mercoledì, ottobre 21, 2009

Riina chiamò Mancino...o viceversa.......

ROMA - Nel natale del 1992, l'anno delle stragi di Falcone e Borsellino, Totò Riina annunciò in una riunione con i boss più fidati che per quanto riguardava la trattativa, "lo Stato si era fatto avanti": "Ho avuto un messaggio - disse il boss - viene da Mancino".
A ritirare in ballo il nome dell'attuale vice presidente del Csm e allora ministro dell'Interno è il pentito Giovanni Brusca, nei verbali inediti degli interrogatori al pm di Firenze Gabriele Chelazzi, pubblicati in un articolo dal titolo 'Tra mafia e Stato' che il settimanale 'L'Espresso' pubblicherà domani.
Brusca racconta che fu accolto a quella riunione proprio da Riina, che con un gran sorriso rivelò: "Eh! Finalmente si sono fatti sotto. Ci ho fatto un papello così...", indicando con le mani un foglio di grandi dimensioni. Quella, scrive L'Espresso, fu l'unica volta che Brusca sentì pronunciare da Riina il nome di Mancino, che era stato riferito a Riina attraverso Ciancimino.
E sempre secondo Brusca, anche altri boss avrebbero avuto riscontri sul nome di Mancino. Ad esempio Salvatore Biondino (in carcere dal giorno dell'arresto di Riina) che nell'incontro di Natale del '92, riferendosi al pentito Gaspare Mutolo, disse: "Ma guarda un pò, quando un bugiardo dice la verità, non gli credono". Il riferimento era al fatto che - scrive L'Espresso - tra le tante sciocchezze dette in passato, Mutolo aveva però ricordato l'incontro tra Mancino e Borsellino a Roma dicendo che subito dopo il magistrato era molto teso, tanto da fumare contemporaneamente due sigarette.

La replica di Mancino è perentoria: "Non rispondo a criminali che stanno scontando l'ergastolo. Rilevo un dato cronologico: se Riina nel Natale del 1992 parlava con i suoi complici di un 'messaggio', quel messaggio fu, tre settimane dopo, il suo arresto da me più volte, nei mesi precedenti, pubblicamente sollecitato alle forze dell'ordine".

Sempre secondo L'Espresso nel 1994 la mafia cercò di "mandare segnali" a Silvio Berlusconi per far sapere al "nuovo ceto politico" che "Cosa nostra voleva continuare a trattare". "Parlando con Leoluca Bagarella - dice Brusca, il killer di Giovanni Falcone ora pentito, al magistrato fiorentino Gabriele Chelazzi - quando cercavamo di mandare segnali a Silvio Berlusconi che si accingeva a diventare presidente del Consiglio nel '94, gli mandammo a dire: 'guardi che la sinistra o i servizi segreti sanno, non so se rendo l'idea. Cioè sanno quanto era successo già nel 1992-93, le stragi di Borsellino e Falcone, il proiettile d'artiglieria fatto trovare al Giardino di Boboli a Firenze e gli attentati del '93".
Di Berlusconi e Forza Italia, scrive sempre L'Espresso, parla anche il pentito Gaspare Spatuzza secondo cui il boss Giuseppe Graviano avrebbe allacciato contatti con Marcello Dell'Utri. Per Spatuzza la stagione delle bombe non ha portato nulla di buono alla mafia tranne il fatto che "venne agganciato" nella metà degli anni Novanta, "il nuovo referente politico: Forza Italia e, quindi, Silvio Berlusconi".

A spiegare perché la scelta dei boss cadde su Forza Italia è lo stesso Brusca. "Perché c'erano pezzi delle vecchie 'democrazie cristiane' - avrebbe detto il killer di Falcone ai magistrati fiorentini secondo il racconto de L'Espresso -, del partito Socialista, erano tutti pezzi politici un pò conservatori, cioè sempre contro la sinistra per mentalità nostra. Quindi volevamo dare un'arma ai nuovi 'presunti alleati politicì, per poi noi trarne un vantaggio, un beneficio".

Secondo L'Espresso sia la procura di Firenze che quella di Palermo stanno valutando le dichiarazioni per decidere se riaprire o meno il procedimento contro il premier e Marcello Dell'Utri, archiviato nel 1998.

21/10/2009
Fonte: La Sicilia

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