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mercoledì, gennaio 31, 2007
Due atti intimidatori a Raffadali (paese di Cuffaro)
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31/01/2007
Fonte: La Sicilia
Proposta di Forgione
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"Il presidente Forgione - si spiega in una nota - ha proposto di realizzare un censimento di tutti i funzionari pubblici che hanno sentenza di condanna passata in giudicato e di procedere al licenziamento di quelli condannati per mafia anche con pene patteggiate al di sotto dei tre anni, su questo punto si è già registrata una prima disponibilità del Ministro Nicolais, ed alcune norme sono già inserite nel disegno di legge del Governo approvato il 22 dicembre 2006".
In questo quadro "non è più rinviabile", scrive Forgione, la realizzazione, prevista dalla legge, di "un'Anagrafe Patrimoniale dei funzionari e dirigenti pubblici per rendere trasparente la gestione delle Pubbliche Amministrazioni e dare un chiaro segnale alla società civile di impegno nel contrasto quotidiano ai tentativi di infiltrazione delle mafie".
Fonte: virgilio.it
Trubia in aula
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Come un fiume in piena, l'ex emergente di Cosa Nostra, ha vuotato il sacco davanti ai giudici della sesta sezione del Tribunale di Milano che lo stanno processando per estorsione aggravata, minacce e danneggiamento a mezzo di incendio dell'abitazione del suocero del fortunato operaio, insieme con Emanuele Argenti, Alessandro Emmanuello, Crocifisso Smorta, Carmelo Billizzi e Francesco Verderame.
Incalzato dalle domande del Pm Marcello Musso, Trubia ha raccontato di essersi accorto in prima persona di una discussione dai toni piuttosto vivaci intercorsa tra esponenti di Cosa Nostra e della Stidda e di essere intervenuto perché - come ha spiegato ai giudici "queste faccende finiscono in guerra". Agli stiddari, avrebbe detto: "se siete sicuri al mille per mille che ha vinto tutti quei soldi, glieli facciamo cacciare". Ha raccontato che la notizia della supervincita realizzata da Salvatore Spampinato era giunta alle orecchie degli Stiddari tramite un parente del fortunato operaio e che gli Stiddari avrebbero preteso una mazzetta di 1 miliardo di vecchie lire. Ha raccontato che la vittima andò a trovarlo a casa sua lamentando che gli stiddari avevano bruciato la casa del suocero e di avere proposto agli stiddari di chiudere l'estorsione con una richiesta di 300 milioni.
In verità - ha ammesso Trubia - chiesi a Spampinato 400 milioni perchè avevo intenzione di intascarmene 100. Ma quei 100 milioni a suo dire - li avrebbe voluti Alessandro Emmanuello per investirli nel traffico di droga. Il processo è stato aggiornato al prossimo mese per la requisitoria.
Fonte: La Sicilia
Demolite stalle dei boss
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Uno di questi, Giuseppe La Franca, venne assassinato nel 1997 per aver tentato di opporsi ai soprusi dei capimafia. Le stalle, in contrada Valguarnera nelle campagne tra Partinico e Alcamo, non erano destinate soltanto alle greggi dei Vitale ma sono state anche teatro di omicidi e di summit di mafia. Dopo la confisca disposta dalla magistratura in base alla normativa antimafia, il Comune di Partinico ha avviato le procedure amministrative per la demolizione. L'iter si e' completato per una delle cinque stalle, e stamattina sono entrate in azione le ruspe.
"Un segnale tangibile della lotta all'abusivismo edilizio che deturpa l'ambiente ed e' frutto di prepotenze perpetuate sulla popolazione civile e sul territorio", ha detto Pecoraro Scanio, e ha aggiunto che "e' impegno del governo contrastare con fermezza questa pratica criminale e per questo la Finanziaria 2007 ha previsto n fondo di 9 milioni di euro per l'attuazione di un programma triennale straordinario di interventi di demolizione delle opere abusive nelle aree naturali".
Fonte: agi.it
Conferenza a Brescia
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L'iniziativa è promossa dal Comitato «Peppino Impastato» (l'eroe-martire siciliano reso celebre da «I cento passi» di Marco Tullio Giordana) di Brescia, il cui intento - secondo le parole di Paolo Clemenza, che alla conferenza stampa ha sostituito il coordinatore Fernando Scarlata - si propone di stimolare gli organismi statali di controllo nei confronti di un fenomeno malavitoso che si insinua pericolosamente nel tessuto sociale e civile e, nel contempo, di monitorare la situazione nel nostro territorio. Anche alla luce dei delittuosi fatti di cronaca dell'estate scorsa, che sono stati interpretati come rappresaglie di matrice mafiosa.
La mafia cambia pelle, aggiorna le sue strategie, è sempre pronta al salto di qualità. Oggi si presenta subdolamente come un'impresa che cerca di ingerirsi nella legalità, ripulendo il denaro sporco. E questo rende ancora più difficile riconoscerla e debellarla. L'arresto di un boss, la cattura di Bernardo Provenzano, nonostante sia stata enfatizzata con termini trionfalistici, non significano aver risolto il problema dell'organizzazione criminale. I casi del passato (Luciano Liggio, Totò Riina, Raffaele Cutolo) stanno a dimostrare il contrario. La forza di mafia e camorra tende a rigenerarsi se non è contrastata da una ferrea volontà politica e da una lucida consapevolezza. Sono molti gli interrogativi che il Comitato bresciano «Peppino Impastato» intende dibattere e porre all'attenzione della cittadinanza.
