giovedì, ottobre 04, 2007

Gela brucia

Gela. E' stata una settimana «nera» per Gela, una città in cerca di riscatto che tenta di assurgere alle cronache come «simbolo della lotta alla mafia», ma dove l'anti-Stato, imperterrito, continua a lanciare pesanti sfide ad una collettività che non ne può più. Una settimana nera, dicevamo, «inaugurata» col sangue di un giovane commerciante assassinato a colpi di pistola da killer ancora in circolazione; altri momenti di tensione nella notte tra venerdì e ieri con una pesante catena di attentati incendiari. Ne sono stati messi a segno 7, contro commercianti, muratori, impiegati e persino casalinghe. Il più grave – sul quale si adombra la pesante mano del racket delle estorsioni – è quello compiuto ai danni di uno dei bar-pasticceria-gelateria più noti del Lungomare Federico II di Svevia. E' il bar «De L'Avenue», di proprietà di Emanuele Gravina, di 42 anni. Per «avvertire» l'esercente, la malavita ha fatto ricorso a un attentato in perfetto stile libanese. Dopo avere rubato una Fiat «Panda» in via Eritrea a uno studente di 24 anni, gli attentatori l'hanno cosparsa di benzina, l'hanno incendiata e, a mo' di ariete, l'hanno scagliata contro la saracinesca del bar. Una tecnica non nuova, già riservata ad altri commercianti, forse renitenti al «pizzo». L'esplosione ha scatenato il terrore tra quanti risiedono nella zona che già in passato hanno «sperimentato» colpi di pistola e attentati incendiari ad altre attività economiche. L'incendio al bar «De L'Avenue» si è propagato velocemente all'interno, distruggendo ogni cosa e causando seri danni all'immobile che l'esercente aveva preso in affitto da un pensionato. Del bar è rimasto ben poco: solo il locale pasticceria. Con coraggio, già ieri all'alba, la vittima e gli amici si sono messi al lavoro per ripulire il locale. L'attentato ai danni del bar suona come una pesante azione di forza della malavita, una risposta eclatante agli imprenditori e ai commercianti che da qualche tempo a Gela hanno deciso di ribellarsi alle bande del «pizzo» che da un ventennio soffocano l'economia cittadina. Un segnale inquietante, una dimostrazione per convincere i ribelli che la mafia a Gela c'è e vuole imperare. A dispetto di centinaia di arresti e contromisure adottate per contrastare la criminalità, come ad esempio, l'installazione di telecamere in diversi punti della città. Ma a Gela, la città più videosorvegliata d'Italia (sono un centinaio le strade dove, su mandato del ministero dell'Interno, sono state installate telecamere) la malavita continua a «dettare legge». Così è successo nella notte tra venerdì e ieri quando ha colpito per ben 7 volte ed in altrettante zone cittadine, in sole 3 terribili ore, dall'1,25 alle 4,30. Nessuno ha visto niente, neppure le telecamere. Così i gravissimi episodi hanno fatto ripiombare Gela nel baratro e nella paura dei «soliti ignoti». E mentre carabinieri, polizia e Guardia di finanza indagano a 360 gradi per dare risposta ad una collettività stremata che reclama il diritto a vivere in una città normale, Gela fa la conta dell'ultimo disastro firmato col fuoco dalla malavita. Oltre al titolare del bar del Lungomare, altri due esercenti sono stati «avvertiti» a colpi di attentati incendiari. Il titolare di un negozio di calzature, sito di fronte la villa comunale, si è visto incendiare il telone da sole installato sulla porta d'ingresso. Un altro esercente ha subìto l'incendio della propria autovettura, una Mercedes Classe A che è andata completamente distrutta. Lo stesso rogo ha danneggiato la Smart del figlio dello stesso commerciante. Ma nel mirino dei criminali sono finiti anche un dipendente dello stabilimento petrolchimico, un muratore, una casalinga e un operaio generico. Tutti hanno subìto l'incendio di autovetture e di mezzi di lavoro. In questi ultimi casi è da escludere l'azione del racket e le indagini puntano su altri moventi, le vendette personali. Infatti a Gela, da anni, ormai, è una «moda» risolvere ogni bega col fuoco. Una città violenta, dove le forze sane e oneste ora, dopo anni di apparente serenità, sono tornate ad avere paura.


Fonte: La Sicilia

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