martedì, giugno 24, 2008

Itinerari anti mafia...

PALERMO - Dagli incontri con gli anziani testimoni della strage di Portella della Ginestra alla comunità maghrebina di Mazara del Vallo con le sue storie d'integrazione; dalla Casa della memoria a Cinisi dove mamma Felicia accoglieva in memoria del figlio Peppino Impastato alle terre confiscate a Cosa nostra e al capo dei capi Totò Riina.


Sono solo alcuni degli itinerari turistici proposti in Sicilia della cooperativa "Ambiente, legalità, intercultura" che oggi ha aperto un'agenzia di viaggio a Palermo. Si tratta della prima struttura che propone "il cosiddetto turismo responsabile, - afferma una nota - legando all'arte, alla cultura, alla bellezza dei luoghi, al mare e al sole anche la conoscenza pezzi di storia di riscatto sociale e impegno civile".


La sede dell'agenzia Ali si torva in via Polara 24-26, nel quartiere Castellammare-Tribunali, tra le zone più antiche e ricche di storia della città ma anche tra le più degradate. Piazza XIII Vittime sarà il punto di partenza per visitare Palazzo dei Normanni, la Cattedrale, i monumenti ma anche i negozi dei commercianti che aderiscono ad Addiopizzo.


Inoltre Ali valorizza le bellezze naturalistiche siciliane proponendo le passeggiate nella valle dello Jato; la visita di Corleone e le bellezze del bosco della Ficuzza; l'escursione guidata nella riserva naturale dello Zingaro; i viaggi del mare legati alla pesca-turismo nelle isole Egadi e il tour delle tonnare in barca a vela.


20/06/2008

Fonte: La Sicilia

Finita "La Rinascita"...

CAPO D'ORLANDO (MESSINA) - Arrestato questa mattina l'ultimo indagato nell'operazione antimafia "Rinascita" che il 13 giugno aveva portato in carcere altre 19 persone per associazione mafiosa finalizzata alle estorsioni. La polizia ha arrestato Signorino Conti Taguali, 28 anni, residente a  Tortorici, ma domiciliato in una abitazione nelle campagne di Roccafumata, al confine tra le province di Catania ed Enna.

Fonte: La Sicilia

sabato, giugno 21, 2008

Mai abbassare la guardia...

CATANIA - "La mafia catanese si sta riorganizzando per gestire il fiume di denaro derivante dagli appalti derivanti dal nuovo Prg". Ad affermarlo è il procuratore di Catania Vincenzo D'Agata in un'intervista rilasciata al mensile "S" in edicola domani.


"Sarebbe velleitario - spiega D'Agata - pensare che la mafia a Catania sia scomparsa. E' in atto una riorganizzazione interna ai clan e l'organizzazione gode ancora di grande forza. La ribellione al racket delle estorsioni non è ancora così massiccia da far pensare a un'inversione di tendenza".


"Il settore verso il quale la mafia sta rivolgendo maggiore attenzione - aggiunge - è quello degli appalti e dei lavori pubblici. In questo momento a Catania ci sono molte grandi opere in costruzione o con i cantieri in procinto di partire. E' necessario tenere alta la guardia su questo fronte".


D'Agata parla anche delle indagini per le quali è stata creata una task-force in Procura. "Il nostro ufficio è intervenuto sia per quanto riguarda il buco di bilancio, sia sulla società 'Catania risorse' e sono in corso tante altre attività investigative perché vogliamo vederci chiaro persino sulla gran quantità di buche lungo le strade cittadine".


20/06/2008

Fonte: La Sicilia

Si fingono muratori...

SIRACUSA - Per mettere le mani sulla coppia di estortori che aveva preso di mira un'impresa che sta  lavorando alla ristrutturazione del Palazzo di città di Augusta, i militari della guardia di finanza si sono finti manovali. Nel momento in cui le vittime, che avevano subito denunciato il tentativo di estorsione, hanno consegnato il denaro all'emissario degli estortori i finanzieri si sono liberati di secchi, martelli e cazzuole e lo hanno bloccato.


Con l'accusa di concorso in estorsione sono finiti in carcere due lentinesi, Donatello Cormaci e Sergio Bonsignore. Secondo quanto emerso dalla ricostruzione delle Fiamme gialle - l'indagine è stata condotta dai militari del Nucleo di polizia tributaria di Siracusa e della Compagnia di Augusta - l'inchiesta ha avuto origine dalla denuncia dei responsabili dell'azienda che sta effettuando la ristrutturazione del Municipio di Augusta.


All'impresa i due avevano chiesto una tangente pari al 2% del valore intero della commessa, somma da pagare a rate con un anticipo di 2 mila e 500 euro. I responsabili della ditta hanno subito denunciato la richiesta estorsiva ed è così stata avviata una minuziosa attività di monitoraggio da parte delle Fiamme gialle.


20/06/2008

Fonte: La Sicilia

venerdì, giugno 20, 2008

70 anni in totale per mafia

PALERMO - Il Pm della Dda di Palermo, Marzia Sabella, ha chiesto la condanna complessivamente ad oltre 70 anni di reclusione di otto tra imprenditori e boss accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa e favoreggiamento. Il processo, che trae origine dall'indagine denominata Grande mandamento che nel 2005 portò all'arresto di oltre 50 tra capimafia e fedelissimi del padrino Bernardo Provenzano, si celebra col rito ordinario davanti ai giudici della terza sezione del tribunale presieduta da Raimondo Lo Forti.


La pena più alta (30 anni) è stata sollecitata per Bernardo Provenzano, 10 anni sono stati chiesti per il capomandamento di San Lorenzo Salvatore Lo Piccolo, 9 per Andrea Panno, e otto per Antonino Monreale, sette per Nicolò Cirrito, 5 per Nicolo Eucaliptus e rispettivamente 2 anni e sei mesi e un anno per gli imprenditori Giovanbattista Corvaia e Rosario Siciliano, entrambi imputati di favoreggiamento. Il processo è stato rinviato al 24 giugno prossimo per le arringhe dei difensori.


20/06/2008

Fonte: La Sicilia

Augusta: denuncia e arresto

PALERMO -  Cooperativa denuncia richiesta pizzo. E scatta un arresto. È stato sventato ad Augusta nel Siracusano un tentativo di estorsione ai danni della coop La Sicilia, di Bagheria. Alcuni finanzieri in borghese hanno colto il criminale in flagrante mentre riscuoteva il pizzo di 2.500 euro in banconote segnate. Il 29 maggio, alcuni uomini si erano presentati al cantiere per il restauro del municipio di Augusta dove lavorava la cooperativa, esigendo la somma di 30 mila euro per "mettersi a posto".


L'impresa si è allora rivolta alla Lega delle cooperative Sicilia (Legacoop) che ha denunciato il fatto. L'indagine della guardia di finanza, durata appena 20 giorni è stata coordinata dalla procura di Siracusa e dalla procura distrettuale antimafia di Catania. "Oggi, una vicenda sul pizzo si può chiudere in meno di un mese" afferma soddisfatto l'avvocato della Legacoop Nino Caleca. Secondo il presidente delle cooperative siciliane, Elio Sanfilippo questo è "un messaggio forte per il mondo dell'impresa". "Nel codice etico della Legacoop è previsto l'obbligo di denunciare qualsiasi forma di estorsione, pena l'esclusione dall'associazione", spiega Sanfilippo. Dal 2004, la cooperativa La Sicilia ha inoltrato una decina di denunce contro gli esattori del pizzo.


20/06/2008

Fonte: La Sicilia

Pulizzi spiega...

