sabato, settembre 30, 2006

Settimana antimafia a Pavia

MAFIE:
LEGALITA' E ISTITUZIONI

3^ SETTIMANA DI INIZIATIVE SUI TEMI DELLA LOTTA ALLA MAFIA
Per il terzo anno consecutivo vogliamo proporre una settimana di iniziative sul tema della
lotta alla mafia. L’intento è quello di promuovere una cultura della legalità attraverso incontri, conferenze, musica e, rivolti agli studenti e all’intera comunità cittadina. Anche per quest’anno infatti abbiamo pensato di mantenere la struttura degli anni passati articolando la settimana in diversi momenti cercando così da tracciare un quadro esaustivo nell’analisi del tema. Dal 2 al 6 ottobre presso l’università di Pavia.
Da lunedì 2 a venerdì 6 ottobre 2006:
Aula Forlanini dell'Università degli Studi di Pavia mostra “1978-2006”
Lunedì 2 ottobre
Ore 18:30: inaugurazione della mostra “multimediale”, con foto, interviste e filmati che documentano le esperienze dei ragazzi che sono venuti a contatti con realtà di lotta alla criminalità organizzata.
Interverranno:
prof. Sergio Seminara, preside della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Pavia.
Antonio Bengiovanni, assessore all'istruzione del Comune di Pavia.
Ore 20:30: Circolo ARCI “Radio Aut”, via Siro Comi 11
Presentazione del libro “A casa nostra-cinquant'anni di mafia in Veneto” e incontro con gli autori Danilo Guerretta e Monica Cornetta.
Martedì 3 ottobre 2006
Ore 21:00: Aula del '400 dell'Università degli Studi di Pavia
“MAFIA E POLITICA”
Introdurrà e modererà Il Prof. Vittorio Grevi, Ordinario di Procedura Penale presso l'Università degli studi di Pavia
Interverranno:
dott. Gian Carlo Caselli, Procuratore Generale della Corte di Appello di Torino
on. Nicola Tranfaglia, Ordinario di Storia Contemporanea all’Università di Torino

Scopo della conferenza è quello di ripercorrere l’evoluzione dei rapporti intercorsi tra la Mafia e il potere politico, nel corso della storia della nostra Repubblica. Cercheremo di individuare, attraverso l’esperienza dei nostri ospiti, le nuove modalità di dialogo confrontandole con quelle del passato, analizzando il fenomeno dal punto di vista politico, tecnico e storico.
Mercoledì 4 ottobre 2006
Ore 21:00: Aula del '400 dell'Università degli Studi di Pavia
“MAFIA O SVILUPPO?”
Interverranno:
Pina Maisano, imprenditrice, presidente dell’osservatorio “Libero Grassi”
Chloè Tucciarelli, rappresentante dell'Associazione “Addiopizzo”
Sonia Alfano, responsabile “Libera” Barcellona Pozzo di Gotto (ME)
Si vuole fornire una panoramica sulla realtà territoriale della lotta alla mafia, grazie alla testimonianza di associazioni locali, giornalisti e sindacati. La “tranquillità ambientale” intesa come assenza di meccanismi di prevaricazione sociale, rappresenta l’unica via per raggiungere un pieno sviluppo economico al sud come al nord.
Giovedì 5 ottobre 2006
Dalle ore 22:00: Aula del '400 dell'Università degli Studi di Pavia
Concerto della band reggae siciliana Triankriu
Venerdì 6 0ttobre 2006
Ore 21.00: Aula del '400
Proiezione del documentario “La mafia è bianca” e, a seguire, dibattito con il dott. Renato Costa, segretario regionale dei Medici CGIL-Sicilia.
Coordinamento per il diritto allo studio-U.D.U.
Via Bordoni n°3, 27100Pavia. Tel. E Fax O38221172

venerdì, settembre 29, 2006

Arresti domiciliari

Palermo, 28 set. (Apcom) - La Corte d'Assise di Palermo ha concesso gli arresti domiciliari alla boss pentita Giusy Vitale che vivrà in una località segreta protetta assieme ai due figli.
Giusy Vitale, sorella dei boss di Partinico (Pa) Vito e Leonardo di cui prese il posto dopo l'arresto, è stata condannata lo scorso 13 luglio a sedici anni di detenzione per l'omicidio di Salvatore Riina, omonimo del boss di Corleone.
Fonte: Virgilio.it

Ancora su Saint Vincent

Il blitz Operazione nel cuore della notte su segnalazione dei magistrati siciliani: altri 12 arresti, lo scandalo travolge la casa da gioco valdostana Riciclava soldi al casinò, preso mentre tenta la fuga Sessantenne bloccato dalla polizia al valico di Brogeda. Per la Dia di Palermo ripuliva denaro mafioso a Saint Vincent
«Sto andando a Campione» avrebbe spiegato agli agenti che lo fermavano in dogana, anche se in realtà, almeno per questa volta, il casinò dell'énclave non c'entrerebbe davvero nulla. Michele Maiorana, "porteur" trapanese di 59 anni frequentatore assiduo di case da gioco nonché, secondo i magistrati palermitani che ne hanno richiesto l'arresto, specialista del ramo riciclaggio, stava semplicemente cercando di scappare in Svizzera. Via, il più lontano possibile, prima che qualcuno si risolvesse ad adottare una soluzione che, evidentemente, era nell'aria. La polizia di frontiera di Ponte Chiasso, attivata dalla Direzione distrettuale antimafia siciliana, lo ha bloccato l'altra notte sul confine, a pochi metri dalla libertà. In carcere, con lui, sono finite altre dodici persone, accusate a vario titolo di avere riciclato, per conto dei boss mafiosi di Villabate, nel Palermitano, denaro proveniente da attività di azzardo clandestino, da estorsioni, da traffico di droga, il tutto tramite i tavoli da gioco del casinò di Saint Vincent. Coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone, e dai sostituti Maurizio De Lucia e Gino Cartosio, l'inchiesta avrebbe accertato l'esistenza di un gruppo di persone vicine al boss Nicola Mandalà, pezzo da novanta delle organizzazioni criminali siciliane, già detenuto per mafia e accusato, tra l'altro, di avere gestito gli ultimi anni di latitanza di Bernardo Provenzano, per conto del quale avrebbe anche organizzato il famoso viaggio di "salute" a Marsiglia. La figura di Maiorana è, secondo gli inquirenti, assolutamente centrale nell'inchiesta. Gestiva un gruppo di scommettitori siciliani forte di un rapporto privilegiato (suo e dello stesso Mandalà) con la direzione della casa da gioco valdostana. Secondo quanto riferito da un pentito, ex amministratore del comune di Villabate, i due amici godevano in valle di un trattamento davvero riguardoso, simile a quello riservato a tutti i grandi giocatori dei migliori casinò d'Europa, a partire da quello di Campione. Disponevano di carte oro, soggiornavano e cenavano gratuitamente, erano insomma di casa. Soprattutto, dicono i pm, ottenevano, in virtù di dirigenti compiacenti, una serie di deroghe non solo alle norme della casa da gioco ma anche alle leggi dello Stato. Mandalà e Maiorana potevano depositare assegni fino a 100mila euro, ricevendone, in cambio, fiches. In caso di vincita avrebbero dovuto, in base alle regole, ritirare quegli assegni ma grazie ai loro buoni contatti, raggirando le norme antiriciclaggio, ed elargendo laute mance ai cassieri, i boss convertivano fiches esclusivamente in contanti. «In questo modo - sostengono gli inquirenti - Mandalà risultava, formalmente, sempre un giocatore perdente (anche quando vinceva, perché, non avendo ritirato i propri assegni, risultava aver perduto, ai tavoli da gioco, l'intera somma portata dai titoli) e questo comportava una maggiore provvigione al porteur che lo aveva accreditato, e cioè a Maiorana». Con questo sistema, tra il 2001 e il 2005 avrebbero ripulito una decina di milioni di euro.
Fonte: La provincia di Como

mercoledì, settembre 27, 2006

Omicidi degli anni '80

PALERMO - I giudici della quarta sezione della Corte d'Assise di Palermo hanno condannato all'ergastolo per omicidio i boss Totò Riina, Raffaele Ganci, Giuseppe Marfia, Antonino e Salvatore Madonia. Marfia e Antonino Madonia erano accusati dell'assassinio di Giambattista Alotta, un confidente dei carabinieri ucciso nel 1980 nella sua officina di Altofonte (Palermo). Del delitto era imputato anche il pentito Calogero Ganci, figlio di Raffaele, nei cui confronti le accuse sono state dichiarate prescritte grazie all'applicazione dell'attenuante prevista per i collaboratori di giustizia. Riina, Ganci e Salvatore Madonia dovevano invece rispondere dell'omicidio di Calogero Santangelo, figlio di un "uomo d'onore" di Castelvetrano (Trapani), vicino al defunto capomafia Francesco Messina Denaro, padre del boss latitante Matteo. Ai familiari di Alotta, costituisi parte civile, i giudici hanno riconosciuto una provvisionale immediatamente esecutiva di 70 mila euro. 27/09/2006
Fonte: La Sicilia

