lunedì, ottobre 09, 2006

Mafia a Vicenza

VICENZA - 09/10/06. Il cliente dei Bovo era il basista della mafia. Il marchio è di quelli doc. Madonia. Un clan che ha fatto la storia di Cosa Nostra nella commissione provinciale di Caltanissetta, comandata da zio Piddu, numero due della Piovra fino al 1992. Fu l’anno della sua cattura, quando si dice il caso, proprio a Vicenza. Si annunciano sviluppi in Sicilia legati ai quattro arrestati di Montecchio Maggiore di sabato mattina da parte dei carabinieri del Ros di Padova e del reparto operativo di Vicenza guidati dal generale Raffaele Vacca. I quattro sono conosciuti come uomini d’onore della holding criminale più famosa del mondo ed erano in trasferta in terra berica per sequestrare e alleggerire di un quintale d’oro i fratelli Sebastiano e Nicola Bovo di Trissino, amministratori della ditta orafa “Bovo Luigi & C. snc” , fondata da Luigi Bovo nel 1973 e con sede in via del Lavoro. Se il colpo fosse andato in porto sarebbe stato da 2 milioni di euro e avrebbe inaugurato una serie molto lunga. C’è da scommetterlo, conoscendo i personaggi. Sviluppi. Se ci saranno altri arrestati a Caltanissetta in relazione allo sventato colpo dell’altro giorno per adesso non si sa. In giornata è comunque annunciata una conferenza stampa della Dia che dovrebbe fare il punto sull’operazione Gela-Trissino. Di certo, la cattura della temibile banda capeggiata da Salvatore Greco, 44 anni, del mandamendo di Gela, e composta dal compagno Nicola Liardo, 32 anni, e dai catanesi Rosario Riccioli, 33, e Luciano Iannuzzi, 38, ma anch’essi gravitavano sulla provincia nissena, apre una serie di interrogativi su manovratori e modalità operative del quartetto che comparirà per la convalida del fermo per ricettazione di due auto rubate davanti al gup Eloisa Pesenti. Ricostruzione. Il direttore commerciale Sebastiano Bovo era il predestinato a finire in trappola. I banditi sulle due Fiat Uno rubate a Montecchio Maggiore avrebbero avuto il compito di bloccare l’orafo simulando un posto di blocco tra Trissino e San Vitale. I carabinieri del colonnello Zubani e del tenente colonnello Clementi hanno sequestrato un lampeggiante di colore blu di quelli in uso alle forze dell’ordine e una paletta anch’essa simile a quella adoperata dai militari per i posti di controllo. Quindi, l’imprenditore sarebbe stato immobilizzato con del nastro adesivo da imballaggio e usato come cavallo di troia per entrare nella ditta orafa dove c’era il fratello e prelevare il tesoro. Doppio gioco. A leggere in filigrana l’operazione dei detective della Dia di Caltanissetta e dei Ros di Padova, i quali hanno avuto l’ausilio dei colleghi del luogotenente Ferrante, si constata l’alto livello professionale dell’apparato investigativo. Tutto ha inizio ancora all’inizio dell’estate quando la Dia nissena, analizzando una serie di dati nel corso di una operazione antimafia tuttora in corso nel Gelese, scopre che alcuni uomini d’onore parlano di un grosso colpo da compiere in Veneto contro degli orafi. Non si parla ancora di Vicenza, ma spunta il nome di un commerciante orafo siciliano trapiantato all’estero che sarebbe in contatto con più aziende. È il “mediatore”, il doppiogiochista. Qualche settimana ancora e i carabinieri decifrano il nome dei fratelli Bovo di Trissino, che hanno avviato trattative per una grossa fornitura d’oro di un quintale. Ordine di custodia. L’uomo chiave delle indagini, il quale a questo punto sa di essere nel mirino della magistratura di Vicenza e Caltanissetta - dov’è radicata un’inchiesta per associazione per delinquere finalizzata alle rapine ed altro -, è il commerciante orafo con i quali i Bovo hanno allacciato i rapporti. Essi non potevano sapere con che razza di personaggio avevano a che fare. Una sorta di Giano bifronte, perchè da un lato si mostrava interessato all’acquisto del metallo pregiato, in realtà passava informazioni alla famiglia per preparare l’assalto. E, state sicuri, non sarebbe stato l’unica rapina con queste modalità nel Vicentino se fosse andata a buon fine. Telefonini. Le indagini partono da una microspia della Dia sistemata in una macchina a Gela. I telefonini sono usati poco dai picciotti siciliani. Sanno, come la vicenda dimostra, che le orecchie tecnologiche dello Stato sono sempre aperte. Anche l’altro giorno pare che i cellulari non siano stati alleati dei carabinieri, che hanno dovuto ricorrere alle tradizionali indagini con pedinamenti e appostamenti. Tornando alla microspia, quanto dovranno ringraziala i Bovo, perchè se la rapina fosse andata a segno avrebbero corso il rischio di finire in ginocchio come purtroppo capitò ai Rancan, sempre di Trissino, nel settembre di due anni fa, quando patirono un salasso di 70 chili d’oro. Una rapina dalle troppe coincidenze con quella fallita sabato. Lo scorso luglio il magistrato della Dia di Caltanissetta avuto conferma che l’obiettivo del colpo per finanziare uno dei tanti comparti d’attività della mafia è Trissino, informa i carabinieri del Ros di Padova per le necessarie contromisure. Sono loro ad avvisare i militari del luogotenente Ferrante. La trappola. Giovedì il quartetto di siciliani parte per Vicenza. È pedinato dagli investigatori. I telefonini non vengono praticamente usati. A Montecchio Maggiore prelevato le Fiat Uno rubate, segno che hanno qualcuno in appoggio. Non è la prima volta che la “batteria” si muove per compiere incursioni al Nord. È il braccio armato della famiglia. Intanto, il “mediatore” contatta Bovo e pattuisce il trasferimento dell’oro per sabato mattina presto per evitare noie. «Meglio essere cauti per evitare le rapine», spiega il mariuolo agli orafi per essere più convicente. I carabinieri, coordinati dal pm Giacomelli, ascoltano e annotano le ultime mosse. Nella notte tra venerdì e sabato i Bovo sono messi sul chi va là. Scoprono, trasecolando, che il “mediatore” è niente meno che il basista della rapina. Il pericolo è scampato. Sabato mattina alle 6.40 i rapinatori si mettono in moto. Devono simulare il posto di controllo con lampeggianti e palette. Aspettano fino alle 7.10 che transiti Nicola Bovo come da accordi col basista. L’orafa non si vede. Spuntano invece i carabinieri. Greco e soci, assistiti dall’avvocato vicentino Sonia Negro, adesso sono attesi dalla convalida del fermo. Facile prevedere che faranno scena muta. Intanto, è caccia al basista-mediatore e agli altri complici. Per stavolta la trasferta dei picciotti di Cosa Nostra a Vicenza è stata fallimentare.
Fonte: Giornale di Vicenza

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