mercoledì, aprile 18, 2007

Estorsioni a Gela

"O paghi o ti mando in fumo il locale". Con questo out out un noto esponente di Cosa Nostra, cinque anni fa, era riuscito a farsi consegnare una tangente di 500 euro da un operatore economico cittadino. E si trattò di un episodio isolato rimasto avvolto nel buio per anni. Fino ad ieri quando al culmine di una certosina attività investigativa condotta dagli uomini della Squadra Mobile di Caltanissetta e da quelli del locale Commissariato, il presunto estortore si è visto recapitare in carcere un nuovo ordine d'arresto per estorsione pluriaggravata. A riceverlo è stato Rocco Ferlenda, di 37 anni, personaggio navigato sotto il profilo giudiziario per essere stato nel tempo uno dei personaggi più attivi all'interno della "famiglia" gelese di Cosa Nostra. Una partecipazione che, nel prosieguo degli anni, lo ha fatto finire sotto processo per mafia, traffico e spaccio di droga, estorsioni e rapina.
Il nuovo ordine d'arresto spiccato dal Gip di Caltanissetta Giovanbattista Tona su richiesta del sostituto della Dda Rocco Liguori, è stato notificato a Ferlenda nel carcere di Caltanissetta dove si trova detenuto dal giugno dello scorso anno per essere rimasto implicato nell'inchiesta antiestorsione denominata "Civetta" che, oltre a lui, coinvolse altre sei persone una delle quali affiliate alla Stidda, con l'accusa di avere vessato con richieste di "pizzo" per 17 anni il titolare di una rosticceria di corso Aldisio.
Ora la nuova accusa di avere imposto il "pizzo" anche al titolare di un pub del Lungomare. Era il 2002 e Ferlenda, in barba alla sorveglianza speciale cui si trovava sottoposto, si presentò al titolare del pub per sottoporlo all'odioso ricatto del racket. Alla vittima chiese l'immediato pagamento di 500 euro, invitandola, peraltro, a non ribellarsi, pena l'incendio del locale. Messo con le spalle al muro, il titolare del pub preferì piegarsi al ricatto e tacere per scongiurare il pericolo di ritorsioni. E pagò convinto che Ferlenda, nel prosieguo, sarebbe tornato a battere cassa. Cosa che, però, non avvenne stante agli esiti dell'attività investigativa.
Sull'episodio estorsivo, da quel momento, calò il buio più fitto. A rispolverarlo è stato, negli ultimi mesi del 2006, un collaborante che lo narrò agli inquirenti. Di qui la necessità di sentire anche la vittima che per anni aveva tenuto la bocca chiusa su quell'episidio estorsivo consumato ai suoi danni. Ma di fronte all'evidenza l'operatore economico, peraltro già sottoposto ad estorsione da parte di altri esponenti di Cosa Nostra, non potè più negare ed ammise tutto. Una conferma rivelatasi un toccasana nelle indagini della polizia sfociate ieri nella nuova incriminazione di Ferlenda.
Fonte: La Sicilia

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