Inizia la requisitoria

PALERMO - "L'ambizione è l'ultimo rifugio del fallimento". Comincia con la citazione di Oscar Wilde la requisitoria del pubblico ministero nel processo all'ex assessore comunale palermitano dell'Udc Domenico Miceli e all'ex collaboratore dello storico sindaco di Palermo Vito Ciancimino, Francesco Buscemi, accusati di concorso in associazione mafiosa.
Il dibattimento, che si è protratto per 57 udienze, è iniziato a luglio del 2004, un anno dopo l'arresto degli imputati. La sentenza è attesa per il 20 novembre. "Le storie dei protagonisti di questa vicenda - ha detto il Pm della Dda Gaetano Paci, che rappresenta l'accusa insieme al collega Nino Di Matteo - sono la rappresentazione moderna di un dramma antico sulla parabola discendente dell'uomo moderno mosso dall'ambizione". Il magistrato sta ricostruendo le fasi iniziali dell'inchiesta condotta dal Ros dei carabinieri e incentrata sull'enorme mole di intercettazioni telefoniche e ambientali effettuate principalmente a carico del capomafia di Brancaccio Giuseppe Guttadauro.
27/09/2006
Fonte: La Sicilia

Putrone si pente

AGRIGENTO - Luigi Putrone, condannato con sentenza definitiva all'ergastolo per 13 omicidi tra cui quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, da alcuni mesi collabora con i magistrati della Dda di Palermo.
Le scorse settimane, come riporta il quotidiano 'La Sicilia', sono scattate le misure di protezione per i familiari del boss di Agrigento. Latitante per un lungo periodo, Putrone, che ha due fratelli attualmente detenuti per mafia, era stato catturato nei mesi scorsi nella Repubblica ceca. 27/09/2006

Talpe DDA, respinta l'istanza di scarcerazione

PALERMO - I giudici del tribunale hanno rigettato l'istanza di scarcerazione avanzata dall'imprenditore Michele Aiello, accusato di associazione mafiosa nell'ambito del processo che lo vede imputato insieme ad altre 12 persone, fra cui, il presidente della Regione, Salvatore Cuffaro.
Aiello è agli arresti domiciliari. I giudici hanno respinto la richiesta sostenendo che vi potrebbe essere la reiterazione del reato. Intanto, i termini di custodia cautelare per l' imprenditore scadranno il 2 novembre prossimo.
27/09/2006
Fonte: La Sicilia

martedì, settembre 26, 2006

Due arresti ad Acireale

CATANIA - Due uomini sospettati di essere legati al clan mafioso Laudani sono stati arrestati per estorsione dai carabinieri di Acireale, in provincia di Catania. Maurizio Tommaselli, pregiudicato 37enne, è accusato di aver tentato di estorcere una tangente di 25 mila euro a un imprenditore di Pedara. A. P. è stato invece arrestato mentre stava per ritirare mille euro di tangente da un negoziante di Trecastagni.
26/09/2006
Fonte: La Sicilia

I boss a Saint Vincent

PALERMO - I boss mafiosi di Villabate avrebbero riciclato denaro proveniente dalle estorsioni e da traffici illeciti nel casinò di Saint Vincent. È quanto emerge dall'inchiesta della Dda di Palermo che stamani ha portato all'arresto di 13 persone con l'accusa di riciclaggio e usura. Le manette sono scattate per Giuseppe Morreale, 59 anni, Angela Correra, 46 anni, Veronica Morreale, 26 anni, Antonino Carra, 47 anni, Giuseppe Citarda, 39 anni, Antonino Di Maio, 62 anni, Carlo Fallucca, 47 anni, Maurizio Tafuri, 47 anni, Giuseppe Vassallo, 63 anni, Rosario Napoli, 36 anni, tutti di Palermo. Ed ancora, Michele Maiorana, 59 anni, nato a Trapani, Salvatore Ala, 75 anni, originario di Roma, Pietro Anzalone 46 anni, di Ventimiglia di Sicilia, nel palermitano.
L'indagine è coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone e dai sostituti Maurizio De Lucia e Gino Cartosio. Dagli accertamenti svolti, risulta che un gruppo, vicino al boss Nicola Mandalà, già detenuto per mafia e accusato di avere gestito negli ultimi anni la latitanza di Provenzano fra cui anche il viaggio a Marsiglia del padrino, negli ultimi anni avrebbe riciclato denaro sporco nella sala da gioco con la complicità di alcuni dipendenti del casinò che sono indagati.L'inchiesta della Dda di Palermo si basa su intercettazioni telefoniche e sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Campanella, l'ex presidente del consiglio comunale di Villabate, affiliato alla cosca dei Mandalà, che falsificò la carta di identità a Bernardo Provenzano prima del viaggio a Marsiglia. Il pentito fornisce notizie sulla frequentazione del casinò di Saint Vincent da parte del boss Nicola Mandalà, ed in particolare, sul grado di infiltrazione mafiosa che era riuscito a realizzarvi.Campanella riferisce di aver conosciuto un "account" palermitano, che lavorava per conto del Casinò, il quale gli è stato presentato da Mandalà. Il collaboratore indica che si tratta di Michele Maiorana, arrestato stamani con l'accusa di riciclaggio, con l'aggravante d'aver commesso il fatto al fine di agevolare l'attività di Cosa nostra, avvalendosi delle condizioni previste dall'associazione mafiosa. L'account arrestato, secondo il collaboratore, "gestiva tutti quei signori che giocano dalla Sicilia". Le intercettazioni telefoniche dimostrano come Maiorana gestiva un nutrito gruppo di giocatori provenienti dalla Sicilia. Campanella ricorda gli ottimi rapporti di Mandalà e Maiorana con la Direzione del casinò e, in particolare, con un funzionario che il collaboratore indica come uno dei direttori della casa da gioco. Attraverso questa persona Mandalà, secondo il racconto del pentito, riceveva un trattamento estremamente privilegiato ("Eravamo trattati come se fossimo i padroni del Casinò"). Il boss di Villabate disponeva di "carte d'oro", documenti che consentono ai clienti più graditi di avere una serie di agevolazioni (ristorante gratis, suite e altro); ma, soprattutto, ottiene delle deroghe non solo alle regole della casa da gioco, ma perfino alle leggi dello Stato, in particolare quelle in materia di antiriciclaggio.Campanella descrive il meccanismo che utilizzavano i boss: Mandalà otteneva dall'ufficio del Casinò ("grazie ai buoni uffici del compiacente Direttore") un fido di 100.000 euro, superiore a quanto le regole della casa da gioco consentirebbero. Secondo i magistrati significa che Mandalà poteva depositare assegni per lo stesso importo, ricevendone, in cambio, fiches. In caso di vincita avrebbe ritirato i suoi assegni. Invece, raggirando le norme antiriciclaggio, ed elargendo laute mance ai cassieri, il boss convertiva le fiches esclusivamente in contanti."In questo modo - sostengono gli inquirenti - Mandalà risultava, formalmente, sempre un giocatore perdente (anche quando ha vinto, perchè, non avendo ritirato i propri assegni, risulta aver perduto, ai tavoli da gioco, l'intera somma portata dai titoli) e questo comportava una maggiore provvigione al porteur che lo aveva accreditato, e cioè a Maiorana". L'attività di giocatore al casinò consente, inoltre, a Mandalà di giustificare gli enormi importi movimentati sul suo conto corrente. Il boss aveva spiegato a Campanella, che, in caso di indagini sulla provenienza di queste somme, poteva sempre dire che giocava al Casinò e si trattava di vincite. In realtà, come riferisce il pentito, si trattava di somme provenienti dalle estorsioni e dal traffico di droga.Dall'inchiesta della Direzione investigativa antimafia di Palermo emerge che sono una decina i milioni di euro riciclati tra il 2001 e il 2005 dai boss mafiosi nel casinò di Saint Vincent, attraverso disoccupati o piccoli gruppi familiari che venivano "spediti" periodicamente nella sala da gioco. Gli investigatori hanno scoperto che una coppia, marito e moglie, dal reddito quasi inesistente, da soli hanno movimentato due milioni di euro fino al 2002, altrettanti fino al 2004. Un disoccupato, un milione 195 mila euro nel 2003 e 955 mila l'anno dopo. Il gip, Vincenzina Massa, ha respinto la richiesta di arresto per due dipendenti del Casinò: Leo Duroux, capo dell'Ufficio fidi, e Renato Pan, addetto all'ufficio assegni. Entrambi restano indagati a piede libero. Il giudice non ha ritenuto che nei loro confronti vi fossero gravi indizi. Nell'ambito dell'operazione, il giudice ha inoltre ordinato il sequestro di numerosi conti correnti e automobili di grossa cilindrata. Riciclaggio aggravato, concorso esterno in associazione mafiosa, usura, violazione delle normative antiriciclaggio i reati contestati a vario titolo agli indagati. Dagli accertamenti emerge che alcuni dirigenti del Casinò avevano notato che "gli uomini" di Mandalà facevano spesso cambi di fisches "non autorizzati" e in molte occasioni avevano presentato delle apposite relazioni. Il Casinò, infatti, è risultato estraneo al riciclaggio. Dei tredici arrestati, ad uno solo sono stati concessi gli arresti domiciliari per via del fatto che è anziano. Gli investigatori stanno effettuando in queste ore diverse perquisizioni.
26/09/2006
Fonte: La Sicilia

