domenica, luglio 29, 2007

Messineo alla commemorazione di Chinnici

PALERMO - Il procuratore della Repubbica di Palermo, Francesco Messineo, lancia "un appello alla politica affinchè modifichi in tempi brevi le norme transitorie del nuovo Ordinamento giudiziario che penalizzano realtà come la Direzione distrettuale antimafia di Palermo". Intervenendo alla commemorazione dell'omicidio del giudice istruttore Rocco Chinnici, assassinato 24 anni fà a Palermo, Messineo ha detto che "le nuove norme, pur rispondendo a un principio sacrosanto qual è la temporaneità degli incarichi, rischiano davvero di essere devastanti su determinate strutture antimafia".
29/07/2007
Fonte: La Sicilia

Ma perchè Mastella non sta mai zitto...

PALERMO - Il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, oggi a Palermo per aprire la cerimonia di commemorazione del 24^ anniversario della morte di Rocco Chinnici, assassinato dalla mafia il 29 luglio 1983. Il Guardasigilli, alle 10.30, ha deposto una corona di fiori in via Pipitone Federico, dove Cosa Nostra uccise il magistrato, il portiere dello stabile Stefano Li Secchi e i carabinieri della scorta, Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta. Si salvò solo l'autista, Giovanni Paparcuri, che protetto dall'auto blindata rimase ferito.
"Dobbiamo essere grati a questi eroi del quotidiano - ha detto il ministro - e testimoniare il senso di profonda riconoscenza alla famiglia e a quanti accompagnarono Rocco Chinnici nella sua azione. Penso anche a Falcone e Borsellino e ai tanti che hanno dato la loro vita affinchè la giustizia fosse come quella che i cittadini vogliono". "Uomini come Chinnici - ha aggiunto Mastella - è giusto che pedagogicamente vengano ricordati e segnalati come esempio alle nuove generazioni". Dopo la cerimonia di deposizione delle corone di fiori sul luogo dell'eccidio, una messa nella caserma "Bonsignore" dei carabinieri ha ricordato le vittime della strage. 29/07/2007
Fonte: La Sicilia

giovedì, luglio 26, 2007

Si riapre l'inchiesta su Borsellino

ROMA - Sui tanti misteri ancora insoluti della strage di via D'Amelio, che costò la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della sua scorta, non indagherà soltanto la Procura di Caltanissetta che nelle scorse settimane ha riaperto l'inchiesta sui cosiddetti mandanti occulti. La commissione Antimafia, che oggi ha definito il quadro delle attività da svolgere dopo l'estate, ha annunciato l'avvio di una propria indagine.
"L'inchiesta - spiega una nota della commissione - prenderà il via dai nuovi elementi su possibili coinvolgimenti di apparati di sicurezza dello Stato emersi proprio in occasione dell'anniversario della strage".Il tema, dunque, sarà quello dell'eventuale implicazione di apparati deviati dello Stato nell'eccidio, tornati, nelle scorse settimane, all'attenzione degli inquirenti che hanno ripreso gli accertamenti dal punto in cui erano stati lasciati, e cioè dal Castello Utveggio situato sul monte Pellegrino, che sovrasta la via d'Amelio, dove venne messa l'autobomba che uccise il magistrato. Nell' edificio, oltre al Cerisdi, un centro di alta formazione, sarebbe stato ospitato anche un gruppo operativo del Sisde.Ma anche un altro organo dello Stato, il Copaco, il comitato parlamentare per i Servizi di informazione e sicurezza, ha puntato l'attenzione sulla vicenda. Domani avrebbe dovuto ascoltare il procuratore aggiunto di Caltanissetta Renato Di Natale che, insieme al sostituto Rocco Liguori, coordina la nuova inchiesta sui mandanti occulti. L'audizione, finalizzata ad "approfondire le questioni relative all'ipotizzato coinvolgimento di appartenenti ai servizi segreti e alle forze di polizia nella preparazione e nella esecuzione dell'attentato", però, è stata rinviata a data da destinarsi per un grave lutto familiare che ha colpito il magistrato.Intanto ieri, in un'ordinanza di otto pagine, depositata oggi e notificata ai familiari di Borsellino, il Gip di Caltanissetta Ottavio Sferlazza, che aveva respinto la richiesta di archiviazione dell'indagine sulla scomparsa dell'agenda rossa di Borsellino, documento ritenuto importantissimo dagli inquirenti, ha indicato alla Procura nuovi spunti investigativi da approfondire. Ai pm di Caltanissetta il magistrato ha chiesto di interrogare alcuni carabinieri ritratti dai filmati, girati dalle tv dopo la strage e acquisiti dalla procura. I militari sono accanto al tenente colonnello Giovanni Arcangioli, allora capitano, immortalato dopo l'esplosione con in mano la borsa del magistrato ucciso. Arcangioli, dopo il suo interrogatorio, è stato iscritto nel registro degli indagati per false dichiarazioni al pm. L'ufficiale avrebbe fornito una versione dei fatti che contrastava con quella di altri testimoni. Accanto all'allora capitano dei carabinieri vennero ripresi due colleghi, uno non è stato identificato formalmente, l'altro è l'appuntato Maggi che successivamente portò la borsa, ricomparsa nell'auto di Borsellino , in Questura. Ma l'agenda dentro non c'era più.
25/07/2007

Fonte: La Sicilia

300 mln di euro di sequestri

PALERMO - Maxi-sequestro di beni a Palermo da parte dei carabinieri del comando provinciale di Palermo che, in esecuzione di un provvedimento emesso d'urgenza dalla Sezione misure di prevenzione del tribunale, hanno confiscato beni per un valore di 300 milioni di euro al clan mafioso Buttitta di Trabia, un centro a una ventina di chilometri da Palermo. Si tratta di una delle più grosse operazioni patrimoniali contro Cosa Nostra condotte negli ultimi anni. Il patrimonio sequestrato comprende sei società edili, due imprese, un'azienda agricola, 600 immobili e 90 mezzi meccanici. A condurre al "tesoro" del clan sono state le indagini svolte in seguito all'arresto del boss Salvatore Rinella. E' attesa una conferenza stampa per le 11 al comando provinciale dei carabinieri.
Fonte: La Sicilia

martedì, luglio 24, 2007

Confiscata cantina di Riina

PALERMO - La cantina sociale Kaggio, confiscata a Salvatore Riina e Bernardo Brusca, diventerà un centro per la sperimentazione dei vini di qualità con la supervisione dei tecnici dell'Istituto Regionale per la Vite e il Vino.
Lo ha reso noto Salvino Caputo, Presidente del Gruppo Parlamentare di An all'assemblea regionale siciliana, al termine di un incontro con il Presidente del Consorzio Sviluppo e Legalità e Sindaco di Corleone, Nino Iannazzo e il Direttore dell'Istituto Gianmaria Sparma. La riunione ha come obiettivo quello di salvare la cantina dallo stato di totale abbandono e di trasformarla in una struttura produttiva per il territorio, al servizio delle numerose cooperative agricole che gestiscono i terreni confiscati a Cosa nostra nel comprensorio."Non possiamo più permettere - ha dichiarato Salvino Caputo - che la cantina confiscata al capo indiscusso della mafia, debba restare in totale abbandono nonostante lo scorso anno sono stati spesi oltre 750 mila euro per le opere di recinzione e di messa in sicurezza dell'intero impianto. Grazie alla disponibilità del Sindaco di Corleone Iannazzo e del Direttore dell'Istituto Sparma, la cantina potrà essere trasformata in un centro sperimentale per i vini di qualità e per lo stoccaggio delle uve prodotte nei campi sequestrati ai boss di Cosa Nostra".
23/07/2007
Fonte: La Sicilia

E via anche la moglie... Alè!

ROMA - La Cassazione ha confermato la condanna per diffamazione a carico della moglie di Marcello Dell'Utri, Miranda Natti. La donna aveva dichiarato che i giudici della Procura di Palermo, impegnati nelle indagini su Dell'Utri, erano ''omuncoli bisognosi di una perizia psichiatrica''.
Fonte: Corriere della sera

13 indagati a Varese

VARESE - La Procura antimafia di Milano ha chiuso l'inchiesta legata a lavori di ristrutturazione del reparto 'Infettivi' dell'Ospedale di Varese e ha inviato l'avviso di fine indagine ai 13 indagati, sospettati di abuso d'ufficio, falso e truffa ai danni della Regione Lombardia. Pende su di loro anche l'aggravante di aver favorito l'attivita' di un'organizzazione legata alla malavita organizzata di stampo mafioso. Lavori assegnati con un appalto da 11 miliardi di vecchie lire. Gli avvisi di fine indagine sono stati inviati ai vertici dell'Azienda ospedaliera di Varese a partire dall'ex Direttore generale, il lecchese Roberto Rotasperti, agli ex direttori amministrativi Mario Noschese (ora al Niguarda di Milano) e Sergio Tadiello, e altri due funzionari dell'azienda sanitaria.
Fonte: Corriere della sera

giovedì, luglio 19, 2007

Borsellino vive!