Chi ha protetto Bernardo Provenzano per 43 anni? Chi ha preso il suo posto ai vertici di Cosa Nostra? Perché l'arresto è avvenuto in prossimità delle elezioni dell'aprile scorso? C'è stato un accordo tra mafia e organi dello Stato? Come intende lavorare la nuova Commissione antimafia e, più in generale, la maggioranza di governo nella lotta alla mafia, dopo che la precedente Commissione parlamentare aveva escluso il rapporto mafia-politica?
Parlando del territorio bresciano, Paolo Clemenza ha sottolineato che «non ci sono ancora e per fortuna elementi che possano avvalorare una pesante penetrazione mafiosa. Tuttavia non mancano fenomeni di racket e di pizzo sui laghi. Ci sono troppe finanziarie che nascono e spariscono nel giro di sei mesi. Al Comune abbiamo chiesto maggiore trasparenza per quanto riguarda le gare di appalto edilizio e siamo stati rassicurati. Nessun allarmismo, bisogna comunque vigilare».
Fonte: brescia oggi
martedì, gennaio 30, 2007
Disegno di legge per i dipendenti condannati
Il Consiglio dei Ministri del 22 dicembre scorso ha approvato un disegno di legge presentato dal ministro per le riforme e innovazioni nella pubblica amministrazione, Nicolais, che prevede il licenziamento immediato per i dipendenti pubblici condannati per corruzione, concussione e peculato e che abbiano patteggiato la pena con condanna a due anni. http://www.avvisopubblico.it/news/ministro-nicolais_disegno-legge-su-dipendenti-pubblici-corrotti_300107.shtml
Fonte: Avvisopubblico.it
Fonte: Avvisopubblico.it
Parla Mastella
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Fonte: virgilio.it
Nuovo libro di Dalla Chiesa
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Fonte: Adn Kronos
Arresto a Catania
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30/01/2007
Fonte: La Sicilia
4,5 milioni di euro di beni sequestrati
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30/01/2007
Fonte: La Sicilia
lunedì, gennaio 29, 2007
sabato, gennaio 27, 2007
Relazione di Rotolo
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27/01/2007
Fonte: La Sicilia
Prima udienza su omicidio Calcagno
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Domenico Calcagno sarebbe stato ucciso per le tangenti sul cantiere "Vigneta" lotto della Nord Sud, in costruzione in territorio di Nicosia, e secondo le accuse, l'esecuzione scaturisce dalla guerra di mafia tra la cosca di Tano Leonardo cui apparteneva, e la famiglia di "Cosa nostra" capeggiata da Bevilacqua. Secondo l'accusa, sostenuta dal pm Roberto Condorelli, i quattro esponenti mafiosi di Enna e Catania ordinarono il delitto per punire Calcagno del tentativo di entrare nel giro del racket del pizzo da loro gestito.
Calcagno aveva sorpassato l'autorità di Bevilacqua e questo per l'accusa, decretò la sua condanna a morte. L'imprenditore si sarebbe presentato nel cantiere di Nicosia dove si stava realizzando una tratta di 4 chilometri per un importo di oltre 100 miliardi di vecchie lire, chiedendo la "messa a posto". La visita venne riferita alla Famiglia Santapaola che si occupava di riscuotere le tangenti sui cantieri della Ira Costruzioni, che aveva un sub appalto sulla superstrada. Come emergerebbe dalle intercettazioni il tentativo di Calcagno sollevò le ire di Bevilacqua e della famiglia catanese.
All'udienza di ieri sull'ammissione di testi e prove, la Corte si è riservata sulle richieste di perizie e trascrizioni delle intercettazioni ed ha fissato la prossima udienza per il 31 gennaio.
Fonte: La Sicilia
La vendetta si consuma a freddo
«Se uno subisce un torto che fa? Si tiene la carricata? Chi è ´sto minchia che si tiene ´a carricata? Minchia, in un momento di nervi uno… vero non lo sa quello che fa, però lo deve fare». Il "picciotto" che voleva vendicarsi di uno "sgarro" reagendo alla carricata (l´offesa, ndr) era Angelo Conigliaro, poco più di vent´anni, finito in carcere nella retata di ieri.
Era uno sfogo che il giovane faceva di fronte al nonno, 71 anni, che porta lo stesso suo nome: finora era un insospettabile agricoltore e invece si è rivelato un vero e proprio boss. In quella conversazione, Angelo Conigliaro senior consigliava al nipote di non essere «focoso» e gli ricordava che la vendetta è un piatto che va consumato freddo. Per fargli capire meglio quello che voleva dire, nonno Angelo racconta al nipote la vendetta che aveva compiuto impunemente tanti anni fa, quando aveva strangolato un "picciotto" che gli aveva procurato dei guai.
