sabato, luglio 19, 2008

La verità..Anniversario Borsellino...

(AGI) - Palermo, 17 lug. - "No, lo Stato non si e' comportato per niente bene. Si fanno vivi solo per gli anniversari, con la celebrazione e le belle parole. Mio fratello e' praticamente a spasso. In Sicilia, le vittime di mafia vengono assunte alla Regione. In Sardegna non accade. Lui si arrangia come autista. Abbiamo preso qualche spicciolo. Lo abbiamo usato per sistemare la tomba di Emanuela". Parla Claudia Loi, la sorella di Emanuela, componente della scorta trucidata insieme a Paolo Borsellino il 19 luglio del 1992. In un'intervista pubblicata sul sito "I love Sicilia", la donna spiega che Emanuela non era di turno quella domenica. La chiamarono per coprire un vuoto in organico. Sembrava una giornata di routine. Emanuela, una ragazza di 24 anni, nata a Sestu a pochi chilometri da Cagliari, teneva un "diario di bordo" dei suoi spostamenti. Il giorno prima aveva scritto su un foglietto "Domani scorta al giudice Borsellino, lunedi' La Barbera". Mori', invece, nell'inferno di tritolo di via D'Amelio. Quando i genitori seppero dal telegiornale dell'attentato a Borsellino, appresero dall'elenco dei caduti che avevano perduto la loro Emanuela. "Almeno questa parte di orrore - dice oggi Claudia Loi - ci poteva essere risparmiata". Virgilio e Albertina, il papa' e la mamma, se ne sono andati. "Sono stati uccisi dalla mafia, dall'onda lunga del dolore di via D'Amelio. Mio padre era appena andato in pensione. Papa', dopo la morte di Emanuela, aveva sempre la febbre e i medici non capivano, non sapevano individuare il motivo. E' stato cosi' fino alla fine". Claudia dopo 16 anni dice di essere "sempre piu' sconvolta". Emanuela "era una donna solare che amava il suo mestiere e lo svolgeva con puntiglio. Pensava al matrimonio. Non subito, forse. Pero', si', ci pensava. E desiderava una famiglia con tanti bambini, qui, a casa sua". .

Fonte: AGI.IT

Intervista ad Orlando

"La mafia e' diventata postmoderna, ha acquisito competenze massmediologiche e orienta la comunicazione. Non c'e' dubbio. Usano un linguaggio adeguato ai tempi moderni". Un'affermazione forte, che arriva da Leoluca Orlando, candidato dell'opposizione alla presidenza della Vigilanza Rai, e fatta nel corso di un'intervista per il programma 'Klauscondicio' su YouTube. Alla proposta degli internauti dello stesso programma di trasmettere in prima serata programmi dedicati all'antimafia, Orlando risponde "Sottoscrivo in pieno la proposta". E sempre a proposito di mafia e delle competenze che ha acquisito nel campo dei media, per il parlamentare dell'Idv "il vero dramma e' che spesso i nuovi mafiosi sono alfabetizzati, mentre le persone oneste rimangono analfabete, incapaci di utilizzare un lessico adeguato. Purtroppo i giovani che non conoscono gli anni delle stragi o la paura e la vergogna di vivere in una citta' con centinaia di omicidi l'anno, rimangono affascinati da chi utilizza un linguaggio moderno".

Fonte: La Sicilia

Archiviazione..

CATANIA - La Procura della Repubblica di Catania ha chiesto al gip Antonino Caruso l'archiviazione dell'inchiesta sui presunti "rapporti di favore" tra il senatore di Pdl-Fi e sindaco di Bronte, Pino Firrarello, e due esponenti della cosca Santapaola. Il giudice per le indagini preliminari si è riservato di decidere alla prossima udienza, fissata per il 2 dicembre. Il fascicolo sull'esponente di Forza Italia era stato aperto su disposizione del Tribunale di Catania a conclusione del processo di primo grado sulla costruzione del nuovo ospedale Garibaldi, con i giudici avevano disposto la trasmissione degli atti alla Procura. In particolare di intercettazioni ambientali del 2001 su presunti contatti tra il senatore Firrarello e due esponenti di rilievo del clan Santapaola, Enzo Mangion e Giuseppe Intelisano. Accuse che, secondo la Procura, non sono provate e per questo è stata chiesta l'archiviazione dell'inchiesta.


19/07/2008

Fonte: La Sicilia

Mah...

Roma, 17 lug. (Adnkronos) - "Non ci saranno tagli alla sicurezza. Abbiamo costituito un fondo nella Finanziaria che sara' alimentato dai conti correnti e conti postali giacenti sequestrati e confiscati alla mafia, dimenticati' li'. Noi li recupereremo e metteremo questi fondi a disposizione delle forze di polizia". Lo ha detto il ministro dell'Interno Roberto Maroni, in un'intervista al Tg1. "Stimiamo -ha aggiunto- una cifra superiore al miliardo di euro da mettere a disposizione delle forze di polizia". Certo, i problemi di oggi, ha spiegato, "ci sono, ma le difficolta' sono a causa dei tagli del governo Prodi nella Finanziaria 2008. Noi non faremo tagli, ma metteremo ingenti risorse a disposizione". 

Fonte: AdnKronos

giovedì, luglio 17, 2008

Assolto..

PALERMO - I giudici della Corte d'Appello di Palermo hanno confermato l'assoluzione per il tenente dei carabinieri, Carmelo Canale, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. L'ufficiale, che era stato un collaboratore di fiducia di Paolo Borsellino, era stato assolto in primo grado il 15 novembre 2004. La Procura generale, al termine della requisitoria, aveva chiesto la condanna a dieci  anni.

Fonte: La Sicilia

Si tira indietro...

PALERMO - Il commerciante che nei giorni scorsi ha ritrattato davanti al gip le accuse rivolte in fase  preliminare ad uno degli "esattori" del pizzo è stato iscritto nel registro degli indagati per falsa testimonianza.


Si tratta del titolare di una discoteca di Palermo che aveva confermato alla polizia di aver pagato il "pizzo" ai fedelissiimi dei boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo, indicando anche l'esattore che riscuoteva le somme di denaro, ma durante il confronto che si è svolto nell'aula bunker dell'Ucciardone con gli indagati per estorsione, l'uomo si è tirato indietro, ritrattando le accuse.


Gli altri commercianti avevano invece confermato le accuse, indicando la persona che andava a  ritirare le somme di denaro. L'uomo sarà sentito domani, durante l'udienza dell'incidente probatorio, assistito dal proprio difensore.


17/07/2008

Fonte: La Sicilia

mercoledì, luglio 16, 2008

Provvedimenti ad Agrigento..

