il rischio imminente di una nuova guerra di mafia, con un gruppo di 'giovani leoni' alla conquista, anche con una serie di omicidi, degli spazi lasciati vuoti dalle cosche storiche di Cosa nostra.
È il pericolo che la Procura della Repubblica etnea ritiene di avere sventato con i 50 fermi eseguiti dalla squadra mobile di Catania che ha sgominato i vertici del clan dei Cursoti legati al boss ergastolano detenuto Salvatore Cappello. I magistrati della Dda hanno chiesto anche l'emissione di un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di altri 20 indagati già detenuti per altra causa.
La cosca, sostiene l'accusa, poteva contare su un gruppo di giovanissimi sicari bene armati e pronti a intervenire a ogni emergenza. Gli stessi, probabilmente, che le telecamere della polizia inquadrano mentre a bordo di numerosi scooter 'scortanò il presunto reggente della cosca, Giovanni Colombrita, di 51 anni, che è tra i fermati.

Le indagini erano state avviate nel 2008 dopo la scarcerazione dei vertici del gruppo dei Cursoti che sul territorio, anche con una sorta di 'campagna acquistì spregiudicata di frange di esponenti importanti della 'famiglia Santapaola, ha aumentato il consenso criminale e esteso il suo dominio in rioni popolari come Librino, Monte Po e Villaggio Sant'Agata, una volta domini incontrastati di Cosa nostra. Una crescita conquistata, secondo quanto emerso dalle indagini della squadra mobile, grazie ai proventi del traffico di droga visto che il clan dei Cursoti è diventato il primo per capacità di approvvigionamento di stupefacenti a Catania. Un giro di soldi vorticoso che permette di pagare 'stipendì più alti ai 'carusì rispetto alla cosca rivale e di creare un'affiliazione sentita e un esercito agguerrito e fedele, pronto a sparare per uccidere.
Tanti soldi da potersi permettere anche di avere a disposizione due esponenti delle forze dell'ordine che passavano loro informazioni: uno direttamente sulle inchieste, ed è stato fermato dopo che le telecamere lo hanno ripreso mentre consegnava appunti e dava indicazioni alla cosca Cappello; l'altro, di un Corpo diverso, che è soltanto indagato, e che avrebbe invece avuto un ruolo di messaggero.

Cosa nostra a Catania è stata decimata da inchieste della Procura e blitz delle forze dell'ordine a Catania che le hanno inferto un colpo decisivo, almeno al suo 'braccio armatò ma non a quello economico che rimane ancora forte e presente. L'ultimo è arrivato l'8 ottobre scorso con l'arresto da parte dei carabinieri del superlatitante Santo La Causa e sette presunti boss di Cosa nostra e di un fiancheggiatore.
Le intercettazioni successive a quell'operazione hanno evidenziato la capacità organizzativa dei Cursoti che avevano deciso di compiere un duplice omicidio dimostrativo. La polizia ha saputo tutto del piano, compreso giorno e orario, e ha fatto in modo che i due obiettivi dei sicari sapessero e non uscissero di casa, salvandogli così probabilmente la vita.

"Agli atti dell'inchiesta - rivela il procuratore capo di Catania, Vincenzo D'Agata - ci sono videoregistrazioni e intercettazioni che dimostrano che il gruppo stava preparando diverse azioni criminali eclatanti per aumentare il proprio peso in città. Si è reso così necessario un intervento urgente per evitare che venissero commessi reati gravi".

"Soddisfazione per la brillante operazione di polizia", coordinata dal procuratore aggiunto Michelangelo Patanè e dai sostituti Giovannella Scaminaci, Francesco Testa e Pasquale Pacifico, è stata espressa da esponenti politici dei diversi schieramenti e da rappresentanti di Istituzioni e Enti.

22/10/2009
Fonte: La Sicilia

Sala dedicata a Peppino...

CROTONE - Una sala della biblioteca comunale di Crotone sarà intitolata a Peppino Impastato. Lo ha reso noto il sindaco, Peppino Vallone. "Aderiamo alla proposta - ha detto Vallone - di un gruppo di cittadini che hanno avanzato la richiesta alla quale rispondiamo volentieri. Non entriamo nelle scelte che stanno operando altre realtà. Ricorderemo con una targa nella biblioteca comunale il sacrificio di Peppino Impastato. Non ci interessano le valutazioni che hanno fatto altri. Questo è un pensiero che, grazie alla sensibilità dei suoi abitanti, la città di Crotone vuole dedicare ad un martire della mafia".
22/10/2009
Fonte: La Sicilia

mercoledì, ottobre 21, 2009

Riina chiamò Mancino...o viceversa.......