PALERMO - La giornata della memoria è cominciata con i bimbi delle elementari che fanno il gioco dell'oca della legalità in via Mariano D'Amelio davanti al cippo con l'ulivo che ricorda il procuratore aggiunto Paolo Borsellino, e gli agenti della polizia di Stato che gli facevano da scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Cusina, Claudio Traina e Vincenzo Limuli, massacrati nella strage del 19 luglio 1992 e di cui quest'anno ricorre il quindicesimo anniversario. Ma almeno finora la città normale, quella degli impiegati, dei commercianti e dei lavoratori, non ha testimoniato il ricordo per il giudice assassinato col tritolo. Non c'erano persone affacciate ai balconi, né lenzuoli appesi come un tempo quando a Palermo la gente esponeva teli bianchi con scritte antimafia. Sul cippo che ricorda la strage vi sono solo le corone d'alloro ufficiali, mancano i mazzi di fiori che fino ad alcuni anni fa portavano le persone lasciando un biglietto con una frase di speranza per il futuro. Una corona l'ha portata il presidente del Senato Franco Marini che ha detto: "Provo una grande emozione a Palermo dove sono venuto a ricordare Paolo Borsellino e gli agenti della scorta uccisi in via D'Amelio 15 anni fa. Si tratta di martiri della democrazia". Marini ha poi aggiunto che "occorre valutare con estrema attenzione tutti i nuovi indizi che emergono, per fare piena e completa luce sulle circostanze in cui maturarono quei tragici eventi, indagando senza alcun limite se non l'attenta ricerca della verità. Bisogna dare risposte al Paeseche chiede ancora di sapere come e perchè lo Stato possa essere stato attaccato, colpito anche se non vinto, da coloro che uccisero Borsellino e Falcone". Quindi il presidente del Senato è andato nell'aula magna del palazzo di Giustizia di Palermo dove politici, tra cui il sindaco di Roma Walter Veltroni, e magistrati commemorano le vittime. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha inviato un messaggio alla vedova di Borsellino, Agnese, scrivendo tra l'altro: "Trascorsi ormai quindici anni dal tragico attentato che costò la vita a Paolo Borsellino e agli agenti della sua scorta Catalano, Cosina, Loi, Li Muli e Traina, restano più che mai vivi nella mia memoria e in quella di tutti gli italiani il dolore e lo sgomento per un così terribile evento". Il presidente del Consiglio, Romano Prodi, ha inviato invece un messaggio al Prefetto di Palermo: "L'anniversario della strage di via D'Amelio rinnova in ciascuno di noi momenti di intensa e commossa riflessione su quel tragico evento che, a distanza di anni, è penetrato nel profondo delle nostre coscienze come punto drammaticamente oscuro della nostra storia. Ci stringiamo perciò ai familiari dei caduti. Il giudice Borsellino e gli agenti di scorta debbono essere considerati da tutti martiri gloriosi della nostra patria". E intanto mentre la Palermo ufficiale ricorda il magistrato e gli agenti della polizia di Stato, il giudice per le indagini preliminari di Caltanissetta, Ottavio Sferlazza, ha respinto la richiesta di archiviazione dell'inchiesta sul furto dell'"agenda rossa" di Borsellino, scomparsa dalla borsa del magistrato dopo la strage. Quell'agenda che, dice la sorella del giudice, Rita Borsellino, "se ritrovata potrebbe aiutare a ricostruire tante cose". 19/07/2007
Fonte: La Sicilia

Assolto l'ex sindaco di Trabia

(AGI) - Palermo, 18 lug. - Condanne per poco piu' di 20 anni di reclusione sono state inflitte a Palermo dal Gup Marco Mazzeo a 5 presunti appartenenti o fiancheggiatori della cosca mafiosa di Trabia. Assolto invece l'ex sindaco del paese, Giuseppe Di Vittorio. Con lui altre tre persone sono state scagionate dalle accuse. Le condanne sono state inflitte al boss Salvatore Rinella, che ha avuto due anni per possesso illegale di armi, mentre a 4 anni e 8 mesi ciascuno sono stati condannati Giuseppe Mario Conti, Salvatore La Barbera, Innocenzo Ponziano. Assolti oltre a Di Vittorio, i funzionari comunali Rosanna Modica e Giovanni Ciaccio, ma anche l'imprenditore titolare di una cava, Salvatore Buttitta. Di Vittorio che due anni fa venne arrestato, era accusato di avere favorito i boss attraverso la concessione di appalti e altri favori resi dall'amministrazione comunale. Gia' il Tribunale del Riesame pero' lo aveva rimesso in liberta', negando che sussistessero i presupposti dell'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Il boss Rinella, gia' condannato all'ergastolo per omicidio e per mafia in altri processi, rispondeva in questo procedimento soltanto di fatti minori.
Fonte: agi.it

mercoledì, luglio 18, 2007

Il sistema degli appalti

Catania, 17 lug. - Esiste “un vero e proprio sistema di acquisizione illecita degli appalti pubblici ’sotto soglia’ comunitaria incentrato sulla distinzione tra ‘gare libere’ (vale a dire soggette alle ordinarie forme di pubblicita’) e gare ‘non libere’ in quanto del tutto sottratte all’ordinario regime di pubblicita’ difficilmente conoscibile dai terzi e percio’ sostanzialmente riservate ad un ristretto numero di imprenditori operante sotto l’egida dei vari gruppi malavitosi e in accordo con i vari funzionari a vario modo chiamati a gestire tali appalti”. Lo scrivono i magistrati della Dda di Catania nella relazione presentata oggi alla commissione parlamentare Antimafia, in cui spiegano nel dettaglio il meccanismo piu’ volte svelato nel corso di inchieste sugli appalti. “I dati processuali -aggiungono- hanno permesso di accertare che nelle regioni caratterizzate dalla presenza della criminalita’ organizzata, dietro ogni gara d’appalto ‘non libera’ vi e’ sempre un imprenditore non interessato, il quale prima della celebrazione della gara si adopera per raggiungere un accordo spartitorio con il funzionario responsabile del procedimento cosi’ da ottenere l’assegnazione dell’appalto”. Una volta raggiunto l’accordo, l’imprenditore cui l’appalto e’ stato assegnato “e’ autorizzato a porre in essere la necessaria attivita’ di turbativa della gara occorrente per conseguire la formale aggiudicazione dell’appalto”. Un sistema, secondo i pm della Dda catanese da “grado di penetrazione assai elevato”.
Fonte: pubblicità oggi

martedì, luglio 17, 2007

Via D'Amelio, spuntano i servizi segreti

CATANIA - La procura della Repubblica di Caltanissetta indaga sul probabile coinvolgimento di apparati deviati dei servizi segreti nella strage di via d'Amelio in cui morì il procuratore aggiunto Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta.
Il procuratore aggiunto, Renato Di Natale, coordina l'inchiesta sui mandanti occulti della strage avvenuta il 19 luglio 1992. Secondo l'ipotesi degli inquirenti ci potrebbe essere la mano di qualcuno degli apparati deviati dei servizi segreti che ha forse avuto un ruolo nell'attentato. Questa pista di indagine, che in un primo momento era stata accantonata ed archiviata, è stata ripresa nei mesi scorsi dagli investigatori in seguito a nuovi input d'indagine.I magistrati stanno valutando una serie di documenti acquisiti dalla procura di Palermo e che riguardano il telecomando che potrebbe essere stato utilizzato dagli attentatori. A questo apparecchio è collegato un imprenditore palermitano. I processi che si sono svolti in passato hanno solo condannato gli esecutori materiali della strage, ma nulla si è mai saputo su chi ha premuto il pulsante che ha fatto saltare in aria Borsellino e gli agenti di scorta. Un altro elemento sul quale è puntata l'attenzione degli inquirenti, è "la presenza anomala" di un agente di polizia in via d'Amelio subito dopo l'esplosione. Si tratta di un poliziotto - già identificato dai magistrati - che prima della strage era in servizio a Palermo, ma venne trasferito a Firenze alcuni mesi prima di luglio dopo che i colleghi avevano scoperto da una intercettazione che aveva riferito "all'esterno" i nomi dei poliziotti di una squadra investigativa che indagava a San Lorenzo su un traffico di droga.
17/07/2007
Fonte: La Sicilia