La discussione era nata per via di una serie di furti di bestiame e di formaggio nel quale erano coinvolti amici di Angelo Conigliaro che rischiavano di essere ammazzati perché l´allevatore derubato era un "uomo di rispetto" di Torretta che avrebbe potuto farsi giustizia da solo. «Io con uno quattro anni ci cummattivu - racconta nonno Conigliaro al nipote - quattro anni, e quando annagghiò (quando fu prelevato, sequestrato e portato davanti a lui, ndr) mi piangeva. Gli ho detto: "Che ci piangi ora, ´sta minchia? Piangi ora che non c´è più rimedio?". E dopo quattro anni che mi aveva torturato la vita ´un ci fu cchiù (scomparve, ndr)».
Il nonno boss ammoniva dunque il nipote che bisogna sì vendicarsi, ma «con giudizio», anche se è si debbono aspettare anni. «Uno ci deve andare con il verso - raccomanda al nipote - altrimenti è strada che non spunta, bisogna tenere il controllo e non manifestare rabbia, soprattutto nei momenti di maggiore tensione, altrimenti si va a finire in galera a vita. E se devi fare una cosa, la devi fare e devi tentare di non pagarla. Se la devi pagare che minchia la fai a fare? Uno rabbia non ne deve avere mai, deve tenere sempre tutto sotto controllo».
Per convincere il nipote che non bisogna essere «focosi», che il vero boss non perde mai la calma, Angelo Conigliaro senior gli racconta che la sua «saggezza» gli aveva consentito in tanti anni di militare nelle file di Cosa nostra, di non essere mai sospettato di essere un capomafia e di avere soltanto piccoli precedenti penali per furti compiuti negli anni Cinquanta. «E se poi uno vuole essere ancora più prudente, per commettere un omicidio senza essere incolpato può rivolgersi ai "cristiani"» (altri mafiosi, ndr). I quali avrebbero potuto sparare in faccia al malcapitato.
Fonte: La Repubblica
Era uno sfogo che il giovane faceva di fronte al nonno, 71 anni, che porta lo stesso suo nome: finora era un insospettabile agricoltore e invece si è rivelato un vero e proprio boss. In quella conversazione, Angelo Conigliaro senior consigliava al nipote di non essere «focoso» e gli ricordava che la vendetta è un piatto che va consumato freddo. Per fargli capire meglio quello che voleva dire, nonno Angelo racconta al nipote la vendetta che aveva compiuto impunemente tanti anni fa, quando aveva strangolato un "picciotto" che gli aveva procurato dei guai.
La discussione era nata per via di una serie di furti di bestiame e di formaggio nel quale erano coinvolti amici di Angelo Conigliaro che rischiavano di essere ammazzati perché l´allevatore derubato era un "uomo di rispetto" di Torretta che avrebbe potuto farsi giustizia da solo. «Io con uno quattro anni ci cummattivu - racconta nonno Conigliaro al nipote - quattro anni, e quando annagghiò (quando fu prelevato, sequestrato e portato davanti a lui, ndr) mi piangeva. Gli ho detto: "Che ci piangi ora, ´sta minchia? Piangi ora che non c´è più rimedio?". E dopo quattro anni che mi aveva torturato la vita ´un ci fu cchiù (scomparve, ndr)».
Il nonno boss ammoniva dunque il nipote che bisogna sì vendicarsi, ma «con giudizio», anche se è si debbono aspettare anni. «Uno ci deve andare con il verso - raccomanda al nipote - altrimenti è strada che non spunta, bisogna tenere il controllo e non manifestare rabbia, soprattutto nei momenti di maggiore tensione, altrimenti si va a finire in galera a vita. E se devi fare una cosa, la devi fare e devi tentare di non pagarla. Se la devi pagare che minchia la fai a fare? Uno rabbia non ne deve avere mai, deve tenere sempre tutto sotto controllo».
Per convincere il nipote che non bisogna essere «focosi», che il vero boss non perde mai la calma, Angelo Conigliaro senior gli racconta che la sua «saggezza» gli aveva consentito in tanti anni di militare nelle file di Cosa nostra, di non essere mai sospettato di essere un capomafia e di avere soltanto piccoli precedenti penali per furti compiuti negli anni Cinquanta. «E se poi uno vuole essere ancora più prudente, per commettere un omicidio senza essere incolpato può rivolgersi ai "cristiani"» (altri mafiosi, ndr). I quali avrebbero potuto sparare in faccia al malcapitato.
Fonte: La Repubblica
La Manna racconta
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In cima alla lista, il neo-collaborante ha messo il ragioniere Girolamo La Porta: «Ha uno studio a Carini - spiegò quella sera - è persona di fiducia della famiglia. Si occupa di gestire i soldi dei mafiosi, attraverso l´apertura di conti correnti intestati a persone sconosciute presso le agenzie di Carini delle banche Carige, Banco di Sicilia, Banca Nuova e Banca di Lodi. Il ragioniere La Porta si occupa anche degli immobili e dell´attività edilizia gestita con i soldi della famiglia di Carini». L´elenco dei prestanome è lungo, in parte coperto da un fitto segreto d´indagine. La Manna era entrato da poco nel clan di Carini, ma si era subito conquistato la fiducia del reggente Enzo Pipitone e di tutti gli altri, che gli affidavano l´esecuzione di estorsioni e danneggiamenti. Ma soprattutto lo portavano in giro e gli facevano tante confidenze. «L´imprenditore Ferdico opera con i soldi di Claudio Lo Piccolo e della famiglia di Partanna Mondello», ha fatto mettere a verbale La Manna. Secondo la Procura è una conferma: nell´ordine di custodia su San Lorenzo si parla della ditta Ferdico per l´assunzione di alcune persone al nuovo maxicentro di Carini. «Anche le imprese commerciali vicine o riconducibili agli interessi degli esponenti di Cosa nostra - scrivono i magistrati - dovevano in qualche modo contribuire». Quelle assunzioni sarebbero state l´elargizione concessa da Ferdico alla "famiglia" di Carini. Anche il titolare dei Sisa, già all´attenzione del Gico della Guardia di finanza, è finito nelle intercettazioni: «Il nostro amico Sgroi», dice Enzo Pipitone.