Omicido Rostagno

PALERMO - Il Gup Maria Pino non ha accolto la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura per gli indagati dell'omicidio del giornalista Mauro Rostagno. Il giudice ha fissato un' udienza per il 25 gennaio 2007 in cui ha convocato le parti. È possibile che il fascicolo ritorni al pm affinchè approfondisca nuovi punti di indagine.
Per l'omicidio di Rostagno è indagato il boss mafioso trapanese Vincenzo Virga, di 70 anni. L'imprenditore di Trapani Giuseppe Bulgarella, che all'epoca del delitto era il direttore dell'emittente privata Rtc, è accusato solo di false informazioni al Pm. Bulgarella avrebbe negato ai magistrati un colloquio avuto con Angelo Siino che lo stesso pentito ha reso noto ai magistrati. L'inchiesta è coordinata dal pm Antonio Ingroia.
26/09/2006
Fonte: La Sicilia

lunedì, settembre 25, 2006

La rabbia della Maisano

I cinesi non parlano

A fuoco un ortofrutticolo

Mastella invia ispettori a Messina

ROMA - Il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, ha dato incarico agli ispettori del dicastero di Via Arenula, guidati da Arcibaldo Miller, di procedere a un'ispezione a Messina per verificare eventuali ritardi o inadempienze nel procedimento a carico di Gerlando Alberti junior, nipote dell'omonimo boss palermitano, uscito per decorrenza dei termini di custodia cautelare, dopo essere stato condannato in primo grado all'ergastolo per l'omicidio della diciassettenne Graziella Campagna, uccisa 21 anni fa a Villafranca Tirrena. Alberti junior è stato scarcerato perché dal verdetto della Corte di Assise di Messina sono trascorsi quasi due anni e i giudici non hanno ancora depositato le motivazioni della sentenza, rendendo perciò impossibile la fissazione del processo di appello che avrebbe bloccato la decorrenza del cosiddetto termine di fase di un anno e sei mesi previsto dalla legge tra i due gradi di giudizio e trascorso il quale la custodia in carcere diventa illegittima.
25/09/2006
Fonte: La Sicilia

venerdì, settembre 22, 2006

A Palermo scompare Spatola

PALERMO - Per tutta la notte i carabinieri hanno effettuato perquisizioni e interrogato i familiari del boss Bartolomeo Spatola, scomparso 4 giorni fa per "lupara
bianca". Le indagini, coordinate dalla Dda, fanno pensare che si possa trattare di un' eliminazione "chirurgica" che non riguarderebbe l'apertura di una guerra di mafia, perchè, come sostengono gli inquirenti, ci dovrebbero essere due fazioni che si contrappongono, e invece allo stato emergerebbe una sola cosca, con il suo leadership Salvatore Lo Piccolo, il boss latitante che aspira al vertice di Cosa nostra. Dalle indagini emerge, inoltre, che Spatola era in contatto con D'Angelo, il pensionato di 72 anni ucciso il 22 agosto scorso a Sferracavallo: un uomo che non aveva precedenti penali e viveva in casa della sorella, così come il boss scomparso.I due delitti potrebbero avere un collegamento nell'ambito di una strategia attuata da Lo Piccolo per rinsaldare vecchie amicizie come quelle con la famiglia mafiosa Inzerillo.
22/09/2006
Fonte: La Sicilia

Duplice omicidio ad Adrano

ADRANO (CATANIA) - Due cadaveri sono stati trovati tra Adrano e Bronte, nel catanese. I due corpi sono quelli delle persone scomparse da Adrano mercoledì scorso: Sebastiano Gangi, bracciante agricolo di 32 anni, e Carmelo Anzalone, di 43 anni, fruttivendolo. I cadaveri sono stati trovati dentro una Lancia Ypsilon, in aperta campagna, in contrada Passo Zingaro. I due sono stati uccisi con colpi d'arma da fuoco.
Sul luogo sono intervenuti gli agenti del commissariato di Adrano. Le armi usate sarebbero, secondo le prime indagini, pistole e fucili. Accanto all'auto, di proprietà di Gangi, sono state trovate decine di proiettili. Su Gangi era in corso un'indagine per mafia, mentre l'altra vittima risulta incensurata. L'inchiesta è condotta da polizia e carabinieri. Si teme una nuova guerra di mafia.
22/09/2006
Fonte: La Sicilia

Arresto nel catanese

CATANIA - Agenti della Squadra mobile di Catania hanno arrestato Orazio Pardo, di 45 anni, ritenuto il reggente del clan Cappello a Catania. L'uomo era sfuggito
all'arresto nel maggio scorso nel corso di una operazione antimafia. Nei suoi confronti era stata emessa un'ordinanza di custodia cautelare in carcere con l'accusa di rapina.L'arresto è avvenuto ieri sera. Pardo è stato bloccato in un ristorante di Biancavilla, dove si trovava in compagnia di alcuni amici.
22/09/2006
Fonte: La Sicilia

Docu-film su Livatino

- PALERMO, 18 SET - Un docu-film per promuovere la beatificazione di Rosario Livatino sarà presentato giovedì al palazzo di giustizia di Agrigento. Il film 'La Luce verticale', presentato per il 16/o della scomparsa del giudice, riporta le testimonianze di chi ha conosciuto il sostituto procuratore ucciso dalla mafia nel 1990. Come personaggi di un film, i testimoni sono ascoltati con l'obiettivo di restituire la figura dell'uomo Livatino, e di ricostruire la vicenda umana e professionale del giudice.
Fonte: Ansa

"Potatura di rami secchi"

"Mi sembra ormai abbastanza chiaro che il modello Provenzano non vige più. Probabilmente è ancora presto per definirli omicidi di mafia, ma non c´è dubbio che la ripresa delle armi a Palermo ha un solo significato: Cosa nostra non ha più una camera di compensazione e chi sbaglia paga».
Che Giovanni Quartararo, giovane agricoltore di Bagheria ucciso sabato sera, abbia "sbagliato" qualcosa, al procuratore di Palermo appare certo. «Potatura di rami secchi». Così Francesco Messineo definisce i delitti che, dall´arresto di Provenzano in poi, hanno insanguinato le strade della provincia con modalità spesso mafiose ed eclatanti come nel caso dell´omicidio del pensionato di Sferracavallo massacrato con due revolver calibro 38.
Un rapido scambio di idee con i procuratori aggiunti al ritorno dalle ferie, poi il procuratore Messineo abbozza un´analisi che non vuole essere un vero e proprio allarme ma che mette sull´avviso investigatori e magistrati. «Fino a qualche mese fa, errori, ambizioni, sgarri o qualsiasi altro "errore" commesso anche da pesci piccoli che magari non hanno neanche un pedigree mafioso veniva in qualche modo "aggiustato", sistemato. Adesso, evidentemente, non più. Chi sbaglia paga, anche con la vita e spesso con modalità significative che siano da monito per gli altri. E questo ha un senso ancora più pregnante in una Cosa nostra che in questo momento non sembra avere un vertice condiviso».
I misteriosi omicidi di queste ultime settimane, dunque, potrebbero paradossalmente essere la cartina di tornasole di un´organizzazione mafiosa in difficoltà? «Problemi di leadership, ma soprattutto problemi di comunicazione e di uomini. Sì, sappiamo tutti che dopo Provenzano al vertice ci sono Messina Denaro e Lo Piccolo ma io non credo che ci sia stata una vera e propria successione. E poi dopo le ultime operazioni, per loro comunicare è diventato estremamente difficile e lungo. Un messaggio ci mette giorni e fa giri tortuosissimi per arrivare. E poi dobbiamo anche considerare che la "qualità" degli affiliati (se mi si consente di usare questo eufemismo) è molto scaduta. In carcere capi e gregari adesso a dettare legge per le strade c´è gente che fino a qualche anno fa non sarebbe stata ammessa neanche a guardare».
Cosa nostra cambia dunque di nuovo pelle e la Procura di Palermo, con il suo nuovo corso, prova a rimodularsi tra le tante difficoltà dettate dall´incertezza sul futuro del nuovo ordinamento giudiziario. «Aspettiamo di sapere se la riforma verrà sospesa, come e quando. La Dda, così com´è, con diversi magistrati scaduti ha grosse difficoltà di organizzazione e solo la decisione del parlamento potrà darci lumi sulle norme in vigore per regolare la permanenza in questo ruolo».
Fonte: Cuntrastamu

