lunedì, febbraio 05, 2007

Caso Bovo, no cosa nostra

Niente tentativo di sequestro di persona ai fini di estorsione, ma una “normale” tentata rapina, da parte di un gruppo di picciotti siciliani ai quali, sebbene vicini ad organizzazioni mafiose, non può essere contestata la specifica aggravante dell’organizzazione criminale di Cosa Nostra.
È l’ipotesi della direzione distrettuale antimafia di Venezia che nei giorni scorsi ha trasmesso a Vicenza il fascicolo dello sventato assalto ai fratelli Sebastiano e Nicola Bovo di Trissino affinché Salvatore Greco, Luciano Iannuzzi, Nicola Liardo e Rosario Riccioli, tuttora in carcere, siano perseguiti “solo” per l’agguato progettato tra Montecchio Maggiore e Trissino che avrebbe dovuto garantire un bottino di 1 milione di euro.
Anche le posizioni dell’uomo d’onore Carmelo Barbieri, pezzo grosso della mafia gelese e vicino a Piddu Madonia, e dell’orefice Giuseppe Palermo dovrebbero essere giudicate dalla magistratura di Vicenza. Per il sostituto procuratore antimafia veneziano Paola Mossa il fatto che Barbieri sia già stato condannato, anche se la sentenza non è ancora passata in giudicato, a 24 anni per mafia e che il piano sia stato elaborato a Gela, con l’utilizzo di manodopera fidata siciliana in trasferta a Vicenza, non sarebbe di per sé sufficiente a provare il legame mafioso.
Quattro mesi dopo, dunque, ha fatto breccia la tesi degli avvocati vicentini Sonia Negro e Michele Vettore, in collegio con Carmelo Calaciura, ad avviso dei quali i Bovo furono tutt’al più vittime di un tentativo di rapina. Un assalto andato a vuoto per l’intervento dei carabinieri dei Ros di Padova e dei colleghi del reparto operativo di Vicenza e della compagnia di Valdagno.
La vicenda si preannuncia una complessa battaglia giudiziaria sia per la competenza sul tribunale che alla fine dovrà processare gli indagati - cinque dei quali sono tuttora in carcere - sia per i reati da contestare. Il 7 ottobre i carabinieri bloccavano Iannuzzi, Liardo, Riccioli e Greco con l’iniziale accusa di ricettazione delle due Fiat Punto sulle quali furono arrestati - questa ipotesi potrebbe trasformarsi in furto, reato meno grave, dopo che hanno confessato di essersi impossessate delle auto e non di averle ricevute da qualcuno - mentre attendevano al varco i fratelli Bovo appena partiti da casa. Essi stavano per cominciare un viaggio d’affari in Polonia portando con sé un carico di orologi preziosi, per incontrare Rocco Zagarella cognato di Giuseppe Ferrari di Verona - il quale a sua volta è parente di Nico Schiavo, che è anche parente dei fratelli Bovo -, al quale Palermo si rivolgeva per la fornitura della merce.
Lo stesso 7 ottobre i carabinieri bloccavano in Sicilia l’orefice Palermo al ritorno da Vicenza e, l’indomani, il presunto mandante Barbieri. I magistrati della distrettuale antimafia di Caltanissetta firmavano anche un’ordinanza di custodia per tentato sequestro di persona a scopo di estorsione perché il piano oltre alla rapina degli orologi prevedeva il trasferimento dei fratelli Bovo in un luogo segreto dal quale ricattare la famiglia.
Tuttavia, dopo che gli atti sono pervenuti a Venezia si è assistito all’incalzare dell’azione dei difensori Negro, Vettore e Calaciura per i quali non poteva essere contestata l’ipotesi mafiosa e neppure l’ipotesi del sequestro perchè in atti non c’erano prove. Per la difesa gli atti idonei sarebbero sintomatici solo di un tentativo di rapina.
Le procure di Vicenza e Caltanissetta, però, non la pensavano così. La battaglia, sebbene i difensori abbiano messo a segno un punto a loro favore, per la competenza e per il tipo di accuse continuerà.
Fonte: Giornale di Vicenza

Nessun commento: