venerdì, marzo 02, 2007

I collaboratori di giustizia

Tutto quello che si sa della criminalità organizzata di stampo mafioso, si sa grazie ai collaboratori di giustizia. Senza di loro, non solo Michele Santoro non avrebbe potuto realizzare alcune indimenticabili trasmissioni televisive, e Roberto Saviano scrivere la sua coinvolgente e scioccante opera prima, Gomorra. Neppure i giudici avrebbero potuto arrestare, condannare e mettere sotto sequestro giudiziario i patrimoni di Giovanni Brusca, Paolo Di Lauro, Bernardo Provenzano, Francesco Schiavone detto Sandokan, per ricordare solo alcuni dei casi più clamorosi.
Senza i collaboratori di giustizia, individui caratterizzati da una dubbia morale e da una capacità di calcolo non comune, la lotta al crimine organizzato di stampo mafioso sarebbe ancora all’anno zero. Come intuirono Falcone e Borsellino, diversamente che per i terroristi, nel caso della mafia , il pentimento segue una stringente logica economica, che possiamo razionalizzare e comprendere alla luce della teoria dei giochi.
O’ sistema si regge su un Patto di sangue tra gli associati. Il patto di sangue assicura che individui altrimenti egoisti ed individualisti cooperino tra loro, riuscendo così a creare una impresa criminale. Quest’ultima a sua volta permette di svolgere in modo efficiente una serie di attività illecite nel corso del tempo e generare per tutti gli affiliati di un certo territorio un enorme surplus “cooperativo”. Affinché il potenziale pentito decida di buttare il cuore oltre l’ostacolo, pentendosi, occorre che lo Stato gli fornisca incentivi pigouviani tali da aumentare il beneficio (payoff) derivante dalla sua defezione, fino a superare il beneficio derivante dalla sua affiliazione. A ben vedere, almeno tre elementi entrano nella matrice dei guadagni del potenziale pentito di mafia.
In primo luogo, occorre annullare la pena prevista dalla mafia per la defezione. La punizione che l’organizzazione tenterà di imporre al “mafioso che parla” per la rottura del Patto di sangue stabile e durevole che egli ha sottoscritto è una morte senza appello per lui e per i suoi familiari. Lo Stato deve perciò proteggere il collaboratore di giustizia (e i suoi cari).
È decisivo che la protezione sia certa. Come si diceva dalle colonne de Il Denaro qualche giorno fa a proposito del recente assassinio di Giovannino Giuliano, è importante che lo Stato contrapponga alla certezza della pena che l’antistato prevede per i “traditori”, una protezione non meno certa. Ogni qual volta un pentito, ovvero un suo familiare, è ucciso, si rischia di mettere in discussione il precario equilibrio che lo ha spinto a rompere il patto di sangue.
In secondo luogo, gli incentivi dello stato devono controbilanciare la perdita economica che il collaboratore sopporta per la rinuncia alle sue attività illegali. Non va dimenticato, infatti, che oltre ad essere sradicato dal proprio habitat, il pentito è costretto anche ad un grave peggioramento della sua condizione economica. Ma tutto ciò non spiegherebbe ancora perché i capi dell’organizzazione mafiosa dovrebbero abbandonarla. La protezione dello Stato e l’incentivo economico possono essere sufficienti per i gregari, i cui proventi illeciti sono contenuti. Inoltre, spesso il potenziale pentito teme di essere scalzato dai suoi “colleghi” ovvero di essere messo da parte da quelli che sono più in alto di lui nella gerarchia criminale. Allora, la collaborazione di giustizia può rappresentare una salvezza, una volta arrestato. Talvolta, si ha il sospetto che qualche mafioso si faccia arrestare intenzionalmente, poiché è meglio essere arrestati che esposti alle ritorsioni dei propri colleghi.
Tuttavia, un capo mafia che ha un esercito ben armato e ben pagato ai suoi ordini, possiede spesso enormi ricchezze e conosce bene la capacità della mafia di imporre con freddezza e pazienza la sua legge. Perché egli dovrebbe accontentarsi di una protezione, talvolta incerta, e di qualche spicciolo dallo Stato? Per capire cosa spinge al pentimento un capo mafia, occorre un terzo elemento. Il pentimento, o la dissociazione, sono l’unico strumento disponibile per sfuggire al carcere duro. Il carcere duro è un istituto disciplinato dall’art 41bis della legge 354 del 1975, modificata nel 2002. Esso prevede diverse forme di restrizione della libertà personale. I colloqui possono riguardare solo familiari e conviventi e devono avvenire in numero limitato (non più di due al mese), in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti e possono essere sottoposti a controllo auditivo, previa motivata autorizzazione dell’autorità competente. Vi è, inoltre, una limitazione dei beni che possono essere ricevuti dall’esterno e, in particolare, la corrispondenza è sottoposta a visto di censura. È, infine, limitata la permanenza all’aperto che non può svolgersi in gruppi superiori a cinque persone ed avere una durata superiore a quattro ore al giorno.
Chi è abituato ad una vita di lussi e stravizi vede nell’isolamento carcerario un tunnel senza via d’uscita. Inoltre, il carcere duro impedisce al capo mafia di continuare ad esercitare le sue prerogative di comando. E ciò rappresenta un sacrificio difficile da accettare. Non è un caso che in più occasioni la mafia abbia chiesto alle autorità giudiziarie ed al Parlamento di abrogare l’articolo 41bis. Il potenziale pentito si trova a giocare su due tavoli. Su un tavolo si trova di fronte gli altri affiliati. L’altro tavolo lo vede contrapposto allo Stato. Se egli si pente deve affrontare la vendetta della mafia. Se egli non si pente, però, deve affrontare la non meno temibile punizione dello Stato. È bene che quest’ultimo non rinunci mai al suo strumento punitivo se vuole rendere maggiore di zero l’equazione delle differenze fra benefici e costi della rottura dal patto di sangue, e mantenere ancora viva la speranza di vincere la sua guerra con la mafia.
[Francesco Pastore è Professore incaricato di Economia Politica, Seconda Università di Napoli; Linda Maisto è Dottoressa in Scienze Giuridiche, Seconda Università di Napoli]
Fonte : Denaro.it

3 commenti:

freesud ha detto...

Il problema è che i boss stanno uscendo tutti dal 41 bis e che lo stato tollera compromissioni di politici in modo scandaloso....manca la volontà politica dello stato di sradicare il cancro mafioso....

www.riberaonline.blogspot.com

ti propongo uno scambio di link.

Sciavè ha detto...

ok scambio accettato...
ciao

freesud ha detto...

Bene anke tu sei linkato....facciamo rete!! ciao blog interessante...