(AGI) - Palermo, 18 giu. - Per il delitto del boss Nicolo' Ingarao, ucciso a Palermo il 13 giugno dell'anno scorso, ci furono tre testimoni, ma nessuno fu utile per le indagini. Se non fosse stato per la confessione dei due principali responsabili, Gaspare Pulizzi e Andrea Bonaccorso, oggi pentiti, sarebbe stato pressoche' impossibile ricostruire la verita'. Cosa che i pm Maurizio De Lucia, Roberta Buzzolani e Francesco Del Bene hanno fatto grazie anche ai riscontri trovati dalla Squadra mobile di Palermo rispetto ai racconti dei due pentiti.

"Avevamo seguito Ingarao -racconta Pulizzi- mentre usciva dal commissariato. Era passato dall'altro lato della strada, forse c'era un giornalaio, era entrato nella via dove l'omicidio e' poi avvenuto; gli siamo andati incontro e dalla moto ho sparato due colpi con la calibro 38, poi sono sceso dalla moto ed ho sparato rincorrendolo due o tre colpi, sempre con la 38. Lui e' caduto tra le macchine ed io ho continuato a sparare uno o due colpi con la 38 e poi, avendo finito i colpi, ho preso la calibro 9 con la quale ho sparato due colpi". La freddezza del killer gli consente di fissare nella mente tutti i particolari dell'omicidio: "Bonaccorso, nel frattempo, aveva girato la motocicletta, e ci siamo quindi diretti in via Serradifalco e da li' abbiamo raggiunto l'abitazione di Paolo Di Piazza, attraverso vicolo Zisa e via Pitre'. Ricordo che la vittima indossava una maglietta bianca e un pantalone, forse di tuta, comunque di colore scuro, ed aveva dei giornali in mano, forse la Gazzetta dello Sport. Di fronte a dove avvenne l'omicidio c'era una persona, credo al balcone, e due sul marciapiede di fronte, che hanno visto tutto". (AGI)

Fonte: AGI.IT

7 provvedimenti a Gela

Sette ordini di custodia cautelare in carcere nei quali si contesta anche il reato di strage sono stati emessi dalla Dda di Caltanissetta nell'ambito di indagini sui fatti della guerra di mafia combattutta a Gela negli anni '90. I provvedimenti colpiscono 5 persone che erano gia' detenute per altre indagini, e altri due indagati a piede libero. Le indagini sono stati condotte dalla Squadra Mobile di Caltanissetta, che ha eseguito gli ordini di custodia la notte scorsa. I particolari saranno resi noti in una conferenza stampa che si terra' alle 10 a palazzo di giustizia di Caltanissetta.

Fonte: La Repubblica

2 mln di euro di beni sequestrati

GELA (CALTANISSETTA) - La polizia di Caltanissetta, su ordine dell'autorità giudiziaria, ha sequestrato beni mobili, immobili e conti correnti per un valore di circa due milioni di euro riconducibili all'imprenditore gelese Michele Giuseppe Valenti, arrestato l'anno scorso nell'ambito di una operazione contro la cosca gelese della Stidda.


Secondo gli investigatori Valenti, sfruttando i suoi legami con la cosca, era riuscito a consolidare una posizione di monopolio nell'attività del trasporto e della commercializzazione di prodotti ortofrutticoli a Gela.Tra i beni sequestrati un terreno, un'abitazione, diversi automezzi utilizzati nell'attività imprenditoriale, conti correnti, depositi a risparmio e polizze assicurative intestate ai familiari di Valenti.


20/06/2008

Fonte: La Sicilia

giovedì, giugno 19, 2008

Operazione "Orpheus"

PALERMO - Aveva riunito attorno a sé un gruppo di giovani, poco più che ventenni, che usava per il traffico di droga, le estorsioni e le intimidazioni ai commercianti e agli imprenditori che non volevano pagare il pizzo.

Paolo Di Maggio, ritenuto dagli inquirenti il capo del clan di Stiddari, che per due anni ha controllato gli affari illeciti a Gela, poteva contare su un esercito di fedelissimi tra i quali c'era il figlio Salvatore, di 23 anni.

E' uno dei particolari emersi dall'operazione 'Orpheus' della Mobile di Caltanissetta che oggi ha portato in carcere sette persone accusate, a vario titolo, di mafia, estorsione e traffico di droga. A cinque indagati, già detenuti, la misura cautelare è stata notificata in carcere (tra questi i Di Maggio); due, liberi, sono finiti in manette all'alba.

Decine gli attentati incendiari e le intimidazioni commesse dal clan per piegare i commercianti riottosi. Molte vittime, poi interrogate dagli investigatori, hanno ammesso le richieste estorsive di pagamenti di denaro. L'unico imprenditore, titolare di pub, che ha continuato a negare le pressioni del racket, è stato indagato per favoreggiamento. All'indagine hanno contribuito anche le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia gelesi.

E per convincere una delle vittime a pagare il pizzo, i boss gelesi rischiarono di compiere una strage.
Dalle indagini, infatti, è emerso che nel 2005 tre dei sette affiliati alla cosca della Stidda, arrestati, Salvatore Di Maggio, Nicola Liparoti e F. F., all'epoca minorenne, entrarono nell'appartamento della vittima, diedero fuoco ai mobili e bloccarono con una spranga la porta di ingresso dello stabile per bloccare eventuali fughe.

Nel palazzo vivevano tre nuclei familiari che riuscirono ad abbandonare l'immobile invaso dal fumo, solo buttando giù il portone a spallate. Tre arrestati, accusati di associazione mafioso, traffico di droga ed estorsione, per questo episodio rispondono anche del reato di strage. Il giorno successo all'attentato sul muro dello stabile venne ritrovata la scritta "Chi è qui è morto".

Queste le persone arrestate: Paolo Di Maggio, 48 anni, Salvatore di Maggio 24 anni, Alfio Giuseppe Romano, 27 anni, Nicola Liparoti, 30 anni, Gaetano Bacarella, 23 anni. La misura cautelare è stata notificata loro in carcere, in quanto già detenuti.

In manette sono invece finiti F. F., 20 anni, all'epoca dei fatti minorenne, e Calogero Infurna, 26 anni.
Tutti gli indagati sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, traffico di droga, estorsione e strage. I provvedimenti cautelari sono stati emessi dal gip del tribunale di Caltanissetta Paolo Fiore e per il minorenne dal gip del tribunale dei minori, Francesco Pallini.
19/06/2008
Fonte: La Sicilia

Provvedimenti...

PALERMO - Il procuratore generale di Palermo, Florestano Cristodaro, ha chiesto la condanna a 4 anni di carcere ciascuno per quattro dei nove imputati del processo alle cosche di Termini Imerese e Trabia, in corso davanti alla II sezione della corte d'appello, assolti in primo grado.

Si tratta dell'imprenditore Salvatore Buttitta, di Rosanna Modica, Giovanni Ciaccio, ex geometra del Comune di Trabia, e dell'ex sindaco del paese del palermitano, Giuseppe Di Vittorio, accusati, a vario titolo, di concorso in associazione mafiosa e favoreggiamento.

Il pg ha inoltre chiesto la conferma del verdetto di condanna emesso dal gup nei confronti degli altri 5 coimputati: Giuseppe Conti, Salvatore Rinella, capomafia di Termini Imerese, Giovanni e Salvatore La Barbera, Salvatore Buttitta e il costruttore Innocenzo Ponziano, difeso dall'avvocato Tommaso De Lisi. In abbreviato, per associazione mafiosa, erano stati condannati a pene comprese tra 4 e 6 anni di carcere. Il processo prosegue il 22 luglio per le arringhe dei legali di Rinella.
19/06/2008
Fonte: La Sicilia

mercoledì, giugno 18, 2008

I fiancheggiatori di Provenzano...