Rinvio sentenza di assoluzione per Inzerillo

La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza di assoluzione dell'ex senatore Vincenzo Inzerillo (Dc), imputato di associazione mafiosa a Palermo. Nei confronti dell'ex uomo politico, ritenuto organico alla cosca di Brancaccio, si dovrà dunque celebrare un nuovo processo in grado di appello. Inzerillo, scrive il "Giornale di Sicilia", era stato condannato in primo grado a otto anni e assolto in appello, dopo avere trascorso 34 mesi in carcere.
Ex componente della corrente manniniana, Inzerillo era stato accusato dallo stesso pentito, Gioacchino Pennino, che aveva chiamato in causa anche il leader del suo gruppo politico, l'ex ministro dc Calogero Mannino. Sarebbe stato Inzerillo, secondo l'accusa - sostenuta in primo grado dal pm Antonio Ingroia e in appello dal pg Vittorio Teresi - a gestire lo sbarco a Palermo e l'appoggio elettorale delle cosche a Mannino, originario della provincia di Agrigento.
Inzerillo fu senatore dal 1992 al 1994. Ricevette il primo avviso di garanzia alla fine del 1993, nell'ambito di un'indagine contro il notaio Pietro Ferraro, accusato fra le altre cose di aver cercato di ''aggiustare'' il processo per l'omicidio del capitano dei carabinieri Emanuele Basile. Non rieletto alle politiche del '94, Inzerillo fu arrestato il 14 febbraio del 1995, due giorni dopo Mannino. I due processi hanno avuto sorti diverse nei vari gradi di giudizio: in Tribunale Inzerillo fu condannato e il capocorrente assolto, in appello l'ex gregario fu scagionato e Mannino condannato a 5 anni e 4 mesi, mentre la Cassazione ha annullato con rinvio entrambe le sentenze, ma con effetti diversi, dato che si dovranno rifare i giudizi contro l'assolto Inzerillo e il condannato Mannino.
Nel processo di rinvio, tra l'altro, Mannino potrebbe fruire dell'applicazione della legge sull'inappellabilità, da parte del pubblico ministero, delle sentenze di assoluzione. Il dibattimento è fermo in attesa che la Consulta si pronunci sulla costituzionalità della normativa, varata nella scorsa legislatura.

sabato, settembre 16, 2006

Non ci voleva l'arresto di Provenzano per capirlo...

PESCARA - "Indagando sulla cattura di Provenzano abbiamo scoperto un sistema mafioso, fatto non solo di mafiosi". Così il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, ha aperto la sua lezione di legalità agli studenti di Pescara. "La cattura di Provenzano - ha detto Grasso - è un grosso risultato coronato anche dall'altra operazione che ha decapitato tutte le maggiori famiglie mafiose del palermitano. Questa cattura non è arrivata come un caso ma è il frutto di una strategia che è durata anni. Pensate, in Sicilia calcoliamo che ci siano 5 mila soggetti organicamente inseriti nella mafia, i siciliani sono 5 milioni, se dovessimo scontrarci corpo a corpo non ci sarebbe storia. In realtà non è così perché c'è un sistema, quel sistema che abbiamo scoperto indagando sulla cattura di Provenzano, secondo il quale ci sono non solo soggetti illegali tout court, i capi mafia, ma ci sono anche i soggetti, colletti bianchi, legali, commercialisti, finanzieri, imprenditori, tecnici, burocrati, amministratori, politici, che partecipano di quel sistema, che godono dei privilegi che quel sistema riesce ad ottenere. Allora vedete - ha spiegato Grasso - quanto è difficile combattere tutto questo e proprio per questo, forse, la mafia è un fenomeno secolare che dura da centinaia di anni e non si riesce mai a distruggere".
16/09/2006
Fonte: La Sicilia

venerdì, settembre 15, 2006

Anniversario Don Puglisi

PALERMO - Ricorre oggi il tredicesimo anniversario dell'assassinio di Don Puglisi, il prete del quartiere Brancaccio di Palermo ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993. Ieri sera, nella parrocchia di San Gaetano, si è tenuta una veglia di preghiera. Una fiaccolata si è snodata quindi fino al piazzale Anita Garibaldi, teatro dell'omicidio. Stamani è stato organizzato un pellegrinaggio fino alla tomba del sacerdote, nel cimitero di Sant'Orsola. Alle 10 in via San Ciro sarà scoperto un busto in bronzo ed in via Conte Federico prenderanno il via i lavori del "Centro aggregativo diurno per anziani" a lui intitolato. Poi alle 19 in cattedrale la solenne celebrazione eucaristica presieduta dal cardinale di Palermo, Salvatore De Giorgi. Le commemorazioni proseguiranno fino a giorno 25 settembre quando, sempre nel capoluogo siciliano, si terrà una marcia per la pace che si snoderà da via Brancaccio 461 fino a piazza Scaffa.
15/09/2006
Fonte: La Sicilia

Autosalone in fiamme

giovedì, settembre 14, 2006

Senza dignità...Dopo Dalla Chiesa, Totò il campione infanga anche la memoria di Don Puglisi

PALERMO - Il presidente della Regione siciliana, Salvatore Cuffaro, ha ricordato Don Puglisi, ucciso il 15 settembre di tredici anni fa nel quartiere Brancaccio. "Il miglior tributo per onorare la memoria di Don Pino Puglisi, uomo di fede coraggioso che combatteva in prima linea Cosa nostra, è che tutti i siciliani testimonino alla luce del sole che la mafia fa schifo, può e deve essere sconfitta con l'impegno concreto di ciascuno di noi. Don Pino ha fatto tanto per il suo quartiere con il centro di accoglienza Padre Nostro. Seguendo il suo esempio, dobbiamo essere così forti e coesi da mostrare al mondo intero che è possibile pensare alla Sicilia come a una terra libera e redenta dal giogo mafioso". 14/09/2006
Fonte: La Sicilia