lunedì, luglio 16, 2007

Arrestato ex pentito

CALTANISSETTA - I carabinieri del Reparto Operativo di Caltanissetta hanno arrestato l'ex collaboratore di giustizia, Calogero Pulci, 46 anni, perché accusato di associazione mafiosa, omicidio, porto illegale di armi, estorsione e danneggiamento. I pm della Direzione distrettuale antimafia ne hanno ordinato il fermo di polizia giudiziaria. L'ex pentito, scarcerato nell'ottobre scorso, era tornato a vivere a Sommatino (Caltanissetta), suo paese d'origine, dopo aver chiesto ed ottenuto di lasciare il programma di protezione. L'ex collaboratore è stato teste d'accusa in molti processi di mafia. Gli investigatori hanno accertato che Pulci, una volta tornato in Sicilia, ha iniziato a programmare attentati intimidatori ai danni di imprenditori ai quali imponeva il pagamento del pizzo, ma anche contro i carabinieri del proprio paese che lo sorvegliavano. È inoltre accusato dell'omicidio di un pregiudicato, Calogero Mancuso, avvenuto nel gennaio del 1990. Fra i progetti criminali scoperti dai carabinieri vi erano anche quelli di assassinare il sindaco del proprio paese e un altro pregiudicato.
Calogero Pulci è uomo d'onore della famiglia mafiosa di Caltanissetta. È stato il collaboratore di fiducia del capomandamento Giuseppe "Piddu" Madonia, al quale faceva anche da autista. E questa sua stretta collaborazione con il boss nisseno gli ha permesso di svelare, durante la collaborazione con la giustizia, molti retroscena dei fatti criminali più importanti di Cosa nostra. Pulci ha infatti reso dichiarazioni su collegamenti che vi erano sarebbero stati fra alcuni magistrati e mafiosi; sull'esplosivo utilizzato per il fallito attentato a Falcone all'Addaura. Ha testimoniato nei processi per le stragi di via D'Amelio e Capaci in cui morirono Falcone, Borsellino e gli agenti della scorta. È stato anche teste d'accusa nel processo al senatore Marcello Dell'Utri, condannato in primo grado a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Adesso, dalle intercettazioni ambientali e telefoniche eseguite dai carabinieri, emerge che l'ex collaboratore Calogero Pulci, stava tentando di scalzare dai vertici della cosca mafiosa locale il boss Francesco La Quatra di Sommatino (Caltanissetta). Gli investigatori hanno inoltre accertato che l'ex pentito nella scorsa primavera aveva programmato di uccidere il candidato sindaco del proprio paese alle ultime elezioni amministrative, il medico Salvatore Gattuso. Un altro progetto di morte riguardava il pregiudicato Domenico Cianci, per vendicarsi di un vecchio tentativo di omicidio, per il quale è ancora in corso un processo, che era stato compiuto proprio nei confronti di Pulci nel 1991, quando venne ferito alla testa con un colpo di pistola. L'ex pentito voleva inoltre intimidire il maresciallo dei carabinieri di Sommatino, Nicolò Zuccalà, incendiandogli l'auto o sparando alcuni colpi di pistola alla carrozzeria, come ritorsione per i serrati controlli a cui veniva sottoposto dai militari dell'Arma. I magistrati contestano nel provvedimento di fermo anche la tentata estorsione all'imprenditore Diego Drogo, nei confronti del quale Pulci avrebbe commissionato il danneggiamento della saracinesca del supermercato, avvenuto il 28 marzo 2006, con l'esplosione di alcuni colpi d'arma da fuoco. Per gli inquirenti Pulci dispone di armi e manovalanza criminale per la commissione di delitti ed estorsioni, ed era fondato il pericolo che poteva fuggire qualora avesse avuto sentore che vi erano indagini nei suoi confronti.
16/07/2007
Fonte: La Sicilia

Forse trovati i sicari di Lizzio

CATANIA - Un ordine di arresto è stato notificato a tre appartenenti alla cosca Santapaola nell'ambito delle indagini sull'uccisione dell'ispettore capo di polizia Giuseppe Lizzio, della squadra antiracket della squadra mobile della Questura etnea, assassinato il 27 luglio del 1992. Sono Filippo Branciforti, di 43 anni, Francesco Squillaci, di 38, e Francesco Di Grazia, di 41. Secondo l'accusa sarebbero i presunti esecutori materiali del delitto. Il provvedimento, emesso dal Gip Costanzo su richiesta del sostituto procuratore Francesco Puleio, è stato eseguito da agenti della squadra mobile della Questura. Giovanni Lizzio fu assassinato nella sua Alfa Romeo "75", mentre era incolonnato a un semaforo rosso di via Leucatia nel rione periferico Canalicchio. Due sicari si affiancarono alla vettura e spararono numerosi colpi di pistola alla testa e al torace. Morì nell' ospedale Cannizzaro dove fu trasportato in ambulanza. Per 10 anni era stato fra gli investigatori di punta della sezione omicidi della Questura di Catania. Per l'omicidio è stato condannato all'ergastolo, con sentenza passata in giudicato, il capomafia Benedetto Santapaola. Assolti il vice il nipote e alter ego del boss, Aldo Ercolano, e il loro luogotenente di fiducia, Carletto Calogerò Campanella.
16/07/2007
Fonte: La Sicilia

4 arresti a Messina

Messina, 14 lug. (Apcom) - La Squadra mobile di Messina ha arrestato 4 esponenti del clan mafioso capeggiato dal boss della zona Sud di Messina, Giacomo Spartà. Si tratta di Lorenzo Rossano, 41 anni, cognato del boss della zona sud, Giacomo Spartà, Rosa Rizzo, 57 anni, sorella del collaboratore di giustizia Sarino Rizzo, e i figli di questa, Giovanni e Cinzia Mento, di 35 e 32 anni. I quattro fanno parte del gruppo di 27 condannati nel processo "Alba chiara". Ieri i giudici della seconda sezione penale del Tribunale di Messina hanno emesso condanne per un totale di 270 anni di reclusione. A Lorenzo Rossano è stato inflitto il massimo della pena, 30 anni, così come al boss Spartà, già detenuto. Rosa Rizzo e i suoi figli sono stati invece condannati rispettivamente a 18, 15 e 21 anni. I giudici hanno firmato per loro il provvedimento che ripristina la custodia cautelare in carcere, ritenendoli socialmente pericolosi. I quattro sono stati ritenuti colpevoli di estorsione e traffico di stupefacenti, ma soprattutto con l'aggravante di aver commesso tali reati per agevolare l'associazione mafiosa capeggiata dal boss Giacomo Spartà. Il procedimento si è concluso ieri con 27 condanne e 33 assoluzioni, tra cui alcune clamorose. L'operazione "Albachiara" era scattata il 25 marzo del 2003 e l'accusa per gli imputati era di associazione mafiosa finalizzata ad estorsioni, traffico dl stupefacenti, organizzazione di corse clandestine di cavalli e gestione, nella stagione calcistica 2001-2002, dei servizi dello stadio comunale "Giovanni Celeste" e del servizio di pulizie del Policlinico universitario.
Fonte: alice.it

Lettera di Salvatore Borsellino

PALERMO - Sono ancora tante le domande senza risposta nella strage di via D'Amelio, il 19 luglio '92 a Palermo, in cui morirono il procuratore aggiunto Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta massacrati dall'esplosivo nascosto in una Fiat 126. Ne è convinto il fratello del magistrato, Salvatore Borsellino, che in una lettera aperta chiede di avere alcune di quelle risposte. "Chiedo al procuratore Pietro Giammanco - scrive - allontanato da Palermo dopo l'assassinio di Paolo perché non abbia disposto la bonifica e la zona di rimozione per via D'Amelio. Eppure nella stessa via, al n.68 era stato da poco scoperto un covo dei Madonia e, a parte il pericolo oggettivo per l'incolumità di Paolo Borsellino, le segnalazioni di pericolo reale che pervenivano i quei giorni erano tali da far confidare da Paolo a Pippo Tricoli lo stesso 19 luglio: 'è arrivato in città il carico di tritolo per me'". La stessa domanda Salvatore Borsellino la pone all'allora prefetto di Palermo Mario Jovine."Chiedo alla Procura di Caltanisseta - prosegue - e in particolare al gip Giovanbattista Tona, il motivo dell'archiviazione delle indagini relative alla pista del Castello Utveggio: eppure proprio da questo luogo partirono, subito dopo l'attentato, delle telefonate dal cellulare clonato di Borsellino a quello del funzionario del Sisde Contrada. Chiedo alla stessa Procura di Caltanissetta, e sempre allo stesso gip, i motivi dell'archiviazione dell'inchiesta relativa ai mandanti occulti delle stragi". Borsellino chiede alla procura nissena "di non archiviare, se non lo ha già fatto, le indagini relative alla sparizione dell'agenda rossa di Paolo e di chiarire il coinvolgimento di tutte le persone, dei servizi e non, in essa coinvolte"."Chiedo all'ex senatore Nicola Mancino di sforzare la memoria per raccontarci di che cosa si parlò nell'incontro con Paolo nei giorni immediatamente precedenti alla sua morte. O spiegarci perché, dopo avere telefonato a mio fratello per incontrarlo mentre stava interrogando Gaspare Mutolo, a sole 48 ore dalla strage, gli fece invece incontrare il capo della Polizia Parisi e il funzionario del Sisde Contrada", continua Salvatore Borsellino. "Da quell'incontro - aggiunge - Paolo uscì sconvolto tanto, come raccontò lo stesso Mutolo, da tenere in mano due sigarette accese contemporaneamente".
Per Salvatore Borsellino solo Mancino può riferire di quel colloquio perché altrimenti "a causa della sparizione dell'agenda rossa di Paolo, non saremo mai in grado di saperlo. E in quel colloquio si trova sicuramente la chiave dalla sua morte e della strage di Via D'Amelio". "Non ho accettato l'indennizzo che lo Stato mi avrebbe dato, dietro mia domanda, per la morte di Paolo - continua -. Si trattava, se non ricordo male, di 50 milioni di lire". "Sarebbe mio diritto 'pretendere' dallo Stato - dice - di conoscere la verità sull'assassinio di Paolo, ma da 'questo' Stato, da cui non ho accettato 'l'indennizzo' che pretendeva di offrirmi quale fratello di Paolo, indennizzo che andrebbe semmai offerto a tutti i giovani siciliani e italiani per quello che gli è stato tolto, sono sicuro che non otterrò altro che silenzi"."Di quante altre stragi, di quanti altri morti avremo ancora bisogno perché da parte dello Stato ci sia finalmente quella reazione decisa e soprattutto duratura, come finora non è mai stata, che porti alla sconfitta delle criminalità mafiosa e soprattutto dei poteri, sempre meno occulti, a essa legati?". "Di quante altre stragi avremo bisogno - aggiunge - perché venga finalmente rotto quel patto scellerato di non belligeranza che, come disse il giudice Di Lello il 20 Luglio del 1992, pezzi dello Stato hanno da decenni stretto con la mafia e che ha permesso e continua a permettere non solo la passata decennale latitanza di boss famosi come Riina e Provenzano ma la latitanza e l'impunità di decine di 'capi mandamento' che sono i veri padroni sia di Palermo che delle altre città della Sicilia".
16/07/2007
Fonte: La Sicilia

