CASTELLO, IL RICCO FRUTTAIOLO IN SPAGNA. Il personaggio di maggiore spicco coinvolto nell'inchiesta è Simone Castello, 60 anni, di Villabate (Palermo), già condannato per associazione mafiosa e sottoposto a misure di prevenzione, che è stato arrestato in Spagna a Murcia, vicino Alicante, dalla Guardia Civil in collaborazione con i carabinieri del Comando Provinciale di Palermo. Nelle penisola iberica, dove si era trasferito, Castello gestiva una società di import-export di frutta e ortaggi, del valore approssimativo di 2 milioni e mezzo di euro, che è stata sottoposta a sequestro preventivo. Simone Castello è stato condannato per mafia con sentenza definitiva nel 2005. Prima di tornare in carcere avrebbe avuto il tempo di ricoprire un ruolo di vertice nella famiglia mafiosa di Bagheria, roccaforte di Bernardo Provenzano.
LA SCALATA DEL GIOVANE BOSS. Della rete di fiancheggiatori dell'allora boss latitante avrebbero fatto parte anche Massimiliano Ficano (cognato di Castello), Giuseppe Comparetto e Stefano Lo Verso, considerati anelli terminali della catena. Insieme al padre Leonardo, Simone Castello gestisce il deposito di autodemolizioni sulla strada statale 113, alla periferia di Bagheria, divenuto punto d'incontro fra gli indagati e imbottito di microspie dagli inquirenti. Subito dopo gli arresti di Castello, Comparetto e Lo Verso, il potere sarebbe poi passato a Ficano. È lui stesso a spiegare a Cristofaro Morici le gerarchie nel corso di una conversazione captata nel deposito di automobili. Alla vigilia di Natale del 2005: "Quando c'è qualche cosa, se c'è mio cognato fuori gliela faccio vedere a lui, non devo dare spiegazioni a nessuno, tranne a mio cognato, in mancanza di Onofrio (Morreale ndr) devo dare spiegazioni a mio cognato, in mancanza che non c'è Onofrio io non sono tenuto a dargli spiegazioni". Sulla parentela con Castello, Ficano avrebbe fondato la sua scalata al potere. In un'occasione si sarebbe rivolto al cognato per fare rimproverare Lo Verso e Comparetto che, a suo dire, gli avevano mancato di rispetto. Il 19 gennaio 2006 Ficano racconta a Morici che Castello aveva partecipato ad un summit mafioso: "Aveva il soggiorno obbligato, è sceso per un'udienza, gli hanno dato sabato e domenica di stare qua. Eravamo tutti dove c'è il capannone". Lo Verso e Comparetto erano stati chiamati in disparte: "Ho sentito mio cognato che ha cominciato a gridare, sono diventati gialli, rossi in faccia". Per far parte di Cosa nostra, Ficano fu sponsorizzato da due padrini d'eccezione: Onofrio Morreale e Francesco Pastoia, uomo di fiducia di Provenzano, morto suicida in carcere. Sarebbero stati loro a garantire per Ficano, con il sostegno dello stesso Bernardo Provenzano. Ficano racconta a Morici i suoi primi passi nell'organizzazione: "Prende Onofrio e dice davanti allo Zu Ciccio, Massimo la responsabilità tua ce la prendiamo io e lui". Da quel momento Ficano si sarebbe occupato di mantenere i contatti fra i due boss. La scelta era ricaduta sul suo nome per volere di Bernardo Provenzano in persona. Sarebbe stato Pastoia a riferirglielo: "Un'altra persona più grande di noi, di me e di lui che è al corrente della situazione".