(AGI) - Palermo, 18 giu. - La conferma e, in un caso, l'aumento delle condanne inflitte agli uomini che curarono l'ultimissima fase della latitanza di Bernardo Provenzano, e' stata chiesta dal sostituto procuratore generale Vittorio Teresi, nel processo d'appello a Palermo. Sette in tutto gli imputati, che hanno scelto il rito abbreviato per ottenere gli sconti di pena di un terzo. Otto anni sono stati proposti per il pastore e allevatore Giovanni Marino, proprietario del casolare dove l'11 aprile del 2006 fu catturato Provenzano. Marino era stato condannato dal Gup a 5 anni, perche' la contestazione di associazione mafiosa era stata derubricata in favoreggiamento aggravato. Per gli altri imputati, che avrebbero fornito alloggio e aiuto al capomafia corleonese, sono state chieste le conferme delle condanne: 10 anni e 8 mesi per Carmelo Gariffo, nipote di "Binu", 10 per Giuseppe Lo Bue e Francesco Grizzaffi (nipote di Toto' Riina), 8 ciascuno per Calogero Lo Bue, Bernardo Riina e Liborio Spatafora. Il processo e' in corso davanti alla prima sezione della Corte d'appello. Prossima udienza il 7 ottobre.

Fonte: Agi.it

martedì, giugno 17, 2008

Lo Bello si arrabbia...

Palermo, 14 giu. - (Adnkronos) - Gli imprenditori che ieri hanno continuato a negare davanti ai magistrati della Dda di Palermo di avere pagato il pizzo ai boss di Cosa nostra e che risultano iscritti a Confindustria Sicilia "verranno immediatamente espulsi" dall'associazione. Pugno duro di Ivan Lo Bello, il battagliero Presidente degli industriali siciliani, autore del Codice etico antimafia, con i suoi associati che ieri, dopo l'ennesima sfilata in Procura a Palermo, hanno continuato a negare di avere pagato il pizzo agli esattori del boss Salvatore Lo Piccolo. Lo Bello e' molto arrabbiato e parla di una "pagina vergognosa da cancellare" e di uno "spettacolo indecoroso". "Proprio nel momento in cui un altro imprenditore, attraverso la sua denuncia, consente di fare arrestare un altro estorsore - ha detto Ivan Lo Bello all'ADNKRONOS - abbiamo assistito in questi ultimi giorni a uno spettacolo davvero indecoroso per la Sicilia". E ha aggiunto: "In questi mesi, grazie all'azione incisiva delle forze dell'ordine e della magistratura, e alla crescita di sensibilita' nel mondo imprenditoriale, anche a Palermo si e' rotto il muro dell'omerta'. Le denunce sono in continua crescita. In questo contesto, c'e' una Sicilia che da' segnali di risveglio in un Mezzogiorno bloccato. Ma alcuni imprenditori, nonostante i riscontri della magistratura, si ostinano davanti agli inquirenti a non collaborare con loro. E' vergognoso".

Fonte: Il tempo

Ecco perchè...Parlava chiaro...

UGENTO (LECCE) - "Come al solito con questo provvedimento volete dare le consulenze agli amici e agli amici degli amici. Ma questa volta non ve la faccio passare. La delibera è illegittima. Mi denunciate perché dico queste cose? Allora io mando le carte al prefetto e vediamo chi ha ragione". Così parlava quattro giorno fa, 11 giugno, Peppino Basile nel corso dell'ultimo consiglio comunale. Così parlava da trent'anni, da quando aveva cominciato a fare politica, prima nel Movimento sociale e poi nell'Italia dei valori, da consigliere comunale a Ugento e da un paio d'anni anche da consigliere provinciale a Lecce.


Le sue parole sono appese ancora lì, accanto alle fotografie della campagna elettorale (era il sesto nella lista alla Camera dell'Italia dei Valori), sulle finestre del suo comitato elettorale in via Messapica. "La vostra fiducia - diceva ai suoi cittadini - mi consente di continuare quell'impegno senza sosta a tutela e difesa dei vostri interessi, da sistemi fondati sul clientelismo e favoritismo che noi tutti conosciamo al fine di garantire legalità, trasparenza e diritti per tutti".


"Peppino era il classico rompiscatole" racconta il suo parlamentare di riferimento, Pierfelice Zazzera, appena eletto nelle liste del partito di Di Pietro. "Spulciava le carte, era attento a tutto, non gli sfuggiva niente, impossibile fregarlo". Lo confermano tutti in paese: "Un combattivo. Senza vergogna e senza paura", dice Gianfranco Coppola, poliziotto, suo collega in consiglio comunale dell'Italia dei Valori. "Se c'era una cosa che non gli andava, dove vedeva del marcio, una cosa ingiusta per la città, lui denunciava. Nell'ultimo periodo mi aveva anche detto che voleva lasciare, più che stanco era disilluso. E poi me lo diceva sempre: se vado avanti così, da solo, fino alla fine mi ammazzano".


Lo hanno ammazzato. Chi e perché ancora non è chiaro. "Tutte le piste aperte", dicono gli investigatori. Non a caso stanno setacciando tutti gli interventi di Basile in consiglio comunale, tutte le sue denunce. Quando denunciava per esempio il maxi complesso turistico appena costruito, secondo lui all'interno del parco naturale. Basile si era opposto, solo contro tutti, e aveva fatto una segnalazione anche in Procura.


"Stiamo realizzando un albergo in un'area protetta" gridava in consiglio. Inascoltato. Diversamente era andata per un opificio che stavano per costruire nelle campagne di Ugento: troppo lontano dal paese, giurava, lo strumento urbanistico non lo consentiva. E non si poteva andare in deroga. Probabilmente aveva ragione: una volta arrivato in consiglio comunale il provvedimento fu ritirato. La politica non era soltanto una passione, nella vita di Peppino Basile. La politica era diventata il suo mestiere anche perché l'azienda di famiglia era caduta in disgrazia. Florida, conosciutissima in paese e nel circondario, era fallita proprio sotto la gestione di Basile. Cerca di pagare come può i debitori, emette cambiali, ha protesti sino al 2007, l'ultimo il 13 giugno.


"Spesso chiedeva soldi in giro" racconta don Stefano Rocca, il parroco di Ugento. "Li ha chiesti anche a me, ma a quanto ne so io è sempre stato puntuale con i pagamenti". Aveva bisogno di soldi e avrebbe potuto chiedere prestiti alle persone sbagliate: a Taurisano, per esempio, feudo storico della malavita salentina e dove da anni abitava una delle sue due sorelle. Infine c'è l'amore. Da qualche tempo raccontano frequentasse una signora del circondario, una vedova. Con lei, e insieme con un gruppo di amici, era andato a ballare sabato sera. Lo ricordano al ristorante Le volier, all'una quando aveva smesso con la "bachata" e aveva pagato il conto. Mezz'ora prima di morire.


Peppino Basile era stato sposato per anni con Ada Cairo, una donna che dicono tutti non ha mai smesso di prendersi cura di lui. Erano separati da qualche anno, spesso mangiavano ancora insieme: "Peppino era un galantuomo, Peppino era una persona perbene, come non ne esistono più. Non lo so cosa è successo, perché è successo. So soltanto che non sarebbe dovuto succedere", racconta la signora Ada.


Sabato notte è stata tra le prime a correre davanti a Peppino. Da single abita a nemmeno cento metri dalla sua vecchia villa, quando l'ha visto per terra lo ha accarezzato, si è chiusa lì accanto, in macchina sino all'alba. E ha pianto. 

Fonte: La Repubblica

Perquisizioni

Perquisizioni sono state compiute dai carabinieri nella sede della Corte di Cassazione a Roma nell'ambito dell'indagine della Direzione distrettuale antimafia di Palermo che ha portato la notte scorsa a otto arresti e che riguarda presunti tentativi di rallentare procedimenti a carico di mafiosi con la mediazione di ambienti massonici. Tra gli arrestati c'e' anche a un addetto alla cancelleria della seconda sezione penale della Cassazione, Guido Peparaio.

