giovedì, ottobre 12, 2006

Mafia a Brescia

Il salone «Dolores Abbiati» della Casa del popolo di Urago colmo di persone, attente e ansiose di assistere all’incontro sulle «Mafie a Brescia» promosso dal coordinamento provinciale di Libera e dal comitato antimafia di Brescia. E’ accaduto ieri sera, proprio ad alcune decine di metri da dove poco più di un mese fa la famiglia Cottarelli fu sterminata. Polemiche strumentali, attacchi agli stranieri e allarme ordine pubblico. Poi, ora dopo ora, grazie alle veloci inchieste condotte dalla polizia e dai magistrati, arrivarono gli arresti e la matrice mafiosa della strage venne a galla. Ieri sera questa rapida cronistoria è stata raccontata, così come si è fatta memoria della presenza malavitosa e mafiosa nel Bresciano negli ultimi anni, una presenza radicata che solo in rare occasioni si mostra nel suo aspetto più visibile e violento. Lo ha fatto Fernando Scarlata, del comitato antimafia di Brescia, ricordando le numerose inchieste e in alcuni casi anche gli omicidi che hanno interessato la città e la provincia: infiltrazioni mafiose, traffici di droga e di armi, prostituzione e racket. Le zone? Franciacorta e lago d’Iseo, il Garda, la Bassa bresciana. E ad essere arrestati, in comuni e frazioni della provincia, «non solo» calabresi e siciliani, ma anche tanti bresciani. Rita Camisani, del coordinamento provinciale di Libera, ha allargato la riflessione volgendo lo sguardo alla necessità di un recupero della cultura della legalità e della cittadinanza democratica «per tenere lontana la voglia di mafia» che riscuote consensi. La mafia fa paura, certo, ma il consenso mafioso non è estorto con la violenza, ma «è costitutivo della polis». Forse c’è incapacità a cogliere i segnali, a confondere interesse proprio con il bene comune, a ragionar solo in termini di meno tasse da pagare, sesso a pagamento e lavoro nero senza pensare a cosa ci stia dietro. A essere interrogata è la città in tutte le sue componenti, dagli organi di informazione, alle istituzioni disattente, alle forze politiche che hanno strumentalizzato gli episodi mettendo tutto nel calderone, ai singoli cittadini troppo propensi a interpretare i delitti come altro da sé. Il sindaco Paolo Corsini ha rilevato che «purtroppo anche settori della sinistra bresciana sono stati latitanti ad intervenire e fare chiarezza», chiedendosi dove sia finita la «società civile» perché sicuramente da sole le istituzioni non bastano. Nei ricordi del sindaco c’è anche un incontro con la commissione antimafia avvenuto 8 anni fa, quando fu quasi deriso perché parlò di presenza mafiosa in provincia di Brescia. Una presenza che non tocca ancora le istituzioni ma il problema è fare prevenzione, ognuno nel proprio ruolo. Enzo Ciconte, docente di storia della criminalità organizzata all’università di Roma e consulente della commissione parlamentare antimafia, segnala che il problema è proprio questo: la sottovalutazione del fenomeno mafioso nel Nord Italia. A volte c’è ancora l’immagine di una mafia con la lupara e non si pensa agli affari, al riciclaggio di denaro sporco, all’inquinamento e alla distorsione delle regole dell’economia e della democrazia. «Nel fenomeno mafioso - ha ricordato il sindaco- non c’è solo privazione della vita e violenza, ma anche privazione degli spazi di democrazia». Il messaggio che arriva dal dibattito è proprio questo: un invito alla riflessione e a capire i fenomeni, cercando di evitare le semplificazioni e il voler credere che quanto sta accadendo «è fuori dalla comunità».
Fonte: Brescia oggi

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