Nel mandamento di Salvatore Lo Piccolo gli affari non si fanno solo con i prestanome. I mafiosi avvicinano gli imprenditori più facoltosi e cercano di trattare alla pari. «Noi dobbiamo risolvere problemi», si dicono e non sospettano di essere intercettati. Il pizzo non è più imposizione, ma pagamento di un servizio. «Io ho pagato cinque milioni - diceva un piccolo costruttore - però adesso sono tranquillo». A tutte le forniture pensava la "famiglia" di Carini.
Così i boss sono riusciti a convincere diversi costruttori edili, tutti intercettati: Alfonso Priano, Damiano Scalici, Carlo Cutietta e Antonino Lo Buglio, impegnati nella realizzazione di villette. Giovanni Billeci doveva mettere su 70 mini-appartamenti in contrada Piraineto. Il clan Lo Piccolo gli aveva chiesto 350 mila euro. Ma lui fu più realista dei mafiosi. Si rivolse al boss della Noce, Pierino Di Napoli, perché mediasse: «Mi fate una cortesia - disse il mafioso al collega di Carini - ci diamo una ritoccata di 5 mila euro a casa. Gliela chiudiamo con 250 mila euro». Chi era quel Giovanni Billeci che poteva pretendere uno sconto sul pizzo? I magistrati mettono anche lui fra i costruttori «vicini» a Cosa nostra.
Gli affari dei nuovi mafiosi che comandano spaziano fra vari settori. Nulla si disdegna. Nel clan che aveva investito persino nei computer il padrino si preoccupa pure di chi segue il pascolo. L´incendio che il 26 agosto 2003 devastò Monte Falco era stato appiccato dai boss: sul terreno bruciato le prime piogge portano un manto erboso particolarmente gradito alle bestiole. Gli investigatori l´hanno appreso intercettando Giuseppe Luca e un complice, mentre si preparano ad appiccare il rogo.
Fonte: La Repubblica
Cassarà e Azzarelli
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Ai due venne contestato il reato associativo: reato per il quale alcuni giorni dopo vennero raggiunti in carcere da provvedimento restrittivo spiccato dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta. Gli atti relativi al presunto progetto di strage ai danni del dott. Sferlazza, invece, vennero trasmessi per competenza ai magistrati della Dda di Catania che, ad oggi, non hanno dato comunicazione sull'esito delle indagini.
Per i fatti relativi all'accusa di mafia, ieri, Azzarelli e Palmeri, sono comparsi davanti al Gup di Caltanissetta Paolo Alberto Fiore per l'udienza preliminare. Sin dalle prime battute i difensori dei due imputati, gli avv. Boris Pastorello, Emanuele Limuti, Flavio Sinatra e Giovanni Lo Monaco, hanno eccepito al Gup l'incompetenza territoriale, chiedendo il trasferimento del processo a Catania. Istanza bocciata dal Gup che, nella stessa giornata di ieri, ha poi decreato il rinvio a giudizio di Palmeri così come richiesto dal sostituto procuratore della Dda Nicolò Marino. Il processo a carico di Palmeri sarà istruito il prossimo mese davanti ai giudici del Tribunale di Gela che lo processeranno per mafia.
Ha chiesto ed ottenuto, invece, di essere giudicato con il rito abbreviato Salvatore Azzarelli il cui processo si celebrerà davanti al Gup tra due mesi.
Fonte: La Sicilia
Un esercito di imprenditori di Lo Piccolo
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Il tesoro era in 26 società, che operavano soprattutto nel settore edile. Con i conti bancari e gli immobili il sequestro ammonta a 16 milioni di euro. L´imprenditore Lorenzo Altadonna era il più attivo: i mafiosi di Carini gli avevano messo in mano moltissimi soldi per la realizzazione di un complesso turistico a Villagrazia, in contrada Predicatore. Il terreno di 160 mila metri quadrati risultava già disponibile, il progetto era pronto, soldi sarebbero arrivati anche da «Roberto l´africano». Secondo le indagini si tratta di Vito Roberto Palazzolo, il manager latitante in Sudafrica. Altadonna non aveva problemi a gestire grandi e piccoli investimenti, a disposizione aveva la ditta sua e della moglie, Pierina Fiorello. Poi, ancora, l´Azzurra costruzioni, la Edil Carini e la Pcn srl. Tutte sequestrate. L´ultima idea di Altadonna era di comprare capannoni alle aste fallimentari.
