Fonte: Corriere della sera
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martedì, agosto 14, 2007
Minacce agli imprenditori a Gela
Gela. «Non andate al Tribunale perché siete morti»: è scritta in dialetto gelese e arricchita dall'eloquente disegno di una croce, la lettera di minacce recapitata a Luca Callea e Matteo Consoli due dei sette imprenditori titolari delle ditte appaltatrici del servizio comunale della raccolta dei rifiuti per dieci anni costretti a pagare il pizzo a Stidda e Cosa Nostra. La lettera minatoria è giunta a destinazione alcuni giorni prima l'avvio dell'udienza preliminare, fissata per ieri davanti al Gup di Caltanissetta, contro quattordici esponenti storici di Stidda e Cosa Nostra, due dei quali oggi sono collaboratori di giustizia. Sono stati arrestati tutti a febbraio dalla polizia nell'ambito dell'operazione «Munda mundis». Fu il sindaco Rosario Crocetta, alcuni mesi prima del blitz della polizia a denunciare che sull'appalto comunale della raccolta dei rifiuti la mafia pretendeva un pizzo del 2% dell'importo dell'appalto affidato dal Comune ricavandone 216 mila euro l'anno. In dieci anni due milioni e mezzo di euro sottratti dalla mafia all'economia legale. A squarciare il velo sulle estorsioni è stato Rosario Trubia nel momento in cui, lo scorso autunno, è diventato collaboratore di giustizia. Era stato lui in persona, dal 1998 a curare quella maxi estorsione, compreso l'adeguamento della cifra nel passaggio dalla lira all'euro e l'ha raccontata con dovizia di particolari. La minaccia di morte, alla vigilia dell'udienza, non ha fatto retrocedere le vittime che invece vogliono essere risarcite dei soldi del pizzo. E non solo. Il loro avvocato prof. Alfredo Galasso chiede, a nome di ogni imprenditore 250 mila euro a ciascuno degli imputati per i danni morali. Per la prima volta in un processo antiracket a Gela le parti civili chiedono i danni per la reputazione lesa dell'azienda e per la grave limitazione alla libertà di iniziativa economica subita. All'udienza preliminare contro il racket delle estorsioni si sono costituiti, oltre agli imprenditori a titolo personale ed alle loro ditte, anche il Comune, la Fai e l'Associazione antiracket di Gela «Gaetano Giordano». Tutti ammessi come parte civile chiedono in totale 5 milioni e mezzo di euro di risarcimento. «Questi imprenditori non sono eroi - ha detto l'avv. Galasso - è gente che non ne ha potuto più. Tra rischiare la vita e rischiare il futuro anche dei propri figli ha fatto una scelta precisa. Mi auguro che questa loro iniziativa serva da sprone per dire basta al racket. Uno degli imprenditori mi ha detto, convinto, che se questa storia delle tangenti sui rifiuti finirà bene cioè con la condanna degli autori ed il risarcimento delle vittime, ci sarà la fila di imprenditori e commercianti disposti a collaborare». Renzo Caponetti presidente dell'Antiracket ha già una lista con 15 nomi nuovi tra imprenditori e commercianti che chiedono di entrare a fare parte dell'associazione antipizzo. A piccoli passi con una serie di denunce e le operazioni delle forze dell'ordine, Gela allenta la morsa del racket che soffoca la sua economia. «E - come ha ricordato l'assessore Elisa Nuara, avvocato dell'antiracket - fino ad oggi nessuno delle imprese di chi ha denunciato ha chiuso i battenti. Anzi la cooperativa agricola Agro Verde che stava per fallire per colpa della mafia, oggi con l'aiuto del Comune e dell'Antiracket sta vivendo una stagione di grande rilancio, Lo stesso deve avvenire per le imprese della raccolta dei rifiuti».
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