mercoledì, maggio 09, 2007

365 pagine depositate in cancelleria

PALERMO - Un durissimo atto d'accusa nei confronti dell'imputato, ma anche una valutazione molto negativa nei confronti del presidente della Regione Sicilia, Toto' Cuffaro. In 365 pagine depositate in cancelleria, i giudici della terza sezione del Tribunale di Palermo spiegano le ragioni della decisione con cui, il 6 dicembre scorso, fu condannato a otto anni, con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, l'ex assessore alla Salute del Comune di Palermo Mimmo Miceli. Con lui, in accoglimento delle proposte dei pm Nino Di Matteo e Gaetano Paci, fu riconosciuto colpevole anche l'ex segretario particolare di Vito Ciancimino Francesco Buscemi, che ebbe sette anni.
Il collegio presieduto da Raimondo Loforti ritiene Miceli un trait-d'union fra Cuffaro e il boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro. Proprio quest'ultimo avrebbe perorato la candidatura nelle liste del Cdu (oggi Udc) di Miceli, poi sponsorizzato dai mafiosi alle elezioni regionali del 2001. Il rapporto tra il governatore siciliano e il boss, sempre negato da Cuffaro, viene dato per scontato dai giudici: "Cuffaro e Guttadauro - si legge nella motivazione - continuano a mantenersi fedeli alla consegna di parlarsi fra loro solo attraverso Miceli". In un primo momento il capomafia di Brancaccio avrebbe chiesto la candidatura nel Cdu del proprio avvocato, Salvo Priola: il tramite sarebbe stato sempre Miceli, abituale frequentatore del salotto di Guttadauro assieme a un altro chirurgo, Salvo Aragona, condannato per concorso esterno e in rapporti - anche lui - col governatore siciliano. Dopo avere scoperto che Priola non era gradito a Cuffaro, Guttadauro preferì proprio Miceli, anche in virtù del particolare rapporto che lo legava a Cuffaro. Molti particolari di queste trattative sono stati rivelati dalle intercettazioni ambientali effettuate a casa del boss e sono stati poi spiegati da Aragona, divenuto collaboratore dei magistrati. Secondo l'analisi dei giudici, Guttadauro, più volte condannato per mafia, "non ritiene necessario, anzi valuta inopportuno, che il politico si schieri in prima persona su temi legati alla sopravvivenza di Cosa Nostra e piu' in generale si dichiara pronto a rendersi disponibile anche senza incontrare Cuffaro di presenza", mentre Miceli "fa da tramite fra il politico e gli affiliati mafiosi senza nascondere ad alcuno dei soggetti interessati la sua attivita'". Intanto le microspie continuano a registrare i colloqui che si svolgono nell'abitazione del mafioso: le ha piazzate il Ros nel 1999 e nel giugno 2001 Guttadauro le ritrovera'. Colpa di una fuga di notizie in cui Cuffaro, Miceli e Aragona avrebbero avuto un ruolo fondamentale. Per questo stesso fatto il Governatore è imputato nel processo 'Talpe alla Dda', con le accuse di favoreggiamento aggravato e rivelazione di segreto delle indagini. Alcuni pm hanno chiesto di aggravare l'accusa, facendola diventare concorso esterno. Il vertice della Procura, di fronte alle obiezioni dei titolari del processo Cuffaro, si è limitato a chiedere la riapertura di un'inchiesta già archiviata. Su questa richiesta il gip Fabio Licata non ha ancora deciso. E ora, dopo che i giudici scrivono che l'aver rivelato la presenza delle microspie dimostra piena consapevolezza della "potenzialita' agevolatrice per il sodalizio criminale e per Guttadauro", il dibattito e le polemiche interne alla Procura potrebbero riaprirsi. Proprio in merito alle intercettazioni la sentenza fa emergere come i periti abbiano attrezzature sofisticate, ma non capiscano il siciliano e dunque non sempre siano attendibili le loro analisi. Una frase pronunciata in dialetto ("vieru ragiuni avi'a Toto' Cuffaro") sembrava indicare nel presidente della Regione Sicilia la fonte dell'informazione sulla presenza della cimice piazzata in casa del boss Giuseppe Guttadauro; secondo la terza sezione del Tribunale di Palermo, quelle parole sarebbero state veramente pronunciate. La questione era stata oggetto di infinite polemiche tra i pm Nino Di Matteo e Gaetano Paci e i legali di Miceli, gli avvocati Ninni Reina e Carlo Fabbri. I difensori avevano sostenuto che la frase era incomprensibile e la loro tesi era stata rafforzata da una perizia ordinata dallo stesso Tribunale. Il collegio, dimostrando però di essere "peritus peritorum" (il piu' esperto degli esperti) non dà retta a coloro che pure aveva nominato: "L'ascolto - scrivono in sentenza - è risultato incomprensibile solo ai tecnici che hanno minore esperienza di dialetto siciliano, sia per le loro diverse originai regionali, sia per il fatto che il luogo in cui abitualmente esercitano la loro attivita' si trova fuori dalla Sicilia". A questo proposito viene citato un errore in cui incorre il gruppo diretto dal superpoliziotto Giampaolo Zambonini: "Confonde in modo evidente il primo 'ragiuni' (ragione, ndr) che compare nella frase, con 'raggrumi'. Espressione che nel contesto della conversazione non ha alcun senso logico... Semplicemente (l'esperto) non riesce a cogliere l'iterazione della stessa parola, che e' un fenomeno comune nel 'parlato' regionale". La difesa di Miceli aveva affermato che il riferimento poteva essere non a 'Toto' Cuffaro' ma 'a to' cugnato', il fratello della moglie di Guttadauro, il medico Vincenzo Greco, anch'esso coinvolto nell'indagine.
08/05/2007
Fonte: La Sicilia

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