ROMA - Nel natale del 1992, l'anno delle stragi di Falcone e Borsellino, Totò Riina annunciò in una riunione con i boss più fidati che per quanto riguardava la trattativa, "lo Stato si era fatto avanti": "Ho avuto un messaggio - disse il boss - viene da Mancino".
A ritirare in ballo il nome dell'attuale vice presidente del Csm e allora ministro dell'Interno è il pentito Giovanni Brusca, nei verbali inediti degli interrogatori al pm di Firenze Gabriele Chelazzi, pubblicati in un articolo dal titolo 'Tra mafia e Stato' che il settimanale 'L'Espresso' pubblicherà domani.
Brusca racconta che fu accolto a quella riunione proprio da Riina, che con un gran sorriso rivelò: "Eh! Finalmente si sono fatti sotto. Ci ho fatto un papello così...", indicando con le mani un foglio di grandi dimensioni. Quella, scrive L'Espresso, fu l'unica volta che Brusca sentì pronunciare da Riina il nome di Mancino, che era stato riferito a Riina attraverso Ciancimino.
E sempre secondo Brusca, anche altri boss avrebbero avuto riscontri sul nome di Mancino. Ad esempio Salvatore Biondino (in carcere dal giorno dell'arresto di Riina) che nell'incontro di Natale del '92, riferendosi al pentito Gaspare Mutolo, disse: "Ma guarda un pò, quando un bugiardo dice la verità, non gli credono". Il riferimento era al fatto che - scrive L'Espresso - tra le tante sciocchezze dette in passato, Mutolo aveva però ricordato l'incontro tra Mancino e Borsellino a Roma dicendo che subito dopo il magistrato era molto teso, tanto da fumare contemporaneamente due sigarette.

La replica di Mancino è perentoria: "Non rispondo a criminali che stanno scontando l'ergastolo. Rilevo un dato cronologico: se Riina nel Natale del 1992 parlava con i suoi complici di un 'messaggio', quel messaggio fu, tre settimane dopo, il suo arresto da me più volte, nei mesi precedenti, pubblicamente sollecitato alle forze dell'ordine".

Sempre secondo L'Espresso nel 1994 la mafia cercò di "mandare segnali" a Silvio Berlusconi per far sapere al "nuovo ceto politico" che "Cosa nostra voleva continuare a trattare". "Parlando con Leoluca Bagarella - dice Brusca, il killer di Giovanni Falcone ora pentito, al magistrato fiorentino Gabriele Chelazzi - quando cercavamo di mandare segnali a Silvio Berlusconi che si accingeva a diventare presidente del Consiglio nel '94, gli mandammo a dire: 'guardi che la sinistra o i servizi segreti sanno, non so se rendo l'idea. Cioè sanno quanto era successo già nel 1992-93, le stragi di Borsellino e Falcone, il proiettile d'artiglieria fatto trovare al Giardino di Boboli a Firenze e gli attentati del '93".
Di Berlusconi e Forza Italia, scrive sempre L'Espresso, parla anche il pentito Gaspare Spatuzza secondo cui il boss Giuseppe Graviano avrebbe allacciato contatti con Marcello Dell'Utri. Per Spatuzza la stagione delle bombe non ha portato nulla di buono alla mafia tranne il fatto che "venne agganciato" nella metà degli anni Novanta, "il nuovo referente politico: Forza Italia e, quindi, Silvio Berlusconi".

A spiegare perché la scelta dei boss cadde su Forza Italia è lo stesso Brusca. "Perché c'erano pezzi delle vecchie 'democrazie cristiane' - avrebbe detto il killer di Falcone ai magistrati fiorentini secondo il racconto de L'Espresso -, del partito Socialista, erano tutti pezzi politici un pò conservatori, cioè sempre contro la sinistra per mentalità nostra. Quindi volevamo dare un'arma ai nuovi 'presunti alleati politicì, per poi noi trarne un vantaggio, un beneficio".

Secondo L'Espresso sia la procura di Firenze che quella di Palermo stanno valutando le dichiarazioni per decidere se riaprire o meno il procedimento contro il premier e Marcello Dell'Utri, archiviato nel 1998.

21/10/2009
Fonte: La Sicilia

Ciancimino a "radio anch'io"

