martedì, novembre 21, 2006

Allora non ho visto solo io Anno Zero...

Quanti siciliani si sono riconosciuti nel cachinno sbeffeggiante con il quale il presidente Cuffaro ha provato a ridicolizzare i toni inquisitori di Santoro e dei suoi collaboratori di "Annozero"? Proviamo a rispondere partendo da un assunto: il pubblico che segue la trasmissione rappresenta una fascia d´ascolto "selezionata", particolarmente sensibile a temi come il rapporto tra mafia e politica, già a conoscenza di contesti e avvenimenti. Sotto questo profilo, non c´è da misurare il grado di consenso o di disconoscimento nei confronti di un personaggio come il governatore Cuffaro. Nel senso che ci troviamo di fronte a giudizi consolidati, ideologicamente rafforzati, di difficile modifica a prescindere dai contenuti del confronto televisivo. La domanda vale dunque per quell´area di incerti, meno informata e con appartenenze deboli e fluttuanti, desiderosa di conoscere fatti e al tempo stesso psicologicamente influenzabile dalla capacità di comunicazione espressa dai diversi attori. Con questa chiave di lettura può sostenersi un «successo» del presidente della Regione. In grado, per istinto o per accorti consigli, di scegliere l´ironia come arma per contestare un clima costruito per avversarlo tanto drammatico da apparire artificioso. Nell´ipotesi in cui i punti di gradimento fossero calati quando interloquiva Claudio Fava, testimone egli stesso, con la sua vicenda personale, dei costi della lotta alla mafia, sarebbero comunque risaliti rapidamente di fronte alle palesi difficoltà che Santoro accusava di fronte ai riferimenti sarcastici rivoltigli da Cuffaro. Il dramma, perché tale è il rapporto tra mafia e politica, si è stemperato in una sorta di commedia frizzante con citazioni incongrue di lingerie, complicità occulte di alto bordo, irridenti distorsioni di nomi, esibizioni di coppole ben studiate per allentare la tensione del colloquio e banalizzare pesanti, all´almeno in apparenza, accuse. Interventi in diretta dall´esterno avrebbero potuto dissipare questa sorta di «siamo tutti siciliani» in versione buonista. Ma, pur attesi, sono mancati. Cuffaro calava il suo "jolly" con grande tempismo: i voti a vagonate che la Sicilia a ogni scadenza elettorale puntualmente gli assicura. E a questo punto, se così può dirsi, non c´era più partita. Anzi, era come intravedere un futuro che dissipava ogni nube di incertezza: se condanna giudiziaria ci sarà, in relazione ai reati che gli vengono contestati, la sicura "leggerezza" di questa condanna sin d´ora ne fa sentenziare la sua irrilevanza ai fini della prosecuzione del percorso di governo intrapreso dal presidente. Quasi fosse tutto scritto quanto dovrà avvenire, prefigurati gli effetti, cancellate in anticipo possibili ricadute negative. La trasmissione si concludeva e Cuffaro era pronto a rientrare negli spogliatoi accompagnato dall´immancabile coro inneggiante e laudatorio. Quale lezione trarre da questa esperienza? Commentatori sapienti avvertono da più anni che la cattiva qualità attribuita alla politica in Sicilia, in special modo dal centrosinistra, non va imputata al "modello Cuffaro" quanto proprio alla debolezza e al consociativismo sommerso dello stesso centrosinistra. Già in un´intervista di tre mesi fa Cuffaro, su quest´ultima caratteristica, si dilettò in un altro dei suoi cachinni sbeffeggianti. E, più che uno scoop, le allusioni di Cuffaro apparvero un vero e proprio avvertimento. Nello stesso stile con il quale, riconosciamolo, Cuffaro ha abilmente "smontato" l´incauta supponenza di Santoro. Oltre che, se possibile, ulteriormente rassicurato i suoi «vagoni» di voti. Brutta bestia, la televisione, quando la si vuole utilizzare da arma politica.
Fonte: La Repubblica

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