AGRIGENTO - Le sette ordinanze di custodia cautelare firmate dal gip di Palermo, Donatella Puleo, sono state richieste dai sostituti della Dda Gianfranco Scarfò e Giuseppe Fici. I provvedimenti, eseguiti da carabinieri e polizia, riguardano: i fratelli Luigi, Maurizio e Marcello Panepinto di Bivona, rispettivamente di 41, 35 e 33 anni; Giovanni Favata di Alessandria della Rocca, di 68 anni; Domenico Parisi, di 37; Vincenzo Ferranti, di Santo Stefano Quisquina, di 76 ed Enzo Quaranta, 38 anni, di Favara.

Le indagini hanno preso il via il 23 novembre 2006 quando a Santo Stefano Quisquina vennero incendiati due automezzi dell'impresa di Ignazio Putrò che stava eseguendo lavori pubblici nel paese. L'inchiesta, supportata da intercettazioni ambientali e telefoniche, ha permesso di accertare che a Putrò era stato chiesto il "pizzo".

A Bivona il gruppo delle persone arrestate, che faceva capo a Luigi Panepinto, considerato dagli inquirenti il capo del mandamento della Bassa Quisquina, aveva soggiogato, con richieste estorsive, tutta la categoria degli imprenditori. Non c'era appalto pubblico o lavoro che si stava per avviare per il quale i Panepinto non puntavano l'attenzione.

Ignazio e Calogero Panepinto, padre e zio dei fratelli indagati oggi, furono uccisi nel 1994 in un agguato di mafia. Proprio Luigi Panepinto che aveva, allora, collaborato con le forze dell'ordine aveva ottenuto la scorta e davanti il suo impianto di calcestruzzo era stata montata una postazione fissa dei carabinieri.

In seguito al fatto che Panepinto non rispettava orari e modalità della scorta, la tutela gli era stata revocata. Da lì, secondo gli inquirenti, sarebbe avvenuta la trasformazione dei Panepinto che da vittime delle estorsioni a estorsori.
15/07/2008
Fonte: La Sicilia

7 provvedimenti

CALTANISSETTA - Mettevano a segno furti e danneggiamenti per intimidire le vittime delle estorsioni e costringerle a pagare il pizzo. La polizia di Stato ha scoperto gli autori grazie a intercettazioni ambientali e telefoniche, riscontrate anche dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, Alberto Carlo Ferrauto.

L'indagine denominata "Excipit", ha così portato la squadra mobile di Caltanissetta a eseguire sette ordini di custodia cautelare in carcere. Si tratta di Angelo Palermo, di 51 anni, ritenuto il capo della cosca mafiosa a Caltanissetta. L'uomo è detenuto e il provvedimento gli è stato notificato in cella, come pure in carcere è stato raggiunto da ordinanza Giuseppe Rabbita, di 38 anni, Andrea Felice Ciulla, di 31, Emanuele Mangione, di 41, Aldo Riggi, di 53, Salvatore Dario Di Francesco, di 49.

L'unico arrestato a piede libero è Settimo Gioacchino Spinelli, di 45 anni, imprenditore edile, incensurato. Gli indagati sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa ed estorsione.

L'organizzazione avrebbe imposto il pagamento del pizzo a imprenditori di Caltanissetta e commercianti. In molte occasioni gli estorsori richiedevano le somme di denaro perché queste sarebbero state destinate al mantenimento dei detenuti.
16/07/2008
Fonte: La Sicilia

Far west a Catenanuova...

CATENANUOVA (ENNA) - Un allevatore è stato ucciso e cinque persone sono rimaste ferite la notte scorsa in una sparatoria avvenuta a Catenanuova (Enna). La vittima è Salvatore Prestifilippo Cirimbolo, di 44 anni, sposato, che non ha precedenti penali.

L'uomo, che era un allevatore di ovini, si trovava seduto davanti l'ingresso di un bar del paese quando sono arrivati i sicari a bordo di una moto e hanno iniziato a sparare decine di colpi con una pistola e una mitraglietta, 20 dei quali sul corpo di Cirimbolo.

Nella sparatoria sono rimaste ferite altre cinque persone che erano sedute accanto alla vittima. Indagano i carabinieri del comando provinciale di Enna. Uno dei cinque feriti nell'agguato si chiama Giacomo Catania, 51 anni, insegnante di Catenanuova. Catania era in compagnia della vittima e si trova ora ricoverato in prognosi riservata all'ospedale Vittorio Emanuele di Catania.

Le altre persone colpite sono Michelangelo Grasso, di 53 anni, proprietario del bar davanti al quale è avvenuta la sparatoria, e poi Salvatore Musarra, di 25, Alessandro Triscali, di 24 e Orlando Arcodia, di 31, tutti del Catanese. Questi ultimi tre sono rimasti colpiti da proiettili vaganti o da schegge e sono stati ricoverati all'ospedale di Enna.

Un fratello della vittima è stato assassinato 11 anni fa in un agguato di mafia. L'omicidio viene inquadrato in un delitto di mafia. L'indagine, infatti, è coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta, e affidata al sostituto Roberto Condorelli.

La vittima non aveva precedenti penali, ma era il cugino di Giuseppe e Gabriele Prestifilippo Cirimbolo uccisi in due agguati di mafia rispettivamente nel 1991 e nel 1993.

La famiglia degli allevatori si era trasferita da Capizzi (Palermo), paese del quale erano originari, a Catenanuova nel 1985.

Nel 1991, nel panificio del suocero, nel paese dell'ennese era stato ucciso Giuseppe. Nel '93 era toccato a Gabriele ucciso mentre era a bordo della sua Mercedes insieme a un pregiudicato di Regalbuto, Giuseppe Calabrese, anche lui morto nell'agguato, a Catania nel quartiere San Giorgio.
Il pm Condorelli ha disposto l'autopsia che sarà eseguita giovedì prossimo.

Gli inquirenti ipotizzerebbero una guerra fra cosche. Non viene tralasciato il fatto che nella zona in cui è avvenuto il delitto ci potrebbero essere interessi di famiglie mafiose catanesi.
15/07/2008
Fonte: La Sicilia

lunedì, luglio 14, 2008

Tutela...

PALERMO - La Procura di Palermo ha chiesto al Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza di sottoporre a tutela Massimo Ciancimino, 44 anni, figlio dell'ex sindaco, Vito, condannato per mafia e ritenuto essere stato il collegamento fra la politica e i boss corleonesi.


Massimo Ciancimino ha avuto una condanna in primo grado di cinque anni ed otto mesi per riciclaggio e tentata estorsione, e da alcuni mesi è teste della procura. Di questa metamorfosi, dall'accusa di mafia alla richiesta di una scorta, si legge oggi su ''La Stampa".