PALERMO - Nelle sue dichiarazioni spontanee rese ieri in tribunale, il prefetto Mori "per la prima volta, dopo 17 anni, ha sostenuto una verità innegabile, e cioè che agli occhi di mio padre non poteva essere credibile, visto che non era riuscito a portare avanti l'inchiesta mafia-appalti da lui condotta".
Massimo Ciancimino, commenta nel corso della trasmissione Radio Anch'io, gli sviluppi giudiziari relativi alla cosidetta trattativa tra lo Stato e Cosa Nostra. "Sono d'accordo con Mori - ha concluso - quando sostiene che lo Stato non trattò con la mafia. Credo, infatti, che ad avviare la trattativa con Cosa nostra siano stati singoli soggetti, che bisogna individuare".
Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso, intervenuto nella stessa trasmissione, ha aggiunto: "Sono convinto, ma è una mia deduzione, che il 25 giugno '92, durante l'incontro in caserma, a Palermo, tra mio fratello, il colonnello Mori e il capitano De Donno non si parlò del rapporto del Ros su mafia e appalti, come ha sostenuto Mori, ma della trattativa tra mafia e stato, di cui Paolo era già a conoscenza, come hanno recentemente rivelato Claudio Martelli e Liliana Ferraro".
"Ritengo - ha ribadito - che Paolo sia stato ucciso perchè si è messo di traverso rispetto a questa trattativa. Con il suo carattere una cosa del genere non l'avrebbe mai potuta accettare e se non l'avesse potuta fermare l'avrebbe denunciata pubblicamente".
Il giorno dopo la sua deposizione a Palermo, l'ex presidente Antimafia, Luciano Violante, nel corso della trasmissione, fa riferimento alle dichiarazioni rese dall'ex comandante del Ros sui contatti avviati con l'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino. "Mori sostiene che lo avrei convocato il 20 ottobre '92 per parlare del rapporto mafia-politica redatto dal Ros dei carabinieri. Non è vero: la commissione antimafia decise di esaminare questo rapporto dopo l'emissione dei mandati di cattura, cioè dopo il 21 ottobre.
La decisione di occuparci di questi argomenti è del 26 ottobre e la comunicazione alla commissione la faccio due giorni dopo. Non concordo con la ricostruzione di Mori - ha concluso -, ma la memoria a distanza di 17 anni gioca brutti scherzi".

21/10/2009
Fonte: La Sicilia

Mega sequestro della DIA

MESSINA, 21 OTT - La Dia di Messina ha confiscato beni per 200 mln di euro riconducibili a Mario G. Scinardo, 44 anni, originario di Capizzi (Messina). E' ritenuto uomo di fiducia del Capo di cosa nostra della provincia di Messina, Sebastiano Rampulla. Si tratta di uno dei provvedimenti di confisca piu' consistenti mai compiuti in Italia. L'operazione e' stata coordinata dal procuratore di Catania Vincenzo D'Agata. Il patrimonio confiscato e' costituito da aziende, 230 immobili, 90 mezzi.
Fonte: ANSA

Gli avvocati "leoni"

PALERMO, 20 OTT - I legali di Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco di Palermo condannato per mafia, hanno rinunciato al mandato. I penalisti assistevano Ciancimino nel processo in cui questi e' imputato di riciclaggio. Ciancimino sta rendendo dichiarazioni davanti alla procura di Palermo sulla cosiddetta trattativa tra mafia e Stato. I legali hanno deciso di rinunciare dopo avere appreso che agli atti del processo erano state depositate intercettazioni di loro colloqui con Ciancimino.
Fonte: ANSA

Violante e Ciancimino sentiti a Palermo

PALERMO - Ascoltato come teste al processo di Palermo, l'ex presidente dell'Antimafia, Luciano Violante, ha raccontato gli incontri, avvenuti dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio, con Mori. Dopo il primo incontro, durante il quale Mori gli disse della volontà di Vito Ciancimino, l'ex sindaco mafioso di Palermo, di avere un colloquio, "al secondo appuntamento - ha riferito Violante - il generale Mori (allora vicecomandante del Ros, ndr) mi portò il libro di Vito Ciancimino sulle mafie che io lessi, giudicandolo mediocre e che presi solo come una sorta di segno di disponibilità dell'ex sindaco".
Infine, il terzo incontro in cui Violante ribadisce di non avere alcuna intenzione di sostenere colloqui riservati con l'ex sindaco di Palermo.

"La chiave che detti alla richiesta di incontro - ha spiegato Violante - fu che visto il momento, era stato appena ucciso Lima, Ciancimino volesse parlare dei rapporti tra andreottiani e mafia o della vicenda relativa alla confisca dei suoi beni che pendeva in appello davanti all'autorità giudiziaria di Palermo". Violante ha poi riferito di avere chiesto a Mori se la procura del capoluogo siciliano fosse stata informata della richiesta di colloquio fatta da Ciancimino "e lui mi rispose di no, perché si trattava di affari politici".

Il 29 ottobre, dopo i tre incontri con Mori, Violante informa l'ufficio di presidenza della commissione Antimafia che si sarebbe potuto ascoltare l'ex sindaco perché aveva ritrattato le condizioni che aveva posto all'ex presidente della commissione Chiaromonte di essere ripreso,
durante l'audizione, dalle televisioni. "L'audizione - ha aggiunto Violante - non si fece perché Ciancimino venne arrestato".

Anche Giovanni Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito, e fratello di Massimo, è stato sentito dai giudici della IV sezione del tribunale di Palermo. "Venti giorni dopo la morte di Falcone, che per me fu scioccante, andai a trovare mio padre. Mi disse questa mattanza deve finire. Sono stato contattato da personaggi altolocati per parlare con l'altra sponda. Io sapevo a cosa si riferiva con l'espressione 'l'altra sponda': si riferiva alla mafia, parola che davanti a me non pronunciava mai".