Accade in piazza un Sabato notte a Marsala

Marsala è una calma e tranquilla cittadina in riva al mare, cosi calma che non succede mai niente e nessuno parla di niente.Cosi accade che nel pieno di un Sabato sera di fine estate in piazza del Popolo, scenario della notte giovanile marsalese, gente non ben definita si ammazzi in pubblico lasciando un uomo grondante di sangue per terra straziato dalle coltellate. Ma tranquilli, non è successo niente di particolare. Almeno niente che richieda l’intervento tempestivo delle forze dell’ordine che operano sul nostro territorio. Già, perché sebbene ci sia stato un accoltellamento, forse un regolamento di conti, in piazza di fronte a centinaia, se non migliaia, di persone, la polizia e i carabinieri arrivano trascinati dal traffico e senza sirene dopo più di mezz’ora dall’intervento del 118 che ha trasportato un uomo moribondo al pronto soccorso. Nel frattempo però la gente è scappata, e polizia e carabinieri arrivano in una piazza semideserta dove una pozza di sangue per terra ha ormai fatto il vuoto.E quando la volante della polizia e quella dei carabinieri, 4 uomini in totale, arrivano non posso fare a meno di accoglierli con un caldo applauso facendogli i complimenti per l’ottimo tempismo e per l’eccellente servizio d’ordine svolto nella nostra città.. Ma stiamo scherzando o cosa?Succede solo da noi che la piazza principale della città sia abituale teatro di risse e adesso anche luogo in cui i mafiosi, i picciotti, circolino tranquilli con i coltelli in tasca e si sentano liberi di ammazzarsi in pubblico. Solo poco tempo fa abbiamo rischiato di perdere un caro amico, Gaspare Buffa, pestato a sangue nel medesimo luogo e finito in coma per alcuni giorni. Naturalmente nessuno ha visto niente, nessuno sa niente, nessuno dice niente. E allora perché non cambiamo il simbolo di Marsala e lo sostituiamo con le tre scimmiette: “Non vedo, non sento, non parlo”. Perché non le prendiamo ad icona della nostra città, sarebbero certamente una maggiore attrazione rispetto a quell’ammasso di cemento che tutti continuano a chiamare “monumento ai Mille”.Sarei curioso anche di leggere il verbale che avranno redatto polizia e carabinieri sull’accaduto. Sarà sicuramente di grande aiuto per le indagini, ammesso che indagini ci saranno.Uno dei carabinieri con cui ho discusso ha giustificato il loro ritardo, assenza la definisco io, affermando che sul territorio di Marsala solo una pattuglia è in servizio nelle ore notturne, e che trovandosi al momento della chiamata a Strasatti era impossibile intervenire quando ancora avrebbe avuto un senso. Se ciò è vero è alquanto scandaloso, parliamo di poliziotti di quartiere quando dobbiamo aver paura a trascorrere la sera con gli amici per le strade. Anche dopo che solo due settimane fa in Piazza del Popolo abbiamo assistito ad un notevole impiego di forze dell’ordine per normali controlli di routine che hanno portato ad un paio di verbali agli esercenti della zona. Il carabiniere, vista la mia rabbia e agitazione, mi ha inoltre esortato a sollevare la questione, a scuotere un presa di posizione popolare. Io questo invito lo voglio cogliere al balzo. E’ ora che Marsala si svegli dal torpore in cui vive, è ora che i cittadini di questa città siano effettivamente la componente attiva della nostra comunità. E’ inutile che da domani i genitori impediscano ai propri figli di uscire il sabato sera o di frequentare la nostra Piazza del Popolo. Perché non dobbiamo essere noi a scappare, non è normale che a seguito di un fatto del genere tutto continui come sempre, ognuno pensando a fatti suoi, con la speranza di campare cent’anni.E’ ora di alzare la voce e di manifestare il proprio dissenso se non vogliamo che Marsala continui a spopolarsi e a regalare giovani menti al resto d’Italia. Da qui sento la necessità di lanciare un appello alle forze dell’ordine, a chi li comanda, a chi eroga i fondi necessari al loro lavoro. Un appello ad una maggiore presenza e ad un maggior controllo sul territorio. Probabilmente è necessario che una pattuglia stazioni nei pressi della piazza durante le ore notturne, senza però turbare la gente comune che trascorre con gli amici attimi di svago.Ma ancora di più sento la necessità di lanciare un appello a voi cittadini, a voi ragazzi che questa città la vivete, un appello ad un maggiore attivismo ed interesse. Sono parole che si disperdono le lamentele che ci scambiamo tra noi. E’ tempo di manifestare il nostro stato di malessere, è tempo di alzare la voce.
Davide Bonomo

Il Tar dà ragione a Crocetta

GELA - Il sindaco di Gela ha operato bene. Così si è espresso il Tar Sicilia, Terza sezione (Palermo), dopo che il primo cittadino, Rosario Crocetta, il 24 aprile scorso aveva licenziato una dipendente precaria (V. D. F.) consorte del boss latitante di Cosa nostra, Daniele Emmanuello. La moglie del capomafia si era rivolta, tramite un legale, al tribunale amministrativo, chiedendo l'annullamento del provvedimento del Comune per illegittimità, e il contestuale reintegro della dipendente. Il Tar ha ritenuto che non esistono "sufficienti elementi di fondatezza, nè i presupposti per l'accoglimento della domanda di sospensione", respingendo il ricorso. Nella circostanza Crocetta aveva anche destituito il dirigente del settore personale del Comune. 13/09/2006

martedì, settembre 12, 2006

Vittima del racket, vende rene per non fallire

PALERMO - Offrirà un rene in vendita su Internet per pagare i debiti. A lanciare la provocazione è un commerciante di 36 anni, titolare di un negozio di abbigliamento nel centro di Palermo. "Vittima del racket, esasperata, mette in vendita al maggior offerente un rene per pagare tutti i debiti", questo l'annuncio che l'imprenditore pubblicherà sul suo sito.
Un anno fa nel suo negozio erano stati rubati capi d'abbigliamento per 15 mila euro, e il commerciante era stato poi avvicinato da persone che gli davano la possibilità di riavere la merce pagando il pizzo. Lui ha rifiutato in più di un'occasione, ha trasferito il suo negozio, ma tre settimane fa sulla vetrina hanno disegnato una croce. L'imprenditore ha denunciato tutto alle forze dell'ordine e ha chiesto di accedere ai fondi antiracket attraverso gli sportelli delle associazioni di categoria e degli enti pubblici, ma senza successo, perchè per avere diritto ai fondi i responsabili delle estorsioni devono essere individuati e arrestati. "Purtroppo le leggi anti-estorsioni hanno molte lungaggini - spiega l'imprenditore, che era nel Battaglione San Marco durante la guerra nel Golfo -. Continuo ad avere fiducia nelle istituzioni. Non pago il pizzo, voglio fare l'imprenditore. Non voglio favori da nessuno. Solo un piccolo prestito".
12/09/2006
Fonte: La Sicilia

Sequestrati 4,5 milioni di euro ad Enna

ENNA - I carabinieri e la guardia di finanza hanno eseguito un provvedimento di sequestro emesso dal Tribunale di Enna di un ingente patrimonio, nei confronti di Michele Cammarata, 42 anni, e della moglie Elisabetta Stanzù, 34 anni. Sono stati sequestrati 97 appezzamenti di terreno per complessivi 367 ettari, 3 aziende di allevamento con oltre 1.000 capi di bestiame, numerosi fabbricati e automezzi per un valore complessivo di circa 4,5 milioni di euro.
Cammarata è stato arrestato nel maggio 2001 nel corso dell'operazione 'Parafulmine' per associazione mafiosa ed estorsione, assieme ad altri personaggi ritenuti appartenenti a Cosa Nostra, tra cui Gaetano Leonardo, ex rappresentante provinciale della Cupola ennese. Un pentito aveva indicato Cammarata quale "depositario del denaro" di Leonardo, accuse dalle quali però fu assolto.Il Tribunale di Enna, tuttavia, ha ravvisato l'esistenza di una pluralità di gravi e rilevanti indizi, tali da comprovare la presunta partecipazione di Cammarata ad una associazione di tipo mafioso. Gli accertamenti patrimoniali avrebbero fatto emergere una forte sproporzione tra i beni posseduti rispetto ai redditi dichiarati, patrimonio che sarebbe stato accumulato all'incirca negli ultimi quindici anni.
12/09/2006
Fonte: La Sicilia

sabato, settembre 09, 2006

Anniversario Valerio

Esattamente due anni fa, il 9 Settembre 2004, Valerio Nigrelli è venuto a mancare. Questo non è l'anniversario di una grande personalità che ha lottato contro la mafia pagando con la vita... E' un grandissimo amico che ci ha lasciato semplicemente in un incidente stradale... Valerio ha lasciato un grande buco dentro noi; e quello che ho imparato, è che in queste situazioni quel buco è praticamente impossibile da colmare... Grazie a Valerio ho capito il valore del tempo... Ho capito che quando sto con delle persone devo godere di quel tempo, devo viverlo al massimo e devo farne tesoro... Valerio ha fatto tanto e fa ancora tantissimo per le persone che lo hanno conosciuto... Grazie Vali...Sono sicuro che ti starai divertendo e ci starai guardando, ovunque tu sia... Ti vogliamo bene...
Saverio Fuccillo
09/09/2006

