sabato, marzo 10, 2007

Il codice Provenzano

Chi è il numero 21? E chi è il numero 63? E il 9, il 18, il 44? E, soprattutto, chi è quell´«Adorato Gesù Cristo» che lui ringrazia insistentemente ogni qualvolta i poliziotti piombano in un casolare e non lo trovano mai? Dietro ogni numero c´è un compare, un vivandiere, un parente, un insospettabile, dietro ogni numero c´è un fidato postino dei suoi messaggi di carta. Ma l´«Adorato Gesù Cristo» è qualcosa di più e di diverso da tutti gli altri: è probabilmente l´uomo che gli ha permesso di fare la sua latitanza sempre al riparo, sicura, priva di rischio. Una clandestinità difesa molto in alto e per molto tempo. Dopo la cattura di Bernardo Provenzano l´antimafia è alla caccia dei grandi protettori di Bernardo Provenzano.
L´ultima trama siciliana è giallo ed è anche ricerca, studio di un linguaggio, di uno stile di comunicazione, di un modo di sopravvivere. È il gergo della vecchia nuova mafia di Corleone. Quella che era partita come inchiesta giudiziaria nel lontano giorno che - nel 1994 - intercettarono i primi «pizzini», è diventata oggi anche un libro che tenta di spiegare il potere di un capo avvolto nel mistero per quasi mezzo secolo. Il titolo anticipa tutto il resto: Il Codice Provenzano. L´hanno scritto un magistrato e un giornalista. Il primo è Michele Prestipino, il sostituto procuratore della Repubblica di Palermo che per otto anni ha inseguito il Padrino con i poliziotti di un reparto scelto. Il secondo è Salvo Palazzolo, un giornalista di Repubblica che da otto anni raccoglie anche il più piccolo dettaglio sulla vita del boss dei boss di Corleone. Il Codice Provenzano (Laterza, pagg. 332, 15 euro) sarà in libreria da questa mattina. Più che un racconto è un documento che entra per la prima volta nel «sistema di informazione» e trasmissione di notizie inventato dall´ultimo dei Corleonesi, una sorta di ministero speciale delle Poste che ha consentito a Provenzano di sfuggire a intercettazioni ambientali e telefoniche, di neutralizzare le più sofisticate apparecchiature utilizzate dagli «sbirri» che lo braccavano.
Nel libro sono raccolti o ricordati praticamente tutti i «pizzini» sequestrati al Padrino e ai suoi fedelissimi di cosca fino all´11 aprile del 2006, l´ultimo giorno di libertà di Bernardo Provenzano dopo quarantatré anni. È un archivio. Ordini mandati in tutta la Sicilia dentro bigliettini arrotolati con lo scotch, disposizioni segretissime, spedite con un esercito di messaggeri che se le passavano di mano in mano. «Chi sono i misteriosi destinatari dei messaggi indicati dal capo di Cosa Nostra con la sequenza di numeri da 2 a 164?», è questa la domanda dalla quale parte l´indagine sul Codice. Da 2 a 164. E poi, sempre quell´«Adorato Gesù Cristo» citato con maniacale cura dal Padrino. E mai a sproposito. Mai per caso.
Come quella volta che Bernardo Provenzano rassicurava il suo braccio destro Antonino Giuffrè. Il capo dei capi era appena sfuggito alla cattura mentre un altro dei suoi colonnelli - Benedetto Spera - era stato preso. Scriveva il Padrino: «Grazie ancora per la tua disponibilità per una due settimane lato Cefalù, se era 25 20 giorni addietro sarebbe stata una Grazia, ma grazie al mio Adorato Gesù Cristo al momento ha provveduto lui». Chi era lui? E quante altre volte aveva «provveduto» per avvisarlo di una retata, di un´indagine pericolosa, di una microspia? «Solo in apparenza Bernardo Provenzano è stato il più fortunato dei Padrini. Ma non è così», scrivono Michele Prestipino e Salvo Palazzolo addentrandosi nella decifrazione del Codice e ricordando la lunga lista dei blitz falliti, delle ricerche impantanate, delle piste investigative affossate dagli spifferi. Come accadde nella primavera del 2002.
Era marzo, in una di quelle antiche masserie della campagna siciliana i boss si erano dati appuntamento per un summit. Prima di cominciare la «riunione», uno di loro fece cenno a tutti gli altri di stare zitti. Poi cominciò a cercare qualcosa in una stanza, quando la trovò puntò quell´oggetto verso il pavimento. Era una telecamera. L´avevano sistemata là i carabinieri. Da un monitor, in caserma videro in diretta solo i piedi di alcuni uomini. Erano quelli dei boss. Qualcuno li aveva messi all´erta. Chi? Un «pizzino» del vecchio Bernardo Provenzano consegnato al solito Giuffré: «Faccia guardare, se intorno all´azienta, ci avessero potuto mettere una o più telecamere, vicino ho distante, falli impegnare ad osservare bene, e con questo, dire che non parlano, né dentro, né vicino alle macchine, anche in casa, non parlano ad alta voce, non parlare nemmeno vicino a case né buone né diroccate, istruiscili, niente per me ringraziamenti. Ringrazia a Nostro Signore Gesù Cristo».
