mercoledì, maggio 17, 2006

Processo Prinzivalli, tutto da rifare

ROMA - Con una sentenza dalle motivazioni molte dure la Cassazione ha disposto il rifacimento del processo d'appello (il terzo) per mafia e corruzione nei confronti dell'ex giudice Giuseppe Prinzivalli, assolto nell'appello bis dall'accusa di aver favorito Cosa Nostra. Il concreto sostegno fornito alla mafia - spiega in sintesi la Suprema Corte ritoccando il verdetto "Carnevale" - ben potrebbe essere stato quello, come sostenuto dai primi giudici di merito, di aver elaborato una giurisprudenza volutamente opposta a quella di Giovanni Falcone. In questo modo, a favore della Cupola, il processo maxi-ter presieduto da Prinzivalli - che velocizzava molto i tempi del dibattimento strozzando le richieste della pubblica accusa e venendo incontro a quelle del boss Michele Greco che platealmente plaudiva - si sarebbe concluso prima del maxi-uno basato sul teorema Buscetta. In pratica Cosa Nostra avrebbe potuto contare su una sentenza di piena assoluzione dei capimandamento che opponeva principi di diritto nettamente contrastanti con quelli affermati dal giudice Falcone. Adesso, per effetto della decisione della Suprema Corte, Prinzivalli dovrà tornare a fare i conti con l'originaria accusa per la quale in primo grado era stato condannato a 11 anni di reclusione, divenuti otto in appello. In seguito ad un parziale annullamento con rinvio della Cassazione nel 2003, la condanna fu interamente annullata dalla Corte di Appello di Caltanissetta, l'8 ottobre 2004. Adesso, su ricorso della Procura nissena - interamente condiviso dai supremi giudici - il processo a carico del giudice sospettato di aver aggiustato i processi ai mafiosi riprenderà e sarà spostato davanti alla Corte di Appello di Catania. Sicuramente, se non è maturata la prescrizione, verrà confermata la condanna per corruzione (denaro e titoli di Stato ricevuti dai boss) sulla quale, avverte la Cassazione, si è ormai formato il giudicato. Tra le molte e sferzanti bacchettate riservate da Piazza Cavour al verdetto assolutorio, il rimprovero di "aver inspiegabilmente omesso di apprezzare le dichiarazioni dei collaboranti, ignorandone il contributo probatorio, così mutilando il compendio delle acquisizioni". Quanto alle cosiddette "anomalie del processo" maxi-ter - condotto da Prinzivalli - ossia gli elementi "rivelatori dell'accordo collusivo e dell'ausilio promesso dall'imputato ai vertici mafiosi", la Cassazione rimprovera di aver "tralasciato di evincere le conseguenze dovute al riconoscimento di circostanze significative". Tra queste, "l'intimidazione subita dal giudice Marino dopo la rivelazione di Prinzivalli, ai mafiosi, circa la sua riottosita, e il parere negativo formulato sulla richiesta dei giudici popolari che volevano essere messi sotto protezione". Per non parlare del "proditorio inserimento" di circa cento pagine di motivazione con le quali Prinzivalli - di nascosto al resto del collegio - offriva la cornice ideologica all'assoluzione, invece ampiamente dubitativa, scritta dal giudice relatore Marino, in 4000 pagine. Secondo la Cassazione questo fatto potrebbe essere chiaro indice dell'espressione di una "filosofia pregiudizialmente innocentista, in sintonia con i condivisi intenti della Cupola di Cosa Nostra". In altre parole nel comportamento di Prinzivalli (che è stato anche presidente di Corte di Assise a Palermo) può coesistere sia l'intento di "contrastare livorosamente" Falcone, sia quello di "assecondare le richieste degli imputati di mafia". Con questa pronuncia la Quinta sezione penale coglie l'occasione per dire che il famoso verdetto che portò all'assoluzione del giudice Corrado Carnevale, non deve essere inteso in "maniera riduttiva e schematica". Nel senso che per provare la collusione di un magistrato con la mafia, non serve dimostrare che un giudice abbia tenuto condotte "scopertamente arbitrarie e esulanti da ogni limite di ragionevolezza". Al contrario, sostengono i giudici cassazionisti, "il contributo penalmente rilevante si mimetizza, di regola, nelle condotte di persuasione ed orientamento, attuate tanto al momento del verdetto finale, quanto nel corso del dibattimento in riferimento alle decisioni interlocutorie". Dunque anche gli interventi 'soft' - da parte del presidente di un collegio giudicante - possono ricevere condanna penale.
17/05/2006

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