Milano omaggia Falcone e Borsellino

MILANO- Due obelischi, uno in memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e l'altro del commissario Luigi Calabresi. A dare l'annuncio che Milano ricorderà così i due magistrati palermitani assassinati dalla mafia, e il commissario che indagò sulla strage di piazza Fontana e fu ucciso dai terroristi nel 1972, sono stati stamani gli assessori alla Cultura, Vittorio Sgarbi, e quello all'arredo urbano, Maurizio Cadeo. Ancora da definire i luoghi in cui sorgeranno i due obelischi, mentre è certo il nome dell'artista a cui saranno commissionati i progetti. Si tratta dello scultore di origine morava, ma da tempo residente in Francia, Ivan Theimer. "A Milano - ha commentato Vittorio Sgarbi - ci sono monumenti orribili dedicati a grandi personaggi e a grandi cause. Un esempio su tutti è quello a Sandro Pertini in via Manzoni. È ora di cominciare a fare monumenti che dal punto di vista estetico rispettino il simbolo che rappresentano".
08/09/2006
Fonte: La Sicilia

giovedì, settembre 07, 2006

La Bibbia all' FBI

PALERMO - "Bisogna fare tutto il possibile per cercare di capire se la Bibbia di Bernardo Provenzano contenga o meno messaggi cifrati". Così il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso commenta a Radio 24 la notizia dell'invio, da parte degli investigatori, della Bibbia del vecchio padrino di Corleone agli esperti dell'Fbi. Il volume, trovato nel casolare di Montagna dei Cavalli dove si rifugiava il capomafia, è pieno di linee, appunti, foglietti e freccette, come se indicassero qualcosa. Potrebbe essere il codice utilizzato dal boss nei "pizzini" che inviava ai gregari. "Quella con l'Fbi - sottolinea Grasso - è una collaborazione non nuova, è già successo più volte". In merito all'ipotesi che le annotazioni al testo sacro possano nascondere un codice di comunicazione, il procuratore non si sbilancia: "È un'ipotesi tutta da dimostrare". Sulla latitanza di Provenzano, spiega inoltre il capo della Dna, ci sono ancora dei periodi oscuri, soprattutto quelli antecedenti al 1992, "di cui si sa ben poco". A Grasso è stato chiesto come è cambiata Cosa nostra dopo l'arresto di Provenzano: "Le indagini continuano - ha risposto - certamente c'è una destrutturazione dell'organizzazione, un momento di difficoltà e proprio questo dovrebbe essere il momento in cui intensificare l'attività di indagine e repressiva, per evitare che come in passato Cosa nostra possa riorganizzarsi ristrutturarsi e riprendere come prima".
07/09/2006
Fonte: La Sicilia

mercoledì, settembre 06, 2006

Arrestato latitante nel catanese

CATANIA - Il latitante Angelo Di Mauro, 26 anni, ricercato per associazione mafiosa, traffico di sostanze stupefacenti, usura, riciclaggio e armi è stato arrestato dalla polizia di Catania. L'uomo, sfuggito il 28 giugno scorso all'operazione Atlantide contro la cosca Pillera-Puntina, è stato catturato da agenti della squadra mobile in una villetta, nel Villaggio Baia del Silenzio di Brucoli dove si trovava con la famiglia.
06/09/2006
Fonte: La Sicilia

lunedì, settembre 04, 2006

Don Puglisi

PALERMO - La salma di don Pino Puglisi, il sacerdote ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993, giorno del suo 56esimo compleanno sta per essere collocata nella chiesa parrocchiale a Brancaccio, il quartiere di Palermo dove fu parroco per tre anni. Lo ha annunciato l'arcivescovo Salvatore De Giorgi nel corso dell'omelia tenuta nel santuario di Santa Rosalia sul monte Pellegrino."La Congregazione delle Cause dei Santi - ha rivelato - ha accolto la mia richiesta della eventuale traslazione della sua salma dal cimitero di Sant'Orsola nella Chiesa parrocchiale di Brancaccio". "Di Don Pino Puglisi - ha aggiunto - è ancora in corso a Roma il processo "super martirio" che auguriamo abbia lo stesso esito positivo, da tutti desiderato" Padre Puglisi il 29 settembre 1990 venne nominato parroco a San Gaetano, a Brancaccio, e nel 1992 assunse anche l'incarico di direttore spirituale presso il Seminario arcivescovile di Palermo. Il 29 gennaio 1993 inaugurò a Brancaccio il centro "Padre Nostro", che diventò il punto di riferimento per i giovani e le famiglie del quartiere. La causa per il riconoscimento del martirio si è conclusa il 6 maggio 2001; dalla fine di settembre dello stesso anno l'incartamento è all'esame della Congregazione per le cause dei Santi. Nei mesi scorsi è stata stampata la Positio, che è la raccolta delle prove testimoniali e documentali e degli atti giuridici essenziali "per poter rispondere al dubbio se veramente si può parlare di eroicità delle virtù o di martirio del Servo di Dio"."L'omicidio non doveva apparire un delitto di mafia - racconterà al processo il suo assassino, Salvatore Grigoli - bensì come l'opera di un tossicodipendente o di un rapinatore. Per tale motivo fu utilizzata una pistola di piccolo calibro e al sacerdote fu sottratto il borsello ". Prima di essere ucciso don Pino disse: "Me lo aspettavo". Grigoli che era insieme a un altro killer, Gaspare Spatuzza, gli sparò un colpo alla nuca. Per il delitto Puglisi sono stati condannati all'ergastolo Giuseppe e Filippo Graviano, mandanti e boss di Brancaccio, e Gaspare Spatuzza, Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro e Luigi Giacalone. Salvatore Grigoli, divenuto collaboratore di giustizia, è stato condannato a 16 anni. Le motivazioni della sentenza della seconda sezione della Corte d'Assise spiegarono così il movente del delitto: "Emerge la figura di un prete che infaticabilmente operava sul territorio, fuori dall'ombra del campanile...".
04/09/2006
Fonte: La Sicilia

Chi era Carlo Alberto Dalla Chiesa

Carlo Alberto Dalla Chiesa (Saluzzo, CN, 27 settembre 1920 – Palermo 3 settembre 1982) fu un partigiano, un generale dei Carabinieri ed un prefetto italiano, che divenne noto per la lotta contro il terrorismo italiano negli anni Settanta ed in seguito fu ucciso insieme alla moglie in un agguato mafioso.
Nel 1949 fu pertanto inviato su sua richiesta in Sicilia, ove entrò nella formazione delle Forze Repressione Banditismo agli ordini del Generale Luca, che oltre ad avere a che fare con fenomenologie criminali come quelle del bandito Salvatore Giuliano, si occupava anche di arginare le tensioni separatistiche attizzate dall'EVIS e da altri agitatori, nonché delle relazioni fra queste due pericolose sacche di illegalità; nell'isola comandò il Gruppo Squadriglie di Corleone e svolse ruoli importanti e di grande delicatezza, meritando peraltro una medaglia d'argento al valor militare.
Da capitano, indagò sulla scomparsa (poi rivelatasi omicidio) del sindacalista Placido Rizzotto, scoprendone il cadavere che era stato abilmente occultato e giungendo ad indagare e incriminare l'allora emergente boss della mafia Luciano Liggio. Il posto di Rizzotto sarebbe stato preso da Pio La Torre, in questa occasione conosciuto da Dalla Chiesa ed in seguito anch'egli ucciso dalla mafia.
Dal 1966 (curiosamente in coincidenza con l'uscita di De Lorenzo dall'Arma) al 1973 tornò in Sicilia con il grado di colonnello, al comando della legione carabinieri di Palermo. Trasse notevoli risultati dalle sue studiate tecniche di investigazione, assicurando alla Giustizia boss come Gerlando Alberti o Frank Coppola ed iniziando a seguire piste che almeno per sussurro avrebbero aperto al successivo disvelamento delle relazioni fra mafia e politica.
Nel 1968 intervenne coi suoi reparti in soccorso delle popolazioni del Belice colpite dal sisma, riportandone una medaglia di bronzo al valor civile per la personale partecipazione "in prima linea" alle operazioni.
Nel 1970 svolse indagini sulla misteriosa scomparsa del giornalista Mauro De Mauro, il quale poco prima aveva contattato il regista Francesco Rosi promettendogli materiale che lasciava intendere scottante sul caso Mattei. Le indagini furono svolte con ampia collaborazione fra i Carabinieri e la Polizia, per la quale erano dirette da Boris Giuliano, anch'egli in seguito ucciso dalla mafia. Giuliano, peraltro, aveva iniziato ad investigare su molti aspetti operativi ed organizzativi della criminalità organizzata, in una fase in cui venivano alla ribalta personaggi come Michele Sindona e divenivano evidenti (o meno nascondibili) i "nessi" con il mondo politico. Le indagini sul De Mauro, però, non sortirono effetti di rilievo.
Il 2 Aprile scrisse al presidente del Consiglio Giovanni Spadolini che la corrente democristiana siciliana facente capo ad Andreotti sarebbe stata la "famiglia politica" più inquinata da contaminazioni mafiose.
Il successivo 2 Maggio fu improvvisamente inviato in Sicilia come prefetto di Palermo a combattere l'emergenza mafia. Le indagini sui terroristi furono assegnate ad altri, e di fatto si interruppe la precedente successione di risultati prima di riuscire a fare piena luce su fatti e mandanti. A Palermo lamentò più volte la carenza di sostegno da parte dello stato (emblematica la sua amara frase: "Mi mandano in una realtà come Palermo, con gli stessi poteri del prefetto di Forlì", città presa come esempio di situazione di lavoro ordinario, non particolarmente difficile), finché fu assassinato dalla mafia.
03/09/2006