"Io restai scioccato, basito e litigammo", ha aggiunto collocando l'episodio tra l'eccidio di Falcone e quello di Borsellino. "Dopo la strage di via d'Amelio - ha continuato - mio padre mi chiamò e mi propose di fare una passeggiata. In auto mi disse: Tu che sei avvocato, cosa è la revisione del processo. Io glielo spiegai. A quel punto aggiunse: Allora si può fare la revisione del maxi processo!". Ciancimino ha aggiunto che il padre durante il colloquio tirò fuori dalla tasca un pezzo di carta arrotolato. Secondo i magistrati si sarebbe trattato del cosiddetto papello con le richieste della mafia allo Stato.

20/10/2009
Fonte: La Sicilia

martedì, ottobre 20, 2009

Genchi parla...

Roma, 20 ott. - "Ricordo un particolare che e' sfuggito a molti, a proposito degli attentati in sincrono di San Giorgio al Velabro e San Giovanni in Laterano. Insomma perche' San Giovanni e San Giorgio, perche' non li hanno fatti a Santa Maria Maggiore, a San Paolo, che per esempio e' in una zona isolata o a San Pietro, che avrebbe avuto ancora piu' risalto? Perche' non li hanno
fatti all'Ara Pacis o al Colosseo? Perche' proprio San Giovanni e San Giorgio? Lei sa che significa Giorgio e Giovanni, chi erano Giorgio e Giovanni? Giovanni era Giovanni Spadolini, che era il Presidente del Senato, la seconda carica dello Stato mentre Giorgio era Giorgio Napolitano, Presidente della Camera, terza carica dello Stato che poi e' diventato Ministro dell'Interno e ora fa il Presidente della Repubblica". Lo ha affermato il consulente informatico Gioacchino Genchi, nel corso dell'intervista rilasciata al programma tv KlausCondicio in onda su YouTube.
Genchi parla poi della strage di via D'Amelio: "Le stragi di mafia sono state fatte col tritolo, con esplosivo da cava, un esplosivo potentissimo e di immediata reperibilita'. Invece l'esplosivo utilizzato in via D'Amelio e' un esplosivo che viene utilizzato in ambito militare, in ambito di guerriglia, cioe' in contesti e circuiti che non costituiscono appannaggio, diciamo, di Cosa Nostra".
"Non ci sono precedenti. Quindi anche sotto questo profilo, il tipo di telecomando utilizzato, la distanza con cui questo telecomando poteva funzionare, sono tutti elementi di natura oggettiva, di natura tecnica che devono indurre a sospettare sulla possibilita' che ci fosse una distanza molto elevata dal punto di osservazione al punto dello scoppio", aggiunge Genchi, che conclude affermando: "Qualcuno doveva avere la certezza di uccidere Borsellino fuori dalla macchina blindata perche' il livello di protezione che aveva quella macchina era tale che l'autista rimase indenne, vivo, l'unico, perche' si trovava dentro la macchina".
Genchi interviene anche sulal presunta trattativa tra Stato e Mafia. "Sono testimone vivente dei riscontri originali sui rapporti fra Ciancimino, Ministero degli Interni e il Ministero della Giustizia. Ero nel team investigativo di un'indagine a Palermo su mafia e appalti, un'indagine importante che secondo me rappresenta un punto di riferimento importante anche nella causale della strage di via d'Amelio".
"Segnalai alla procura di Palermo l'acquisizione e lo sviluppo di un cellulare di Ciancimino, quindi -ha aggiunto Genchi- sono testimone vivente di quei riscontri originali sui rapporti di Ciancimino con altissimi livelli delle istituzioni. Non solo della politica, ma anche dello Stato e io trovai contatti con utenze del
Ministero dell'Interno, con utenze della Giustizia, incontri a Roma, contatti telefonici romani che, purtroppo, non sono mai stati chiariti e che, secondo me, costituiscono uno dei riscontri piu' importanti alle dichiarazioni di Ciancimino per quanto riguarda le entrature negli apparati dello Stato".
Genchi, nell'intervista, ha affermato anche che "fu il Ministero degli Interni a 'trasferire' Arnaldo La Barbera (nella foto sotto) , stoppandone difatti le indagini, dopo che le stesse individuarono coinvolgimenti dei servizi. Di questo sono testimone vivente". "Parlo da testimone e non per sentito dire -ha proseguito Genchi- Ero un giovane funzionario di Polizia molto valorizzato da Parisi all'epoca. Ricordo che a La Barbera furono affidate le indagini su Capaci e via D'Amelio".
"Ho toccato con mano quello che e' avvenuto, ovviamente non pensavo che si trattasse di una trattativa -ha sottolineato Genchi- notai qualcosa di strano quando prima fui trasferito io ad ottobre dopo aver decodificato il databank Casio cancellato di Falcone da cui emersero una serie di elementi importantissimi e, a distanza di qualche mese, quando abbiamo imboccato proprio la pista sui servizi segreti, sulle collusioni interne alle istituzioni, ai rapporti con la magistratura di cui aveva parlato Mutolo e poi, infine, con le ultime verbalizzazioni di Paolo Borsellino su Mutolo, su cui molti temevano e che in molti cercarono di bloccare".
"Quando si imbocco' questa strada La Barbera fu immediatamente trasferito, stranamente trasferito dal Ministero dell'Interno, eravamo sotto Natale. Il trasferimento fu ordinato dal Ministero degli Interni, certo sicuramente non da Parisi, perche' Parisi ci aveva dato tutta la solidarieta' e tutto l'aiuto possibile ed immaginabile", ha concluso Genchi.
Fonte: Adnkronos