Naturalmente con i soldi di Lo Piccolo. Francesco Sparacio era specializzato nei trasporti. Era il vettore di riferimento dei supermercati Sisa. Adesso anche la sua ditta verrà gestita da un amministratore giudiziario, perché i magistrati hanno il sospetto che fosse un altro investimento del clan. Il padrino più autorevole, Vincenzo Pipitone, credeva molto nel settore. Entrava e usciva dalla Tnt come fosse di casa: «Vieni da me», gli diceva Gioacchino Sapienza, anche se non era il titolare dell´azienda. Ma Sapienza era una vera autorità con le sue quattro società. Però i padrini del mandamento di Lo Piccolo continuavano a preferire la tradizione: ecco perché erano stati reclutati altri prestanome per l´edilizia. Saverio Privitera aveva messo a disposizione la Oirevas costruzioni. Giovanni Cataldo aveva messo sul piatto degli investimenti mafiosi due società. Secondo la ricostruzione della Procura, sarebbe stato ricompensato a dovere.
Ma da qualche tempo, ormai, i mafiosi avevano cominciato a sentire puzza di indagini. E avevano diversificato gli investimenti per ripulire i capitali. Le indagini della polizia e le verifiche del nucleo speciale di polizia valutaria della Finanza hanno evidenziato un giro strano e vorticoso di transazioni fra società che si occupano di elettronica e informatica. Il gruppo di imprenditori che le gestivano sarebbero stati a completa disposizione della "famiglia" di Carini. Anche loro insospettabili: Giorgio Iaquinoto, con la Giellei Electro trading, che ha sedi a Castelvetrano, Ragusa e Marsala; Vincenzo Curulli, intestatario di due ditte; Michele Cardinale, con la Roma electro service. A Palermo i prestanome non sono mai mancati. Andrea Bruno, in carcere per mafia, faceva gestire la sua Salumeria Doc, in via Caduti sul lavoro, a Davide Pedalino, anche lui finito in manette per questa e un´altra intestazione fittizia (alcune quote della trattoria Quattro fari di viale Regione Siciliana 2645). Pure l´imprenditore Giuseppe Gelsomino sarebbe stato manager occulto dei mafiosi: per questo gli sono stati sequestrati il Giardino della frutta di via Aquileia e il centro Wind di viale Lazio. Le manette sono scattate per altri tre prestanome: Antonietta, Giorgio e Giuseppe Cuccia. I boss gli avrebbero affidato alcuni magazzini in viale Regione.
Fonte: La Repubblica
Il consenso dell'illegalità
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Mentre si praticava assiduamente e furbescamente l´evasione totale o parziale nei confronti di quelle istituzionali. Questo è il dato da cui bisogna partire, se si vuole affrontare seriamente il problema del pizzo e più in generale delle organizzazioni criminali di tipo mafioso: l´accettazione di un sistema che è insieme accumulazione, potere, codice culturale, consenso diffuso, prima che per paura per convenienza.
Nonostante il gran parlare di mafia e dintorni, soprattutto a ridosso delle mattanze replicate quotidianamente o periodicamente, prima di Cosa nostra, adesso delle camorre, non pare che questa idea di mafia sia convenientemente affermata. E anche i discorsi che da qualche tempo si fanno sulla "borghesia mafiosa", cioè su un sistema di rapporti che coinvolge soggetti della classe dominante, rischiano di portare acqua più che al mulino dell´analisi seria e conseguente a quello degli slogan e delle dichiarazioni davanti alle telecamere. Non si spiegano diversamente anche gli appelli all´unanimismo, recentemente rispolverati, che lasciano intendere che la mafia è solo quel migliaio di affiliati a Cosa nostra e dintorni, professionisti del crimine col kalashnikov, contro cui bisogna lottare tutti uniti, tutti insieme, continuando a coltivare colleganze con personaggi anche sotto processo o condannati. Senza dire che gli accenni alla «responsabilità politica», in mancanza di sanzioni effettive e cogenti, significano soltanto pestare acqua nel mortaio. Continua a imperversare un´ideologia ipergarantista, che ha cultori trasversali, da Forza Italia a Rifondazione.
Com´è noto, sul problema delle estorsioni negli ultimi anni qualcosa si è cercato di fare: c´è una legislazione, nata con il solito criterio del pronto soccorso e dell´emergenza, dopo l´assassinio di Libero Grassi, che bisognerebbe rivedere; sono nate, ma solo nell´Italia meridionale, associazioni, ma bisogna vedere quante di esse abbiano un ruolo reale o solo sulla carta. Negli ultimi anni a Palermo, in mancanza di un´associazione antiracket, è nato il comitato Addipizzo che ha svolto un ottimo lavoro per quanto riguarda la sensibilizzazione e la mobilitazione dei consumatori, ma tra i commercianti ha raccolto poche adesioni: un centinaio su circa 10 mila operatori, appena l´1 per cento. Le associazioni di categoria non sono andate e non vanno al di là di appelli inascoltati: anche gli iscritti sono tra i devoti del pizzo. Di fronte agli arresti di questi giorni, non servono a nulla i gridi di allarme e le manifestazioni di buone intenzioni. Occorre fondare una strategia. Tutti coloro che sono realmente interessati a porvi mano dovrebbero unire le poche forze per operare insieme.
