lunedì, settembre 24, 2007

Ecco perchè De Mauro fu ucciso... (Da leggere)

PALERMO - In redazione l'aveva confidato a più di un collega: "Ho uno scoop che farà tremare l'Italia". Era venuto a sapere che il principe Junio Valerio Borghese stava preparando un golpe. E che Cosa Nostra complottava con i generali. Mauro De Mauro però fece le domande giuste alle persone sbagliate. Prima lo rapirono e lo "interrogarono", poi lo strangolarono. Il suo cadavere fu seppellito in campagna, tra la borgata di Villagrazia e la foce del fiume Oreto. Trentacinque anni dopo si chiude l'inchiesta sul primo delitto eccellente di Palermo. È la "pista nera" che puzza di mafia. È la sola, l'unica che resiste a più di tre decenni di aggrovigliate investigazioni. I fascisti progettavano di fare il colpo di stato alleandosi in Sicilia con i boss, fu la scoperta di quel patto la condanna a morte di Mauro De Mauro, reporter del quotidiano della sera L'Ora, corrispondente dall'isola de Il Giorno e della Reuters, giornalista famoso e dal burrascoso passato repubblichino nella Decima Mas. Ucciso nel settembre 1970 per una notizia che gli avevano soffiato amici frequentati in gioventù, compagni d'armi e camerati. Mandanti dell'omicidio i capi della Cupola Stefano Bontate, Gaetano Badalamenti e Salvatore Riina. Ordinarono il suo rapimento dopo un incontro a Roma con il principe Borghese e due alti ufficiali del Sid, il servizio segreto militare di allora. Il golpe era previsto per dicembre, nella notte tra il 7 e l'8, nome in codice del piano insurrezionale "Tora Tora". Fu un omicidio "preventivo", sostengono i magistrati nella loro ultima ricostruzione sul sequestro del giornalista. A soffocarlo furono Mimmo Teresi, Emanuele D'Agostino e Stefano Giaconia, picciotti di Santa Maria di Gesù, tutti e tre assassinati nella guerra di mafia degli anni 80. Con loro ci sarebbe stato anche Bernardo Provenzano. Nei prossimi giorni, l'inchiesta giudiziaria sarà ufficialmente definita dai sostituti procuratori Gioacchino Natoli e Antonio Ingroia. Già decisa una richiesta di rinvio a giudizio per Totò Riina, gli altri due mandanti sono ormai morti. Incerta ancora la posizione di Provenzano. Ad accusarlo c'è solo il pentito Francesco Di Carlo, non ci sono altre "chiamate" o riscontri alle sue dichiarazioni. Sta finendo in archivio così il caso De Mauro, il più misterioso dei gialli palermitani, una trama che si è intrecciata con tanti altri affaire italiani, primo tra tutti l'attentato di Bascapè del 27 ottobre del 1962, l'aereo del presidente dell'Eni Enrico Mattei che decollò da Catania e precipitò a pochi chilometri da Linate. L'inchiesta sulla morte del giornalista è stata ripescata l'ultima volta 10 anni fa, dopo che un magistrato di Pavia - Vincenzo Calia, quello che aveva riaperto le indagini su Mattei - chiese e inviò carte a Palermo. Uno scambio di documenti che ha dato spinta all'istruttoria siciliana. Praticamente è ricominciata daccapo. Tanti i testimoni mai ascoltati, gli indizi mai approfonditi, gli interrogatori mai verbalizzati. Un depistaggio dopo l'altro. Trovata traccia anche di un colloquio riservato dell'allora capo della omicidi della squadra mobile Boris Giuliano con Ugo Saito, il giudice titolare della prima inchiesta: il commissario lo avvertiva che "c'era qualcuno al ministero a Roma che non voleva andare a fondo alla morte di De Mauro". Scartate tutte le altre ipotesi sul sequestro - quella che portava al traffico di stupefacenti seguita precipitosamente dal colonnello dei carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa, e quella che conduceva alle esattorie dei cugini Salvo inutilmente battuta