Una delle tante soffiate partite dagli uffici investigativi, uno dei tanti servizi fatti al Padrino. «Difficile pensare che Bernardo Provenzano avesse avuto il privilegio di una visione divina che gli aveva rivelato l´esistenza di una telecamera», commentano il magistrato e il giornalista che - pizzino dopo pizzino - hanno scoperto qualcosa di veramente sorprendente nel sistema di comunicazione fra il boss di Corleone e i suoi: l´arte dello storpiare le parole. Sarà anche un mezzo analfabeta il vecchio Bernardo, ma quei messaggi sgrammaticati, quelle parole in siciliano duro, quei pensieri attorcigliati che riempivano i suoi messaggi erano tutti concordati. Erano il Codice.
A pagina 44 del libro c´è una rivelazione che conferma quella tecnica di scrittura scelta dalla mafia di Corleone. Viene riportata la registrazione di una telefonata intercettata fra Pino Lipari - uno degli insospettabili al servizio del clan - e suo figlio Arturo: «Io sgrammaticatizzo.. è fatto apposta, hai capito? Sbagliare qualche verbo, qualche cosa... mi hai capito Arturo?». Come se dietro ogni errore ci fosse una chiave per decifrare, come se dietro ogni parola malamente scritta ci fosse un segreto. E´ ancora dalle chiacchiere captate da una microspia che affiorano altri sospetti. Ed è sempre Pino Lipari che discute con il figlio Arturo a proposito di uno dei pizzini di Provenzano: «L´hai letto tu? Però non era tutto completo, vero?».
Il figlio è agitato, capisce di non avere ricopiato bene il messaggio del Padrino da portare a suo padre. Si giustifica: «Ma c´erano un sacco di Ave Maria...». Il padre si arrabbia, lo rimprovera: «Un´altra volta tutta, perché in mezzo all´Ave Maria io devo capire». I riferimenti religiosi - sempre presenti nei bigliettini di Provenzano - trasportavano informazioni criptate. Dal numero 2 al numero 164, da un´Ave Maria a un Buon Gesù. Misteri del passato e misteri del presente. «L´arresto del Padrino di Corleone non ha rappresentato la fine della lotta alla mafia», scrive il pubblico ministero Prestipino. E aggiunge: «Perché ancora molti sono i misteri da svelare. Dietro il codice si nascondono i nomi dei mafiosi reclutati dopo le stragi del 1992 e le tracce degli insospettabili complici».
Ma dopo la sua cattura chi ne è diventato il depositario? Chi conosce la chiave per decrittarlo? Gli indizi sono solo nei pizzini. Il magistrato e il giornalista li hanno studiati per mesi, esaminati da varie angolature. Hanno anche ipotizzato che ci sia un cifrario nel cifrario. Molti pensieri del Padrino sono citazioni della Bibbia accompagnati da sequenze di lettere e altri numeri. «Il Signore vi benedica e vi protegga», era il saluto che c´era in ogni foglietto. Frase tratta dal Vecchio Testamento, libro dei Numeri, capitolo 6, versetto 24.
Un´ostentazione di religiosità che si ritrova sempre. E a volte nemmeno tanto criptica. Come questa: «Preghiamo il Nostro buon Dio, che ci guidi, a fare opere Buone». Favori. Da avere e da offrire. Il Codice è come una via che ha attraversato la Sicilia. Con lui, il Padrino, sul ponte di comando. Cercando di essere sempre uguale e sempre diverso. L´ultimo volto è stato quello di «Pilato», così almeno riferisce quell´Antonino Giuffrè che gli è stato accanto per tanti anni prima di pentirsi. Bernardo Provenzano come Pilato per quel suo modo di prendere sempre tempo, di non decidere mai subito. Un´altra arte, quella dell´indugio. Ogni pizzino è un capolavoro di rallentamento, di pausa. Di incertezza.
Cos´è dunque, alla fine, il codice Provenzano? Il magistrato e il giornalista, nelle ultime pagine del loro bel libro, rispondono: «E´ stato un sistema di comunicazione dinamico, che era composto da relazioni in evoluzione». Relazioni che nascondono anche il vero segreto dei delitti eccellenti di Palermo: Mattarella, Dalla Chiesa, La Torre, Falcone, Borsellino. Ma il codice è anche la combinazione per aprire i grandi forzieri delle ricchezze alla mafia siciliana. Quelle mai trovate.
Fonte: La Repubblica

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