La commissione antimafia...

ROMA - L'ufficio di presidenza della commissione parlamentare Antimafia - ha detto il vicepresidente Fabio Granata - si riunirà domani e c'è un orientamento generale a chiedere un'audizione del procuratore nazionale Antimafia Piero Grasso dopo la sua recente intervista sulle stragi del '92.
Fonte: ANSA


ROMA - "Oggi, in commissione Antimafia, abbiamo messo le mani su un documento che dimostra in modo
inequivocabile che, negli anni '92,' 93 e '94, un pezzo di Stato e importanti uomini politici hanno occultato la possibilità di conoscere e far conoscere al Paese le ragioni per cui in quegli anni ci furono le stragi di mafia". Anche Antonio Di Pietro, presidente dell'Italia dei Valori, componente dell' Antimafia, interviene sulla questione della trattativa tra Stato e Cosa nostra.
"Una questione politica e morale grossa come una casa che deve essere affrontata e risolta e riguarda i motivi per cui la Commissione parlamentare Antimafia, in quegli anni, non ritenne di ascoltare Vito Ciancimino che ne aveva fatto espressa richiesta, addirittura con una lettera scritta, nella quale testualmente affermava: 'l'omicidio dell'onorevole Lima e di quelli che vanno oltre la persona della vittima e puntano in alto,
un avvertimento, come si suol dire. Sono stato, per molti anni, testimone ed in parte protagonista di un certo contesto politico. Sono convinto che questo delitto faccia parte di un disegno più vasto, un disegno che potrebbe spiegare altre cose, molte altre cosè".
Insomma, prosegue Di Pietro, "Ciancimino era a conoscenza di fatti e circostanze che riguardavano le stragi di mafia di quell'epoca (Falcone e Borsellino compresi) e degli oscuri rapporti tra mafia e Stato e voleva informarne la Commissione. Nonostante ciò, la Commissione antimafia, dopo aver pure deliberato, il 6 luglio '93, di ascoltare Ciancimino, poi se ne è guardata bene dal farlo. Evidentemente qualcuno in alto, molto in alto, (come alludeva Ciancimino), non voleva che si conoscesse la verità ed ha lasciato così che prima proseguissero le stragi e poi che si instaurasse un'immorale trattativa tra Stato e mafia. Per questa ragione oggi ho chiesto l'audizione urgente dell'allora presidente della Commissione antimafia, l'onorevole Luciano Violante, affinchè renda note le ragioni per cui la commissione non ha ottemperato all'audizione di Ciancimino. Audizione che la stessa Commissione aveva disposto".

20/10/2009
Fonte: La Sicilia

Il cemento depotenziato...

MESSINA - La relazione preliminare presentata dal consulente tecnico della procura di Messina e depositata al tribunale misure di prevenzione conferma le ipotesi della Dia che il calcestruzzo fornito dalla ditte dei fratelli Nicola e Domenico Pellegrino, imprenditori ritenuti vicini a Cosa nostra, a molte imprese di Messina e provincia sarebbe depotenziato.
L'ingegner Attilio Masnada, su incarico dei sostituti della Dda Angelo Cavallo e Fabio D'Anna, ha esaminato gli impianti della Calcestruzzi Messina srl sequestrati lo scorso 24 giugno ai fratelli Pellegrino e ha analizzato i campioni, riscontrando difformità sulla natura e i quantitativi del materiale impiegato.

Le analisi del perito confermano l'ipotesi investigativa di frode agli acquirenti, ma sui manufatti pubblici esaminati non ci sarebbero rischi statici. Il tribunale misure di prevenzione ha riunificato i sequestri nei confronti dei fratelli Pellegrino, considerati vicini al clan messinese di Santa Lucia Sopra Contesse e accusati di aver imposto la vendita del calcestruzzo ai ditte di Messina e provincia.