sabato, luglio 14, 2007

Ucciso imprenditore a Partinico

PALERMO - È stato assassinato con una pistola di piccolo calibro - probabilmente una 22 - Giuseppe Lo Baido, 36 anni, piccolo imprenditore ucciso ieri sera in una strada centrale di Partinico, nel palermitano. I killer l'hanno aspettato vicino a casa. Lo Baido aveva appena parcheggiato il suo fuoristrada quando gli assassini si sono affiancati alla macchina, hanno atteso che la vittima scendesse e gli hanno sparato da vicino tre colpi. Uno ha raggiunto un sopracciglio, gli altri due la nuca.
Poi il commando è fuggito via in auto, probabilmente la stessa che è stata ritrovata carbonizzata vicino al luogo del delitto con dentro una lupara, circostanza che ha indotto gli investigatori ad ipotizzare che quella fosse l'arma del delitto. L'ispezione cadaverica effettuata dal medico legale all'ospedale di Partinico, dove Lo Baido è stato portato dagli operatori del 118 quando presumibilmente era già morto, ha però escluso che i tre fori provocati dai proiettili siano di una lupara. Secondo gli inquirenti i killer dopo avere lasciato la macchina usata per la prima fuga si sarebbero allontanati a piedi. La lupara potrebbe essere stata portata dal commando per sicurezza e poi abbandonata perchè difficile da portare via in una fuga a piedi. A ucciderlo potrebbero essere stati due sicari. L'uomo è considerato dagli inquirenti elemento di spicco delle cosche. Le indagini sono condotte dai carabinieri. Lo Baido aveva piccoli precedenti per rissa. Già nel 2006 Cosa nostra aveva deciso di eliminarlo: la polizia, che indagava sul racket del pizzo e sulla cosca del paese, scoprì grazie alle intercettazioni delle conversazioni tra due esattori del racket, Giuseppe Alduino e Giovanni Speciale, che il piano per assassinare Lo Baido era pronto nel marzo di quell'anno. Il delitto era maturato nell'ambito di contrasti per la gestione del potere mafioso della zona. Speciali e Alduino vennero fermati, però, prima di compiere l'omicidio dalla polizia. Gli interrogatori dei familiari di Lo Baido sono durati tutta la notte. I carabinieri del reparto territoriale di Monreale e della compagnia di Partinico hanno sentito i congiunti dell'uomo, che non era sposato, che abitano a pochi metri dal luogo del delitto. Nessuno avrebbe assistito alla scena nonostante a quell'ora, intorno alle 21.30, le vie del paese fossero ancora affollate.Recentemente Lo Baido era stato negli Stati Uniti dove aveva incontrato il boss Francesco Nania arrestato nei mesi scorsi dall'Fbi che scoprì il latitante al termine di un'inchiesta condotta con la Dda di Palermo. Secondo gli investigatori Lo Baido sarebbe stato vicino al boss latitante di Altofonte Mimmo Raccuglia. E proprio oggi poche ore prima del delitto pene per oltre 250 anni di carcere erano state chieste dai pm della Dda, Maurizio De Lucia e Del Bene, nei confronti di 25 delle 27 persone della cosca di Partinico, imputate a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, favoreggiamento e turbativa d'asta, sotto processo davanti alla quarta sezione del tribunale di Palermo. Il dibattimento, nasce da due distinte operazioni di polizia, una del novembre 2004, l'altra di aprile 2005, che vede alla sbarra, tra gli altri, Leonardo, Vito, Michele, Giovanni e Antonino Vitale, componenti dell'omonimo clan alla guida della famiglia mafiosa di quella zona.
14/07/2007
Fonte: La Sicilia

venerdì, luglio 13, 2007

Cosa Nostra negli U.S.A.