Il figlio del politico-mafioso sta rispondendo alle domande dei pm della Direzione distrettuale antimafia nell'ambito di alcuni procedimenti che riguardano "la trattativa" che vi sarebbe stata fra uomini dello Stato e Cosa nostra prima della strage di via d'Amelio, in cui morì Paolo Borsellino e cinque  agenti della scorta ed altri intrecci che riguarderebbero Bernardo Provenzano e la politica.


La richiesta dei pm al Comitato provinciale per la sicurezza è arrivata dopo un episodio segnalato dallo stesso Ciancimino e che riguarda un pedinamento di cui sarebbe stato oggetto il 27 giugno scorso da parte di due moto a Palermo, di cui il "teste" è riuscito a prendere nota del numero di targa ed una è risultata essere stata rubata.


14/07/2008

domenica, luglio 13, 2008

E poi...

ROMA - I boss Salvatore e Sandro lo Piccolo, padre e figlio, hanno chiesto al giudice di sorveglianza di Milano, dove sono detenuti dal novembre scorso, la revoca del regime del 41 bis che è stato applicato loro, dopo l'arresto, dal ministro di Giustizia, su richiesta dei pm di Palermo.


Il ricorso dei due capimafia, come scrive l'edizione locale di Repubblica, sarà discusso mercoledì prossimo dall'avvocato milanese Maria Teresa Zampogna.


I Lo Piccolo hanno chiesto di essere ammessi a "vita comune" nel carcere come detenuti normali o, in subordine, di potere accedere a un regime meno severo. Salvatore Lo Piccolo arrestato in un villa nel palermitano il 5 novembre dell'anno scorso, avrebbe assunto, dopo la cattura di Bernardo Provenzano, secondo gli investigatori, il controllo dell'organizzazione criminale contendendo la leadership a Matteo Messina Denaro, boss latitante del trapanese.


Netta la presa di posizione delle forze politiche. "Non sia revocato il regime carcerario del 41 bis ai boss mafiosi Salvatore e Sandro Lo Piccolo", è l'appello del presidente dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri. "Incoraggiati dalle sconcertanti decisioni pro mafia prese da troppi giudici di sorveglianza, questi due capi cosca confidano in una decisione a loro favore mercoledì prossimo".


"Mi auguro che la magistratura sia consapevole della pericolosa ferocia di questi criminali e non cancelli il 41 bis. In ogni caso - afferma Gasparri - per porre fine a queste situazioni ambigue che favoriscono solo i boss, promuoverò iniziative legislative per ridurre il margine discrezionale così male usato dai giudici di sorveglianza".


"La richiesta avanzata da parte dei Lo Piccolo padre e figlio finalizzata a chiedere ai Magistrati del Tribunale di Sorveglianza di Milano la revoca del regime del carcere duro va ben oltre il semplice diritto di difesa assumendo, invece, un chiaro significato di sfida rivolta alle istituzioni", ha detto Salvino Caputo, componente della commissione regionale antimafia.


"Il loro livello di pericolosità - continua - la loro posizione di vertici di cosa nostra di Palermo, rappresentano elementi inconfutabili che, al contrario, richiedono un rafforzamento della misura di controllo all'interno del carcere".


13/07/2008

Fonte: La Sicilia

sabato, luglio 12, 2008

Estradato Panno

NEW YORK (USA) - È stato estradato dagli Usa Andrea Panno, indicato come il "postino" del boss Bernardo Provenzano.


L'uomo è arrivato stamani all'aeroporto di Fiumicino accompagnato da agenti dell'Fbi con un un aereo proveniente da New York. Panno è stato così arrestato dagli uomini dei carabinieri del Ros, che gli hanno notificato il provvedimento di custodia cautelare al quale era sfuggito tre anni fa.


L'uomo, accusato di avere portato in giro i "pizzini" di Provenzano, era stato rintracciato negli Stati uniti il 17 giugno scorso su segnalazione del Ros dalle autorità statunitensi, che ne avevano disposto l'espulsione.


12/07/2008

Fonte: La Sicilia

12 anni per Brusca

PALERMO - Un altro ergastolo per il boss Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina: l'omicidio del quale è stato riconosciuto esecutore materiale è quello di Enzo Salvatore Caravà, assassinato a San Cipirello il 12 aprile 1976.


La vittima era sospettata di avere avuto un ruolo nel sequestro e nella eliminazione di dell'esattore Luigi Corleo, suocero di Nino Salvo.


Dodici anni sono stati inflitti invece a Giovanni Brusca, riconosciuto colpevole dell'assassinio dell'imprenditore Pietro La Mantia, ucciso a Monreale nel 1990 per questioni di appalti.


La sentenza è stata pronunciata dalla prima sezione della Corte d'Assise di Palermo. Per l'omicidio Caravà, i giudici hanno anche deciso un'assoluzione, per il capomafia d San Cipirello, Giuseppe Agrigento, e dichiarato la prescrizione in favore di Giovanni Brusca.


12/07/2008

Fonte: La Sicilia

Il teatro...

TRAPANI - Uno spettacolo dal linguaggio potente che dà voce ed azione alla trappola che il racket e l'usura serrano attorno alle loro vittime. È "La Signora che guarda negli occhi", un progetto teatrale pensato e messo in scena dalla Compagnia teatrale M'arte nell'ambito del Progetto Ercole per sensibilizzare attraverso la forza emotiva del teatro ai temi della lotta al racket e all'usura.


Lo spettacolo verrà presentato in prima assoluta a Trapani mercoledì prossimo 16 luglio, con inizio alle ore 21.00, presso la Marina Arturo Stabile in via Ammiraglio Staiti e verrà replicato in tutti i principali centri della provincia per chiudere il ciclo di rappresentazioni domenica 20 Luglio ad Erice.


"Abbiamo scelto di portare sulla scena non una storia ma una condizione - afferma Sabrina Petix, autrice de 'La signora che guarda negli occhi' -. Il brano teatrale è un confronto a viso aperto con una realtà che fonda la sua esistenza sull'imperativo del silenzio, sull'omertà, sulla paura. Per questo è necessario guardare negli occhi la verità e saperla mostrare: dare il proprio supporto di presenza, il proprio strattone, in un momento storico in cui ogni focolaio di coraggio pronto ad accendersi necessita di un'eco che gli faccia da riparo e ne moltiplichi l'intensità".


Lo spettacolo - che trae ispirazione anche dal libro di Tano Grasso e Gaetano Savatteri "ladri di vita" - è stato scritto da Sabrina Petix che è una delle interpreti insieme a Maria Cucinotta e Filippo Luna.


La regia è di Giuseppe Cutino. Le scene e i costumi di Daniela Cernigliaro. Ad ogni rappresentazione seguirà un momento di riflessione con esponenti delle istituzioni e del mondo economico della provincia di Trapani. A Trapani interverranno il questore Giuseppe Gualtieri, l'imprenditore Vincenzo Conticello, il presidente dell'assindustria di Trapani Davide Durante e l'imprenditrice Francesca Stabile.