Fonte: La Repubblica

Rimossa la lumaca...

ROMA - Non può più fare il magistrato Edi Pinatto, il giudice che ha impiegato otto anni per scrivere le motivazioni della sentenza con la quale il tribunale di Gela aveva condannato sette componenti del clan Madonia a complessivi 90 anni di carcere, così determinando la loro scarcerazione. La sezione disciplinare del Csm con un provvedimento che ha pochi precedenti lo ha rimosso dall'ordine giudiziario.


La decisione è stata presa dopo un'ora di camera di consiglio. La sezione disciplinare ha così accolto la richiesta del rappresentante dell'accusa Eduardo Scardaccione. La sentenza non è immediatamente operativa: ora dovrà essere depositata entro 30 giorni e ci saranno altri 90 giorni di tempo per impugnarla davanti alle sezioni unite civili della Cassazione.


Quello di Pinatto è un "ritardo gravissimo, abnorme e ingiustificato e ha determinato danni irreversibili e non più risarcibili per le parti processuali", ha spiegato il rappresentante della Procura della Cassazione, Eduardo Scardaccione.


Quel ritardo, secondo il rappresentante dell'accusa, non ha paragoni né in Italia, né nel mondo e provocò la scarcerazione dei condannati di quel processo al clan Madonia. Così si è violata "l'essenza stessa della funzione giurisdizionale - ha sottolineato il sostituto Pg - e vi è stata una perdita verticale e non risarcibile della credibilità del singolo magistrato e della stessa istituzione giudiziaria".


D'altra parte, secondo Scardaccione, tutto il tempo che ci è voluto non è giustificato dalla mole della sentenza, "un volume di 775 pagine"; si è trattato più che altro di un lavoro di "copia-incolla" dei vari atti di indagine e processuale compiuti, in cui le valutazioni del magistrato sono limitate - secondo l'accusa - a pochissime righe.


E il fatto stesso che Pinatto è già stato condannato per questa vicenda alla perdita di otto mesi di anzianità professionale non attenua la sua posizione, visto che anche dopo le condanne - ha fatto notare Scardaccione - non ha adempiuto all'obbligo di depositare la sentenza; obbligo che ha portato a termine solo di recente e solo dopo che il ministro della Giustizia Mastella aveva chiesto la sua sospensione dalle funzioni giurisdizionali.


Pinatto e il suo difensore, il presidente di Sezione della Cassazione Mario Fantacchiotti, hanno invece spiegato il ritardo con la difficoltà di conciliare il carico di lavoro che il magistrato si è trovato davanti quando è stato trasferito alla Procura di Milano, e l'arretrato che aveva lasciato a Gela. "Pinatto non è stato capace di organizzarsi, ma non siamo di fronte a un magistrato che invece di lavorare va in montagna", ha detto Fantacchiotti.


16/06/2008

Fonte: La Sicilia

Accordo massoneria, mafia...

PALERMO - I carabinieri hanno arrestato otto persone, in diverse città, accusate di concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione in atti giudiziari, peculato, accesso abusivo in sistemi informatici giudiziari e rivelazione di segreti d'ufficio. I provvedimenti sono stati emessi dal gip del tribunale di Palermo, Roberto Conti, su richiesta del procuratore Francesco Messineo, dell'aggiunto Roberto Scarpinato e del sostituto della Dda, Paolo Guido.


L'inchiesta, che vede coinvolti professionisti, medici, imprenditori, boss e alcuni iscritti a logge massoniche, è stata condotta dai carabinieri dei comandi provinciali di Trapani e Agrigento. L'operazione, per la quale sono in corso decine di perquisizioni, è stata denominata "Hiram" e vede impegnati anche i carabinieri, non solo di Agrigento e Trapani, ma anche quelli di Palermo, Roma e Terni.


Dall'inchiesta emerge che boss mafiosi, grazie all'aiuto di persone appartenenti a logge massoniche, avrebbero ottenuto di ritardare l'iter giudiziario di alcuni processi in cui erano imputati affiliati a cosche di Trapani e Agrigento.


Le indagini che hanno portato alla scoperta dei presunti intrecci fra boss e massoni diretti a ritardare i processi di alcuni affiliati alle cosche mafiose, sono state avviate dai carabinieri nel 2006. 'Hiram', coordinata dalla procura di Palermo, è stata coperta dal massimo riserbo, e ha preso il via da accertamenti svolti sulle famiglie mafiose di Mazara del Vallo e Castelvetrano, in provincia di Trapani.


L'inchiesta ha messo in luce un gruppo di persone, alcune legate dall'appartenenza a logge massoniche, che per l'accusa avrebbero dunque ritardato, dietro pagamento di tangenti, l'iter processuale di alcuni affiliati a Cosa nostra. Oltre alle perquisizioni, che sono ancora in corso, controlli vengono svolti anche su conti correnti bancari intestati agli indagati.


Fra le persone arrestate stamani dai carabinieri, su ordine del gip, vi sono un'agente della polizia, un ginecologo di Palermo, imprenditori di Agrigento e Trapani, un impiegato del ministero della Giustizia  in servizio ad una cancelleria della Cassazione e un faccendiere originario di Orvieto. Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione in atti giudiziari, peculato, accesso abusivo in sistemi informatici giudiziari e rivelazione di segreti d'ufficio.


I pm della Direzione distrettuale antimafia di Palermo hanno inviato un avviso di garanzia anche a un sacerdote, gesuita, con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. L'avviso è stato notificato stamani dai carabinieri al religioso che vive a Roma. La sua abitazione, e gli uffici che si trovano nel centro della Capitale, sono stati perquisiti.


Il sacerdote è padre Ferruccio Romanin. Al gesuita, al quale è stato notificato un avviso di garanzia, secondo l'accusa sarebbero state fatte scrivere lettere dal faccendiere, Rodolfo Grancini, "previo agamento da parte di Michele Accomando", per "raccomandare alcuni imputati di mafia". Il peso e l'autorevolezza del sacerdote che apponeva la sua firma alle lettere inviate ai magistrati, per l'accusa avrebbero influito sull'esito dei ricorsi giurisdizionali proposti a diverse autorità giudiziarie. Padre Romanin avrebbe anche scritto una lettera a un giudice che doveva decidere sugli arresti domiciliari chiesti da Epifanio Agate, figlio del capomafia di Trapani, Mariano e per Dario Gancitano, genero di Accomando, imputati entrambi davanti ai giudici del tribunale di Reggio Calabria.


17/06/2008

Fonte: La Sicilia

sabato, giugno 14, 2008

Arrestato esattore...

PALERMO - I carabinieri del Comando provinciale di Palermo hanno fermato un uomo accusato di avere imposto il pagamento del "pizzo" a un imprenditore. Si tratta di Emilio Briamo, 46 anni, che deve rispondere di estorsione aggravata e continuata in concorso. Il provvedimento è stato emesso dai pm della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo siciliano.


La vittima dell'estorsione è titolare di diversi cantieri edili aperti in città per la realizzazione di lavori pubblici. Secondo gli investigatori, l'indagato è un affiliato alla famiglia mafiosa Della Noce che lo scorso gennaio ha già subito duri colpi da parte delle forze dell'ordine con l'esecuzione di numerosi arresti.


Nonostante le persone in carcere, il clan avrebbe inviato nuovi esattori del pizzo a imporre e riscuotere le tangenti per la semestrale "messa a posto". I militari dell'Arma sono riusciti a filmare le scene in cui il presunto mafioso contratta con la vittima la quota da riscuotere a giugno.