PALERMO - Chi è Frank Calì, e perché tutti lo cercano? Quel nome - il nome di un siculo-americano - ritorna ossessivamente nelle "parlate" degli uomini di Cosa Nostra. Lo fanno a Palermo, lo ripetono nel New Jersey, lo bisbigliano a Corleone. Di Frank sentiremo ancora parlare, giurateci. Eppure, al Dipartimento di Giustizia, Calì non appare mai nei report sulle cinque "grandi famiglie" di New York, i Gambino, i Bonanno, i Lucchese, i Genovese e i Colombo. Soltanto poche, quasi distratte, righe in un dossier dell'Fbi. Più o meno un "signor nessuno" che deve avere però un potere invisibile o ancora sconosciuto, se negli ultimi tre anni per lo meno una mezza dozzina di "delegazioni" di mafiosi siciliani lo hanno raggiunto dall'altra parte dell'Oceano per discutere di "affari". Ma di quali affari? E, soprattutto, di quale portata e per quali progetti? Questa è la storia, o meglio il primo paragrafo di una storia che soltanto il tempo potrà scrivere. Vi si rintracciano indizi di un prepotente risveglio di Cosa Nostra dopo un muto decennio di ibernazione. La mafia sembra volersi liberare dall'arcaicità violenta dei Corleonesi per ritrovare dalla Sicilia - come in un passato glorioso - ruolo e protagonismo sulla scena internazionale. Nelle loro casseforti ci vogliono mettere soldi, molti soldi. Non vogliono più cadaveri per le strade o "picciotti" nelle galere. A che cosa sono serviti il sangue, le bombe contro lo Stato, gli ergastoli che hanno umiliato le famiglie? A niente. Ecco perché adesso tutti cercano Frank Calì. Del "signor nessuno" si può dire subito - per quel pochissimo che se ne sa - che è un uomo di rispetto della Famiglia Gambino designato per trattare, con i Siciliani, la nuova avventura. Se sono buone le intuizioni degli investigatori, i mafiosi vogliono ritornare ad essere brokers nel mercato illegale/legale mondiale. Frank Calì serve a tutto questo. È "l'ambasciatore" americano. Frank Calì ufficialmente è un imprenditore della Italian Food Distribution a New York. Da almeno tre anni, gli agenti dell'Fbi lo vedono intrattenersi con vecchi trafficanti della "Pizza Connection". E con giovani rampolli delle Famiglie palermitane, nati però negli Stati Uniti. E con gli emissari di Bernardo Provenzano e Totò Riina, i Corleonesi. Un'agenda di incontri che mette insieme amici e nemici di antiche guerre e di mai dimenticati stermini, tutti a far la fila da Frank Calì. L'elenco è lungo. Da lui vanno in più occasioni Nicola Mandalà e Nicola Notaro della Famiglia di Villabate, Gianni Nicchi della Famiglia di Pagliarelli, Vincenzo Brusca della Famiglia di Torretta. Ma forse la traccia più rilevante per capire che cosa sta accadendo è nelle triangolazioni telefoniche tra le utenze di Calì e i cellulari degli uomini di Salvatore Lo Piccolo, ricercato da 27 anni, oggi al primo posto della lista dei latitanti dopo la cattura di Bernardo Provenzano. Il suo "scacchiere diplomatico" non è stretto alla Sicilia. Un rapporto congiunto dell'Fbi e della Royal Canadian Mounted Police svela "i legami tra Frank Calì, Pietro Inzerillo e i membri del cartello criminale "Siderno" della 'ndrangheta". Alla sua corte ci sono proprio tutti, dunque. È la circostanza che spinge Fbi e Polizia criminale italiana a lavorare insieme, a scambiarsi informazioni e analisi come negli Anni Ottanta, quando Giovanni Falcone faceva squadra con il procuratore distrettuale Rudolph Giuliani. Si preparano a fronteggiare il nuovo piano di Cosa Nostra: la riscoperta dell'America. Con inaspettati protagonisti. Con nomi che, soltanto fino a qualche anno fa, a Palermo non si potevano nemmeno pronunciare. *** Sono tornati gli Inzerillo. Erano stati massacrati dall'aprile del 1981 all'ottobre del 1983 dai Corleonesi. "Di questi qua - disse Totò Riina - non deve rimanere sulla faccia della terra nemmeno il seme". Morì Totuccio, il rispettato capo di Passo Rigano, e poi morì suo figlio Giuseppe. Morirono in ventuno. Fratelli e zii e nipoti e cugini. Molti scomparvero afferrati dalla "lupara bianca", un impero di 27 società di riciclaggio rimase senza padroni. La scia di sangue si interruppe soltanto con l'intercessione dei parenti di Cherry Hill. Uomini potenti. Allora i più potenti d'America come Charles Gambino. Trattarono una resa senza onore. La Commissione siciliana pretese che gli Inzerillo avrebbero avuta salva la vita a condizione che non tornassero più nell'Isola. Mai più. E' la regola che dettò la Cosa Nostra di Totò Riina. Allora fu nominato, e lo è ancora oggi, un "responsabile" del rispetto di quel patto. Si chiama Saruzzo Naimo. Ma le regole, in Cosa Nostra, esistono per essere violate e interpretate per gli amici e applicate per i nemici. Così alla spicciolata gli Inzerillo sono rientrati a Palermo. Abitano tutti nella loro borgata di nascita, a Passo di Rigano. E' tornato Francesco Inzerillo, figlio di quel Pietro che l'Fbi e la polizia canadese "vedono" sempre con Frank Calì. E poi Tommaso Inzerillo, cugino di Totuccio e cognato di John Gambino, il figlio del vecchio Charles. E un altro Francesco, fratello di Totuccio. Espulso come "indesiderato" dagli Stati Uniti è tornato Rosario, un altro fratello di Totuccio. E' rientrato Giuseppe, figlio di Santo, ucciso e dissolto nell'acido solforico. Soprattutto è tornato l'unico figlio ancora vivo di Totuccio, Giovanni, nato a New York nel 1972, cittadino americano. A lui è toccato riaprire dopo venticinque anni la casa di via Castellana 346. Insieme a loro, sono riapparsi in città gli Spatola dell'Uditore, i Di Maggio di Torretta, i Bosco, i Di Maio, qualche Gambino. Insomma, quell'aristocrazia mafiosa che i contadini di Corleone avevano spazzato via con "tragedie", tradimenti, agguati. A Palermo gli Inzerillo hanno ricostituito la loro Famiglia. Con quale "autorizzazione"? Con quali appoggi? Con quali garanzie e impegni? Se la questione è un enigma per gli investigatori, impensierisce ancora di più alcuni alleati palermitani dei Corleonesi che erano stati in prima fila, nella strage degli Inzerillo. La preoccupazione diventa apprensione quando, nei viaggi in America, scoprono che accanto a Frank Calì c'è sempre un Inzerillo. A New York come a Palermo, per uscire dall'isolamento e pensare finalmente alla grande, bisogna fare necessariamente i conti con "quelli là" e le loro influenti parentele d'Oltreoceano. *** Nelle ultime intercettazioni ambientali - una vera miniera di inaspettate informazioni - "il discorso dell'America" è un tormentone tra i mafiosi. Riserva un punto di vista inedito su Cosa Nostra. Liquida ogni lettura convenzionale. Cosa Nostra non è il quieto monolite governato con i "pizzini" dalla furbizia contadina del vecchio Provenzano né è attraversata, come pure si è sostenuto, da una frattura territoriale e culturale. Da un lato, i contadini e i paesi di campagna. Dall'altra, i cittadini, la grande città, le borgate. E' invece un mondo smarrito e, al tempo stesso, eccitato dalle nuove opportunità. Ora, come per un riflesso condizionato, tentato di mettere mano alla pistola per eliminare ogni irritante contraddizione; ora convinto di dover cercare, senza sparare un colpo, compromessi per far valere la sola ragione che tutti può entusiasmare: fare i piccioli. Fare i soldi. Gli esiti della contesa sono del tutto imprevedibili. Nei prossimi mesi, la guerra ha la stessa possibilità di scoppiare quanto la pace. Chi lavora, con ostinazione paranoide, a una nuova contrapposizione si chiama Antonino Rotolo. E' il capomandamento di Pagliarelli. Basta ascoltare quali erano i suoi argomenti qualche giorno prima di finire in galera. "Questi Inzerillo - dice Rotolo ai suoi - erano bambini e poi sono cresciuti, questi ora hanno trent'anni. Come possiamo, noi, stare sereni... Se ne devono andare. E poi uno, e poi l'altro e poi l'altro ancora... Devono starsene in America. Si devono rivolgere a Saruzzo (Naimo) e se vengono in Italia li ammazziamo tutti. Come possiamo stare, noi, sereni quando io per esempio - l'ho detto e lo ripeto - so di un tizio che dice a uno dei figli di Inzerillo: "Non ti preoccupare tempo e buon tempo non dura sempre un tempo"... Noialtri non è che possiamo dormire a sonno pieno perché nel momento che noi ci addormentiamo a sonno pieno, può essere pure che non ci risvegliamo più. Alzando la testa questi, le prime revolverate sono per noi. Vero è... Picciotti, non è finito niente. Gli Inzerillo, i morti, li hanno sempre davanti. Ci sono sempre le ricorrenze. Si siedono a tavola e manca questo e manca quello. Queste cose non le possiamo scordare. Questi se ne devono andare, punto e basta, non c'è Dio che li può aiutare... Ce ne dobbiamo liberare e così ci leviamo il pensiero... Per il bene di tutti, noi questo dobbiamo fare. L'avete capito o no che quello, Lo Piccolo, li utilizza già gli Inzerillo? Questa storia non finisce, non finirà mai...". Antonino Rotolo affronta con Alessandro Mannino, nipote prediletto di Totuccio Inzerillo, "il discorso dell'America". Senza giri di parole, in modo brusco. Gli dice: "Tu sei il nipote di Totuccio Inzerillo il quale, con altri, senza ragione alcuna sono venuti a cercarci per ammazzarci, ma a loro nessuno gli aveva fatto niente. Ci hanno cercato e ci hanno trovato. Peggio per loro. Non siamo stati noi a cercarli. Così si è creata questa situazione di lutti e di carceri. La responsabilità è di tuo zio e compagni, se ci sono morti e se ci sono carcerati. Quindi io ti dico che non c'è differenza tra voi, che avete i morti, e le famiglie che hanno la gente in galera per sempre, perché sono morti vivi. Quindi, i tuoi parenti devono rimanere all'America, devono rimanere sempre reperibili. Ai tuoi parenti garanzie non ne può dare nessuno. I tuoi parenti se ne devono andare e ci devono fare solo sapere dove vanno perché noi li dobbiamo tenere sempre sotto controllo". *** Anche Antonino Rotolo ha spedito a New York il suo fidato "messaggero", Gianni Nicchi, giovane e "sperto". Al rientro dalla missione, si fa raccontare e quel che ascolta non gli piace. Rotolo, se sono sincere le sue parole, non si fida delle promesse di Frank Calì. Crede che siano soltanto "chiacchiere" per restituire Palermo agli Inzerillo. I suoi sospetti lo isolano dentro Cosa Nostra. Salvatore Lo Piccolo - il suo competitore nelle borgate - ha già chiuso l'accordo con gli Americani. L'ago della bilancia è Provenzano. Però anche a Provenzano fa gola riallacciare i rapporti con i suoi antichi nemici e ritrovarseli dopo un quarto di secolo al suo fianco. Negli ultimi mesi della sua latitanza, finita l'11 aprile del 2006, mette in moto tutta la sua sapienza ambigua. In un rosario di "pizzini" inviati ai suoi, finge di non sapere che gli Inzerillo sono già tutti a Palermo. Minimizza la rilevanza di quel ritorno. Quando gli capita, consiglia di accoglierli "se vogliono passare il Natale con i loro parenti" o se devono scontare scampoli di pena in Italia, una volta espulsi dagli Stati Uniti. E' l'abituale inganno "corleonese". In realtà, il lavorio di mediazione con gli Americani è l'ultima grande fatica del Padrino di Corleone. Da due anni, "il vecchio" si adopera per il recupero totale alle fortune di Cosa Nostra degli Inzerillo, soprattutto dei loro legami con la mafia americana. Nicola Mandalà è l'uomo più fidato dell'inner circle di Bernardo Provenzano. Lo aiuta a farsi operare alla prostata in una clinica di Marsiglia. Fa due viaggi a New York per incontrare Frank Calì e Pietro Inzerillo. E' possibile che Mandalà, generosamente finanziato con 40 mila dollari a trasferta, abbia fatto tutto questo senza un mandato di Provenzano? Un altro "contadino" di Corleone va in America. E' quel Bernardo Riina che sarà poi arrestato come "ultimo anello" che conduce i poliziotti nel rifugio di Montagna dei Cavalli. Bernardo Riina costituisce una società a New York insieme a suo figlio nel gennaio del 2006. Appena cento giorni prima della cattura del suo Padrino. E' il ponte lanciato dalla Sicilia all'America. E' un capovolgimento di schemi e di logiche dove i Corleonesi - dati per spacciati dopo l'arresto dei suoi rappresentanti più famosi - non solo non stanno abbandonando i posti di comando di Cosa Nostra ma, al contrario, provano a penetrare un altro mondo: gli Stati Uniti. Il personaggio chiave è, dunque, il nostro misteriosissimo Frank Calì che distribuisce Italian Food su tutta la costa atlantica. Ancora più misteriose, al momento, sono le occasioni economiche e finanziarie che le due mafie prevedono di cogliere insieme. Tempo e buon tempo non dura sempre un tempo. Cosa Nostra si prepara alla sua nuova stagione.
Fonte: La Repubblica

Bagarella all'ergastolo

TRAPANI - La Corte di Assise di Trapani ha condannato all'ergastolo il boss corleonese Leoluca Bagarella, ritenendolo colpevole dell'omicidio di Giovanni Zichittella, ucciso 14 anni fa a Marsala nell'ambito della guerra di mafia. Bagarella è stato condannato anche per il duplice omicidio di Agostino D'Agati di Altavilla Milicia e del pugliese Ernesto Buffa, entrambi assassinati il 26 ottobre del '91 in Emilia Romagna. I loro corpi furono rinvenuti nel bagagliaio dell'auto di Buffa, nell'area di servizio Rubicone Nord, tra Cesena e Rimini, nell'autostrada A 14. D'Agati sarebbe stato a conoscenza del misterioso ruolo assunto da Totuccio Contorno dopo la scelta di collaborare con la giustizia. L'avvocato Nicolò Gervasi, difensore di Bagarella, ha annunciato appello. "La Corte - dice - non ha tenuto conto dei palesi contrasti emersi dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, sentiti durante il dibattimento".
12/07/2007
Fonte: La Sicilia