12/07/2008

Fonte: La Sicilia

Bagarella contro tutti...

SPOLETO (PERUGIA) - ll boss stragista Leoluca Bagarella, durante la sua permanenza al 41 bis nel carcere di Spoleto, è stato protagonista di una serie di episodi violenti.


E' stato condannato a un anno di reclusione dal tribunale di Spoleto per avere gettato dell'olio bollente contro un altro detenuto del carcere di Maiano procurandogli ustioni in diverse parti del corpo.


La sentenza - riportata oggi da alcuni giornali locali - è relativa a un episodio avvenuto nel 2005. Secondo la ricostruzione accusatoria Bagarella gettò l'olio bollente sull'altro detenuto impegnato nelle pulizie mentre questo passava davanti alla sua cella. Gli procurò così lesioni giudicate guaribili in dieci giorni.


Oltre ad aver lanciato il 24 aprile 2005 dell'olio bollente addosso a un altro detenuto, che è un boss della 'ndrangheta, minacciandolo di morte, per il quale è stato condannato a un anno di reclusione dal tribunale di Spoleto, ha pure aggredito il 28 settembre 2006 un agente della polizia penitenziaria.


Il capomafia, senza alcuna ragione apparente, si è scagliato contro un assistente della polizia penitenziaria che gli aveva aperto il cancello della camera in cui era rinchiuso.


Bagarella, trasferito in seguito nel carcere di Parma, ha proseguito anche in quell'istituto una serie di proteste, minacciando anche il direttore dell'istituto.


12/07/2008

Fonte: La Sicilia

venerdì, luglio 11, 2008

Sul 41 bis...

Cosa c'è che non va nella norma del 41 bis, quella dei carcere duro per i mafiosi? Qualcosa ci deve essere perché da una parte si moltiplicano gli annullamenti e i provvedimenti dei giudici che trasmigrano i detenuti a un regime carcerario meno stretto, dall'altra gli stessi magistrati sono allarmati per i continui colpi al sistema giustizia, tanto da aver deciso lo stato di agitazione. Ma l'allarme dell'Anm non riguarda ciò che sta accadendo per il 41 bis.


La verità è che piuttosto che arrivare a togliere il 41 bis a detenuti per fatti di mafia anche gravi e trasferirli tout court nei bracci dei detenuti comuni, una parte della magistratura chiede che la norma - in vigore dal 1975 - sia alla fine riformata. A chiederlo con forza, domenica, è un magistrato-simbolo della lotta antimafia: Giancarlo Caselli, oggi procuratore generale a Torino.


«La 41 bis è una norma intrisa del sangue e dell'intelligenza di due grandi magistrati come Falcone e Borsellino, ma nel corso degli anni ha subito un sostanziale depotenziamento», ha detto a Sky Tg24 il procuratore Caselli rilevando che «certamente serve un aggiornamento sulla base delle esperienze acquisite e dei mutamenti avvenuti in questi anni». «La procura generale di Torino - ha aggiunto - ha sempre ricorso contro le revoche del 41bis perché sappiamo tutti che i mafiosi non pentiti in carcere continuano ad avere rapporti strettissimi, a volte anche di comando, con l'esterno».


E del resto si legge in un documento di Giuristi democratici a questo proposito: « In nessun caso le limitazioni all'ordinario regime carcerario possono avere scopo diverso da quello di tipo preventivo, e meno che mai costituire strumento di aggressione alla integrità psico-fisica del detenuto per ottenere confessioni o collaborazioni, di talchè ogni applicazione pratica delle limitazioni previste dall'art. 41 bis peraltro oggi codificate, volte esclusivamente a fiaccare la resistenza del detenuto e a rendere ingiustificatamente più duro, ma non per questo più sicuro, il carcere, deve essere considerata illegittima. A maggior ragione ciò risulta grave se applicato nei confronti di categorie, quali gli oppositori sociali e politici che, per la ricordata indeterminatezza dell'art. 270 bis c.p., possono trovarsi a subire le suddette restrizioni, senza alcuna effettiva ragione di sicurezza».


La necessità di una riforma del 41 bis viene riconosciuta anche da parte dell'attuale maggioranza. «Quella del carcere duro, del 41 bis rigoroso ed efficace è un'emergenza urgente da affrontare se vogliamo davvero sconfiggere la mafia. Penso che in Parlamento si possa trovare un'intesa ampia e condivisa tra maggioranza ed opposizione per migliorare la normativa», afferma anche Carlo Vizzini del Pdl. «Nel 2002 introducemmo la stabilizzazione del regime carcerario insieme ad un nuovo rigore, fiaccato nel tempo da interpretazioni eccessivamente garantiste da parte dei tribunali di sorveglianza (37 annullamenti in 6 mesi). Il ministro Alfano lavora egregiamente esaminando e firmando con riserbo e rigore le nuove applicazioni, ma la normativa va resa più esplicita soprattutto sull'onere della prova della pericolosità dei detenuti. Carcere duro efficace e confisca dei patrimoni aggiunti all'azione di magistrati e forza dell'ordine - conclude - sono gli elementi per una vittoria contro le mafie oggi possibile».


A scandalizzarsi sono invece i familiari delle vittime. Ma soprattutto per gli annullamenti del carcere duro. «Siamo allo scandalo allo stato puro: sono anni che lanciamo allarmi contro l`abolizione del 41 bis, non è importato niente a nessuno delle stragi del 1993 in questo maledetto Paese le hanno volute tutti quanti». È il j'accuse di Maggiani Chelli dell'Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili sul passaggio di numerosi boss mafiosi dal regime carcerario previsto dall'art.41 bis a quello di detenuti comuni.


«Il passaggio da 41 bis a carcere normale di Gioachino Calabrò afferma Maggiani Chelli che diede ordine a Giuseppe Ferro Capo Mandamento di Alcamo di andare a Prato dal cognato Messana, di far preparare nel suo garage il pulmino imbottino di 300 chili di tritolo per portalo poi in via dei Georgofili, non lo capiremo mai», insiste Chelli. «Agiremo come meglio riterremmo opportuno, anche con la protesta di piazza, - conclude - se nelle prossime ore non avremmo chiari segnali che il Governo sta prendendo provvedimenti sul fronte del 41 bis per i mafiosi rei di strage».


Ma il problema forse va posto in altri termini, e non in mano ai familiari delle vittime con il loro legittimo rancore verso gli assassini: serve il 41 bis a far si che capi mafiosi non comunichino con l'esterno e non riescano più a tirare le fila dei loro affari lordi di sangue e violenza? Non si potrebbe passare da una legislazione emergenziale in aperto contrasto con l'impianto garantista del sistema a una riforma "normale" del codice di procedura penale? Il dibattito, aperto già prima delle elezioni, putroppo cozza con il clima che sulla giustizia si sta innescando tra governo e magistratura. Oltre che tra maggioranza e opposizione. 

