Processare il prefetto Mario Mori e il colonnello dei carabinieri Mauro Obinu per la mancata cattura, nel 1995, di Bernardo Provenzano. La richiesta, che segue l'avviso di conclusione delle indagini, è stata avanzata dal sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, Nino Di Matteo: favoreggiamento aggravato a Cosa nostra, e segnatamente a Bernardo Provenzano, l'ipotesi d'accusa. Il "capo dei capi", come dichiarato da un mafioso confidente, Luigi Ilardo, doveva infatti partecipare ad un summit in una masseria di Mezzojuso, in provincia di Palermo. Ma per il pm, i due investigatori (che sono poi passati al servizio segreto civile) "hanno omesso" di organizzare un adeguato servizio che consentisse l'arresto di Provenzano in occasione dell'incontro con altri boss "il 31 ottobre 1995 a Mezzojuso". Mori e Obinu (difesi dall'avvocato Piero Milio) hanno respinto l'accusa, producendo anche il risultato di indagini in cui si dimostrerebbe che la loro azione non è mai stata tesa a commettere i reati ipotizzati dalla Procura.
Secondo l'impianto accusatorio, Ilardo aveva raccontato riservatamente al colonnello dei carabinieri Michele Riccio, che Provenzano era solito utilizzare una masseria nelle campagne di Mezzojuso per summit con altri mafiosi, e che proprio il 31 ottobre 1995 sarebbe stato lì. Il confidente, inoltre, aveva fatto i nomi di alcuni soggetti mafiosi che in quel momento gestivano la latitanza di Provenzano. L'accusa è che dopo la trasmissione delle notizie apprese da Ilardo, e trasmesse da Riccio ai suoi superiori dell'Arma dei carabinieri, per "un anno non vennero attivate indagini" né sui luoghi né sui soggetti, né venne comunicato il tutto all'autorità giudiziaria di Palermo che coordinava le indagini per la cattura di Provenzano. Il delitto di Ilardo, ucciso poco prima dell'ammissione al servizio di protezione, è ancora avvolto dal mistero.
La procura di Palermo ha chiesto l'archiviazione per il colonnello dell'Arma, Michele Riccio (era stato denunciato per calunnia da Mori e Obinu) e per il generale Antonio Subranni (nei suoi confronti, secondo la Procura, non ci sono gli elementi per chiedere il processo).
Ai tempi in cui sarebbero stati commessi i fatti di reato, Mori era vice comandante operativo del Ros mentre Obinu era comandante del reparto criminalità organizzata del Raggruppamento. Agli atti dell'inchiesta c'è, tra l'altro, una consulenza tecnica sui luoghi in cui sarebbero avvenuti i summit mafiosi, e la documentazione conservata presso la segreteria particolare del procuratore di Palermo, a quei tempi era Gian Carlo Caselli, con le direttive impartite agli organi investigativi incaricati della ricerca dei latitanti.
Il prefetto Mori, insieme al capitano Sergio De Caprio, è stato assolto per la mancata perquisizione del covo in cui fu catturato Totò Riina il 15 gennaio 1993. Nella motivazione delle sentenza del tribunale di Palermo vennero avanzate critiche sulle modalità operative seguite dai carabinieri dopo la cattura di Riina ma venne escluso il "patto" tra pezzi dello Stato e boss (per tutti: gli incontri tra Mori e l'ex sindaco Vito Ciancimino, condannato per mafia) che avrebbero portato alla fine della latitanza del capo dei "corleonesi".
Fonte: Il sole 24 ore
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