Il boss riceveva nell'ufficio del sindaco

PALERMO - Quando l'ex sindaco di Villabate Giuseppe Navetta, eletto nella lista di Forza Italia, era assente, nella stanza in municipio il boss Antonino Mandalà era solito ricevere amici e cittadini in cerca di favori. Il particolare è stato rivelato dal maresciallo Sigismondo Caldareri, ex comandante della stazione dei carabinieri di Villabate, che oggi ha deposto al processo a sette persone accusate, a vario titolo, di associazione mafiosa e corruzione, in corso davanti alla quinta sezione del tribunale di Palermo. "Abbiamo accertato - ha detto il sottufficiale - che quando il primo cittadino non era in Municipio, Mandalà occupava il suo ufficio per ricevere persone". Il maresciallo ha poi ricostruito in aula le fasi della collaborazione con la giustizia di Francesco Campanella, ex presidente del Consiglio Comunale di Villabate e dipendente del Credito Siciliano, che procurò al capomafia Bernardo Provenzano la falsa carta di identità usata dal boss nel 2003 per i due viaggi a Marsiglia. "Campanella - ha detto - mi disse che voleva parlarmi. Aveva da poco ricevuto l'avviso di garanzia in cui la procura lo accusava di concorso in associazione mafiosa. Ci incontrammo l'1 aprile del 2005. Mi annunciò che voleva liberarsi l'anima da diverse malefatte, io comunicai la cosa ai magistrati e venne avviato il programma di protezione". Campanella, dopo alcuni giorni, raccontò agli investigatori che Nicola Mandalà, figlio del boss Antonino, tra gli organizzatori del viaggio in Francia di Provenzano, gli aveva chiesto di procurargli tre schede per i cellulari. "Campanella - ha aggiunto - seppe che erano ricollegabili al trasferimento del padrino di Corleone a Marsiglia". Infine il pentito fornì ai carabinieri copia del documento di identità di Giovanni Nicchi, capomafia di Porta Nuova, attualmente latitante, che Mandalà gli aveva presentato per fargli aprire un conto corrente al Credito Siciliano. "Campanella - ha concluso il maresciallo - aveva incontrato Nicchi nel 2004 e nel 2005, allora lui aveva solo 23 anni, ma il rispetto che i Mandalà gli tributavano aveva fatto comprendere al collaboratore che si trattava di una persona importante in Cosa nostra". Nicchi, sfuggito al blitz denominato Gotha, che a giugno del 2006 ha portato all'arresto di decine di boss e gregari, è ritenuto tra i capimafia più potenti di Palermo. Il processo è stato rinviato al 20 settembre. Il 2 ottobre, nell'aula bunker di Firenze, verrà invece sentito Campanella.
12/07/2007
Fonte: La Sicilia

mercoledì, luglio 11, 2007

Solidarietà a Piero Ricca

In attesa che la giustizia faccia il proprio corso e Ricca possa ritornare a manifestare il proprio pensiero pubblichiamo una sua lettera inviata agli amici in rete:
CARI AMICI, NON POSSO AGGIORNARE IL BLOG.
Mi è stato chiuso con atto della procura di Roma, un 'sequestro preventivo' notificatomi alle 14,00 di oggi da due agenti della guardia di finanza del nucleo speciale contro le frodi telematiche, venuti da Roma. Il sequestro proviene da una querela per diffamazione presentata da Emilio Fede nei miei confronti per la famosa contestazione al circolo della stampa.Con il medesimo provedimento hanno cancellato un mio post relativo alla vicenda Fede e i commenti in calce. Non hanno potuto, per motivi tecnici, togliere il video da youtube. Naturalmente farò immediata richiesta di disequestro. Intanto posso solo scrivere queste righe in questa sede. Fra poco manderò un comunicato ai siti amici, e vi chiedo fin d'ora di farlo girare. Con Fede ce la vedremo in tribunale, magari davanti a uno dei magistrati diffamati e spiati negli anni del governo del suo datore di lavoro. E continueremo a criticare lui e i suoi simili sulla pubblica piazza, in nuove manifestazioni di dissenso. Nessuno riuscirà a sequestrare la libertà di espressione, mia e degli amici di Qui Milano Libera e del blog: questo è certo.
Grazie a tutti.

A presto, Piero.

25 mln di euro di sequestri

La Dia di Messina ha sequestrato beni per un valore complessivo di 25 milioni di euro a Sebastiano Rampulla, già condannato per mafia. Nell'operazione sono stati impiegati oltre 100 uomini della Dia. Sono state sequestrate aziende e appezzamenti di terreni nelle provincie di Messina, Catania ed Enna. Sebastiano Rampulla è ritenuto il capo di Cosa nostra nella provincia di Messina, e al vertice della famiglia di Mistretta, il cui raggio di azione spazia anche nei territori delle provincie di Messina, Catania ed Enna. Il sequestro ha riguardato anche Maria Rampulla, sorella di Sebastiano.
Fonte: La Sicilia

Anonimi contro la mafia

PALERMO - Manifesti anonimi contro la mafia e contro l'abolizione dell'ergastolo sono comparsi sui muri in diverse zone di Palermo. Accanto ai cartelli dei negozianti che promuovono i 'saldi' cominciati lo scorso sabato, nei manifesti anonimi campeggia la scritta "Arrivano i saldi-Ma non per i mafiosi-abolire l'ergastolo è un crimine". Una campagna provocatoria proprio in concomitanza con l'avvio degli sconti in città e che ricorda quella lanciata, inizialmente in forma anonima, contro il racket delle estorsioni dai ragazzi di Addiopizzo. Altri manifesti sono stati affissi a Bagheria, Ficarazzi e Monreale. La proposta di abolizione dell'ergastolo è da settimane al centro di polemiche. E proprio questa notte, due negozi di Palermo, una pasticceria e una profumeria, hanno subito danneggiamenti. Entrambi gli episodi potrebbero essere riconducibili a intimidazioni da parte del racket delle estorsioni. Il titolare della pasticceria Mercurio, in via Tiepoli, ha trovato questa mattina il lucchetto della saracinesca del locale incollato con dell'attak e ha presentato denuncia. La proprietaria della profumeria, in via Tommaso Natale, invece, all'apertura del negozio ha trovato la saracinesca e l'insegna incendiate. Di fronte all'ingresso dell'esercizio commerciale è stata trovata una chiazza di liquido infiammabile. Sui due episodi indaga la polizia.
11/07/2007
Fonte: La Sicilia

I morti sono tutti uguali!

Roma, 9 lug. (Apcom) - L'associazione Libera guidata da don Ciotti esprime "forte preoccupazione per la recente comunicazione del ministero del Tesoro che di fatto blocca il provvedimento legislativo teso ad equiparare le vittime di mafia a quelle del terrorismo". Lo scrive la stessa associazione in una nota. "Nelle motivazioni della nota del ministero - commenta Ciotti, presidente di Libera - la previsione dei costi viene drammatizzata e soprattutto la quantificazione della stima per ulteriori morti all'anno appare non congrua e moralmente inaccettabile. Se quel provvedimento non fosse varato, lo Stato lancerebbe ancora una volta un segnale preoccupante nei confronti dei familiari che in questo modo subirebbero un'ulteriore umiliazione". "Il valore della richiesta oltre che concreto è simbolico - prosegue il religioso - non è solo un aiuto economico finalmente equiparato e che pone fine alla disparità attualmente esistente tra vittime di serie A e di serie B. I morti sono tutti uguali! In questo modo lo Stato testimonia con fermezza ed efficacia l'impegno sulla strada del contrasto alle mafie. Loro - conclude don Ciotti - sono morti non soltanto perché non siamo stati abbastanza vivi ma per chiederci di non arrenderci, di non dimenticare e di non ridurre l'impegno contro la violenza, le ingiustizie e le mafie".
Fonte: alice.it

sabato, luglio 07, 2007

Il giornale dell'università di Enna decide di non pubblicare questo articolo. Perchè?

300mila euro o 300mila voti? (nella foto Benedetto Pace)
Con un emendamento presentato dall'onorevole Crisafulli, la camera dei deputati ha stanziato un contributo straordinario di 300mila euro all'università Kore di Enna. I commenti, ovviamente, non possono che essere positivi all'interno dell'ateneo, il presidente Salerno si dichiara contento e precisa che l'intervento finanziario più alto è andato alla Kore, un segnale che lo Stato apprezza l'università ennese. Però, come scrive Lorenzo Grissini dell' indipendenteonline.worldpress.com, come avviene che in questi tempi di vacche magre per l'università italiana all'ateneo di Enna arrivino 300mila euro? Avviene perché l'università di Enna è gestita da politici: il comitato tecnico organizzativo (in parole povere il cda) vede tra i suoi membri solo politici, il presidente dell'università è un politico e il magnifico rettore idem. Gli amici in parlamento sono molti e alcuni di loro sono anche venuti a visitare la Kore e a tenere noiose lezioni sull' Europa. Fin qui poco male (in realtà non è un bene che il sapere sia gestito dalla politica), l'hanno fatta loro l'università e fino a quando vorranno la gestiranno. Il problema nasce quando i quotidiani locali omettono il fatto che i 300mila sono il frutto della tanto criticata legge "mancia", ovvero una pioggia di milioni per lasciare un segno tangibile nel territorio del collegio elettorale del deputato che si è interessato a fare arrivare la somma (on. Crisafulli). Il contributo alla Kore rientra nei 17 milioni di euro stanziati dal governo (per fortuna minori rispetto ai 222 milioni stanziati da Berlusconi) per 208 finanziamenti, la maggior parte andati a comuni, parrocchie e università. L'ennesima delusione per il cittadino che vede i propri soldi spesi per garantire al politico di turno la sua rielezione, e a pagare siamo sempre noi. La storia si ripete.
Benedetto Pace