Anniversario Dalla Chiesa

PALERMO - Ricorre oggi il 24° anniversario dell'omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell'agente di scorta Domenico Russo. Era il 3 settembre del 1982, da poco erano scoccate le 21,15. I sicari entrarono in azione in via Isidoro Carini, facendo fuoco sull'auto sulla quale il prefetto viaggiava insieme alla moglie.
L'agente li seguiva a bordo di un'Alfetta. Tutti trucidati sotto una tempesta di colpi di un kalashnikov. In questi 24 anni gli investigatori, anche grazie alla testimonianza dei pentiti, sono riusciti a ricostruire la dinamica esatta della strage, ad identificare i killer ed i vertici di Cosa Nostra che ordinarono l'eccidio. Lo stesso non può dirsi per i mandanti occulti, per coloro che esercitarono le pressioni sulla cupola. Restano infatti molti i misteri sul delitto.
Le fasi dell'eccidio sono state ricostruite dai pentiti, Calogero Ganci e Francesco Paolo Anzelmo. Entrambi per la morte del generale dovranno scontare 14 anni di reclusione. L'A112, su cui si trovavano il prefetto e la moglie, venne affiancata e superata da una Bmw 518 su cui viaggiavano Antonino Madonia e Calogero Ganci. A fare fuoco con un kalashnikov fu Madonia.
Una seconda vettura, guidata da Anzelmo, seguiva il prefetto, pronta ad intervenire per bloccare l'eventuale reazione dell'agente di scorta. Russo fu assassinato da Pino Greco "Scarpuzzedda" che seguiva i suoi complici a bordo di una moto. La A112, dopo essere stata investita dal fuoco del kalashnikov, sbandò, costringendo l'auto dei killer a sterzare bruscamente a destra.
"Il ricordo di Carlo Alberto Dalla Chiesa, della sua consapevole dedizione e del suo sacrificio eroico resta di monito a tenere sempre alta la vigilanza contro l'insidia della criminalità e la fiducia nelle istituzioni". Così il Presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, ricorda il Generale Dalla Chiesa in un messaggio al prefetto di Palermo, Giosuè Marino. "Ricordo con tristezza e dolore - scrive Napolitano - l'assassinio che, in quel tragico 3 settembre del 1982, con spietata ferocia, costò la vita al Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, e alla sua giovane moglie Emanuela Setti Carraro, ed al valoroso agente di scorta Domenico Russò".
"L'intero Paese - aggiunge il Presidente della Repubblica - fu scosso dall'orrore di quell'atto criminoso, che apriva una fase ancora più efferata della criminalità mafiosa in una escalation eversiva volta a prevaricare e a sovvertire lo Stato e le istituzioni democratiche". "Insieme alla città di Palermo le forze sane del Paese seppero trovare la forza per reagire con quella unità che lo stesso Dalla Chiesa aveva auspicato, sulla base della significativa esperienza della lotta contro il terrorismo degli anni settanta".
"Questo impegno comune ha coinvolto - dice ancora Napolitano - i settori fondamentali della vita civile: la politica, la cultura, la magistratura, le forze dell'ordine, la scuola, l'associazionismo, le famiglie e i cittadini". "Ciò ha permesso di mettere a segno risultati significativi, colpendo l'organizzazione mafiosa e assicurando alla giustizia molti fra i suoi maggiori responsabili".
"In questo spirito, interpretando i sentimenti di tutti gli italiani - conclude Napolitano - rivolgo alle famiglie Dalla Chiesa, Setti Carraro e Russo un commosso pensiero e un saluto solidale".
02/09/2006
Fonte: La Sicilia

sabato, settembre 02, 2006

Cuffaro "faccia tosta"

PALERMO - "Domani ricorre il 24/mo anniversario del sacrificio del generale dei carabinieri, Carlo Alberto Dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell'agente di scorta, Domenico Russo, trucidati dal piombo mafioso. Ricordiamo oggi quella sera di grande tristezza per ribadire l'impegno delle istituzioni, a tutti i livelli, contro la mafia e contro ogni altra forma di criminalità". Così il presidente della Regione Siciliana, Salvatore Cuffaro, ricorda l'eccidio avvenuto a Palermo la sera del 3 settembre del 1982. "La figura del generale Dalla Chiesa, nell'immaginario dei siciliani, rimane quello di un uomo dello Stato che aveva un grande senso delle istituzioni. Dalla Chiesa - aggiunge - fu tra i primi a capire l'importanza del coinvolgimento della società civile, e in particolare delle giovani generazioni, nella lotta alla criminalità organizzata. Ricordo ancora le sue visite nei licei della città, il suo dialogo appassionato con gli studenti, la sua capacità di far valere, sempre, le regole della convivenza civile e dello Stato di diritto". "Noi, come Regione Siciliana, non abbiamo dimenticato il suo straordinario esempio - dice - intitolando a lui un accordo di programma quadro, siglato nel settembre del 2003 con i Ministeri dell'Interno e dell'Economia. Uno strumento che punta a sostenere e incentivare l'azione di prevenzione per migliorare le condizioni di sicurezza dei cittadini". "Siamo convinti che sia proprio questo - conclude - il modo migliore per ricordare chi ha sacrificato la propria vita per far valere l'interesse generale della società. Un atto concreto, insomma, per fa rivivere nella coscienza di tutti la figura del generale Dalla Chiesa, con un'azione in suo nome tesa a favorire la collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti nella lotta alla criminalità organizzata".
02/09/2006
Fonte: La Sicilia

venerdì, settembre 01, 2006

Ancora sull'omicidio Calcagno

Nord-Sud, 1 mln per zittire la mafia.
La realizzazione dell'arteria vicino Nicosia al centro della guerra tra le due fazioni di Cosa Nostra.
Cento miliardi di lire per un tratto di circa 4 chilometri. Questa la somma finanziata dall'Anas per la realizzazione della "Nicosia nord - Vigneta", lotto della strada destinata a collegare la costa Nord dell'Isola con quella Sud, Santo Stefano di Camastra con Gela, tagliando in perpendicolare e attraversando le province di Messina, Enna e Caltanissetta. Cento miliardi che con la "messa a posto", la tangente di circa il 2% imposta da Cosa nostra alle imprese che svolgono i lavori, sono un milione di euro ai quali si aggiungono poi gli introiti per le forniture di materiali, appannaggio esclusivo di imprese "vicine alle famiglie" del territorio dove ricade il cantiere. Questo l'affare che ruotava intorno ai lavori della Nord Sud, ancora in corso a Nicosia, lavori che in questi anni, tra perizie di variante e imprevisti in corso d'opera sono levitati di circa il 40%. Comprensibile quindi che gli "appetiti" di "Tano U liuni" su quei lavori e le sue disposizioni a Domenico Calcagno di provvedere a riscuotere per la cosca di Enna, scatenassero le ire di Raffaele Bevilacqua e dei catanesi del clan Santapaola, che già provvedevano a riscuotere le tangenti su tutti i lavori svolti dalla Ira Costruzioni. Calcagno "ci scassa tanto" che di lui Alfio Mirabile dirà "Ma questo è una cosaccia, cosa da ammazzarlo veramente". La "Gransecco 2" con la quale dal Dia di Caltanissetta e il comando provinciale dei carabinieri di Enna hanno fatto luce sul delitto di Domenico Calcagno, è intrecciata a doppio filo a un'altra inchiesta, la "Dionisio", condotta dalla Dda di Catania e che lo scorso luglio ha portato a 83 arresti. Tra gli indagati di quell'operazione c'è anche Raffaele Bevilacqua e proprio per le tangenti imposte alla Ira Costruzioni sui cantieri in provincia di Enna. Sui lavori della superstrada Nord Sud e del lotto in corso di realizzazione a Nicosia, nel quale la Fe Ira aveva in subappalto il grosso delle opere, come già emerso dall'operazione Dionisio, era sorta una "grana" di competenze territoriali della quale si parla in diverse intercettazioni ambientali che già sono alla base dell'operazione "Dionisio". Calcagno aveva creato grossi problemi con le inopinate interferenze nella riscossione delle tangenti sui cantieri della Ira Costruzioni in provincia di Enna, scatenando la reazione del rappresentate provinciale Raffaele Bevilacqua e dei vertici della cosca catanese. E' Bevilacqua che nel novembre del 2002 chiede un incontro con Francesco La Rocca che doveva tenersi a San Michele di Ganzaria, ma che viene poi spostato e quindi non sarà intercettato. Dell'incontro La Rocca discute preventivamente con Alfio Mirabile. "Aspettiamo questo discorso - dice Mirabile riferendosi all'incontro con Bevilacqua - questo Calcagno se ne è andato da Berna Nasca (n.d.r.: arrestato nel blitz Dionisio con l'accusa di essere il collettore delle tangenti tra la provincia di Enna e la cosca catanese e scarcerato dal tribunale del Riesame etneo) e gli dice siete avvicinati a me, Catania non c'entra niente e i soldi li devi dare a me". I lavori per i quali Calcagno aveva chiesto la "messa a posto" erano quelli della Nord Sud, ma la questione si era ulteriormente complicata con l'inizio di altri lavori per la realizzazione di un pozzo nella zona di Pergusa sempre appaltati alla Ira Costruzioni. Calcagno era però determinato a riscuotere le tangenti sui cantieri nell'ennese e così decide di chiedere un incontro con Mirabile tramite Pietro Iudicello, presunto boss di Ramacca. Alfio Mirabile avrebbe voluto approfittare di quell'occasione per eliminare Calcagno, ma Francesco e Filippo la Rocca, vice rappresentate provinciale di Enna poi presente al vertice con l'avvocato Bevilacqua, non sono d'accordo perché temono che l'agguato possa attirare l'attenzione degli inquirenti su Iudicello. L'incontro tra Bevilacqua, La Rocca e Mirabile non viene intercettato, ma viene invece registrata un'altra conversazione, ritenuta dagli inquirenti fondamentale, nella quale si fa il resoconto dell'incontro con il "rappresentate provinciale di Enna" Bevilacqua, e si torna a discutere dell'eliminazione di Calcagno "U pulizziamu sanu - dice Mirabile - e u unittamu direttamente".