Certo, al di là dell´impegno delle associazioni di categoria e di volenterosi, ci vorrebbe un impegno corale di istituzioni e "società civile". Ma il quadro non è certo esaltante. L´Università, tolti alcuni casi singoli, non fa ricerca, in compenso la facoltà di Lettere sponsorizza due volte l´anno, in occasione degli anniversari delle stragi di Capaci e via d´Amelio, messe cantate officiate da un personaggio che esibisce stimmate e parla con gli Ufo. Nelle scuole continuano a svolgersi iniziative in nome di una legalità astratta e formale, con esperti più o meno improvvisati. In previsione delle prossime elezioni comunali si consumano stancamente i riti delle primarie del centrosinistra, tra interviste con trombe e grancasse, seguite da precisazioni e smentite, bandierine rosse agitate più che altro per atto di presenza, giri per la città e incontri con personaggi dell´altra sponda, non si capisce con quale logica. Non pare che nessuno dei candidati abbia voglia di affrontare un tema di fondo: il ruolo dell´illegalità nell´economia, nella cultura, nella vita quotidiana della città, a cui si dovrebbe contrapporre una legalità sostanziosa e conveniente. Soprattutto per l´universo dei disoccupati, dei precari e dei superflessibili, che dovrebbero costituire l´asse portante di un blocco alternativo. Si preferisce parlar d´altro e raccogliere sogni. Niente di strano se la città esprima solo o soprattutto incubi.
Fonte: La Repubblica
Trubia parla ancora
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Questo ha raccontato "Saro" Trubia, alias "Nino D'Angelo" al Gup del Tribunale di Caltanissetta Fabrizio Nicoletti che lo sta processando con il rito abbreviato per mafia ed estorsione con altre nove persone ritenute affiliate alle cosche criminali di Stidda e Cosa Nostra. Incriminati nel dicembre del 2005 con l'inchiesta condotta dagli agenti del locale Commissariato di polizia e da quelli della Mobile di Caltanissetta, agli imputati viene contestata l'accusa di avere imposto il "pizzo" per dieci lunghi anni alla cooperativa agricola "Agro Verde" il cui presidente Stefano Italiano ora è parte civile. E parte civile si sono costituiti il Comune, l'associazione antiracket "Gaetano Giordano" e la Fai, Federazione antiracket italiana. Trubia, che dopo anni di militanza in Cosa Nostra ad ottobre ha maturato il proposito di collaborare con la giustizia, rendendo dichiarazioni spontanee, ha ammesso di avere fatto da apripista nell'estorsione all'Agro Verde.
Un'estorsione - ha raccontato - che Trubia avrebbe avviato tramite altre persone non imputate nel procedimento. Contestualmente ha sparato a zero contro i suoi fiancheggiatori che lo avrebbero collaborato in quell'estorsione. Il gruppo di Trubia si sarebbe occupato dell'estorsione all'Agro Verde fino al '97-98, fino, cioè, all'arresto di Rosario Trubia. Successivamente - raccontato Trubia - nell'estorsione alla coop. subentrò la Stidda per il tramite di Emanuele Cosenza al quale la stessa vittima avrebbe chiesto di intercedere per evitare che esponenti malavitosi circolassero nei locali della cooperativa agricola, creando malcontento tra i soci.
Dopo Trubia, un altro imputato ha voluto rendere dichiarazioni spontanee. Lo ha fatto Giuseppe Novembrini il quale ha ammesso i fatti che gli vengono contestati dai magistrati. Imputati nel procedimento, oltre a Rosario Trubia ed a Giuseppe Novembrini, sono Emanuele e Calogero Cosenza, rispettivamente padre e figlio, Carmelo Fiorisi, Filippo Salvatore Faraci, Enrico Maganuco, Francesco Morteo, Alessandro Gambuto e Luigi Incardona. Il processo è stato aggiornato a fine mese per la requisitoria del sostituto procuratore della Dda Nicolò Marino. Con l'inchiesta "Mantide", condotta con l'ausilio di intercettazioni ambientali e telefoniche, oltre ai 10 imputati per i quali la Procura si accinge a formulare le conclusioni, vennero incriminate altre due persone per le quali, al momento del blitz, scattò una denuncia a piede libero. Ma in sede di udienza preliminare il Gup emise per entrambi sentenza di non luogo a procedere perchè già giudicati per gli stessi fatti.
Fonte: La Sicilia
Morvillo bacchetta
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«Come possiamo chiedere ai commercianti di denunciare gli esattori del pizzo - dice Morvillo - se in questa città vi sono continui messaggi, segnali e collusioni da parte di esponenti delle istituzioni, che proseguono o tollerano la vicinanza con i mafiosi?». Va giù duro, il procuratore aggiunto, sottolineando due volte quella «vicinanza con i mafiosi tollerata dalla politica, che non ha mai preso le distanze. Non mi risultano da parte dei politici denunce o condanne di atteggiamenti poco chiari tenuti da loro colleghi». Morvillo pone l´accento sull´esigenza di una moralità delle istituzioni «che dovrebbero essere da esempio per i cittadini, commercianti o imprenditori». Morvillo continua nel suo sfogo, additando la «triste» Palermo: «Dalle intercettazioni emerge che tutto si basa sui favori in questa città. Ciò che spetta per diritto viene fatto come un favore».
