Tutto parte dalle accuse lanciate da un «pentito», un certo Gasparre Spatuzza. Questo ex capo di un clan di Palermo è in prigione per aver fornito la Fiat 126 imbottita d’esplosivo che ha ucciso il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta, il 19 luglio 1992.
Secondo Spatuzza, Borsellino sarebbe stato eliminato perchè conduceva indagini su rapporti tra la Mafia e certi ambienti politici. Un’ipotesi sostenuta da Massimo Ciancimino, figlio di un ex sindaco di Palermo morto nel 2002 mentre scontava l’ergastolo per collusione con Cosa Nostra.
Ciancimino junior, condannato a sei anni di reclusione per riciclaggio del “tesoro” segreto di suo padre, sostiene di disporre di un documento che mette sotto accusa un agente “deviato” dei servizi segreti, un certo Franco. Tale documento, che non ha tuttavia prodotto, conterrebbe i nomi di uomini politici all’epoca in connivenza con la Mafia.
Tale Franco, la cui identità reale sembra essere ignota, sarebbe stato visto sui luoghi dell’attentato di Borsellino. L’agenda rossa sulla quale il magistrato annotava i dettagli delle proprie inchieste è scomparsa durante l’attentato. Il procuratore capo di Caltanissetta, Sergio Lari, attribuisce il furto a “persone al di fuori della Mafia”.
“Sono loro ad averlo ucciso”
Questa storia ha subito nuovi sviluppi negli ultimi giorni con l’entrata in scena di Totò Riina. Lo storico boss della Mafia fu arrestato all’inizio del 1993 e condannato a diversi ergastoli per decine di omicidi, tra i quali quello dei due giudici [Falcone e Borsellino, N.d.T.]. È incarcerato nel più totale isolamento, senza giornali, radio o televisione. Solo il suo avvocato ha facoltà di vederlo, una volta al mese.
Uscendo dalla sua ultima visita, l’avvocato, Luca Cianferoni, ha fornito rivelazioni sensazionali. Riina avrebbe smentito ogni negoziato con i carabinieri od/o i servizi segreti: “Questa storia del patto con lo Stato non regge. Non so nulla del documento in questione. Borsellino, sono loro ad averlo ucciso.”
“Loro” potrebbe essere Vito Ciancimino, con il quale era in contatto e che gli serviva come intermediario con il mondo politico. Od/O ancora altri capi della Mafia che avrebbero avuto interesse a sbarazzarsi di lui. A cominciare da Bernardo Provenzano, che gli successe al comando di Cosa Nostra. Sarebbe stato il capro espiatorio di negoziati segreti volti ad eliminare magistrati coraggiosi? Un patto tra lo Stato e la Mafia ha avuto luogo? È ancora troppo presto per delineare tutti i dettagli di questa vicenda estremamente complessa. Ciononostante, per la prima volta, Totò Riina sembra disposto a parlare. I magistrati di Palermo e di Caltanissetta, che indagano su queste due tragedie, si sono detti pronti ad ascoltarlo “senza porre condizioni”.
Per l’avvocato storico dei pentiti Luigi Li Gotti, Riina cerca soltanto di “depistare le inchieste”. Borsellino, che investigava sulle connivenze tra Mafia e forze di sicurezza, avrebbe incontrato l’ex ministro Nicola Mancino poco prima dell’attentato. Tuttavia quest’ultimo nega. Secondo un altro pentito, il presunto mandante dell’attentato sarebbe sceso in un famoso hotel di Palermo, dove avrebbe appreso al telefono la morte del magistrato.
Un uomo dal viso orrendamente deformato, da cui il soprannome di “mostro”, avrebbe ugualmente cercato al/nel suo domicilio, dopo l’attentato, l’agente segreto Nino Agostino, che verrà in seguito giustiziato, con sua moglie incinta. Il “mostro” non è mai stato trovato.
Fonte: italiadallestero
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