Chiesti 80 anni di carcere

(AGI) - Palermo, 3 lug. - Condanne per poco meno di 80 anni di carcere sono state chieste dai Pm della Direzione distrettuale antimafia di Palermo Nino Di Matteo e Lia Sava nei confronti di un gruppo di presunti appartenenti alla cosca di Villabate. La pena piu' alta, 12 anni, e' stata chiesta per Francesco Caponnetto, accusato di associazione mafiosa e estorsione. Le altre pene riguardano Gioacchino Badagliacca, per il quale sono stati proposti 10 anni, Vincenzo Paparopoli, commerciante di prodotti ortofrutticoli (8 anni), Vincenzo Alfano e Giampiero Pitarresi (9 anni e 4 mesi ciascuno), Giuseppe Costa e Francesco Terranova (8 anni ciascuno), il padre del reggente del mandamento di Villabate, Antonino Mandala' (6 anni), Matteo D'Assaro (3 anni), Giuseppe Di Noto, ingegnere (5 anni) e l'architetto Oscar Amato, che risponde solo di favoreggiamento e per il quale e' stato chiesto un anno e 4 mesi. Al centro della requisitoria, tenuta oggi nell'aula bunker del carcere dell'Ucciardone, le vicende collegate all'approvazione del piano commerciale del Comune a 5 chilometri da Palermo: i boss avrebbero sposato in in pieno il progetto della societa' Asset development, vicina a imprenditori di sinistra, che intendeva realizzare un mega centro con spazi culturali e cinematografici in un'ampia area del territorio di Villabate. I Pm Sava e Di Matteo hanno parlato del grande interesse della cosca capeggiata da Nicola Mandala' per questo piano e della cogestione che i boss avrebbero voluto assicurare sia negli appalti che nella prosecuzione dell'attivita' del megacentro.
Fonte: agi.it

Gotha bis

(AGI) - Palermo, 4 lug. -Pesanti condanne sono state chieste oggi dal pubblico ministero Domenico Gozzo nel processo "Gotha bis", contro alcuni presunti mafiosi della zona occidentale di Palermo. In tutto Gozzo ha proposto al giudice dell'udienza preliminare Rachele Monfredi di condannare a 46 anni di carcere tre dei sei imputati del procedimento, che si tiene col rito abbreviato: 21 anni sono stati chiesti per Vincenzo Pipitone, capomafia di Carini e fedele alleato del superlatitante Salvatore Lo Piccolo; 7 anni per il fratello Giovan Battista, 18 per Antonino Di Maggio, che pure non e' considerato un capo ma solo un "personaggio di spicco e di enorme rilievo". Nel processo sono imputati anche Vincenzo Vallelunga, Salvatore Davi' e Girolamo Biondino, le cui posizioni sono state trattate, nell'udienza di venerdi' scorso, dall'altro pm del processo, Gaetano Paci. Ha scelto il rito ordinario e sara' giudicato in ottobre il reggente del mandamento di San Lorenzo, il medico Antonino Cina'. Le arringhe delle parti civili (le associazioni Sos Impresa e Addiopizzo) e dei legali cominceranno lunedi'. Entro il 20 luglio la sentenza.
Fonte: agi.it

I soliti stronzi...

PALERMO - "Figlio di p..., ti faccio togliere il vizio... tu con la mafia, l'antimafia.... ti ammazzo, ti sparo in bocca". Sono le parole di minaccia di un uomo con un marcato accento palermitano raccolte al telefono da Maurizio Artale, responsabile del centro di accoglienza Padre Nostro, fondato nel quartiere Brancaccio a Palermo da don Pino Puglisi, il sacerdote ucciso da Cosa nostra. La telefonata minatoria è stata fatta lo scorso primo luglio sul cellulare intestato al centro Padre nostro e utilizzato dal responsabile della struttura che ha presentato denuncia ai carabinieri. "Prima gli atti vandalici ai mezzi del centro e la promessa da parte di politici e istituzioni di un incontro con il prefetto di Palermo, mai avvenuto - si legge in una nota del centro Padre nostro -, ora le minacce al suo responsabile, così si vuole minare la serenità di chi ha scelto di seguire il sogno di padre Pino Puglisi, dedicandosi ai bisogni di questa bella città di cui molti ne inseguono le luci e di cui pochi vengono avvolti dalle sue ombre e dai suoi silenzi. Non desideriamo la solidarietà di nessuno, vogliamo che ognuno, nel suo ruolo, faccia qualcosa". 06/07/2007
Fonte: La sicilia

venerdì, luglio 06, 2007

Ancora confische a Badalamenti

PALERMO - La sua morte non ha bloccato il passaggio allo Stato dei beni. Sono stati confiscati terreni, società, appartamenti appartenuti al boss di Cinisi, Gaetano Badalamenti, deceduto tre anni fa. Il patrimonio - secondo una stima non ufficiale - ammonterebbe a un centinaio di milioni di euro. Badalamenti morì nel centro medico federale di Devens, Ayer, Massachusetts, il 29 Aprile 2004. Fu accusato di essere il capomafia della sua città natale Cinisi e di capeggiare la cupola mafiosa nel 1970. Nel 1987 fu condannato negli Stati Uniti a 44 anni di reclusione in una prigione federale per essere stato uno dei leader della allora chiamata Pizza Connection, un anello di narcotraffico del valore di 1,65 miliardi di dollari che utilizzava pizzerie come punti di spaccio dal 1975 al 1984. Badalamenti fu condannato all'ergastolo dai magistrati italiani per la morte del militante di Dp Peppino Impastato. Il procedimento per la confisca era iniziato nel 1982. La difesa aveva sostenuto che Badalamenti aveva acquistato tutto con i proventi del suo onesto lavoro. La sezione misure di prevenzione non ha creduto però a questa tesi.Il provvedimento di sequestro dei beni, eseguito dalla Sezione operativa della Dia di Messina, ha riguardato il patrimonio riconducibile, oltre che a Sebastiano Rampulla, di 61 anni, detenuto, indicato come il rappresentante provinciale di Cosa nostra, anche a Maria Rampulla, di 63 anni, sorella di Sebastiano. La donna è considerata "l'anello di congiunzione tra il fratello e gli affiliati alla cosca messinese, ma anche "l'amministratrice" del patrimonio illecito appartenente alla famiglia Rampulla. L'indagine è stata coordinata dal Procuratore Luigi Croce e dal sostituto, Ezio Arcadi. Alla fase esecutiva dell'operazione hanno partecipato anche i carabinieri e personale del Ros di Messina.Il sequestro riguarda un'azienda agricola a Mistretta, una casa a Reitano, un circolo ricreativo ad Alì Terme, un'azienda agricola a Caltagirone e un complesso agrituristico ad Aidone (Enna). Il provvedimento cautelare scaturisce dall'operazione Icaro che nei mesi scorsi si è conclusa con la condanna di Rampulla a sette anni di reclusione per associazione mafiosa. Rampulla è anche stato condannato dal tribunale di Caltanissetta a 14 anni di reclusione nell'operazione Dionisio. Il procuratore Luigi Croce nell'esaltare il lavoro complesso della Dia ha affermato: "Non temiamo sviluppi successivi a livello giudiziario dopo questo sequestro. I nostri sospetti che l'enorme patrimonio della famiglia Rampulla fosse di provenienza illegittima sono stati confermati. La Dia ha accertato che nessuno dei componenti di questo nucleo familiare svolge attività lavorativa tale da giustificare il possesso di così imponenti beni". L'operazione di oggi è stata denominata "Belmontino" dalla denominazione dell'agriturismo di Enna
realizzato dai Rampulla.
06/07/2007
Fonte: La Sicilia

Arrestati otto estorsori

ROMA - Hanno pagato il pizzo per almeno undici anni, dal 1994 al 2005, consegnando ogni mese un milione e 250 mila lire e poi 700 euro con l'ingresso della moneta europea. Ma gli imprenditori Salvatore e Rocco Luca, padre e figlio, erano costretti anche a vendere auto sotto costo e a soddisfare richieste una tantum da parte dei clan mafiosi, soprattutto durante le feste, anche fino a 2.500 euro. L'incubo per i titolari della concessionaria 'Lucato' di Gela è finito grazie alle indagini della polizia di Stato.
Gli agenti hanno arrestato otto persone, ritenute affiliate a Cosa nostra e alla Stidda, in esecuzione di ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal gip di Caltanissetta Giovanbattista Tona, su richiesta della Dda. Padre e figlio hanno ammesso agli investigatori di essere stati vittime delle estorsioni ricostruite dagli inquirenti. Agli indagati vengono contestati i reati di estorsione, tentata e consumata, continuata, in concorso, aggravata dal metodo mafioso.
Per le indagini la polizia si è avvalsa anche della collaborazioni dei pentiti Emanuele Terlati e Rosario Trubia. Quest'ultimo ha riferito di avere gestito le estorsioni ai danni della concessionaria tra il 1995 e il 1998, quando era a capo del clan gelese dei 'Madonia'. Nel 1995 proprio su ordine di Trubia, Giuseppe Novembrini di 35 anni, e Salvatore Terlati di 33 anni, entrambi arrestati e ritenuti appartenenti al gruppo criminale 'chantilly', esplosero alcuni colpi di pistola contro la concessionaria per costringere l'imprenditore, che all'epoca non denunciò l'episodio, a versare un milione 250 mila lire al mese. Successivamente, altri affiliati al clan di Cosa nostra, tra cui Alessandro Gambuto detto 'ù vutrisi' di 32 anni e Angelo Cavaleri di 35 anni (entrambi arrestati), assieme a Emanuele Terlati, si recavano nella ditta per riscuotere la 'rata' del pizzo.
Gli arrestati nell'operazione 'Cayenne' condotta dalla polizia di Stato a Gela: Paolo Di Maggio di 47 anni; Paolo Portelli di 39 anni; Crocifisso Smorta di 48 anni; Alessandro Gambuto detto "u vutrisi" di 32 anni; Filippo Salvatore Faraci di 30 anni; Salvatore Terlati di 33 anni già detenuto nel carcere di Ariano Irpino (Avellino); Angelo Cavaleri di 35 anni in carcere a Bergamo; Giuseppe Novembrini di 35 anni.
04/07/2007
Fonte: La Sicilia

martedì, luglio 03, 2007

In toscana c'è la vitamina "L"