Un grido d´allarme, ma pieno di sconforto. «Difficilmente il problema si può risolvere partendo dal taglieggiato, cioè dall´ultimo anello della catena». Morvillo finisce così per andare oltre gli accorati richiami del procuratore Messineo e del questore Caruso, che - quando parla Morvillo - hanno appena terminato di invitare i commercianti a denunciare chi chiede il pizzo. Eppure quello di ieri è stato il giorno degli appelli alla ribellione contro il racket. Ha deciso di far sentire la sua voce anche il presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello: «Lo Stato dimostra che vuole fare la sua parte. Non possiamo sottrarci al dovere di fare anche noi la nostra. Chi paga il pizzo è complice: ribelliamoci!». Lo Bello ottiene la disponibilità del segretario regionale della Cisl, Paolo Mezzio, che pensa ad «azioni comuni» delle associazioni imprenditoriali e dei sindacati, per combattere le estorsioni.
E l´invito a «rompere il mutismo, a ribellarsi al racket» arriva anche dal presidente della commissione antimafia, Francesco Forgione. Ma lo spaccato è quello di «una mafia che detiene ancora, e in maniera forte, il controllo del territorio», per usare le parole di Rita Borsellino. Il rischio è che non bastino i semplici appelli alla ribellione, davanti alla zona grigia che comprende pezzi delle istituzioni, imprenditoria e mafia, al centro di inchieste giudiziarie come quella che coinvolge il presidente della Regione. E il problema della politica connivente, o solo tollerante, resta centrale. Specie dopo le affermazioni di Morvillo. Ma i rappresentanti delle istituzioni, nei loro comunicati ufficiali, decidono di non rispondere direttamente al procuratore aggiunto. Il governatore Salvatore Cuffaro esprime il suo plauso «alla polizia di Palermo» e dice che nella lotta alla mafia «la tensione non è mai calata e mai dovrà calare». Di «colpo decisivo alla criminalità organizzata che continua ad avvelenare l´economia della nostra città» parla invece Diego Cammarata. In prima linea, fa rimarcare il presidente della Provincia Francesco Musotto, «ci sono non solo magistrati e forze dell´ordine ma anche i rappresentanti delle istituzioni e tanti cittadini comuni».
Nessuno, fra i governanti siciliani, si sofferma sulla necessità espressa da Italo Tripi (Cgil) di eliminare la «contraddizione che esiste fra l´impegno di magistrati e polizia e l´inquinamento della politica». In questa direzione dice qualcosa in più solo Carlo Vizzini, senatore di Forza Italia: «Ringraziamo la Dia e la questura. Ma al di là delle forme il vero ringraziamento, da parte della politica, non può che essere quello di fissare regole severe e trasparenti di comportamento dei partiti per le prossime amministrative». Sullo sfondo, resta quello scenario «triste» descritto da Morvillo, e tracciato con le stesse tinte da Tano Grasso, presidente onorario della federazione delle associazioni antiracket: «L´operazione della scorsa notte conferma che gli imprenditori che hanno scelto di non piegarsi al ricatto degli estorsori e di non convivere con la mafia sono una minoranza».
Fonte: La Repubblica
venerdì, gennaio 26, 2007
Crocetta denuncia
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Crocetta, che per giorni si è trasformato in "investigatore", in una nota assicura di avere "assolutamente certezza e prove" dell'illecito. "Invito le imprese del settore rifiuti - scrive il sindaco - a chiarire con gli organi competenti le situazione, poiché gli enti pubblici non possono accettare che i soldi dei cittadini onesti finiscano nelle tasche dei mafiosi per alimentare il degrado e magari finanziare la latitanza di qualche boss".
26/01/2007
Fonte: La Sicilia
Inaugurazione anno giudiziario
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26/01/2007
Fonte: La Sicilia
Operazione "occidente", 48 arresti
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Nell'inchiesta vi sono centinaia di ore di conversazioni fra boss captate dalle microspie che arricchiscono questa indagine e offrono riscontri a quanto accertato dalla polizia. Emerge, dunque, come il mandamento guidato dal latitante Lo Piccolo ha svariati interessi nel settore dei lavori edili e delle imprese commerciali. Ma anche le collusioni e i boss che erano fino adesso "riservati". Gli indagati sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamenti, riciclaggio e interposizione fittizia di beni.
La procura ha chiesto ed ottenuto dal gip, oltre agli arresti, anche il sequestro di beni per un valore complessivo di 16 milioni di euro. Per gli inquirenti rappresenterebbero una parte del tesoro del boss latitante Salvatore Lo Piccolo, ricercato da oltre vent'anni e adesso al vertice di Cosa nostra. I provvedimenti cautelari dell' Operazione Occidente firmati dal gip, Maria Pino, sono 48 e riguardano i presunti capi e affiliati alle famiglie mafiose di San Lorenzo, Partanna, Mondello e Carini.
25/01/2007
Fonte: La Sicilia
Summit gastronomico
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Il titolare lo aprì per l'occasione nonostante il giorno di chiusura. Attorno al tavolo si riunirono uomini d'onore delle famiglie di Carini, Torretta, Passo di Rigano e Montelepre. Il summit gastronomico dei boss venne fotografato dagli investigatori appostati lì vicino. Le frizioni nate in particolare tra le due fazioni della 'famiglia' di Carini sono state 'captate' dalle intercettazioni degli investigatori che hanno temuto anche potesse scoppiare una guerra di mafia.
