lunedì, marzo 26, 2007

Convegno a Brescia

«Bisogna imparare a convivere con la mafia». L’ex ministro dei trasporti Carlo Lunardi doveva avere virtù profetiche o divinatorie. La celebre gaffe che lo ha reso famoso sembra essersi avverata. Questo hanno sostenuto nel convegno «Le collusioni tra mafia, politica, Stato e borghesia» organizzato ieri dal Prc di Brescia e dal Comitato antimafia di Brescia intitolato a «Peppino Impastato», convegno che si è tenuto nel salone «Buozzi» della Camera del Lavoro. Assenti i rappresentanti delle istituzioni e della Cgil, tocca ai docenti universitari tracciare il ritratto del fenomeno mafioso seguendo il percorso che va dalla nascita della Repubblica ai giorni nostri. Un sentiero tortuoso segnato da troppe pagine oscure (come la strage di Portella della Ginestra) che sembrano aver prodotto nella gente una progressiva assuefazione al fenomeno mafioso. La rivolta delle coscienze che ha seguito le stragi di Capaci e via D’Amelio ha da tempo esaurito la propria spinta. Cosa Nostra non ha più bisogno di referenti politici, si è data una veste istituzionale e governa direttamente la Sicilia controllando ogni settore della società. «Nel frattempo - secondo lo storico Nicola Tranfaglia, ospite dell’incontro di ieri - i mezzi di comunicazione riducono sempre più il fenomeno mafioso a mero episodio di cronaca, perdendone volutamente di vista la portata politica». Un fenomeno sociale dalle lontane origini che prende vita con lo sbarco degli americani in Sicilia: «Sull’isola, gli alleati hanno legittimato di fatto il ruolo della mafia nella gestione della cosa pubblica - ricorda lo storico Giuseppe Casarrubea - attraverso l’opera del capo delle truppe Charles Poletti». Le affermazioni di Casarrubea si basano su un profondo lavoro di ricerca intorno alla strage di Portella della Ginestra, (1° maggio 1947) portato avanti negli archivi dei servizi segreti americani, italiani, inglesi e nell’archivio di Lubiana. I documenti di quattro paesi diversi confermano le tesi secondo cui l’evento che per molti storici segna l’inizio della Strategia della tensione e sancisce la nascita del cosiddetto Doppio stato, vede la mafia protagonista - insieme ai membri dell’eversione nera - del tentativo (peraltro riuscito) di controllo totale delle istituzioni. «Ma perchè tanta obbedienza nei confronti di Cosa Nostra?» si chiede il professor Calogero Lo Piccolo, psicoterapeuta dell’Università di Palermo che ha da tempo in cura numerosi famigliari di boss mafiosi. «Cosa c’è nella testa del mafioso?». «Più che altro - afferma - la coscienza di non essere un criminale, unita all’intenzione di perseguire i propri obiettivi di controllo del territorio e gestione del potere tanto che, entro certi limiti, nella realtà siciliana, il termine mafioso ormai è quasi un complimento».
Fonte: brescia oggi

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