Fonte: L'unità

Sventata...

SIRACUSA - L'obiettivo dei tre attentatori fermati dalla polizia a Siracusa in possesso di materiale esplodente, non particolarmente potente, era un magistrato donna che abita e lavora nel capoluogo aretuseo. È quanto emerge dalla indagini della squadra mobile della Questura.


Il candelotto 'artigianale', al cui interno sarebbe stata inserita la polvere pirica di 500 petardi, sarebbe dovuto essere fatto esplodere nei pressi della casa del magistrato, che lavora nel Tribunale di Siracusa.


Il particolare sarebbe stato confermato da uno dei tre, ma senza rendere noto il nome dell'obiettivo e il movente del progetto esplosivo.


Ai tre arrestati, che sono stati già condotti nella casa circondariale di Siracusa, è stato contestato il reato di porto e detenzione illegale di esplosivo.


Le indagini su un presunto attentato a un magistrato donna a Siracusa erano state avviate 10 giorni fa quando alla Questura del capoluogo aretuseo è giunta un'apposita segnalazione da uffici investigativi di Roma. Tra i particolari noti c'era quello che del progetto era a conoscenza un uomo di nome Benito, che gli investigatori ritengono sia proprio uno dei tre arrestati, Benito Ciranna.


La scoperta è avvenuta stanotte, intorno all'una, quando gli agenti della Mobile coordinati dal dirigente Gennaro Semeraro, hanno fermato un'auto nella zona di Città Giardino, a pochi chilometri dal centro aretuseo. All'interno si trovavano: Emanuele Mollica, 31 anni e Benito Linares, 35 anni.


Sotto il sedile anteriore dell'auto, lato passeggero, i poliziotti hanno ritrovato un ordigno rudimentale: un candelotto di esplosivo di 30 centimetri con all'estremità una miccia imbevuta con del liquido infiammabile. I due uomini sono stati arrestati. In manette anche lo zio dei due, Benito Ciranna, 68 anni, che è stato rintracciato nella sua  abitazione.


11/07/2008

Fonte: La Sicilia

Assurdo...

PALERMO - Il taglio delle spese per la giustizia, deciso in Finanziaria, fa sentire i suoi effetti anche alla procura di Palermo, dove i magistrati non hanno neppure i soldi per comprare la carte per fotocopiare le richieste di misure cautelari.


E spesso sono costretti a comprarla a proprie spese. A lanciare l'allarme è il procuratore Francesco Messineo che parla di "risorse economiche centellinate".


"Ne ho parlato col ministero più volte - spiega - ma mi è stato risposto che mancano i fondi. Qui la situazione è drammatica. Il nostro è un compito arduo. e siamo in un momento fondamentale: in un colpo solo potremo perdere tutte le battaglie vinte finora contro la mafia, se lo Stato non utilizza i mezzi che potrebbe e dovrebbe impiegare".


"Non riusciamo nemmeno a pagare le ditte che hanno effettuato le intercettazioni - aggiunge - Così non può andare. Se si vogliono portare a casa i risultati non si possono centellinare le risorse".


10/07/2008

Fonte: La Sicilia

Arrestato membro dei Porta Nuova

PALERMO - A Monreale i carabinieri hanno arrestato Salvatore Parisi, 54 anni, palermitano, ricercato dal 2007. E' accusato dalla Dda di Catania di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti e dalla Dda di Palermo di essere esponente di primo piano della famiglia mafiosa palermitana del "mandamento di Porta Nuova". Il latitante che in precedenza era sfuggito all'arresto già due volte, è stato scovato in un appartamento alla periferia della cittadina normanna alle porte del capoluogo. Parisi è stato trasferito nel carcere dell'Ucciardone di Palermo.

Fonte: La Sicilia

3 provvedimenti per "pizzo"...

PALERMO - Continua a incrinarsi il muro di omertà alzato, fino ad un recente passato, da tante vittime del racket a Palermo. Due commercianti, a cui le cosche avevano chiesto il pizzo e che avevano subito una serie di danneggiamenti da parte dei clan, hanno scelto di denunciare.


Grazie al loro contributo la notte scorsa gli agenti della mobile di Palermo, su disposizione della Dda, hanno fermato tre pregiudicati con l'accusa di estorsione aggravata. Nell'inchiesta sono coinvolti anche altri due pregiudicati, precedentemente arrestati dalla polizia per altri taglieggiamenti, e tuttora detenuti.


"Non passa giorno che qualche imprenditore, spontaneamente o convocato dalla polizia, non fornisca elementi preziosi per arrivare agli estorsori", ha commentato il questore di Palermo, Giuseppe Caruso.


I tre presunti estortori fermati dalla polizia, su ordine del pm della dda di Palermo Maurizio De Lucia, sono Domenico Marino, 36 anni, Giovan Battista Marino, 35 anni, e Maurizio Spataro, 40 anni.


I pregiudicati, già detenuti, indagati nell'ambito della stessa inchiesta sono Michele Siracusa, arrestato a giugno scorso e già condannato per mafia e Calogero Pillitteri, in carcere per un tentativo di estorsione ad una sala Bingo di Torino.


10/07/2008

Fonte: La Sicilia

mercoledì, luglio 09, 2008

Le motivazioni per la "lumaca"...

ROMA - E' responsabile di una "grave negligenza" che "non è scusabile" il giudice Edi Pinatto, il quale ha impiegato otto anni per scrivere le motivazioni della sentenza con cui il tribunale di Gela aveva condannato sette componenti del clan Madonia a complessivi 90 anni di carcere, determinando per diversi di loro la scarcerazione. E ha dimostrato "una forte incompatibilità a esprimere un rispetto anche minimo della funzione giudiziaria".


Lo mette nero su bianco la sezione disciplinare del Csm nelle motivazioni della sentenza con cui il 16 giugno scorso ha disposto la rimozione del magistrato dall'ordine giudiziario.


Un provvedimento drastico che è stato anche determinato dalla "insensibilità" dimostrata dal magistrato che, già punito in passato due volte per il suo ritardo, "non ha compreso che suo obbligo era concludere il suo lavoro senza cagionare altra lesione alla giurisdizione".


E' la Costituzione che "impone la motivazione dei provvedimenti" (articolo 111) per consentire alle parti, ma anche al sistema "di controllare" che le decisioni dei giudici "siano ispirate alla legge". Dunque "un ritardo che segue a una decisione già resa pubblica- sottolinea la sentenza di cui è relatore il consigliere Giuseppe Maria Berruti - impedisce la tempestiva verifica di tale primario obbligo del giudice e toglie alla parte il diritto al controllo processuale tempestivo della decisione".