I capi delle famiglie si sarebbero riuniti in due occasioni nel 2003: al ristorante "La locanda di San Giorgio", nei pressi della stazione ferroviaria di Carini, e poi al "Vecchio mulino" a Torretta. I boss - avrebbero partecipato tra 30 e 50 persone - secondo gli inquirenti, arrivarono accompagnati dal proprio autista che attendeva fuori dai locali.
La polizia ha accertato che a suscitare i contrasti nella famiglia mafiosa di Carini tra il boss Angelo Gallina e i Pipitone, sarebbe stato il disaccordo per il mancato acquisto di bestiame da parte di uno dei Gallina. Ai summit, però, i capimafia parlarono anche di affari, in particolare delle tangenti da imporre alle imprese che stavano realizzando decine di villette a Carini e di strategie mafiose.
25/01/2007
Fonte: La Sicilia
Santapaola ancora incapace
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25/01/2007
Fonte: La Sicilia
martedì, gennaio 23, 2007
Qualche chiarimento in più
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Fonte: Agi online
Omaggio a Padre Puglisi
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Fonte: quotidiano di Calabria
Ricordando Peppino
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Fonte: La Sicilia
Serie tv su Dalla Chiesa
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Fonte: la provincia di Cremona
L'amarezza di Modica
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Fonte: la gazzetta di Parma
Affiora anche il nome di Schillaci....
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In questa inchiesta, gli investigatori hanno ricostruito ogni singola estorsione, grazie alle intercettazioni ambientali, nella quali emerge che tutti pagano senza esitazione. Qualche commerciante o imprenditore chiede anche lo sconto e per ottenerlo si rivolge ad alcuni capimafia di altre zone della città. E sempre ai boss della zona si rivolgono alcuni titolari di attività per "denunciare" furti nei propri locali e per cercare di recuperare la merce. Nessuno però si rivolge alle forze dell'ordine per segnalare le estorsioni subite. Il mandamento mafioso della Noce è storicamente uno tra i più potenti presenti sul territorio di Palermo, e in passato è stato diretto da uomini di elevatissimo spessore criminale. Ma al suo interno, come del resto in gran parte di Cosa nostra, le affiliazioni sono cambiate, per via dei numerosi e continui arresti disposti dalla magistratura, e quindi adesso ai vertici delle famiglie si trovano persone che in passato erano solo dei fiancheggiatori dei boss. Questi i nomi degli arrestati, oltre al boss Pierino Di Napoli, ritenuto il capomandamento della Noce: Francesco Picone, 67 anni; Giuseppe Musso, di 67 anni; Salvatore Gottuso, di 61; Francesco Scaglione, di 61; Vincenzo Bruno, di 59; Eugenio Rizzuto, di 55; Luigi Caravello, di 54; Salvatore Alfano, di 51; Antonino Vernengo, di 49; Guglielmo Ficarra, di 48; Pietro Di Mario, di 46; Umberto Maltese, di 46; Sergio Matina, di 45; Giovanni Vitrano, di 37; Felisiano Tognetti, di 36; Fabio Chiovaro, di 34.
23/01/2007
Fonte: La Sicilia
Orlando chiarisce
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Fonte: La repubblica
Giacoppo arrestato
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Fonte: virgilio.it
Capomandamento Della Noce
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23/01/2007
Fonte: La Sicilia
Sgominata la cosca Della Noce
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Gli ordini di custodia cautelare sono stati richiesti dal procuratore aggiunto di Palermo, Giuseppe Pignatone e dai sostituti, Maurizio de Lucia, Roberta Buzzolani e Gaetano Paci che hanno coordinato l'inchiesta. Gli investigatori hanno tracciato la nuova mappa del mandamento mafioso della Noce, al quale era tanto "affezionato" Totò Riina, perchè in questa famiglia aveva gran parte dei suoi fedelissimi, come Raffaele Ganci. Oltre alle estorsioni, i mafiosi della zona avrebbero curato anche un traffico di sostanze stupefacenti e la gestione delle macchine per i video giochi distribuite in numerosi locali della città. Fra gli arresti figura anche il nuovo capomandamento della zona. Le estorsioni a commercianti e imprenditori frutterebbero a Cosa nostra grosse somme di denaro, e a pagare il pizzo sarebbero quasi tutte le grosse attività che ricadono nel mandamento mafioso della Noce. In questa inchiesta, gli investigatori hanno ricostruito ogni singola estorsione, grazie alle intercettazioni ambientali, nella quali emerge che tutti pagano senza esitazione. Qualche commerciante o imprenditore chiede anche lo sconto e per ottenerlo si rivolge ad alcuni capimafia di altre zone della città. E sempre ai boss della zona si rivolgono alcuni titolari di attività per "denunciare" furti nei propri locali e per cercare di recuperare la merce. Nessuno però si rivolge alle forze dell'ordine per segnalare le estorsioni subite.Il mandamento mafioso della Noce è storicamente uno tra i più potenti presenti sul territorio di Palermo, e in passato è stato diretto da uomini di elevatissimo spessore criminale. Ma al suo interno, come del resto in gran parte di Cosa nostra, le affiliazioni sono cambiate, per via dei numerosi e continui arresti disposti dalla magistratura, e quindi adesso ai vertici delle famiglie si trovano persone che in passato erano solo dei fiancheggiatori dei boss.
23/01/2007
Fonte: La Sicilia
domenica, gennaio 21, 2007
Miceli racconta
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Fonte: La Sicilia
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