20/10/2009
Fonte: La Sicilia

Rinviata la decisione del tribunale

PALERMO - È stata rinviata al prossimo 15 dicembre la decisione del tribunale di sorveglianza di Palermo sul differimento della pena presentata dall'avvocato Giuseppe Li Pera, legale dell'ex dirigente del Sisde Bruno Contrada, condannato in via definitiva a 10 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. I giudici hanno deciso di chiedere ulteriori informazioni alla procura nazionale antimafia e alla direzione distrettuale antimafia sulla pericolosità sociale di Contrada.
La difesa dell'ex 007 ha depositato gli ulteriori accertamenti medici, tra i quali la scintigrafia miocardica, la tac al cervello e la relazione del prof. Silvio Buscemi che attesta le gravi condizioni di salute di Contrada. Il collegio ha chiesto anche una relazione dell'Asl sulla salute dell'ex dirigente del Sisde perchè l'ultima risale a giugno e ha prorogato la detenzione domiciliare.
"Pur rispettando la decisione interlocutoria del tribunale mi corre l'obbligo di dissentire perchè le pessime condizioni di salute di Contrada sono acclarate e purtroppo, data la sua età, sono assolutamente irreversibili- ha detto l'avv. Lipera, legale dell'ex dirigente del Sisde- Per quanto riguarda l'assenza di pericolosità sociale la scelta del tribunale è un'ulteriore perdita di tempo perchè già si erano pronunciati gli ultimi due questori di Palermo. Inoltre sia la procura nazionale antimafia che la Dda sapevano dell'udienza e avrebbero potuto già pronunciarsi se avessero riscontrato l'effettiva pericolosità di Contrada".

20/10/2009
Fonte: La Sicilia

Rubrica estero

Per togliersi da dosso i giudici il primo ministro italiano Silvio Berlusconi progetta una riforma della giustizia. In questo modo mette in pericolo le efficacissime strategie degli inquirenti contro la mafia. Un rapporto delle proprietà che prima appartenevano all’associazione criminale segreta.

Il premier italiano Silvio Berlusconi vuole rendere più difficili le intercettazioni telefoniche.
SAN SEBASTIANO DA PO.
Quando la pioggia del mattino smette e qualche timido raggio di sole si fa strada attraverso le nuvole, Isabella Spezzano esce dalla porta, cammina sulla ghiaia umida sino al parapetto del terrazzo e guarda a un futuro migliore. “Qui vogliamo piantare 200 alberi di nocciolo ”, dice. La sua mano tesa conduce lo sguardo su un campo che include il pendio davanti alla villa. Prima là c’erano soltanto solitari alberi di fico del precedente proprietario.I noccioli hanno appena fatto arretrare gli alberi di fico, questa è una piccola vittoria di Isabella Spezzano contro coloro che prima abitavano qui, contro quelli della mafia.Per decenni nella villa hanno vissuto i Belfiore, una delle famiglie cardine della ‘Ndrangheta, la mafia calabrese. I Belfiore vivevano qui vicino al paesino San Sebastiano da Po, piuttosto comodamente: la villa su tre piani offre 1000 metriquadrati di superficie abitabile, oltre a due grandi fienili, salici e abbondante terra coltivabile. E le comodità cittadine di Torino distano solo una ventina di chilometri.Ora l’organizzazione “Libera” ha la saga qui nella villa della mafia. Attivisti di Libera come Isabella Spezzano, 23 anni, coltivano le proprietà agricole della mafia espropriate dallo Stato. Togliere ai mafiosi le loro proprietà si è rivelato essere una delle strategie più efficaci contro la criminalità organizzata. Non solo, è spesso motivo di grande scoraggiamento per i gangster più di un soggiorno in galera.

Organizzazioni come “Libera” si prodigano anche affinché ville come quella di San Sebastiano diventino centri dell’opposizione sociale alla mafia.

Queste strategie di successo contro la mafia ora sono messe in pericolo – a causa di Silvio Berlusconi. Il primo ministro italiano alza nuovamente il braccio per colpire giudici e magistrati. Vuole ad esempio limitare le intercettazioni telefoniche: “Permetteremo le intercettazioni telefoniche solo in caso di reati gravi”, ha detto Berlusconi domenica a una manifestazione del suo partito “Popolo delle libertà”.

La Corte Costituzionale italiana ha appena tolto l’immunità a Berlusconi. Il premier deve affrontare numerosi processi contro di lui. Ora si sente perseguitato dalla giustizia – non per la prima volta – e ne vuole ridurre le possibilità di indagine. Questo mette in allarme coloro che danno la caccia alla mafia in Italia. Perche’ la “riforma della giustizia” di Berlusconi minaccia di disturbare sensibilmente la lotta alla Mafia.

Dopo decenni di insuccessi nell’ambito della lotta alla mafia l’Italia ha potuto collezionare successi con regolarità negli ultimi 15 anni. Lo Stato italiano ha confiscato quasi 9000 immobili ai membri dei diversi clan. Anche sotto il governo Berlusconi sono stati arrestati mafiosi di calibro. Il caso più eclatante è stato l’arresto del padrino di Cosa Nostra Bernardo Provenzano, che gli sbirri hanno acchiappato nell’aprile del 2006 dopo 43 anni di latitanza.