E il ritardo diventa tanto più grave quando riguarda, come in questo caso, una materia sensibile come quella della mafia, che richiede "massima sensibilità del giudice al rispetto della sua funzione e alla necessità giuridica di rendere effettiva e credibile la sua decisione".


Rispetto che da parte di Pinatto non c'è stato: non solo c'è stata una "mancanza di giustificazione  della gravità del ritardo", visto che "le difficoltà" lamentate dal magistrato nel suo passaggio dal tribunale di Gela alla procura di Milano, sono quelle che "ogni sostituto di quella procura affronta ogni giorno".


Ma la sua sentenza sul clan Madonia "ha il taglio di un saggio" e "non è certo" che il magistrato nel provvedere alla sua stesura "abbia ragionato in termini di decisività degli argomenti e delle tesi esaminate".


E non basta: a pesare è stato anche il fatto che le precedenti sanzioni disciplinari (e che consistevano nella perdita di anzianità professionale) non hanno indotto il magistrato a cambiare comportamento. Di qui la scelta di rimuoverlo dall'ordine giudiziario, a fronte della "gravità" della vicenda.


08/07/2008

Fonte: La Sicilia

Arrestato negli U.S.A.

PALERMO - I carabinieri del Ros hanno arrestato negli Stati Uniti il boss latitante Andrea Panno. Il capomafia, originario di Casteldaccia (Palermo) era ricercato dal 2005, quando sfuggì al blitz denominato 'Grande mandamento' che portò all'arresto di decine di boss e gregari di Cosa nostra.


Il Ros si è avvalso della collaborazione dell'Fbi. Panno, nipote del capomafia Piddu, prima vittima 'eccellente' della guerra di mafia degli anni 80, per anni ha gestito la corrispondenza del padrino di Corleone Bernardo Provenzano durante la sua latitanza.


09/07/2008

Fonte: La Sicilia

4 ordini di custodia cautelare...

CALTANISSETTA - La cosca mafiosa dei Cammarata di Riesi (Caltanissetta) avrebbe costretto, con minacce e intimidazioni, l'assunzione di operai da parte di un'azienda agricola della famiglia Zonin in Sicilia. Un modo per imporre il pagamento del pizzo da parte degli imprenditori alla mafia.


Per questo motivo i carabinieri hanno eseguito quattro ordini di custodia cautelare emessi dal gip del tribunale di Caltanissetta. I provvedimenti sono stati eseguiti dai militari del reparto operativo di Caltanissetta, oltre che nel capoluogo anche a Novara e Riesi. L'inchiesta è stata coordinata dal procuratore Sergio Lari e dal sostituto della Dda, Nicolò Marino, i quali hanno chiesto e ottenuto dal gip, Giovanbattista Tona, le ordinanze.


L'indagine scaturisce da una escalation di intimidazioni, al chiaro fine estorsivo, che, dal dicembre 2007, hanno visto nuovamente vittima la proprietà dell'Azienda Feudo Principi di Butera Srl, che fa capo alla famiglia Zonin. Già in passato l'azienda era stata vittime di imposizione da parte delle cosche.


I carabinieri, attraverso intercettazioni e accertamenti, sono riusciti a individuare alcuni dei responsabili delle estorsioni che sono riconducibili a vario titolo al clan mafioso Cammarata.


09/07/2008

Fonte: La Sicilia

Assolti in otto...

CALTAGIRONE (CATANIA) - Il Tribunale di Caltagirone, a conclusione del processo Dionisio contro 11 presunti appartenenti alla cosca Santapaola, ha assolto nove persone e condannato a 8 anni di reclusione ciascuno Benedetto Di Stefano e Santo Giannona. Tra gli assolti, con la formula perchè il fatto non sussiste, ci sono anche l'ex sindaco di Palagonia Salvino Fagone e l'x deputato regionale di An, poi passato a La Destra, Gino Ioppolo. Per quest'ultimo era stato lo stesso Pm, Iole Boscarino, a sollecitare l'assoluzione. Gli altri assolti sono Salvatore Bizzini, Salvatore Di Mauro, Giuseppe Anzalone, Pietro Rampulla, Salvatore Grimaudo, Rosario Somma e Giuseppe Tangorra. L'inchiesta, avviata nel 2005, verteva su un presunto cartello di imprenditori e politici che, con esponenti di Cosa nostra, avrebbero condizionato gli appalti pubblici nel Catanese. Il processo si è svolto senza le intercettazioni eseguite dalle forze dell'ordine perchè dichiarate inutilizzabili dal Tribunale.


09/07/2008

Fonte: La Sicilia

martedì, luglio 08, 2008

Cosa nostra è viva...

PALERMO - A Palermo Cosa nostra si è già riorganizzata dopo gli arresti dei capimafia come Bernardo Provenzano, Nino Rotolo e Salvatore Lo Piccolo.


L'organizzazione criminale avrebbe già nuovi capi che gestiscono le famiglie mafiose, decidendo anche omicidi.


Tutto ciò emerge da alcune intercettazioni disposte dalla Direzione distrettuale antimafia, e in particolare da quelle che la scorsa settimana ha portato al fermo di quattro persone accusate di essere sicari delle cosche, pronti a uccidere il capomafia di Bagheria, Pietro Lo Iacono.


Dall'indagine della polizia di Stato emerge che Cosa nostra si sarebbe già riorganizzata dopo gli arresti dei capi storici effettuati negli ultimi due anni.


Ai vertici dell'organizzazione ci sarebbero dunque persone che hanno alle spalle una forza criminale, tanto da decidere l'uccisione di Pietro Lo Iacono, tornato in libertà da poco tempo, che è stato fino all'ultimo momento uno dei fedeli favoreggiatori di Bernardo Provenzano.


I nuovi capi delle famiglie mafiose di Palermo hanno scelto di tornare agli omicidi per far sentire il loro peso criminale a chi potrebbe contrastarli. Dalle intercettazioni emerge che "la sentenza di condanna a morte" per Lo Iacono è stata emessa dalle famiglie mafiose di Palermo e provincia.


La polizia, intercettando Michele Modica, fermato venerdì scorso, e per il quale il gip ha convalidato l'arresto emettendo ordinanza di custodia cautelare, ha scoperto il piano di morte e il fatto che "occorreva realizzare, subito e comunque, il delitto", in quanto,"c'è questa ordinazione così che ci posso fare... c'è ordine di là, di là, di quello pure", lasciando così intendere, come annotano i magistrati, "che l'ordine proveniva da più vertici di più famiglie mafiose".


L'omicidio doveva essere eseguito sabato scorso mentre il boss si recava allo stabilimento balneare di Santa Flavia, in provincia di Palermo.


07/07/2008

Fonte: La Sicilia

5 fermi a Caltanissetta...

