martedì, febbraio 05, 2008

Inaugurazione all'Università di Catania

«Siamo di fronte ad una vera rivoluzione della società siciliana. Da un lato abbiamo i siciliani che si stanno rendendo conto sempre più che non serve fare il politico per fare politica e prendersi le proprie responsabilità, quindi hanno iniziato a fare antimafia attivamente, dall’altro abbiamo un grandissimo rapporto di collaborazione con lo Stato e le Forze dell’Ordine che ci dà la forza di poter continuare a lottare contro questi prevaricatori. Sono perfettamente consapevole che siamo solo all’inizio di un percorso molto lungo, ma mi sento di essere ottimista perché questi sono fattori strutturali veramente nuovi».
Queste sono state le parole di Ivan Lo Bello, il presidente di Confindustria Sicilia, intervenuto all’inaugurazione dell’anno accademico 2008-2009 della facoltà di Lettere e filosofia di Catania, tenutosi venerdì pomeriggio nell’auditorium dei complesso dei Benedettini. L’incontro si è svolto in due momenti. All’inizio il preside di Lettere e filosofia, Enrico Iachello, ha annunciato il suo progetto di confronto con il territorio. «Occorre ripensare il rapporto che l’università ha con il territorio – ha detto – e credo che oggi siamo pronti a questo processo che ci aiuta anche a ripensare alla nostra offerta formativa e a migliorare i nostri corsi». Il prof. Iachello ha inoltre detto che esistono già degli osservatori che operano sulla strada della collaborazione, come quello sulla storia di Catania, quello sulle scuole e quello sul castello Ursino. Osservatori che spera di potenziare e per cui spera avere l’appoggio dell’assessorato alla Cultura, appoggio che fino adesso, ha detto, è stato negato. All’insegna di questa apertura al territorio si è incentrata la seconda fase dell’incontro. I giornalisti Francesco Merlo e Pietrangelo Buttafuoco hanno moderato una discussione che ha avuto come protagonisti Ivan Lo Bello, l'imprenditore catanese Andrea Vecchio e il commerciante palermitano Vincenzo Conticello. «Lascio la parola a loro – ha detto il preside Iachello – perché loro, i protagonisti di un’importante svolta per il territorio, testimoni di una ribellione concreta contro la mafia, facciano i professori per noi».
Andrea Vecchio e Vincenzo Conticello, noti per il loro coraggio di denunciare le richieste di pegamento del pizzo che hanno ricevuto ed anche di riconoscere in tribunale i loro estorsori, hanno raccontato la loro esperienza, le difficoltà incontrate nei rapporti con la società, l’importanza che ha avuto per loro l’appoggio delle loro famiglie, quali sono state le molle che hanno fatto scattare in loro il meccanismo del coraggio di ribellarsi a dei prepotenti. Due storie diverse, ma che hanno in comune il coraggio e la voglia di non farsi sopraffare. «Stanco della situazione nel 2004 ho denunciato le richieste di pizzo che avevo ricevuto, ma andare a riconoscere il mio estorsore in tribunale era un grande passo. È stata mia figlia a darmi la forza – ci ha raccontato Vincenzo Conticello. – Si era iscritta ad Addio Pizzo e, orgogliosa di aver attaccato per la città degli adesivi con la famosa scritta “un popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità” è venuta a raccontarmelo. Nello stesso momento io ho trovato la forza di reagire, dovevo avere quella dignità di cui mia figlia andava orgogliosa e riconoscere i miei aguzzini in sede di processo». La storia di Andrea Vecchio è un po’ diversa. La sua lotta alla mafia inizia nel 1982; quest’imprenditore ha trovato il coraggio di lottare un po’ per carattere: «mi definisco un intemperante a cui girano le scatole se qualcuno tenta di sopraffarmi e non un eroe come molti mi hanno appellato». Ma c’è dietro anche una precisa analisi della situazione. Andrea Vecchio, infatti, ha raccontato che ha capito che aveva a che fare con uomini e soprattutto che lui era più forte dei suoi estorsori; anche per questo ha deciso di denunciare. «La prima volta è stata al telefono – ha raccontato – e ho avuto molta paura perché non hanno minacciato solo me ma soprattutto hanno minacciato i miei figli che all’epoca erano ancora piccoli. Quando però, invece di rispondere al telefono ho lasciato rispondere la segreteria telefonica e li ho sentiti in difficoltà nell’avere a che fare un questo mezzo tecnologico, ho capito che ero più forte di loro».
Durante l’incontro il presidente Lo Bello ha voluto fare una differenziazione: «La situazione in Sicilia è variegata – ha detto –. Mentre per esempio a Gela, ci sono 85 tra imprenditori e commercianti che hanno denunciato, a Palermo le denunce si possono contare sulle dita di una mano. In questa città, infatti, il sistema mafioso e la disponibilità a pagare il pizzo sono molto più radicati. Per questo quando vedo persone come Vincenzo Conticello che si ribellano a questo sistema tanto radicato nel territorio, non posso che essere ottimista per il futuro».
Fonte: Step magazine

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