dai poliziotti - la procura di Palermo 35 anni dopo ha ricostruito il movente del delitto. Il giornalista era già tempo sorvegliato dai mafiosi. Avevano paura che scoprisse qualcosa sull'"incidente" al presidente dell'Eni, lui lavorava alla sceneggiatura del film che Francesco Rosi stava girando proprio sull'attentato di Bascapè. Ma De Mauro non custodiva segreti su Mattei. Si era invece imbattuto in quell'altra storia, il colpo di stato, il golpe che il "principe nero" voleva far scattare da lì a tre mesi coinvolgendo anche Cosa Nostra. I mafiosi avrebbero dovuto occupare la sede Rai di Palermo, le prefetture e le questure delle città siciliane. Erano quasi le 9 di sera del 16 settembre quando sparì proprio sotto casa sua, in via delle Magnolie, la Palermo del sacco edilizio. Mauro uscì dalla redazione de L'Ora e fermò la sua Bmw davanti a un bar, comprò due etti di caffè macinato, due pacchetti di Nazionali senza filtro e una bottiglia di bourbon. Stava posteggiando l'auto quando sua figlia Franca - la ragazza si sarebbe dovuta sposare la mattina dopo - dalla finestra vide il padre "che parlava con due o tre uomini". Poi la Bmw all'improvviso ripartì. Fu ritrovata la mattina dopo dall'altra parte della città. Aveva ancora le chiavi inserite nel cruscotto. A Palermo è il rituale della lupara bianca. Così Mauro scomparve per sempre. Per più di vent'anni solo silenzio. Dopo le stragi del 1992 cominciarono a parlare i pentiti. Il primo fu Gaspare Mutolo. Svelò due nomi: "Lo strangolarono Stefano Giaconia ed Emanuele D'Agostino". Poi arrivò Buscetta. E poi ancora Antonino Calderone, Francesco Marino Mannoia, Gaetano Grado. Tranne don Masino che è morto, gli altri sono stati tutti riascoltati dai magistrati. E tutti hanno indicato la "pista nera". Per ultimo Francesco Di Carlo ha ricordato di summit a Roma tra capimafia e generali. E ha spiegato: "De Mauro non fu nemmeno trascinato via a forza quella sera..". Conosceva bene una di quelle "due o tre persone" che sua figlia Franca intravide dalla finestra di casa. Era Emanuele D'Agostino, l'autista di Bontate. De Mauro si fidava in qualche modo di D'Agostino. E forse proprio da lui stava cercando di avere quel pezzo mancante per il suo scoop. Lo portarono in un casolare e fu Mimmo Teresi a interrogarlo, a tirargli fuori quello che sapeva sul colpo di stato. Poi lo uccisero. Nessuno dei pentiti sa dove sia esattamente la sua tomba, tutti dicono che è "sicuramente sotterrato" a Villagrazia, sul letto di quello che una volta era il fiume Oreto. Il resto di questa storia italiana è confinato tra le pieghe di un'inchiesta che è stata dimenticata per anni, insabbiata. I magistrati di Palermo dopo tanto tempo hanno voluto interrogare ancora Vittorio Nisticò, il direttore de L'Ora, il giornale dell'altra Palermo. E per la prima volta da quel lontano 1970 hanno ascoltato Bruno Carbone, un collega che lavorava nella stessa stanza con De Mauro. Carbone ci aveva confessato nel 2001: "Mauro mi disse che aveva per le mani un colpo straordinario, io sono stato testimone della sua vita eppure non c'è mai stato un poliziotto o un magistrato che abbia sentito il dovere di chiedermi qualcosa". E aveva aggiunto: "Pochi giorni prima di sparire avevo suggerito a Mauro di parlare con il procuratore Pietro Scaglione. Lui ci andò. Dopo pochi mesi uccisero anche Scaglione".
Fonte: La Repubblica

2 commenti:

Anonimo ha detto...

e non vorrei errare quando dico che il mimmo teresi che lo interrogo e' lo stesso che fu intercettato, sia nell'inchiesta dell'utri sia nell'inchiesta cuffaro......
misteri italiani......
spadafora live

Sciavè ha detto...

corsi e ricorsi...