CALTANISSETTA - Imponevano il pagamento del pizzo a imprenditori edili che aprivano cantieri a Caltanissetta. Per questo motivo i pm della procura della Repubblica hanno disposto il fermo di cinque persone. I provvedimenti sono stati eseguiti dalla polizia di Stato.


L'indagine della Squadra mobile ha fatto luce su una serie di estorsioni di cui sarebbero state vittime non solo gli imprenditori edili, ma anche titolari di bar, negozi di abbigliamento, ristoranti e onoranze funebri.


L'inchiesta è stata coordinata dal procuratore della Repubblica Sergio Lari, dall'aggiunto Amedeo Bertone, e dai sostituti Alessandro Picchi, Stefano Luciani e Vincenzo Liotta.

Gli indagati sono accusati a vario titolo di estorsione aggravata e continuata.


Sono stati arrestati Francesco Ercole Iacona, 49 anni, Giuseppe Vincitore, 36 anni, Pietro Riggio, 43 anni, Francesco Cantella, 50 anni e Gaetano Termini, 56 anni.


L'inchiesta ha preso le mosse dalle indagini condotte dopo l'operazione "Free Town" svolta nel 2004, e dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Alberto Carlo Ferrauto. Furono delineati i nuovi assetti organizzativi della mafia nel nisseno.


Le dichiarazioni di Ferrauto hanno inoltre, consentito di delineare gli assetti organizzativi e gli interessi in particolare nell'edilizia e nel commercio di varie famiglie mafiose, nonchè i loro organigramma.


Secondo gli investigatori sarebbe emerso che la cosca di Caltanissetta si era riorganizzata sotto le guida di Pietro Riggio che fu, scarcerato a marzo scorso ed era in attesa di essere sottoposto alla misura della libertà vigilata.


08/07/2008

Fonte: La Sicilia

Comincia il processo...

TRAPANI - È cominciato, con le questioni preliminari, davanti al tribunale di Trapani, presieduto dal giudice Alessandra Camassa, il processo che vede imputati, tra gli altri, l'ex deputato regionale al Territorio Bartolo Pellegrino, il presunto capomafia Francesco Pace, il figlio del boss Vincenzo Virga, Francesco, l'ex funzionario del Demanio Francesco Nasca e l'imprenditore Michele Martinez.


Sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, concorso esterno, estorsione, corruzione e danneggiamento. Dall'inchiesta che ha portato al dibattimento, coordinata dai pm della Dda di Palermo e condotta dalla squadra mobile di Trapani, emerse che la mafia, attraverso la compiacenza di imprenditori ed uomini politici, avrebbe condizionato il mercato degli appalti.


A carico degli imputati diverse intercettazioni ambientali e le dichiarazioni rese dall'imprenditore Antonino Birrittella che, l'anno scorso, ha deciso di collaborare con la giustizia. L'udienza è stata rinviata al 23 luglio per l'audizione di alcuni testi dell'accusa. Il pubblico ministero, Andrea Tarondo, citerà tre investigatori della squadra mobile.


L'ex assessore Pellegrino ha sempre sostenuto che in città opera "un verminaio affaristico" e che "l'indagine è stata costruita con la collaborazione di menti sopraffine".


07/07/2008

Fonte: La Sicilia

lunedì, luglio 07, 2008

La vittoria dei padrini...

PALERMO - È vuota la cella al 41 bis di Giuseppe La Mattina, uno dei mafiosi che uccise il giudice Paolo Borsellino. Sono rimaste libere anche le celle di Giuseppe Barranca e Gioacchino Calabrò, che si occuparono degli eccidi del 1993, fra Roma, Milano e Firenze. Nei raggi del carcere duro non ci sono più quattro capi storici della 'ndrangheta calabrese: Carmine De Stefano, Francesco Perna, Gianfranco Ruà e Santo Araniti, il mandante dell'omicidio Ligato. E neanche il boss della camorra Salvatore Luigi Graziano.


Negli ultimi sei mesi, trentasette padrini hanno lasciato i gironi del 41 bis. I padrini delle mafie hanno vinto, in gran silenzio, la loro battaglia legale nei tribunali di sorveglianza di mezza Italia. E così, sono tornati detenuti comuni, nonostante le condanne all'ergastolo e i misteri che ancora custodiscono. Al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e alle Direzioni distrettuali antimafia non è rimasto che prendere atto della lista degli annullamenti del 41 bis, che ogni giorno di più si allunga. L'ultimo provvedimento, pochi giorni fa, ha riguardato Antonino Madonia, il capofamiglia di Palermo Resuttana che in gioventù assassinò, fra tanti, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e il commissario Ninni Cassarà.

Ecco la lista di chi non è più al carcere duro. C'è Raffaele Galatolo, capo storico della famiglia palermitana dell'Acquasanta, condannato all'ergastolo.


C'è Arcangelo Piromalli, da Gioia Tauro. E poi, Costantino Sarno: a Napoli, lo chiamavano il re del contrabbando, ma lui preferiva starsene in Montenegro. Nella lista del carcere duro bocciato figurano quattordici mafiosi, 13 ndranghetisti, 8 camorristi, 2 rappresentanti della sacra corona unita pugliese. Per adesso è il 6,5 per cento del popolo del 41 bis, 566 reclusi in dodici istituti penitenziari, da Roma Rebibbia a Tolmezzo, passando per Viterbo, Ascoli, L'Aquila, Terni, Spoleto, Parma, Reggio Emilia, Milano, Novara e Cuneo. Gli annullamenti del 41 bis portano la firma di molti tribunali di sorveglianza, da Napoli a Torino. Ma la motivazione è sempre la stessa: "Non è dimostrata la persistente capacità del detenuto di mantenere tuttora contatti con l'associazione criminale di appartenenza".


Dice Giuseppe Lumia, senatore dei Ds ed ex presidente della commissione parlamentare antimafia: "La modifica della legge sul carcere duro è ormai una priorità. Vanno cambiati i criteri per l'assegnazione, agganciandoli esclusivamente alla pericolosità del detenuto, conme fosse una misura di prevenzione".


Il procuratore di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, spiega che "il 41 bis non è più quell'isolamento pressoché assoluto che era stato previsto nella legge varata dopo le stragi Falcone e Borsellino. I ripetuti interventi della Corte Costituzionale, a cui si è necessariamente adeguato il legislatore, hanno attenuato quel regime di isolamento". La preoccupazione dei capimafia resta sempre la stessa: "Inchieste e processi in svariate parti d'Italia - prosegue Pignatone - l'hanno dimostrato, i detenuti al 41 bis riescono a mantenere contatti con l'esterno, questione vitale per le organizzazioni criminali". Intercettazioni, anche recenti, hanno ribadito: accanto alle grandi strategie, i boss hanno scelto di proseguire in silenzio la loro battaglia contro il 41 bis.


