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Aveva deciso di collaborare con la giustizia e per questo il suo clan ne decise l'eliminazione. Non sapendo dove si nascondesse, la cosca utilizzò la madre e la sorella per scovarlo e convincerlo ad uscire di casa. È la dinamica dell'uccisione di Sebastiano Mazzeo, nipote del boss Santo Mazzei (i cognomi sono diversi soltanto per un errore di trascrizione all'ufficio anagrafe di Catania) capo della 'famiglia' dei Carcagnusi di Catania, assassinato a 21 anni nel 1989 dai suoi stessi affiliati.
A tradirlo furono la madre, Gaetana Conti, 57 anni, la sorella, Concetta Mazzeo, di 39, che lo fecero uscire da casa e lo consegnarono ai sicari che lo uccisero. Le due donne e un uomo che ha avuto un ruolo nell'omicidio, Agatino Stefano Messina, di 53 anni, sono stati arrestati dalla squadra mobile della Questura di Catania in esecuzione di un ordine di custodia cautelare in carcere. Il provvedimento era stato sollecitato dalla Procura della Repubblica, che aveva chiesto un ordine restrittivo anche per i boss Santo Mazzei e Salvatore Cappello, già detenuti, in qualità di mandanti, ma il Gip ha ritenuto insufficienti le prove a loro carico.
Nell'ambito della stessa inchiesta sono indagati anche due collaboratori di giustizia Salvatore Centorrino, e Alfio Scalia, la cui posizione è stata stralciata. Il corpo di Sebastiano Mazzeo non è stato trovato perchè dopo il 'pentimento' di Scalia la cosca lo avrebbe disseppellito e portato in un altro posto per non fare trovare riscontri alle sue dichiarazioni.
Sebastiano Mazzeo era figlio del boss Francesco, che era rimasto paralizzato dopo una sparatoria avvenuta nel 1981 a Carpi, nel Modenese. L'uomo era stato poi assassinato da un commando nella sua villa di Agnone Bagni, tra Catania e Siracusa, il 25 maggio del 1987 da un commando di mafiosi travestiti da carabinieri. Nella casa, dove era agli arresti domiciliari perchè imputato nel maxiprocesso di Torino alle cosche catanesi, c'erano anche la moglie e la figlia del boss, le stesse indagate per l'omicidio di Sebastiano Mazzeo, che furono arrestate per detenzione illegale di arma da fuoco, perchè nascondevano le armi della vittima.
Proprio l'uccisione del padre sarebbe stata la molla che avrebbe spinto Sebastiano Mazzeo a collaborare con la magistratura, o a fare finta, per potere tornare in libertà: il giovane, che era detenuto per rapina e tentativo di omicidio, scomparve infatti il 7 ottobre del 1989, pochi giorni prima di essere ucciso, mentre era sotto protezione e si era recato nella discoteca 'Piper' di Roma ma non fece rientro a casa. Successivamente mandò una lettera ai giornali spiegando di non essere un 'pentito', ma non fu creduto.
A Catania la cosca tentò di ucciderlo utilizzando un commando di sicari travestiti da militari della guardia di finanza, ma l'agguato fallì perchè Sebastiano Mazzeo capì tutto e riuscì a fuggire. Per questo la cosca decise di fare intervenire la madre e la sorella come 'esca' per farlo uscire dal suo covo nel rione San Cristoforo di Catania.
Sebastiano Mazzeo fu ucciso a colpi di pistola e portato in un luogo segreto, dove fu sepolto ma prima, secondo alcuni pentiti, il corpo fu martoriato con un machete. Tra i mandanti, secondo l'accusa, ci sarebbe stato anche lo zio di Sebastiano, il capomafia Santo Mazzei, uomo d'onore di Cosa nostra e luogotenente di riferimento a Catania di Totò Riina.
Del caso di 'lupara bianca' e del coinvolgimento della madre della vittima la stampa si era già occupata nel 1991, quando trapelarono le prime indiscrezioni sulle deposizioni dei due pentiti che hanno permesso alla Procura di Catania di fare luce sul caso.
24/10/2007
Fonte: La Sicilia
mi si e' rizzato il pelo quando l'ho sentito
RispondiEliminala madre che manda il figlio a morire !!!!!!!!
cose che solo in un film horror
questa gente è capace di qualsiasi cosa...
RispondiEliminascive: 6 una testa di cazzo messina agatino stefano non ha fatto niente
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