martedì, settembre 23, 2008

Il ricordo di Livatino...

(AGI) - Agrigento, 20 set. - Il giudice Rosario Livatino fu ucciso 18 anni fa, senza pieta', da un commando mafioso. La sua figura oggi viene rievocata al palazzo di giustizia di Agrigento, nel corso di un convegno su "Sicurezza, garanzie e processo penale", alla presenza del guardasigilli Angelino Alfano e del presidente dell'Anm Luca Palamara. Domani, giorno dell'anniversario, alle 10.30 una messa nella sua Canicatti'. Erano passate da poco le 8.30 quella mattina del 21 settembre 1990. Rosario Livatino, che il 3 ottobre avrebbe compiuto 38 anni, a bordo della sua Ford Fiesta di colore rosso, da Canicatti', dove abitava, si stava recando al tribunale di Agrigento. Come sempre, stava percorrendo i duecento metri del viadotto San Benedetto, a tre chilometri dalla citta' dei templi, quando una Fiat Uno e una motocicletta di grossa cilindrata lo hanno affiancato costringendolo a fermarsi sulla barriera di protezione della strada statale. I sicari, almeno tre, con altri due complici autisti, hanno sparato numerosi colpi di pistola. Alcuni proiettili hanno infranto il lunotto posteriore della Fiesta. Rosario Livatino ha tentato una disperata fuga, ha innestato la marcia indietro per fuggire, ma e' stato inseguito e bloccato. Ha allora aperto lo sportello di destra cercando scampo nella scarpata sottostante. Colpito da due proiettili alla spalla destra ha continuato a correre, ma i killer lo hanno tallonato sparando altri colpi. Dopo un centinaio di metri e' caduto. I sicari gli hanno scaricato addosso altri quattro colpi di pistola, due al braccio destro, uno alla tempia destra ed un altro in bocca. E sono fuggiti. Dopo l'agguato, sul viadotto San Benedetto, sono arrivati subito i colleghi del giudice assassinato; da Palermo anche l'allora procuratore aggiunto Giovanni Falcone, e da Marsala il procuratore della Repubblica Paolo Borsellino.Per la morte di Rosario Livatino, di cui e' in corso la causa di beatificazione, sono stati individuati, grazie al supertestimone Pietro Ivano Nava, i componenti del commando omicida e i mandanti, tutti condannati all'ergastolo, con pene ridotte per i collaboranti. Secondo la sentenza, Livatino venne ucciso perche' "perseguiva le cosche mafiose impedendone l'attivita' criminale, laddove si sarebbe preteso un trattamento lassista, cioe' una gestione giudiziaria se non compiacente, almeno, pur inconsapevolmente, debole, che e' poi quella non rara che ha consentito la proliferazione, il rafforzamento e l'espansione della mafia". Gli stiddari vollero uccidere un giudice non condizionabile per lanciare un segnale di potenza a Cosa nostra. Ma la sua terribile fine ando' incontro agli interessi di chi si muoveva in modo oscuro nella politica e nell'economia: nella sua attivita', infatti, si era occupato di quella che sarebbe esplosa come la 'Tangentopoli siciliana' e aveva messo a segno numerosi colpi nei confronti della mafia dell'agrigentino, di Porto Empedocle e di Palma di Montechiaro, anche attraverso lo strumento della confisca dei beni. La storia di Livatino e' stata raccontata da Nando dalla Chiesa nel libro "Il giudice ragazzino", titolo che riprende la definizione attribuita a Francesco Cossiga: "Livatino e la sua storia sono uno specchio pubblico per un'intera societa' e la sua morte, piu' che essere un documento d'accusa contro la mafia, finisce per essere un silenzioso, terribile documento d'accusa contro il complessivo regime della corruzione". Giovanni Paolo II, pensava anche al magistrato, che una volta defini' "martire della giustizia e indirettamente della fede", quando da Agrigento il 9 maggio del 1993 lancio' il suo anatema contro i mafiosi: "Nessuna organizzazione criminale, mafia, puo' condizionare la vita di un popolo. Convertitevi! Un giorno verra' il giudizio di Dio".
Fonte: AGI.it

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