Le indagini sono state coordinate dal procuratore aggiunto Guido Lo Forte e dai Sostituti Roberta Buzzolani e Marcello Viola. L'arresto è frutto delle indagini avviate in seguito all'estorsione perpetratata ai danni delle concessionarie Hyundai di Palermo e che, lo scorso mese di gennaio, avevano portato all'arresto di 5 esponenti delle famiglie famiose di Pagliarelli e della Noce. In quell'occasione era stato arrestato anche il pregiudicato Daniele Formisano, esattore del pizzo e braccio destro di Piero Tumminia, reggente della famiglia di Altarello.


"L'arresto di Briamo - spiegano gli investigatori - documenta proprio l'illecita trattativa che era stata avviata sul finire del 2007 da Formisano. L'arresto di quest'ultimo aveva, però, rinviato di qualche mese l'appuntamento della vittima con Cosa nostra, che si era ripresentata a riscuotere il pizzo tramite Briamo".


La quota chiesta dalla mafia alla vittima era pari al 3% del valore dell'appalto, ma in questo caso l'estorsore avrebbe accettato di praticare uno sconto di 20 mila euro sull'iniziale importo da pagare (45mila euro).


La richiesta è stata però filmata dai militari del Reparto Operativo, allertati dallo stesso imprenditore. Gli investigatori sottolineano infatti come "il mutato clima che si respira oggi tra gli ambienti imprenditoriali siciliani agevola le indagini".


14/06/2008

Fonte: La Sicilia

Da villa a colonia...

SANTA FLAVIA (PALERMO) - Da residenza del boss a colonia per bambini. Da oggi la villa del mafioso Tommaso Spadaro, a Santa Flavia (Palermo), diventa un centro per ragazzi. L'immobile è stato donato al centro "Jus Vitae" di padre Antonio Garau dopo la confisca da parte dello Stato.

Fonte: La Sicilia

venerdì, giugno 13, 2008

19 arresti a Capo d'Orlando

CAPO D'ORLANDO (MESSINA) - Diciannove esponenti del clan dei Bontempo Scavo di Tortorici sono stati arrestati all'alba dagli agenti del Commissariato di Capo d'Orlando, nel Messinese, nell'ambito di una inchiesta coordinata dalla Dda della città dello Stretto.


Duecento gli agenti impegnati nella notifica delle ordinanze di custodia cautelare, che hanno raggiunto anche indagati della provincia di Siracusa e Catania.


Secondo gli inquirenti il clan, rinato dopo i colpi inferti da precedenti operazioni alle cosche dei Nebrodi, agiva in piena simbiosi con la famiglia palermitana degli Aglieri-Rinella (che vanta legami con Bernardo Provenzano) e con i catanesi dei Santapaola.


L'attività di indagine, protrattasi per oltre un anno con l'ausilio di intercettazioni ambientali, ha permesso di portare alla luce decine di casi di estorsione e danneggiamento ai danni di imprenditori della provincia di Messina.


Le richieste estorsive si aggiravano sul 2% dell'intero importo dei lavori aggiudicati alle imprese taglieggiate. I soldi venivano poi ripartiti tra i capi storici della cosca, tra cui anche quelli attualmente al regime di carcere duro.


Questi i nomi degli arrestati nel corso dell'operazione denominata Rinascita. condotta dalla Polizia di Capo d'Orlando: Cesare, Vincenzo, Sebastiano, Rosario e Carmelo Bontempo Scavo di Tortorici; Alfio Cammareri di Frazzanò


E ancora Pietro Condipodero Marchetta, di Brolo; Antonino Foraci, di Tortorici; Salvatore Giglia, di Sinagra, Roberto Marino Gambazza e Calogero Marino Granfazza, di Tortorici; Francesco Aliano, di Lentini; Roberto Mazzara, di Siracusa, Ernesto Pindo, di Buscemi; Massimo e Calogero Rocchetta, di Tortorici; Giuseppe Sinagra, di Sinagra; Michele e Tindaro Siragusano, di Sant'Angelo di Brolo.


Risulta al momento irreperibile Signorino Conti Taguali, originario di Tortorici ma residente a Biancavilla.


13/06/2008

Fonte: La Sicilia

10 arresti per estorsione

MESSINA - I carabinieri della compagnia di Messina hanno eseguito 10 ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal Gip del tribunale di Messina su richiesta della locale Dda.

Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, detenzione di armi e stupefacenti, danneggiamenti ed estorsioni ai danni di numerosi imprenditori edili e commercianti, nonchè di favoreggiamento nei confronti del boss Giuseppe Mulè. Quest'ultimo, attualmente detenuto e sottoposto al regime del 41/bis, viene indicato come il capo dell'organizzazione.


L'operazione, denominata in codice"Pilastro", riguarda anche le città di Catania e Roma. Tra gli indagati figura anche Antonio Giannetto, 42 anni, un imprenditore edile che avrebbe imposto la vendita di calcestruzzo e cemento ai cantieri di Messina.


Gli arrestati nell'operazione 'Pilastro eseguita stamani dai carabinieri di Messina sono nove, una persona risulta ancora latitante. I provvedimenti sono stati notificati a Giuseppe Mulè, 51 anni, Giovanni Vincenzo Rò, 23 anni, Giuseppe Mazzeo, 46 anni, Floriana Rò, 34 anni, Maurizio Trifirò, 37 anni, Alessandro Amante, 23 anni, Cristian Conciglia, 24 anni, Roberto Giuseppe Campisi, 38 anni e Antonino Giannetto.


A Mulè, Giovanni Vincenzo Rò e Mazzeo il provvedimento è stato notificato in carcere, mentre a Floriana Rò ai domiciliari. Gli arrestati sono accusati a vario titolo di di associazione mafiosa, detenzione di armi e stupefacenti, danneggiamenti ed estorsioni ai danni di numerosi imprenditori edili e commercianti, nonchè di favoreggiamento nei confronti del boss Giuseppe Mulè.


13/06/2008

Fonte: La Sicilia

Confisca dei beni di Eucaliptus...

Palermo, 12 giu. - I carabinieri del Reparto operativo del Comando provinciale di Palermo hanno dato esecuzione a un'ordinanza della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo di confisca dei capitali sociali e dei complessi aziendali della "Sicula Marmi s.a.s" preposta alla lavorazione di graniti, e della societa' di intermediazione "Effe Immobiliare", entrambe di Palermo. I beni per un valore complessivo di diversi milioni di euro sono riconducibili ai palermitani Nicolo' Eucaliptus, 68 anni, e al figlio Salvatore, 37 anni, appartenenti alla famiglia mafiosa di Bagheria, fidati referenti dell'ex superlatitante Bernardo Provenzano. Il Tribunale ha pure disposto per Nicolo' Eucaliptus, scarcerato nel 2007, la misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per 4 anni, mentre il padre tutt'ora si trova in carcere dove sta scontando l'ergastolo per associazione per delinquere di stampo mafioso. Tra gli elementi che hanno portato alla confisca anche la sproporzione tra il valore dei beni e la presunta condizione di nullatenenti: non risulta, infatti, che abbiano dichiarato redditi di alcun tipo.
Fonte: Agi.it

Schillaci...Si complica...