Secondo molti magistrati non è sufficiente poter intercettare solo nei casi di reato mafioso dimostrato. “Non abbiamo mai risolto un singolo caso di mafia perché abbiamo intercettato telefonate indagando su reati mafiosi”, dice il magistrato milanese Alberto Nobili. “Le intercettazioni iniziano di solito con un reato banale, come ad esempio il traffico di droga e solo dopo viene fuori che i trafficanti sono mafiosi”. Giovanni Strangio, il principale imputato per l’omicidio di sei persone a Duisburg nell’estate 2007, è stato acciuffato dagli investigatori solo perché i telefoni di sua moglie e di sua sorella erano sotto controllo.

Ciò potrebbe non essere più possibile se Berlusconi la spuntasse. Altri arresti e espropriazioni come quella di San Sebastiano sarebbero enormemente più difficili da ottenere.

Chi vuole sapere qualcosa della rabbia cieca che coglie i mafiosi sorpresi, deve ascoltare Isabella Spezzano. La giovane e coraggiosa ragazza indossa jeans e pullover blu scuro, abbigliamento che ben si adatterebbe anche al letame di una stalla. Quando la Spezzano si insediò nella villa dei Belfiore per Libera, le si offrì un quadro orrendo. “Qui era pieno di carcasse di animali dappertutto, c’era un puzzo tremendo”, dice mentre guarda verso i campi dietro al granaio che abbisogna di ristrutturazione. “Hanno ucciso volontariamente le pecore e le capre o le hanno lasciate morire”. La sua voce trema continuamente, mentre racconta questo. In casa niente aveva un aspetto migliore. I Belfiore hanno messo fuori uso sia l’impianto idraulico che di riscaldamento, hanno tirato via i cavi della corrente e distrutto il parquet di legno di olivo al pianterreno, prima di andarsene.

Non è un fatto inconsueto che le famiglie di Cosa Nostra in Sicilia, della Camorra in Campania o dell’Ndrangheta in Calabria devastino le loro ville prima di piegarsi alla legge. Ma San Sebastiano con i suoi 1800 abitanti non si trova sulle colline assolate della Sicilia.

La mafia già da tempo ha allungato i suoi tentacoli verso il nord. Secondo l’ultimo resoconto di “SOS impresa” – così si chiama l’associazione di commercianti siciliani che si oppone alle richieste di estorsione della mafia – gli svariati clan formano frattanto una sorta di holding da 130 miliardi di euro di giro d’affari annuo e un guadagno di quasi 70 miliardi di euro.

“La mafia è presente al nord già da molto tempo, va lì dove c’è denaro”, dice Alberto Nobili. Egli era uno dei primi magistrati che ha indagato sui traffici dell’Ndrangheta nel nord Italia. La sua tenacia e quella dei suoi colleghi ha portato a quasi 2500 arresti. Soprattutto nell’edilizia, preferibilmente nei grandi progetti statali, ma anche nel mondo della finanza a Milano la mafia avrebbe le mani in pasta da molto tempo.

Ciononostante la mafia al nord si muove diversamente rispetto al sud. Nel ricco nord non avrebbe in realtà interesse a disturbare i proprietari terrieri con richieste di pizzo, dice Nobili – anche per timore che i commercianti di Milano o Torino denuncino probabilmente una cosa simile: “Qui si concentrano preferibilmente sul traffico redditizio degli stupefacenti”.

Soprattutto la cocaina circola sempre più facilmente, dice Nobili. Un traffico in confronto “pulito”: diversamente dall’eroina non lascia dietro di sé tossicodipendenti deperiti con vene bucate, che abbandonano le siringhe sul luogo dell’assunzione della sostanza. La cocaina è considerata un elisir che aumenta le prestazioni di persone ricche e di successo, che, tra l’altro, hanno anche maggior disponibilita’ finanziarie dei tossicodipendenti da eroina.

Anche i Belfiore si erano specializzati nelle droghe. Piazzisti hanno dichiarato che la famiglia nel corso degli anni ha esportato undici tonnellate di cocaina dal Nordafrica a Torino attraverso la Spagna. Quando il magistrato Bruno Caccia fu sulle loro tracce Domenico Belfiore sentenziò la sua condanna a morte.

Quando Caccia una domenica sera portò fuori il suo cane due killer spararono al sessantacinquenne quattordici colpi da un auto. Con altri tre colpi ravvicinati finirono il lavoro.

Ciò avveniva nel 1983. Sempre nello stesso anno Domenico Belfiore fu arrestato e dieci anni dopo – in quinta istanza e dopo un’assoluzione intervenuta nel frattempo – finalmente condannato. Suo fratello Salvatore si trova dietro alle sbarre per traffico di droga. Un altro fratello di Belfiore è ancora a piede libero per mancanza di prove.