Sommergendo di ricorsi i tribunali di sorveglianza. E qualche risultato sembra essere arrivato. Anche il procuratore di Reggio Calabria auspica "un intervento chiarificatore del legislatore, per mettere ordine ai contrasti giurisprudenziali che si verificano tra i vari tribunali di sorveglianza".


Il record di annullamenti spetta al tribunale di Torino (10). Seguono Perugia (9), Roma (8), L'Aquila (5), Bologna (3), Napoli (2), Ancona (1). Dice ancora il procuratore Pignatone: "La legge sul 41 bis è stata modificata nel 2002, in modo più rigoroso. Ma, evidentemente, sono necessari altri interventi". Lumia sollecita il ministro della Giustizia: "Presenterò un'interrogazione - annuncia - dopo il caso Madonia nessuna risposta è ancora arrivata dal Guardasigilli Angelino Alfano. La questione è urgente. Oggi, nelle carceri è ristretto il gotha delle mafie: va tenuto sotto controllo in modo adeguato, perché quel gruppo elabora ancora strategie, ricatta le istituzioni e mantiene soprattutto i contatti con l'esterno.


L'obiettivo di quel gotha resta l'allentamento del regime del carcere duro, ma anche la revisione dei processi". 

Fonte: La Repubblica

Il riconoscimento...

PALERMO - E' iniziato alle 9.30, nell'aula bunker del carcere palermitano dell'Ucciardone, l'incidente probatorio durante il quale 18 commercianti palermitani, che hanno ammesso di avere subito richieste estorsive dal clan mafioso dei boss Lo Piccolo, si troveranno faccia a faccia con i loro presunti estorsori.


Le vittime sono chiamate a effettuare quella che in gergo tecnico si chiama ricognizione. Separati da un vetro dagli uomini d'onore dovranno riconoscerli davanti al gip Maria Pino, confermando, eventualmente, quanto detto ai pubblici ministeri.


L'incidente probatorio è stato chiesto dai pm Domenico Gozzo, Gaetano Paci e Francesco Del Bene nell'ambito dell'indagine sul racket nel quartiere palermitano di San Lorenzo, capeggiato dai boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo. Al di là del vetro ci saranno alcuni tra i principali esponenti della cosca come Domenico Ciaramitaro e Domenico Caviglia.


E' la prima volta che a Palermo si effettua, in un procedimento sul pizzo, un riconoscimento all'americana e soprattutto che tante vittime ammettono di avere subito la richiesta estorsiva.


07/07/2008

Fonte: La Sicilia

Il "tariffario"...

Palermo, 5 lug. Il tariffario era diverso a seconda che si volesse sapere lo stato del procedimento oppure si volesse ritardare: 50, 300, 500, 800 euro, che ripetuti decine di volte facevano lievitare fino a 20mila euro la spesa necessaria ad aggiustare i processi. E' uno dei particolari che emerge dall'inchiesta Hiram, che ha fatto luce sugli intrecci tra mafia e massoneria per insabbiare i processi in Cassazione. Francesca Surdo, la poliziotta palermitana che lavorava a Roma alla direzione del Servizio centrale operativo e che e' coinvolta nelle indagini, avrebbe confessato.


Ulteriori riscontri, come riporta oggi il "Giornale di Sicilia" sarebbero stati trovati dai carabinieri del Reparto operativo del Comando provinciale di Trapani nelle agende di altri due arrestati il faccendiere Rodolfo Grancini e l'impiegato della Cassazione, Guido Peparaio. Le nuove carte sono state depositate ieri al Tribunale del riesame di Palermo. "L'accordo tra De Gregorio (Renato, ginecologo palermitano condannato anche in appello per violenza sessuale su una paziente e che avrebbe pagato fino a settantamila euro per far slittare il suo processo in cassazione, ndr) e Grancini (Rodolfo, il faccendiere che vantava contatti in ambienti politici ed ecclesiastici e ritenuto figura centrale dell'inchiesta, ndr) prevedeva che inizialmente si dovessero perseguire le strade ordinarie (con una spesa di ventimila euro). Successivamente seppi direttamente dal De Gregorio (e anche il Grancini me lo fece intendere) che l'aumento dei costi e i nuovi versamenti di denaro erano giustificati dalla necessita' di corrompere personale della Cassazione per procrastinare la trattazione dell'udienza".


Secondo quanto riferito dalla poliziotta "il prezziario era diverso, secondo che si dovesse ottenere una semplice visualizzazione dello stato del procedimento, ovvero che si volesse ottenere una dilazione nella trattazione del ricorso".

Fonte: Il tempo

Confisca di 473 mila euro...

PALERMO, 5 LUG - La procura di Palermo ha ottenuto la confisca di 473 mila euro in un libretto al portatore riconducibile al pentito Salvatore Contorno. E' uno dei primi pentiti di mafia che svelo' i segreti di Cosa nostra palermitana al giudice Falcone. La somma, depositata in una filiale del Banco di Sicilia, e' stata rivendicata da Giorgio Contorno, 52 anni, pastore, incensurato, fratello del pentito. Per i magistrati il denaro e' frutto di attivita' illecite ed e' riconducibile all'ex mafioso. 

Fonte: regione campania

34 arresti

I carabinieri del Comando provinciale di Agrigento hanno eseguito trentaquattro provvedimenti di custodia cautelare emessi dal gip su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Palermo. E' l'operazione, denominata "Scacco Matto", che ha sgominato le cosche mafiose della zona occidentale della provincia di Agrigento. Le trentaquattro persone coinvolte sono accusate a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, turbativa di gare d'appalto pubblico, condizionamento di sub appalti e imposizione di manodopera. Tra loro ci sono i referenti del clan mafioso dei Capizzi, un gruppo legato al boss latitante Falsone, in otto Comuni dell'Agrigentino.

Fonte: La Repubblica

sabato, luglio 05, 2008

Crocetta a proposito della "lumaca"...

PALERMO - "Non vorrei assistere al paradosso che in galera ci finisca il magistrato, mentre i mafiosi della cosca di 'Piddu' Madonia circolano liberi per le strade di Gela". Rosario Crocetta, sindaco di Gela, commenta così la sentenza di condanna a otto mesi per il giudice Edi Pinatto che ha depositato in ritardo di otto anni le motivazioni con le quali aveva condannato i componenti della famiglia mafiosa dei Madonia.


"Quando ho denunciato il mancato deposito della sentenza 'Grande oriente' - spiega Crocetta -, l'ho fatto affinché ritornassero in carcere soggetti pericolosissimi che hanno avuto condanne sino a 24 anni di carcere e sono ancora in libertà. L'attenzione principale torni dunque sul processo e sulla necessità di fare ritornare in galera soggetti di primo piano appartenenti a una delle cosche mafiose più pericolose della Sicilia".


04/07/2008

Fonte: La Sicilia