PER ANNI HANNO COPERTO LA LATITANZA DI BINNU. La rete di fiancheggiatori di Bagheria avrebbe garantito per anni, e con successo, la latitanza di Bernardo Provenzano. Lo stesso Massimiliano Ficano, se ne vantava: "La responsabilità di lui l'abbiamo avuta sempre qua a Bagheria". Ed ecco che l'arresto del capo di Cosa Nostra mette in crisi gli equilibri mafiosi.La sua successione è argomento di discussione fra Leonardo Ficano e il figlio Agostino che fa la sua previsione: "tre sono e ora si deve decidere chi deve 'salire' il latitante Lo Piccolo di Palermo, il latitante Raccuglia, il latitante del Trapanese che è Messina Denaro, comunque tutti e due corna dure sono, il Lo Piccolo che comanda tutto Palermo e sia questo del Trapanese, se si mettono d'accordo una cosa è certa, che hanno finito di comandare i corleonesi, dopo 40 anni, 50 anni hanno finito di comandare i corleonesi". Poi commentano il ritrovamento della macchina per scrivere di Provenzano nel covo di Montagna dei Cavalli. "Quella nostra?", chiede Leonardo Ficano rivolgendosi al figlio. I Ficano, dunque, avrebbero fornito a Provenzano la macchina con cui scriveva la sua corrispondenza.
IL PIZZO SUL CARO ESTINTO. La cosca di Bagheria avrebbe imposto il pizzo anche sulla costruzione delle tombe nel cimitero di Ficarazzi. Una sorta di racket del "caro estinto". L'imprenditore che si era aggiudicato i lavori aveva ricevuto una richiesta estorsiva che, però, riteneva eccessiva. Ficano racconta a Morici, nel corso di una conversazione intercettata, i termini della messa a posto. L'imprenditore doveva pagare il tre per cento sull'importo totale e Ficano si era impegnato a fargli avere uno sconto sul pizzo: "Quante sono queste tombe, novanta? Sono trecentosessanta mila euro, mettiamo al tre per cento sono diecimila euro, lui gli ha fatto fare lo sconto di altri mille euro, se io parlo con chi devo parlare mi fate fare brutta figura per cinque mila euro? Gli ho detto le faccio fare metà a Natale e metà a Pasqua". Ficano ne avrebbe discusso con Vincenzo Belvedere, morto nel 2006, dal lui indicato come il punto di riferimento a Ficarazzi dopo gli arresti di Comparetto e Lo Verso ("Giuseppe non c'è, Stefano non c'è, gli ho detto che questo è stato messo lì ed è autorizzato a girare per i carcerati").
SI CERCA UN ARSENALE. C'è un giallo nell'operazione Crash che riguarda un arsenale che gli investigatori non sono riusciti a trovare. "Nel corso di alcune conversazioni intercettate - spiega Maurizio Calvino, capo della squadra mobile di Palermo - gli indagati discutevano di armi custodite e da trasportare. Armi che non siamo riusciti a trovare. Le indagini proseguono per scoprire altre eventuali responsabilità". "Le indagini proseguono per stabilire se il clan di Bagheria - aggiunge il colonnello Paolo Piccinelli, comandante del reparto territoriale dei carabinieri di Palermo - abbia avviato dei canali con la Spagna per dare vita a traffici illeciti. La presenza di Simone Castello in terra iberica potrebbe non essere stata casuale". Della rete di fiancheggiatori parla anche Ignazio De Francisci, procuratore aggiunto di Palermo: "è difficile stabilire se la rete sia stata smantellata del tutto, è certo però che gli è stato inferto un duro colpo visto lo spessore degli indagati".
TUTTI GLI ARRESTATI. Simone Castello, 60 anni, arrestato in Spagna; Luciano Castello, 35 anni, nipote di Simone; Dario e Giuseppe Comparetto, rispettivamente di 27 e 33 anni; Leonardo e Massimiliano Ficano, di 67 e 34; Emanuele Giovanni Leonforte, di 39; Stefano Lo Verso, di 48, già detenuto per altri reati; Cristofaro Morici, di 56, Onofrio Morrreale, di 44, e Francesco Pipia, di 52.
01/12/2009
01/12/2009
Fonte: La Sicilia
Nessun commento:
Posta un commento