PALERMO - Si è seduto stamani davanti ai giudici del Tribunale l'idolo di Italia '90, l'ex campione di calcio Totò Schillaci, per essere sentito su una sua richiesta di intervento che avrebbe fatto ai boss e registrata dalle intercettazioni.
Il calciatore, sentito come teste, ha detto di non ricordare i fatti ed ha negato di essersi rivolto ai mafiosi dopo aver subito un furto nella propria scuola calcio. L'esame in aula è stato fatto dal pm Maurizio De Lucia.
Schillaci, come emerge dall'inchiesta che nel gennaio 2007 ha portato in carcere 18 persone, per i quali è in corso il processo, emerge che l'ex campione di calcio chiama Eugenio Rizzuto, arrestato, e gli riferisce che poco prima, al centro sportivo "Louis Ribolla", che si trova in viale Leonardo da Vinci, un ragazzo del quartiere di Passo di Rigano, di cui fa il nome, aveva derubato alcuni giovani calciatori, portandogli via soldi ed orologi custoditi negli spogliatoi.
Rizzuto, dopo aver riferito a Schillaci di non conoscere l'abitazione del giovane indicato dal calciatore, gli fornisce il numero di telefono di suo fratello, Aurelio, aggiungendo che nel caso in cui anche il fratello non conoscesse il giovane autore del furto, l'indomani mattina se ne sarebbe occupato lui.
Di tutto ciò Schillaci ha detto ai giudici di non ricordare nulla. Citato nelle scorse udienze, Schillaci non si era presentato ed aveva costretto il Tribunale a infliggergli un'ammenda di 200 euro.
Sulla deposizione di oggi, la Procura sta valutando se può essere contestata la falsa testimonianza.
12/06/2008
Fonte: La Sicilia

I boss su Despar...

PALERMO - Gli interessi dei boss mafiosi Matteo Messina Denaro e Bernardo Provenzano per i grandi centri commerciali Despar in Sicilia, emergono dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Franzese. Le dichiarazioni del pentito sono state depositate nel processo all'imprenditore Sebastiano Scuto, indicato come il re dei supermercati, che si svolge davanti ai giudici della Corte d'appello di Catania.
Franzese, che era uomo di fiducia dei boss Sandro e Salvatore Lo Piccolo, racconta i contatti fra i mafiosi palermitani e quelli catanesi. "Il Centro Olimpo (a Palermo ndr) è un grande centro commerciale che io conosco bene perchè sorge nella mia zona, e cioè a Partanna. Al riguardo devo dire che detto centro non figurava 'nelle entrate della zona' in mio possesso, l'altra copia era in possesso dei Lo Piccolo, i quali avevano la carta delle entrate che arrivavano a loro direttamente".
Il pentito spiega il motivo per il quale il centro commerciale non pagava il pizzo. "Decisi di far fare la telefonata per fare 'mettere a posto' l'impresa - racconta Franzese - ma l'interlocutore che noi avevamo individuato in Vincenzo Milazzo e Alfonso Milazzo, padre e figlio, come i veri responsabili del Centro commerciale, si mostrarono molto sicuri, ma niente affatto disposti a pagare".
"Pochi giorni dopo venni chiamato da Sandro Lo Piccolo, il quale mi disse che per il Centro Olimpo non dovevo fare nulla in quanto la cosa la gestiva lui con i catanesi e questi ultimi si erano lamentati per il fatto che era stata fatta la telefonata ed i Milazzo temevano di essere stati intercettati".
Franzese racconta poi nei dettagli quelli che erano gli interessi dei boss Lo Piccolo e Provenzano nei confronti della catena di supermercati: "I Lo Piccolo mi dissero che i centri Despar non dovevano essere toccati in quanto interessavano alla famiglia, mentre cosa diversa era per i singoli negozi affiliati che molte volte erano solo piccole attività con insegne Despar".
"I Despar - aggiunge - interessavano direttamente anche a Matteo Messina Denaro". Quest'ultimo particolare emerge anche dall'inchiesta che nei mesi scorsi ha portato all'arresto dell'imprenditore Salvatore Grigoli che gestisce gran parte dei Centri Despar in Sicilia ed è accusato di essere un prestanome di Messina Denaro.
"I Lo Piccolo - spiega il pentito - si rivolgevano ai catanesi perchè facessero avere lavoro a nostri affiliati tramite i Milazzo nei centri commerciali Despar di Palermo. Mi risulta che anche Provenzano aveva interessi diretti nella gestione dei grandi supermercati Despar, e cioè che i centri commerciali a insegna Despar non si dovevano toccare, mentre gli affiliati, in genere piccoli negozi, potevano essere oggetto di estorsioni".
12/06/2008
Fonte: La Sicilia

giovedì, giugno 12, 2008

Trovati i resti di Spatola

PALERMO - I resti umani, trovati a Villagrazia di Carini, sono di Lino Spatola, padrino del quartiere palermitano di Tommaso Natale, rapito nel settembre 2006 per ordine del boss Salvatore Lo Piccolo. Ad accertarlo, secondo quanto riporta la stampa locale, è stato l'esame del Dna.

A svelare i dettagli della scomparsa di Spatola era stato il pentito Gaspare Pulizzi, il quale disse di aver ricevuto dai Lo  Piccolo l'ordine di seppellire il corpo bruciato del vecchio padrino, insieme ad un coniglio ed a una bottiglia di whisky che Spatola intendeva portare in dono ai capimafia che lo avevano convocato.


10/06/2008

Fonte: La Sicilia

Arresti a Catania...

CATANIA - Il latitante Gaetano Valenti, di 49 anni, ritenuto elemento di spicco della cosca Pillera-Puntina del rione San Cristoforo di Catania è stato arrestato da agenti della squadra mobile etnea a Mascalucia. Il ricercato era sfuggito al blitz 'Atlantide 2' del 6 maggio scorso contro 27 presunti appartenenti alla stessa cosca. Valenti è stato bloccato mentre stava pranzando assieme al proprietario della casa che lo ospitava. Quest'ultimo, Luciano Arena, di 50 anni, è stato arrestato dalla polizia per favoreggiamento personale.

Fonte: La Sicilia

Si aggrava la posizione del re dei supermarcati...

CATANIA - Si aggrava il capo d'imputazione per l'imprenditore catanese Sebastiano Scuto, considerato il re dei supermercati in Sicilia. Nell'udienza di oggi il sostituto procuratore generale, Gaetano Siscaro, gli ha contestato che ha finanziato Cosa nostra in maniera continuativa "in cambio di una duratura protezione, riciclando in attività economica 'legale' ingenti proventi delle attività illecite del clan Laudani e di altri clan alleati". Secondo il pg, Scuto è accusato di aver aperto nuovi centri commerciali con le insegne Despar a Palermo e provincia, "gestiti in comune con il clan di appartenenza dei Laudani e con quelli alleati di Benedetto Santapaola, di Bernardo Provenzano, Sandro e Salvatore Lo Piccolo".


11/06/2008

Fonte: La Sicilia

martedì, giugno 10, 2008

3 arresti a Marsala

MARSALA (TRAPANI) - Con l'accusa di estorsione continuata i carabinieri della compagnia di Marsala hanno arrestato, in flagranza di reato, tre uomini accusati di aver imposto il pagamento di una somma di 27 mila euro ad un imprenditore agricolo. In manette sono finiti Massimo Bellitteri, titolare di un ristorante del centro di Marsala, Giacomo Ingianni, entrambi di 38 anni, e Antonino Salvatore Sieri, di 29.

La vittima dell'estorsione nel novembre 2007, quando era in difficoltà economica, chiese a Bellitteri un prestito di 60 mila euro. Nel giro di sette mesi, però, il debito iniziale è diventato di 250 mila euro. I tre arrestati sono stati trovati in possesso di diversi assegni bancari per un valore complessivo di 72 mila euro di cui dovranno fornire giustificazione all'autorità giudiziaria.


09/06/2008

Fonte: La Sicilia

7 arresti per "pizzo"...

PATERNÒ (CATANIA) - Sette presunti appartenenti della cosca Morabito-Stimolo sono stati arrestati dai carabinieri della compagnia di Paternò nell'ambito di un'operazione contro il racket del 'pizzo'. Nei confronti degli indagati il Gip di Catania Francesco D'Arrigo ipotizza il reato di associazione mafiosa, estorsione e violazione degli obblighi di soggiorno.