Gli ingranaggi degli oppositori della mafia italiana macinano lentamente, ma macinano. Nel 1997 un tribunale dispose l’espropriazione della villa dei Belfiore sulle colline piemontesi di San Sebastiano. Certo ci sono voluti dieci anni, finchè i genitori di Belfiore si sono piegati alla legge. Solo quando nel 2007 un nuovo sindaco ha aumentato la pressione i Belfiore si sono arresi. Non senza distruggere prima tutto quello che potevano.

Casa e proprietà per un mafioso sono un punto sensibile. “A un mafioso fa più male se gli si tocca il portafoglio che se deve finire in galera. Il carcere è quasi come una medaglia al valore”, dice il magistrato Nobili. E se anche la sua villa poi serve ancora a uno scopo sociale, l’effetto deve essere rinvigorito. “La cosa riguarda il mafioso nel suo prestigio”, dice Davide Mattiello.

Il presidente di “Libera” in Piemonte è un uomo muscoloso in pantaloni neri da carico e con la testa quasi pelata. Mattiello passeggia su e giù nella sala d’aspetto della villa di Belfiore. Dove un tempo c’era il pregiato parquet oggi ci sono semplici mattonelle. Quando parla della lotta alla mafia non riesce a restare seduto sulla poltrona.

“Il vero potere della mafia si basa sul prestigio nella società!” Per questa ragione è così importante portare giovani in questi luoghi dove un tempo hanno vissuto i mafiosi. Lo stesso nuovo nome della villa ricorda i metodi sanguinari dei clan: Mattiello Co. l’hanno battezzata “Cascina Caccia”.

I programmi di visita costituiscono una componente fondamentale della strategia di “Libera”. In estate Isabella Spezzano e i suoi tre paladini hanno ospitato a villa Belfiore complessivamente 400 giovani. Estirpano erbacce dal terreno, dove presto cresceranno gli alberi di nocciolo, riordinano la casa là dove giacevano montagne di ciarpame e vecchi vestiti dell’ex-proprietario e hanno ristrutturato il granaio.

“Qui possono toccare la legalità con le loro mani”, dice Davide Mattiello e con la mano aperta batte contro al muro della grande sala d’aspetto oggi quasi vuota. Una targa sulla parete ricorda l’assassinio di Caccia. Qui alcuni volontari di Libera del campeggio estivo spiegano ai loro ospiti i meccanismi della mafia. Talvolta arrivano gruppi della parrocchia o gli scouts, a volte anche parenti delle vittime della mafia o addirittura magistrati come oratori.

“Libera” vuole informare che vale la pena di vivere nella legalita’. Per tale motivo coltivano i terreni confiscati e vendono i loro prodotti. Mattiello passa attraverso il foyer della villa fino alla cucina e mostra il primo miele prodotto a San Sebastiano, accatastato in piccoli barattoli sino all’altezza della testa. L’anno prossimo, quando saranno mature le prime nocciole, Mattiello ha intenzione di produrre torrone dal miele e dalle nocciole, il dolce bianco per il quale la regione è famosa. Sotto all’etichetta “Libera Terra” – alimento libero dalla mafia – sarà in vendita nei supermercati di tutta Italia. Il torrone sarà il primo prodotto di “Libera Terra” ad arrivare dal nord.

Finalmente ora c’è per tutti ciò che prima c’era soltanto per i simpatizzanti della mafia: questo è anche un simbolo. Mattiello è in piedi davanti al muro giallo di barattoli di miele luccicante e cita Carlo Alberto dalla Chiesa, uno dei più noti oppositori della mafia che fu assassinato nel 1982. Alla domanda cosa servisse per sconfiggere la mafia Chiesa non richiedeva più polizia, ma rispondeva:“lo Stato potrà sconfiggere la mafia solo quando concederà ai suoi cittadini come un diritto ciò che alla mafia viene concesso come favore. ”

Distribuire favori, questo anche i Belfiore lo sapevano fare molto bene. Regalavano i formaggi ai paesani oppure la frutta del loro giardino. Piccoli gesti mantengono l’amicizia. Allo stesso modo di conseguenza è difficile per i cittadini di San Sebastiano accettare i nuovi inquilini della villa. Che tra loro abbia vissuto una famiglia dell’Ndrangheta così a lungo, di questo non volevano saperne.

Però le cose lentamente cambiano. “Ultimamente c’era una signora con il suo nipotino. Era incuriosita da quello che si vede qui”, racconta Isabella Spezzano. Le prime richieste per usare la villa per corsi di ballo e pittura sono state presentate. Un buon contatto con gli abitanti del paese, questo sarebbe la vera vittoria sui Belfiore. Perché loro non sono ritornati in Calabria. No, loro hanno comprato una villa a poca distanza. “Ora abitano laggiù”, Spezzano indica sulla collina di fronte. Oggi la nuova casa della mafia si distingue a malapena nella nebbia, ma: “se loro vedono che viene gente nella loro casa e che la legalità vive, allora abbiamo vinto.”

Fonte: Italiadallestero

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