30/09/2008
Fonte: La Sicilia
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PALERMO - Indicato ieri da Ivan Lo Bello, presidente di Confindustria Sicilia, come l'esempio da seguire a cui i sindaci dovrebbero ispirarsi per la lotta contro la mafia e il racket delle estorsioni, Rosario Crocetta, primo cittadino di Gela, osserva che "se io continuo a fare notizia perchè dico che bisogna combattere i mafiosi, significa che questo nell'Isola non è il normale adempimento degli amministratori".Intervenuto alla commemorazione di Carlo Alberto Dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell'agente di scorta Domenico Russo, Crocetta ha spiegato che "ci sono amministratori che guardano con terrore all'arrivo delle informative antimafia sulle imprese, perchè temono il blocco gli appalti; noi, a Gela, dove ben 90 imprenditori hanno denunciato le richieste di pizzo, anche grazie al nostro incoraggiamento, la certificazione antimafia la vogliamo alla presentazione dell'offerta"."Ricordo - dice Crocetta - un episodio significativo: chiesi all'ex presidente della Regione Salvatore Cuffaro, quando era in carica, di bloccare alcuni appalti e la gestione dei dissalatori di Trapani e Gela all'ex presidente di Confindustria Caltanissetta, Pietro Di Vincenzo, a cui sono stati ora confiscati i beni. Non se ne fece niente"."Sono stanco - conclude - di amministrazioni che firmano protocolli di legalità: l'antimafia non è una formalità ma una questione di sostanza". 03/09/2008 Fonte: La Sicilia |
PALERMO - Le cerimonie per commemorare il prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l'agente di scorta Domenico Russo, uccisi 26 anni fa in un agguato, sono iniziate stamani a Palermo con la deposizione di una corona di fiori nella caserma dei carabinieri in cui ha sede il Comando regione carabinieri "Sicilia". Il generale Arturo Esposito, accompagnato dagli ufficiali del comando provinciale di Palermo, ha deposto la corona, ed ha ricordato in un beve discorso la figura e l'esempio del generale assassinato dalla mafia. "A ventisei anni dall'agguato di via Carini a Palermo, ricordo con immutata commozione il Prefetto Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, la giovane moglie Emanuela Setti Carraro e il coraggioso agente di scorta Domenico Russo, vittime di un barbaro atto di violenza eversiva che intendeva affermare il predominio del potere criminale mafioso sulle leggi dello Stato e minare le basi della civile convivenza". È quanto scrive il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel messaggio inviato al Prefetto di Palermo, Giancarlo Trevisone. "Il tremendo e vile attentato - sottolinea il capo dello Stato - colpì un servitore dello Stato che, per la sua profonda adesione ai valori della Costituzione e per il rigoroso impegno civile e morale nella lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata, ha costituito un essenziale punto di riferimento per l'intera comunità nazionale e, in particolare, per tutti coloro che avevano potuto quotidianamente apprezzarne la ferrea determinazione e la capacità di adottare innovativi metodi di investigazione. L'impegno delle istituzioni e la reazione della società civile hanno permesso di ottenere significativi successi nella lotta alle organizzazioni mafiose: quell'impegno e quella reazione devono continuare con pari intensità, traendo forza dall'esempio e dalla memoria di quanti hanno saputo servire gli interessi della collettività fino al sacrificio della vita". L'esempio del gen. Dalla Chiesa fornisce un "insegnamento prezioso" per affermare la legalità: lo dice il presidente della Camera dei deputati, Gianfranco Fini, nel messaggio al Prefetto di Palermo. "Mi unisco a voi - scrive Fini - nel commosso ricordo delle vittime di un eccidio che ha segnato profondamente la storia repubblicana, rimanendo nella memoria degli italiani come uno dei momenti più tragici e dolorosi nella lotta condotta dallo Stato e dalla società civile contro la mafia e contro tutte le forme del crimine organizzato". "I miei sentimenti vanno all'uomo straordinario che ha pagato con la vita la dedizione nello Stato, ma anche a quanto questo Stato ha fatto fino ad oggi, penso ad esempio ai pericolosi latitanti arrestati". Queste le riflessioni del capo della polizia, prefetto Antonio Manganelli. "I miei pensieri sono quelli di un investigatore - ha proseguito Manganelli - che ha messo le proprie mani nel fango della mafia. Ma il sacrificio non è stato vano e questo mi stimola sempre più ad essere, oggi da capo della polizia, al fianco di chi combatte ancora questa dura battaglia". |
03/09/2008 Fonte: La Sicilia |