Le indagini dei militari dell'Arma, che si sono avvalse anche di intercettazioni ambientali, hanno permesso di accertare cinque casi di estorsioni, ma altre, emerse dall'ascolto delle registrazioni compiute tramite microspie, sono al vaglio degli investigatori che nelle prossime settimane sentiranno le vittime.

Durante l'operazione i carabinieri hanno arrestato Antonino Rapisarda, di 38 anni, Giovanni Uccellatore, di 43, Francesco Musumarra, di 39, Daniele Claudio Magrì, di 29, Salvatore Messina, di 50, e Salvatore Stimoli, di 27. Il provvedimento è stato notificato in carcere dai militari dell'Arma a Vincenzo Stimoli, di 57 anni, già detenuto per altra causa.

Ad alcuni degli indagati è stato contestato anche il reato di violazione del soggiorno obbligato: sebbene avessero il divieto a uscire da Paternò si sarebbero recati a Motta Sant'Anastasia per partecipare a riunioni della cosca.

Le indagini sono state coordinate dal sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Catania, Agata Santonocito.

Emblematica la storia di un un imprenditore, che stanco delle vessazioni subite dal racket delle estorsioni, avrebbe reagito ferendo con un colpo di pistola uno dei sette arrestati. L'episodio è avvenuto il 16 gennaio del 2006 ma è emerso solo oggi grazie alle indagini dei carabinieri di Paternò.

L'imprenditore, un rivenditore di auto, Mario Sbriglia, fu arrestato alcuni mesi dopo per tentativo di omicidio e condannato a cinque anni di reclusione.

L'uomo è uscito da pochi mesi, con tre anni condonati per l'indulto, ha lasciato Paternò e non ha rivelato il movente della sparatoria in sede processuale. Dalle intercettazioni ambientali dei carabinieri di Paternò sarebbe emerso che il clan Morabito-Stimoli aveva chiesto all'imprenditore la cessione gratuita di una 'Golf' come tangente.

Ai continui dinieghi, la cosca avrebbe reagito facendolo picchiare. All'ultimo appuntamento Sbriglia si sarebbe presentato armato e avrebbe sparato a uno degli estorsori, Francesco Musumarra, di 39 anni,  tra gli arrestati dell'operazione di oggi, ferendolo a un polmone.


09/06/2008

Fonte: La Sicilia

sabato, giugno 07, 2008

Oltre questo serve anche la concretezza...

PALERMO - "Non è questo il modo di fare lotta alla mafia". Don Giacomo Ribaudo, critica la decisione del sindaco di Palermo, Diego Cammarata, di intestare piazza Magione dove si trova la chiesa di cui è parroco a Giovanni Falcone.
Ed è per questo che dopo l'annuncio del primo cittadino fatto il 23 maggio scorso in occasione dell'anniversario della strage di Capaci ha inviato una lettera all'amministrazione comunale. Nel quartiere il giudice visse gli anni della sua infanzia.
"Nella piazza che prende il nome dal francese mason (casa) c'è già un piccolo monumento a Falcone che ho fatto realizzare io negli anni passati - aggiunge il parroco - basterebbe ampliare quello per rendere omaggio al magistrato ucciso dalla mafia".
"Non sono contrario a onorare il magistrato ma dissento dal fatto che la lotta ai boss diventi prevaricazione come cambiare nome alla piazza senza consultare la gente o gli storici". E per rendere più forte il messaggio il parroco ha scritto sul giornalino della parrocchia un articolo dal titolo emblematico "L'antimafia della mafia".
"Il sindaco - dice il portavoce Girolamo Foti, dell'associazione Nuova Civiltà Siciliana - anzichè intitolare strade, si preoccupi dei senza tetto a Palermo, dei tantissimi cittadini palermitani senza lavoro, di riportare l'ordine nei quartieri in grave stato di abbandono, bisogna onorare i nostri eroi con gesti concreti non certo con strategie mediatiche, cancellando la storia".
07/06/2008
Fonte: La Sicilia

giovedì, giugno 05, 2008

Contromafie europea

Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie e l'ong Terra del Fuoco chiamano a raccolta le realta' dell'antimafia civile di tutt'Europa e convocano “Contromafie europea”. Per la prima volta in Europa, a Bruxelles al Parlamento europeo, nell'ambito del Progetto Flare, «Libertà, legalità e diritti in Europa», network finalizzato alla cooperazione tra le organizzazioni della società civile nella lotta contro le mafie e le criminalità organizzate transnazionali, esperti, magistrati, parlamentari europei, esponenti delle Forze dell'Ordine, del mondo della scuola, rappresentanti delle associazioni si riuniranno intorno allo stesso tavolo per discutere e proporre interventi e misure contro il crimine organizzato globalizzato. Con loro ci saranno familiari delle vittime di mafia.
Saranno oltre 700 i partecipanti che si riuniranno per tre giorni a Bruxelles, provenienti dall'Italia e da tutt'Europa in rappresentanza di oltre 50 Paesi.
Contromafie Europea si aprirà domenica 8 giugno con l'assemblea presso il Parlamento Europeo con relazioni sulle aree tematiche: narcotraffico, ecocrimini, tratta di esseri umani, corruzione e informazione, traffico illegale di armi. La giornata di lunedì 9 giugno si svolgeranno Cento Eventi contro le mafie, la realizzazione di una vera e propria Agorà in cui tutti i partecipanti al percorso, gli esperti, gli ospiti e gli invitati possano presentare le loro esperienze concrete di lavoro e confrontarle con le altre. Martedì 10 giugno corteo per le strade di Bruxelles e plenaria conclusiva al Parlamento Europeo con la presentazione delle proposte finale nella lotta alle mafie. Dall'applicazione a livello europeo della confisca e il riutilizzo delle proprietà della criminalita' organizzata, alla creazione di una rete di osservatori su Ambiente e Legalità, dalla campagna per le vittime della corruzione alla garanzia sia nei Paesi di origine che di destinazione dell'assistenza sociale, medico e della tutela giudiziaria per le vittime della tratta di esseri umani.
Un percorso, quello di Contromafie che all'interno di Flare, che per la prima volta consentirà la nascita di un network internazionale per l'affermazione della giustizia sociale, della legalità e del rispetto dei diritti umani. «Avevamo un sogno - ha detto Luigi Ciotti, presidente di Libera - quello di vedere globalizzato il contrasto alla criminalità organizzata, alle tante rappresentazioni dell'illegalità che schiacciano le dignità e violano i diritti. Contromafie sarà il primo grande appuntamento dell'antimafia civile a livello europeo, un momento di analisi, di lavoro, confronto, partecipazione, progettazione di tutte quelle realtà, che con ruoli e competenze diverse, a titolo diverso in Europa, ogni giorno, combattono le mafie. Tre giorni di incontro, studio, approfondimento, conoscenza. Il messaggio di Contromafie Europea è chiaro: non soltanto “contro” ma soprattutto “per” attraverso l'unione delle competenze, responsabilità e ruoli in grado di costruire percorsi di libertà, cittadinanza, legalità, giustizia».
Fonte: vita online

18 commercianti parleranno...

