giovedì, settembre 06, 2007

Bomba sotto la macchina di un giornalista

Fonte: articolo21.com, di Bruna Iacopino
Giornalisti imbavagliati, giornalisti sotto scorta, giornalisti cui viene negato il diritto più elementare, quello che li fa essere tali: la libertà di espressione. È di ieri l’ultima rivelazione riguardante Lirio Abbate, corrispondente Ansa e giornalista della Stampa da Palermo. La notte di sabato due loschi figuri hanno cercato di posizionare un ordigno esplosivo sotto la sua vettura. Gli uomini della scorta che lo seguono dal maggio di quest’anno hanno fortunatamente sventato la tragedia, i due però sono fuggiti facendo perdere le loro tracce: dopo le intimidazioni, si è passati ai fatti. Lirio è colpevole di aver condotto diverse inchieste svelando le connessioni tra mafia e potere, poi riportate abilmente nel libro “I complici. Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano da Corleone al Parlamento” scritto in collaborazione con Peter Gomez. Lirio era presente al momento dell’arresto di Bernardo Provenzano, aveva ricostruito tutte le fasi del bliz, ha continuato a seguire in Sicilia tutti i maggiori processi di mafia, si è occupato di indagare i traffici illegali della criminalittà organizzata e ha relaizzato reportage sugli sbarchi di calndestini in Sicilia. Un giornalistia coraggioso, non c’è che dire, un giornalista che, nel momento in cui denuncia la trasformazione di cosa nostra, che dopo aver abbandonato la doppietta ha scelto di indossare il doppiopetto, con la complicità silente e colpevole delle istituzioni e dei media, risulta scomodo, perché parla troppo. Anche ultimamente, Lirio era tornato a parlare a Cinisi, denunciando l’assurda pratica di nominare, all’interno delle pubbliche amministrazioni, indagati per mafia come a Palermo. Dopo un soggiorno di alcuni mesi a Roma, alla redazione centrale, il giornalista decide di fare ritorno in Sicilia e immediate tornano le minacce: il messaggio è chiaro, non vogliono che continui ad occuparsi di certi affari. Del resto è anche vero, come sottolinea lui stesso in un’intervista rilasciata a Repubblica, che un giornalista sotto scorta non può più fare il lavoro che faceva prima, allo stesso modo, nessuno sarà più disposto a “fornirgli informazioni”, dovrà attenersi alle fonti ufficiali… Lo sconforto e la sensazione di impotenza si fanno sentire prepotenti in quello che dice, quando da parte della società civile e da parte di coloro che fanno il tuo stesso lavoro dentro la stessa città si continua a non voler vedere e non voler guardare: allora c’è il dramma dell’uomo isolato che ha messo a rischio se stesso e la propria famiglia, per cosa? (si chiede lui) La stessa sorte è toccata a Dino Paternostro, che ha visto la sua macchina incendiata a gennaio dello scorso anno, anche lui impegnato in una seria azione di lotta e di denuncia contro la mafia, anche per lui c’era stata la necessità di una scorta. E non bisogna dimenticare l’esempio di Roberto Saviano, che in seguito alla pubblicazione di Gomorra vive totalmente blindato, con la paura costante che la ritorsione possa colpire una persona cara. Accanto a loro, c’è poi anche chi, in nome della libertà di informazione ha immolato la propria vita pagando a caro prezzo il coraggio*: -Cosimo Cristina, collaboratore de "L'Ora"di Palermo, ucciso il 5 maggio 1960, inizialmente archiviato come suicidio: Cristina aveva ricostruito un delitto di mafia avvenuto a Termini Imerese. - Mauro De Mauro, anch’egli collaboratore de L’Ora di Palermo, scomparso il 16 settembre 1970, aveva pubblicato un’interessante inchiesta sui rapporti tra mafia e gruppi eversivi. Il cadavere non venne mai ritrovato. - Giovanni Spampinato, ucciso il 27 ottobre 1972, collaboratore de "L'Ora" e "L'Unità" impegnato ad indagare l'intreccio di affari, trame neofasciste e malavita nella città di Ragusa. - Peppino Impastato, il cui corpo venne ritrovato il 9 maggio del 1978, aveva più volte denunciato la mafia di Cinisi attraverso la radio da lui fondata, Radio Out. - Mario Francese, ucciso il 26 gennaio 1979, cronista giudiziario de "Il Giornale di Sicilia. Il primo a denunciare la pericolosità dei corleonesi di Totò Riina. - Giuseppe Fava, assassinato il 5 gennaio 1984. Aveva fondato "I Siciliani", giornale che aggrediva i grandi gestori degli appalti di Catania, collusi con la mafia. - Giancarlo Siani, ucciso il 25 settembre 1985 dai sicari della Camorra. Corrispondente de "Il Mattino" di Napoli aveva denunciato alcuni traffici di Torre Annunziata. - Mauro Rostagno ucciso il 26 settembre 1988: attraverso un’emittenete privata nel trapanese aveva urtato la sensibilità di non pochi esponenti di cosa nostra. - Beppe Alfano, ucciso l'8 gennaio 1993, corrispondente del quotidiano"La Sicilia". Aveva denunciato apertamente i lati oscuri dei grandi appalti pubblici dell'asse Messina– Palermo. Parlare di Abbate, Saviano, Paternostro è un conforto, il messaggio di chi li ha preceduti è ancora vivo, e forse altri, un giorno, decideranno di seguirlo allo stesso modo. Noi, al momento, non possiamo far altro che esprimere solidarietà a questi colleghi perché degni rappresentanti di chi fa seriamente e con convinzione questo lavoro, impegnandoci nei nostri limiti, a non dimenticare...
*Si guardi: "Gli insabbiati. Storie di giornalisti uccisi dalla mafia e sepolti dall'indifferenza" di Luciano Mirone- Edito da Castelvecchi, Roma, 1999

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