Firenze - Il progetto è partito nel 2005 e nel tempo è cresciuto. D´estate infatti, ogni anno, sempre più giovani tra i 16 e i 30 anni partecipano a soggiorni di lavoro nelle cooperative che gestiscono le terre confiscate alle mafie in Sicilia e in Calabria. Giovani toscani che coltivano e raccolgono pomodori, grano e uva, ceci, melanzane e lenticchie, anche fichi d´india: tutti prodotti carichi di ‘vitamina L’, L come legalità. Giovani che partecipano ad incontri e momenti di riflessione con gruppi e personalità locali dell´antimafia. E quest´anno nei campi sottratti al controllo delle cosche mafiose sono arrivati anche gli studenti americani. I primi sono partiti ad aprile. Dal 28 giugno un altro gruppo di giovani della Syracuse University, il prestigioso ateneo americano che dal 1959 ha una sua sede in Italia, lavorerà fianco a fianco per alcuni giorni a coetanei italiani nei terreni sequestrati alla mafia corleonese e gestiti dalla Cooperativa "Lavoro e non solo", contribuendo così in maniera concreta all´affermazione di quei valori di legalità che sono il patrimonio comune di ogni società democratica. Hanno visitato Portella della Ginestra, incontreranno oggi Rita Borsellino. L´iniziativa fa parte di una campagna di educazione promossa dalla Regione Toscana e dall´Arci regionale, in collaborazione con Libera, iniziata con il progetto "Liberaarci dalle spine" e proseguita con "E state Liberi". E per raccontare proprio questa esperienza è stata organizzata per domenica 1 luglio, una conferenza stampa presso il municipio di Corleone in provincia di Palermo alla quale hanno partecipato il vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia on. Giuseppe Lumia, il vicepresidente della Regione Toscana Federico Gelli, il console generale degli Stati Uniti a Firenze Nora Dempsey, il direttore della Syracuse University in Florence (Suf) Barbara Deimling, il sindaco di Corleone Nino Iannazzo, il presidente della Cooperativa "Lavoro e non solo" Calogero Parisi, la segretaria dell´Arci Sicilia Anna Bucca e il coordinatore del progetto "Liberarci dalle spine" Maurizio Pascucci. La presenza a Corleone dei giovani americani, ospiti di famiglie del luogo - e con loro per l´intero fine settimana del console, della direttrice dell´università e del vice presidente della Regione Toscana -, è un modo per affermare il principio che la battaglia per la legalità non deve conoscere frontiere e che solo attraverso la collaborazione tra culture diverse si può sperare di arrivare a costruire un mondo migliore. E´ un investimento sul futuro, un modo diverso per costruire un presidio per la legalità. Gli studenti della Suf intendono inoltre esprimere in questo modo la propria solidarietà ai contadini siciliani, aiutandoli ad uscire dall´isolamento in cui la mafia vorrebbe relegarli. Per scegliere i 12 ragazzi che ad aprile hanno partecipato al primo viaggio a Corleone l’Università aveva bandito un vero e proprio concorso tra i suoi 350 studenti, chiamati a presentare un breve saggio sulla visione stereotipata che del Meridione italiano si ha negli Stati Uniti. Stavolta invece il soggiorno è parte integrante di un corso sulla mafia italiana. L´iniziativa di Corleone costituisce un´ulteriore tappa della collaborazione già da tempo avviata tra Regione Toscana, Consolato degli Stati Uniti d´America a Firenze, Syracuse University of Florence e Arci.
Fonte: marketpress.info

Denunci, videosorveglianza gratis

Palermo, 2 lug. - (Adnkronos) - Non bisogna interrompere questa ondata di denunce delle estorsioni e per incentivare questo spirito di ribellione al racket che gli imprenditori stanno manifestando, la Camera di Commercio di Palermo ha deliberato di coprire a proprie spese la parte di costo dell'impianto di videosorveglianza che e' a carico dell'imprenditore.
Fonte: adn kronos

Processo da rifare per Riina jr

Palermo, 3 lug.- (Adnkronos) - Processo da rifare per Giuseppe Salvatore Riina, detto 'Salvuccio', figlio del boss mafioso Salvatore Riina, accusato di associazione mafiosa. Assolto, invece, in via definitiva dall'accusa di estorsione. Lo hanno deciso i giudici della Corte di Cassazione che hanno rinviato il processo alla Corte d'Appello di Palermo. In primo grado, Riina junior era stato condannato alla condanna di 14 anni e 8 mesi, mentre in secondo grado a undici anni e otto mesi.
Fonte: adn kronos

Un arresto a Siracusa

Siracusa, 3 lug. - (Adnkronos) - La polizia ha arrestato a Siracusa Domenico Curcio, 20 anni, accusato di associazione a delinquere di tipo mafioso. Curcio era latitante dal maggio scorso quando nei suoi confronti era stato emesso un ordine di carcerazione. Il giovane e' stato portato nella casa circondariale di Cavadonna, deve scontare una pena di 4 anni di reclusione. Gli investigatori hanno convocato una conferenza stampa alle ore 11 nei locali della questura.
Fonte: adn kronos

lunedì, luglio 02, 2007

Ex abitazione di Provenzano, un ostello

CORLEONE (PALERMO) - La palazzina di tre piani del boss Bernardo Provenzano, in via Colletti a Corleone, dove viveva il fratello del capomafia, sarà trasformata in ostello e foresteria per i ragazzi che verranno a lavorare nei campi confiscati ai mafiosi e affidati alle cooperative. Il neo sindaco di Corleone Nino Iannazzo (An) ha consegnato stamani simbolicamente le chiavi del futuro ostello al presidente della cooperativa "Lavoro e non solo", Calogero Parisi, in una cerimonia cui ha partecipato anche Federico Gelli, vice presidente della Regione Toscana che da tre anni sostiene l'iniziativa dei campi antimafia cui partecipano decine di studenti toscani. Alla manifestazione sono intervenuti anche il console generale americano a Firenze Nora Dempsey e il direttore della Syracuse University a Firenze Barbara Deimling, che quest'anno ha inviato anche due gruppi di studenti americani, il vice presidente della commissione parlamentare antimafia Giuseppe Lumia, la presidente dell'Arci Sicilia Anna Bucca e il coordinatore del progetto "LiberArci delle spine", Maurizio Pascucci. Dopo la cerimonia una quarantina di ragazzi toscani, siciliani ed americani, gli stessi che in questi giorni hanno lavorato sui campi, hanno preso possesso dell'appartamento. E da domani gli studenti lasceranno per un giorno la vanga e, armati di pennello, inizieranno a dipingere i muri affinché la foresteria possa essere utilizzata."E' un gesto importante che carica di nuovi e maggior significati l'iniziativa di educazione alla legalità che portiamo avanti nella nostra regione e in Sicilia - dice il vice presidente della Regione Toscana Federico Gelli -. Non possiamo dunque che dire grazie per la palazzina messa da oggi a nostra disposizione, per il valore simbolico e concreto che rappresenta"."Siamo decisi a portare avanti questa esperienza importante - aggiunge il vice presidente della Regione Toscana -. Abbiamo intenzione di utilizzare i prodotti coltivati su queste terre nelle mense pubbliche della nostra regione. Da settembre l'educazione alla legalità diventerà materia di studio nelle scuole toscane. Regione e direzione scolastica regionale firmeranno infatti la settimana prossima un accordo che prevede l'inserimento in via sperimentale di uno spazio dedicato ai temi della legalità nelle scuole che lo richiederanno: un'ora dedicata appunto alla legalità".Il progetto dei campi antimafia è nato tre anni fa: 86 i ragazzi toscani ospiti nel 2005, 204 l'anno scorso, altri 342 da aprile fino al prossimo 24 ottobre. Ragazzi da 16 a 30 anni che nei 120 ettari di terreni confiscati alla mafia o a loro prestanomi coltivano e raccolgono pomodori, grano e uva, ceci, melanzane e lenticchie, ma anche mandorle e fichi d'india. Si danno il cambio ogni quindici giorni e per autofinanziarsi si 'tassano' con 7 euro al giorno. La mattina, fino al sabato, lavorano nei campi: sotto il sole, dalle sette fino a mezzogiorno, anche quando nei giorni scorsi la colonnina di mercurio ha superato i 40 gradi. Al pomeriggio incontrano gruppi e personalità locali dell'antimafia. E a turno chi non lavora nei campi prepara da mangiare per tutti, nella palestra di Corleone trasformata in un dormitorio. La Camera del Lavoro è diventata invece la base logistica. Il primo anno i ragazzi sono arrivati per lo più da Firenze, quest'anno sono rappresentate tutte e dieci le province toscane.Quest'anno oltre agli otto campi di lavoro organizzati a Corleone e uno a Canicattì ce ne è stato anche un decimo cui hanno partecipato otto ragazzi corleonesi, a Pistoia in Toscana, per sistemare il magazzino che accoglierà i prodotti di 'Libera Terra', il consorzio che riunisce i prodotti delle cooperative al lavoro sui campi confiscati. 01/07/2007
Fonte: La Sicilia