È il momento dei commercianti che hanno detto no al racket imposto dai Lo Piccolo. È il momento più atteso. La Procura di Palermo chiama 18 vittime del pizzo a testimoniare contro gli estorsori, subito, anticipando una parte fondamentale del processo che verrà celebrato contro gli ultimi mafiosi che hanno terrorizzato la città. «Incidente probatorio», viene chiamato dal codice di procedura penale: è la via da seguire quando c´è «fondato motivo che la persona sia esposta a violenza, minaccia». Forse, fra qualche mese, Palermo potrebbe ricadere nell´indifferenza, il pericolo più grave per chi ha fatto una scelta civile. Forse. Di sicuro, oggi, i commercianti che hanno denunciato gli estorsori sono gli eroi più celebrati da istituzioni e associazioni, in tutte le manifestazioni antimafia. Secondo la Procura, è questo il momento più opportuno per fare arrivare in un´aula di giustizia le vittime del racket.
I 18 commercianti saranno chiamati a raccontare, ma anche a riconoscere i loro estorsori. Sarà come un confronto all´americana. Sul banco degli imputati saliranno una ventina di picciotti della cosca di Tommaso Natale, quelli arrestati dall´inizio di gennaio ad oggi, dopo il blitz della squadra mobile che il 5 novembre scorso ha portato in manette Salvatore e Sandro Lo Piccolo. Assieme a loro, rischiano di andare a giudizio anche 25 commercianti, quelli che non hanno ammesso di avere pagato. Sono adesso indagati per favoreggiamento.
Eppure, questa volta, il peso dell´atto d´accusa non era tutto sui commercianti. Le indagini della sezione Criminalità organizzata della squadra mobile, coordinate da un pool di magistrati diretto dal procuratore aggiunto Alfredo Morvillo, hanno già raccolto le dichiarazioni di cinque pentiti del clan Lo Piccolo, la chiave per decifrare il libro mastro delle estorsioni trovato durante il blitz di novembre. E non è solo una coincidenza che le ordinanze di custodia cautelare che si sono succedute in questi mesi siano state ribattezzate «Addiopizzo»: i giovani del movimento antiracket hanno seguito passo passo le scelte di chi ha deciso di dire no al pizzo.
I pubblici ministeri Domenico Gozzo, Gaetano Paci, Francesco Del Bene, Marcello Viola e Annamaria Picozzi continuano a cercare dentro i segreti dei pizzini dei Lo Piccolo. Nei giorni scorsi, un grafologo nominato dalla Procura ha chiarito quali biglietti, fra i 1000 sequestrati, sono stati scritti da Salvatore Lo Piccolo: per fare i confronti, l´esperto ha utilizzato alcune istanze presentate dal padrino di Tommaso Natale in carcere, per inviare un telegramma ai familiari.
Ieri mattina, Lo Piccolo senior ha partecipato in tribunale all´udienza del processo "Grande mandamento": i monitor della terza sezione mostravano da un lato Lo Piccolo, dall´altro Bernardo Provenzano, tutti e due attentissimi ad ascoltare la requisitoria del pubblico ministero Michele Prestipino, che in aula ha letto i pizzini con gli ordini e i messaggi di mafia. «In questo processo - ha detto il magistrato - Provenzano può essere giudicato con le sue stesse parole». In una lunga sequenza di biglietti, c´è anche la storia di una estorsione a Partinico, che ha visto l´autorevole mediazione di Salvatore Lo Piccolo.
Fonte: La Repubblica

Bonaccorso continua...

Palermo, 5 giu. - Tutti gli uomini del commando che uccise, il 13 giugno dell'anno scorso, nel centro di Palermo, Nicolo' Ingarao: Andrea Bonaccorso, Gaspare Pulizzi, Andrea Adamo, Francesco Paolo Di Piazza e Vito Palazzolo. A sostenerlo e' uno dei protagonisti, Bonaccorso, attuale collaboratore di giustizia, che guido' la motocicletta a bordo della quale viaggio' il killer, il capomafia di Carini -anche lui pentito- Gaspare Pulizzi.
Le dichiarazioni sono inserite negli atti dell'indagine che la notte scorsa ha portato agli arresti di Francesco Russo e Michele Siragusa, accusati di mafia ed estorsioni. "Sono stato detenuto tra il 2001 ed il 2005 -racconta Bonaccorso- e dopo la mia scarcerazione, attraverso Tonino Lo Nigro, l'Adamo mi aveva fatto contattare ed avevo ripreso i miei rapporti con lui".
Andrea Adamo e' un mafioso di Brancaccio, stesso quartiere di Bonaccorso, detto lo "Sculurutu" (il pallido): Adamo fu arrestato il 5 novembre, a Giardinello (Palermo) con Salvatore e Sandro Lo Piccolo e con Pulizzi. Fu proprio attraverso l'amico mafioso di Brancaccio che anche lo "Sculurutu" inizio' a frequentare anche i boss di Tommaso Natale, nuovi capi della mafia palermitana: "All'inizio -racconta- il rapporto era esclusivamente di tipo epistolare. Poi mi hanno voluto conoscere e con loro il rapporto e' durato circa un anno".
Nicolo' Ingarao venne ucciso mentre tornava dal commissariato Zisa, in cui doveva firmare tre volte alla settimana. I killer lo attesero in una stradina stretta nei pressi di piazza Principe di Camporeale, nel quartiere della Zisa. "Sono stato uno degli autori materiali assieme a Gaspare Pulizzi -confessa Bonaccorso-. Io guidavo la moto.
C'erano Andrea Adamo, Sandro Lo Piccolo, Vito Palazzolo e Francesco Paolo Di Piazza". Della partecipazione di questi ultimi due al delitto non si sapeva ancora: Palazzolo e' di Cinisi ed e' uno dei factotum dei Lo Piccolo, che di lui si fidavano ciecamente. Di Piazza e' di Brancaccio.
Il delitto sanci' una sorta di saldatura delle cosche della parte occidentale di Palermo e della provincia, rappresentate dai Lo Piccolo, da Pulizzi e Palazzolo, con quelle della zona sudorientale di Brancaccio, per stringere in una morsa i fedelissimi di Ingarao, nominato al vertice di Palermo Centro e Porta Nuova da Nino Rotolo, boss di Pagliarelli, capo della 'Triade' di Cosa Nostra che afiancava Provenzano e nemico giurato dei Lo Piccolo. Tra coloro che stavano con Rotolo e Ingarao e' ancora latitante il giovanissimo (ha 27 anni) Gianni Nicchi. "Di questo omicidio -conclude Bonaccorso- avevo parlato con Nino Nuccio (altro pentito, ndr) al quale pero' avevo raccontato una versione parzialmente falsa, dicendo che la moto era condotta da Sandro Lo Piccolo e che a sparare era stato il Pulizzi. Cio' avevo fatto per evitare di raccontare la verita' e quindi di esporre direttamente il mio coinvolgimento".
Fonte: Agi.it

Gli imprenditori protestano...

CALTANISSETTA - Sono sull'orlo del fallimento solamente perchè hanno denunciato alcuni esponenti di spicco della mafia che imponevano ogni mese il "pizzo" alle loro aziende, impegnate nella gestione della raccolta dei rifiuti di Gela.
L'allarme è stato lanciato questa mattina da alcuni imprenditori gelesi che qualche anno fa costituirono un raggruppamento per occuparsi del servizio di smaltimento e raccolta rifiuti della zona, affidato in appalto dal Comune.
Gli esattori dei clan mafiosi si presentarono subito per battere cassa, pretendendo il versamento mensile di alcune decine di migliaia di euro. La situazione andò avanti per qualche tempo, poi gli imprenditori decisero di denunciare tutto, assieme al sindaco Rosario Crocetta, testimoniando anche in aula al processo contro gli esponenti del racket.
Il coraggio non ha risolto però i problemi finanziari degli imprenditori, che vantano un credito di oltre 7 milioni di euro da parte della società d'ambito che si occupa del servizio di raccolta dei rifiuti. Oggi, nel corso di una conferenza stampa che si è svolta nella sede provinciale di Confindustria, hanno annunciato che saranno costretti a "licenziare un centinaio di dipendenti" se non riusciranno a fare fronte ai debiti.
Il team di legali è guidato dall'avvocato Alfredo Galasso, che ha parlato di una "forma silente di incaprettamento nei confronti degli imprenditori".
04/06/2008
Fonte: La Sicilia