venerdì, gennaio 12, 2007

Riscrivere la storia siciliana

Intendono riscrivere la storia della Sicilia degli anni successivi alla seconda guerra mondiale. Nico Miraglia e Giuseppe Casarrubea, figli di due sindacalisti uccisi dalla mafia alla fine degi anni Quaranta, si sono ritrovati a Sciacca per ricordare Accursio Miraglia a 60 anni dalla morte. Lo dicono a voce alta da anni: la storia della Sicilia del dopoguerra è da riscrivere, occorre dare concretezza a quel processo di revisionismo storico che porti alla luce il disegno politico-criminale che sta dietro il massacro di Portella della Ginestra e le uccisioni di Miraglia, Rizzotto, Bongiorno, Carnevale e altri. Ad avvalorare la loro tesi su un intreccio tra mafia, politica, movimento separatista e servizi segreti americani, Casarrubea e Miraglia, presidenti delle Fondazioni "Non solo Portella" e "Miraglia", aggiungono le ricerche svolte negli archivi americani, desecretati dall'ex presidente Bill Clinton, dai quali emergerebbe il chiaro disegno americano di impedire l'arrivo al potere dei comunisti in Italia.
"I misteri si stanno diradando - ha detto a Sciacca Casarrubea - una serie di documenti reperiti a Washington ed a Londra, ci stanno consentendo di ricostruire quanto accaduto in Sicilia nel 1947, il contesto ed i caratteri particolari di un periodo sanguinario". L'azione condotta da anni con determinazione da Miraglia e Casarrubea, punta ad una concreta revisione di quel periodo storico, a non abbandonare nel dimenticatoio degli anniversari i sacrifici di quanti hanno lottato per la libertà, a non tacere sulle connivenze di quegli anni tra banditi, mafia, forze dell'ordine e mondo politico, che ora stanno lentamente emergendo.
Nico Miraglia, insegnante come Casarrubea, è molto più incisivo: "I caduti di quel periodo facevano parte di un piano programmatico messo in piedi da Cia, mafia e un gruppo del comitato di liberazione che in quel momento governava l'Italia". L'anniversario della morte di Accursio Miraglia è stato celebrato con una giornata dedicata ad un convegno "Dal comitato di liberazione nazionale ad oggi, riflessioni e prospettive", promossa dalla Fondazione intitolata a Miraglia, al quale ha preso parte anche il presidente della Commissione nazionale antimafia Francesco Forgione. E' stata la prima di una serie di iniziative che nel corso del 2007 intendono ricordare il sacrificio del sindacalista, ucciso la sera del 4 gennaio 1947 nel momento in cui stava per fare rientro a casa.
Miraglia è stato uno dei protagonisti del movimento contadino negli anni Quaranta, alla guida delle azioni di lotta dei siciliani per la terra, componente di quel gruppo di dirigenti sindacali che furono vigliaccamente uccisi dalla mafia nel corso di una vera e propria guerra, quella mafia degli agrari che aveva legami con pezzi della politica e dell'economia e che riuscì a raggiungere il proprio obiettivo grazie a questa serie di connivenze, lasciando isolati quanti guidavano quelle lotte. Accursio Miraglia sembrava destinato ad una carriera da impiegato quando cominciò a lavorare, giovanissimo, in un istituto bancario a Milano. Fu lì che si avvicinò alla politica ed alle lotte della classe operaia, ricevendo però il benservito dalla banca, che lo licenziò per le sue iniziative anarchiche. Il rientro a Sciacca fu quindi inevitabile e con esso la militanza politica nel Partito Comunista, l'attività sociale e sindacale nella Cgil al fianco dei contadini, senza però trascurare un'attenzione particolare per la cultura. A poco a poco divenne una figura simbolo per le classi sociali meno abbienti, per quei contadini che chiedevano l'attuazione delle leggi che prevedevano la concessione alle cooperative dei terreni incolti appartenenti ai latifondi. Oggi il figlio Nico propone di individuare anche in provincia di Agrigento i beni confiscati ai mafiosi e destinarli alle cooperative giovanili, come aveva fatto il padre negli anni '40.
Per quanti lo hanno conosciuto e sono ancora in vita, Accursio Miraglia resta una figura epica, indimenticabile. In un foto che lo ritrae fiero di sé e che molti anziani contadini conservano ancora in casa, scrisse di suo pugno "meglio morire in piedi che vivere in ginocchio".
Fonte: La Sicilia

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