giovedì, ottobre 12, 2006

Pippo Calò trasferito a Roma

ASCOLI - La videoconferenza non bastava più. Dopo oltre 30 udienze dal Supercarcere di Marino del Tronto, Pippo Calò, considerato dagli inquirenti l’ex cassiere della mafia, è stato trasferito a Roma in gran segreto ieri mattina prima dell’alba. Su un cellulare della polizia, scortato da cinque agenti, il boss era atteso in Corte d’Assise per l’esame davanti ai giudici. E Calò ha aspettato proprio questa occasione per ammettere di aver fatto parte di “cosa nostra”. “Ma non ero il cassiere della mafia” - ha detto - nè ho mai deciso omicidi eccellenti. Sono rimasto alle “vecchie regole” che imponevano di non toccare nè donne, nè bambini, nè le Istituzioni”. Sull’omicidio del banchiere Roberto Calvi è stato ancora più deciso: “Se è vero che avevo a disposizione un esercito come dicono i pentiti, vi pare che l’avrei fatto ammazzare da gente che tra l’altro faceva confidenze all’amante?”.
Alla domanda sul perchè numerosi collaboratori di giustizia lo hanno nel tempo indicato come coinvolto nell’uccisione di Calvi per averlo saputo da altri appartenenti a Cosa Nostra, Calò ha risposto in maniera altrettanto perentoria: “Tutto falso - ha detto - tutte calunnie. Tutti i pentiti che sono venuti qua sono stati gestiti e mi assumo tutta la responsabilità per quello che sto dicendo”. Calò ha voluto rispondere con una domanda alle dichiarazioni rese in aula nel dicembre scorso dal collaboratore di giustizia, Francesco Di Carlo. Dopo l’udienza il boss è stato riportato nel carcere di Ascoli dove sconta una serie di ergastoli in regime di 41bis. Calò, l’uomo d’affari Flavio Carboni, la sua ex compagna Manuela Kleinzig, l’ex boss della Banda della Magliana Ernesto Diotallevi e il contrabbandiere Silvano Victor sono sotto processo per l’ omicidio dell’ex presidente del Banco Ambrosiano Roberto Calvi trovato impiccato il 18 giugno 1982 a Londra sotto il ponte dei Frati Neri. La prima udienza del processo si tenne il 6 ottobre scorso. Gli avvocati di Calò, Corrado Raffaele Oliviero del Foro di Roma e Mauro Gionni di Ascoli, avevano chiesto fin dalle prime battute che il loro assistito fosse presente nell’aula della seconda sezione della Corte d’Assise di Roma, fatto che è avvenuto soltanto ieri. Il castello accusatorio si regge su tre punti che il pubblico mistero romano ritiene tutt’ora fondamentali: punire Roberto Calvi (presidente del consiglio di amministrazione e consigliere delegato del Banco Ambrosiano fino al 17 giugno del 1982) per essersi impadronito di notevoli quantitativi di denaro appartenenti a “ cosa nostra” e alla “ camorra”. Soldi recuperati totalmente o in parte prima del suo assassinio. Inoltre conseguire l’impunità, ottenere e conservare il profitto legato ai reati di riciclaggio posti in essere attraverso il banco Ambrosiano e le società legate allo stesso istituto di credito e di concorso nelle distrazioni delle ingenti somme di denaro effettuate in danno della banca e di altre società. Infine impedire a Calvi di esercitare il potere ricattatorio nei confronti dei referenti politico - istituzionali, della massoneria, della loggia “P2” e dello Ior con i quali - sempre secondo l’accusa - aveva gestito investimenti e finanziamenti anche provenienti da “ cosa nostra” e da enti pubblici nazionali. L’accusa quindi è convinta che Pippo Calò, capo mandamento di Porta Nuova nell’ambito di “cosa nostra” e incaricato di gestire grandi somme di denaro provento e profitto dell’attività della associazione criminale, avrebbe impartito ordini a Vincenzo Casillo, esponente della “ nuova camorra organizzata” diretta da Raffaele Cutolo. Questi ultimi, con altre persone non ancora identificate, avrebbero provocato la morte di Calvi per strangolamento simulandone poi il suicidio. Flavio Carboni invece, dopo essersi appropriato di 19 milioni di dollari erogati dal Banco Ambrosiano, avrebbe indotto Calvi ad affidarsi alle sue indicazioni per trovare una soluzione alle pressanti difficoltà giudiziarie del banchiere. In questa operazione si sarebbe avvalso dell’apporto di Ernesto Diotallevi e della sua compagna Manuela Kleinszig per organizzare la fuga di Calvi dall’Italia facendo poi in modo che la vittima venisse prelevata dagli esecutori materiali dell’omicidio. Per portare a termine il piano la Kleinszig avrebbe collaborato con Flavio Carboni. Infine, sempre secondo l’accusa Ernesto Diotallevi avrebbe svolto la funzione di collegamento tra Calò, presunto mandante del delitto, e Carboni. Il processo ai presunti killer di Calvi potrebbe aprire un vero e proprio vaso di pandora. “ Dove non si trova il vero responsabile io divento una sorta di prezzemolo giudiziario”. Questo fu il commento a caldo del boss Giuseppe Calò. E l’avvocato Gionni insiste anche oggi: “ Dagli atti emergono responsabilità di personaggi legati a banche di livello nazionale che avrebbero ricevuto anche i famosi documenti di Calvi”. Durante le ultime fasi dell’inchiesta agli indagati si è aggiunto anche il nome di Silvano Victor.
Fonte: Corriere adriatico

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