La vera storia dell'omicidio Calcagno...

Era il 18 maggio del 2003, quando a Valguarnera un commando omicida fece fuoco e uccise Domenico Calcagno, 44 anni, imprenditore, sorvegliato speciale di Ps. Un omicidio efferato e di chiaro stampo mafioso, visti i precedenti di Domenico Calcagno. Un omicidio che è entrato prepotentemente nella storia valguarnerese come il primo omicidio di mafia. Valguarnera, un paese apparentemente tranquillo, fu sconvolto da una esecuzione ordinata da Cosa Nostra. Erano da poco passate le 20 di una serena domenica primaverile. Domenico Calcagno, detto Mimmo, stava rincasando nella sua abitazione di via Sicilia 2. Calcagno era ancora a bordo della sua Mercedes 250 di colore blu, quando i sicari, appostati nelle vicinanze, lo freddarono con tre colpi di lupara. La Mercedes, guidata da Calcagno, oramai senza nessun controllo, aveva proseguito la sua marcia ed aveva investito una signora valguarnerese che assieme al marito si trovava a passare per quella strada per raggiungere la vicina chiesa di San Giovanneo Bosco, che si trova appena alle spalle di casa Calcagno. La signora investita dall'automobile fuori controllo, per fortuna, se la cavò senza gravi conseguenze. Ma l'omicidio di Mimmo Calcagno fu eseguito senza nessuna remora e timore di essere visti. A pochi metri di distanza dal luogo del delitto, infatti, una folla di centinaia di persone si trovava dinanzi al sagrato della chiesa di San Giovanni Bosco, ad attendere l'uscita del fercolo del Santo. Con ogni probabilità, lo sparo dei mortaretti che salutava l'uscita dalla chiesa di San Giovanni Bosco, coprì i tre colpi sparati dal fucile automatico usato dai killer, che dal finestrino opposto a quello di guida, freddarono, Mimmo Calcagno, colpendolo alla testa. I tre colpi dei sicari, non sentiti nell'immediatezza, fecero tanto rumore nelle coscienze dei valguarneresi onesti e in quanti credevano che omicidi, minacce ed estorsioni, potessero avvenire solo in altre parti della Sicilia e non in quell'apparente oasi di pace che sembrava e sembra essere Valguarnera. I killer di Calcagno si dileguarono con facilità, visto che il civico 2 di via Sicilia, è uno degli immobili che si trova alla periferia del paese. Sul posto arrivarono, carabinieri, polizia, vigili urbani, guardia forestale. E mentre le urla strazianti dei familiari di Calcagno, che lasciava la moglie e tre figli, raggelavano l'intero rione, una enorme folla di curiosi, per alcune lunghe ore, assistette alle operazioni di rito e all'arrivo di numerosi ufficiali dei carabinieri e della polizia. Quando sul luogo del delitto, arrivò anche Roberto Condorelli, sostituto procuratore della Repubblica della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta, ogni possibile dubbio dello zampino di Cosa nostra sull'esecuzione di Mimmo Calcagno, si diradò. Per consentire tutti i rilevamenti del caso ed agevolare il lavoro della Scientifica, il 18 maggio del 2003, la scena del delitto fu illuminata dalle cellule fotoelettriche dei vigili del fuoco. Non appena quelle luci si spensero e passati i classici ed emotivi giorni del lutto, a Valguarnera, tutto ritornò alla "normalità ". Una normalita' apparente, dove negli anni che sono seguiti, gli incendi notturni di autovetture sono stati decine e tutti impuniti. Come impuniti restano gli incendi di farmacie, studi medici, portoni di abitazioni private e danneggiamenti vari a politici e cittadini privati. Quando qualcosa accade se ne parla solo per qualche giorno e poi le luci sono nuovamente spente. In questi tre anni c'è chi le luci sull'omicidio Calcagno non le ha mai spente e arrestando i presunti mandanti di un efferato delitto come quello del 18 maggio 2003, ha dimostrato che ogni vita, in qualunque modo possa essere vissuta, nessuno ha il diritto di toglierla.

Il racket colpisce a Siracusa

SIRACUSA - Un attentato incendiario è stato messo a segno la notte scorsa contro un cantiere edile di contrada Spalla, a Siracusa, dove, utilizzando una bombola di gas e del liquido infiammabile, un camion è stato dato alle fiamme. Si tratta del terzo incendio in un cantiere edile registrato nel siracusano nell'ultima settimana; il penultimo era avvenuto appena 24 ore prima.
Stavolta gli attentatori hanno messo a segno il loro piano in maniera tale che non ci fossero dubbi sul fatto che si trattasse di un'intimidazione. Hanno rubato una Fiat "Uno", vi hanno caricato una bombola di Gpl e poi l'hanno introdotta all'interno del cantiere dopo avere forzato una delle sbarre d'accesso. Quindi hanno accostato l'auto al camion, l'hanno cosparsa di liquido infiammabile e hanno appiccato il fuoco. Dopo pochi minuti la bombola è esplosa e le fiamme si sono estese al mezzo pesante. Il cantiere, che si trova a poche centinaia di metri dal grande magazzino "Auchan", alla periferia Nord di Siracusa, risulta intestato a un'impresa di Francofonte che sta realizzando un capannone. L'allarme al centralino dei vigili del fuoco e' stato dato poco prima dell'1.30. Quando pompieri sono arrivati sul posto hanno trovato la "Uno" col tettuccio completamento divelto e avvolta dal fuoco; del camion, invece, sono andate distrutte la cabina e una gru montata sul cassone. I vigili del fuoco hanno anche trovato il contenitore utilizzato per portare il liquido infiammabile. Sul caso stanno indagando i poliziotti, che sono risaliti subito al proprietario dell'auto, risultata rubata un'ora prima dell'incendio al cantiere. L'episodio sembra segnare una ripresa in grande stile delle estorsioni nel Siracusano, provincia in cui il racket è sempre stato molto attivo. La notte precedente era andato a fuoco un camion utilizzato nei lavori per la costruzione dell'autostrada Catania-Siracusa, in contrada San Leonardo, nei pressi di Lentini. In un primo momento si pensava ad un corto circuito ma col passare delle ore prenderebbe corpo l'ipotesi dell'attentato. Qualche giorno prima, a Siracusa, era stato preso di mira il camion di un'impresa edile impegnata in lavori i contrada Pizzuta. E inoltre, si tenta capire si siano di natura estorsiva gli incendi che di recente hanno distrutto le auto di un commerciante e di un imprenditore.
01/09/2006
Fonte: La Sicilia