mercoledì, giugno 24, 2009

Nella mia Enna...

ENNA - Oltre 200 agenti della polizia sono stati impegnati in un'operazione antimafia che ha portato all'esecuzione di 20 ordini di custodia cautelare in carcere. I provvedimenti sono stati emessi dal gip distrettuale di Caltanissetta, su richiesta del procuratore Sergio Lari e del pm della Dda, Roberto Condorelli. L'indagine, denominata Green Line, ha preso il via nel 2006 ed è stata condotta dalla Squadra mobile di Enna e dagli agenti del Commissariato di Leonforte e riguarda presunti esponenti della famiglia mafiosa di Enna. Sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, minacce, danneggiamenti e furti, tutti aggravati dall'avere commesso i fatti avvantaggiando la mafia. I mafiosi di Enna per ottenere dagli imprenditori il pagamento del pizzo, sostenevano che le somme da loro richieste erano "oneste" e le confrontavano con quelle che venivano imposte nell'area palermitana da Cosa nostra. Il retroscena emerge dalle intercettazioni effettuate nell'indagine della polizia di Stato. Fra i venti indagati, otto degli arrestati sono accusati di essere affiliati alla famiglia mafiosa di Enna, le altre a carico di persone coinvolte, comunque, in reati commessi per conto o sotto il controllo del clan ennese. Tra gli arrestati vi è Giancarlo Amaradio, uomo d'onore affiliato nel 2001, attuale rappresentante della "famiglia" di Enna (che copre anche i territori di vari comuni della provincia, in particolare Agira, Assoro, Valguarnera, Catenanuova e l'area del Dittaino). Per l'accusa i referenti di queste famiglie sono: Assoro: Angelo Salatino; Agira: Giovanni Scaminaci; Valguarnera: Gaetano Giovanni D'Angelo. Questi gli arrestati: Giancarlo Amaradio, 31 anni, Gianni Briga, 26, Natale Cammarata, 30, Giuseppe Cangeri 21, Vincenzo D'Agostino, 43, Gaetano Giovanni D'Angelo, 27, Giuseppe Di Franco, 29, Alfonso Di Marco, 46, Emanuele Fortunato, 28, Giacomo Miano, 36, Giuseppe Miracolo, 25, Umberto Pirronitto, 34, Domenico Ruisi, 39, Angelo Salatino, 51, Antonio Scaminaci, 48, Giovanni Scaminaci, 43, Davide Tirenni, 28. Altre due persone sono ricercate.
24/06/2009
Fonte: La Sicilia

50 mln di euro di sequestri..

MESSINA - La Direzione investigativa antimafia di Messina ha eseguito un provvedimento di sequestro di beni per un valore complessivo di oltre 50 milioni di euro. Si tratta di un duro colpo inferto nella città dello Stretto ai patrimoni illeciti mafiosi accumulati con il settore del movimento terra e della produzione di calcestruzzo. Il provvedimento è stato richiesto dai pm della Dda di Messina e punta sui fratelli Nicola e Domenico Pellegrino, ritenuti elementi di vertice del gruppo criminale affiliato al clan mafioso di Giacomo Spartà, che gestisce gran parte delle estorsioni nella zona sud del capoluogo siciliano. Vengono sequestrate le quote sociali di 5 società, appartamenti, ville, appezzamenti di terreno, impianti di calcestruzzo, camion, betoniere e disponibilità bancarie. Durante le indagini sono emerse gravi irregolarità nella fornitura di calcestruzzo utilizzato per la realizzazione di edifici pubblici e privati. L'inchiesta è stata coordinata dal procuratore distrettuale antimafia Guido Lo Forte. Sono due i provvedimenti di sequestro che riguardano i fratelli Nicola e Domenico Pellegrino, di 47 e 39 anni. Le proposte di sequestro sono state avanzate dalla Direzione investigativa antimafia. Il sequestro riguarda quote sociali di cinque società, 39 immobili, tra i quali appezzamenti di terreno, ville ed appartamenti. Ed ancora 40 automezzi e due impianti di produzione del calcestruzzo. Oltre 20 rapporti bancari e polizze assicurative per oltre 200 mila euro.
24/06/2009
Fonte: La Sicilia

Speriamo solo di cognome...

Palermo, 23 giu. - La condanna a trent'anni ciascuno e' stata chiesta oggi, al termine della requisitoria, dal pm della Dda di Palermo Fernando Asaro per i boss Benedetto Capizzi, Cristofaro Cannella, detto Fifetto, e Cosimo Lo Nigro, imputati del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito poi ucciso e sciolto nell'acido. Il processo si celebra con il rito abbreviato davanti al Gup di Palermo Daniela Troia.
Fonte: Adnkronos

La base logistica...

Palermo, 23 giu. - Un sequestro preventivo penale emesso dal gip di Palermo che ha accolto le richieste della Procura antimafia nei confronti del complesso aziendale di tutti beni strumentali e dell'intero capitale sociale della "Calcestruzzi Mazara Spa"
Agenti di Polizia appartenenti alla Squadra Mobile della Questura e Militari della Compagnia Guardia di Finanza di Trapani, hanno dato luogo all'esecuzione di Ordinanza di sequestro preventivo penale emessa dal gip di Palermo Antonella Consiglio che ha accolto le richieste della Procura antimafia nei confronti del complesso aziendale di tutti beni strumentali e dell'intero capitale sociale della "Calcestruzzi Mazara Spa.", controllata "dal 1979 - come dicono gli inquirenti - dalla famiglia Agate, vertice indiscusso di Cosa nostra mazarese e potente alleata del capo mafia Matteo Mesina Denaro".

Fonte: Adnkronos

lunedì, giugno 22, 2009

Miceli arrestato a Caracas..

TRAPANI - Il capomafia di Salemi Salvatore Miceli, inserito nell'elenco dei 30 latitanti più pericolosi, è stato arrestato a Caracas, in Venezuela, dai carabinieri del comando provinciale di Trapani in collaborazione con l'Interpol. Il boss, considerato un elemento di spicco del narcotraffico internazionale, era ricercato dal 2001, in seguito a una condanna per associazione mafiosa e traffico internazionale di stupefacenti divenuta definitiva. L'indagine che ha portato all'individuazione e alla cattura di Miceli è stata coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo. Nel maggio del 2003 la polizia aveva arrestato, nell'ambito di un'operazione antidroga, anche la moglie di Miceli, Veronica Dudzinski, e i figli Ivano e Mario. Il boss di Salemi era stato inoltre intercettato nel 2000 con Pino Lipari, il 'consigliori' di Bernardo Provenzano, che lo investiva ufficialmente per gestire un traffico internazionale di stupefacenti. Salvatore Miceli, 63 anni, è nipote del defunto boss Salvatore Zizzo, il capomafia di Salemi, morto nel 1981. Arrestato a Palermo, assieme ad altre 22 persone, nel marzo del 1983, nell'ambito di un'operazione congiunta tra carabinieri, polizia e finanza, Miceli, già all'epoca, era destinatario di un provvedimento restrittivo emesso dalla magistratura statunitense. Finì nuovamente in carcere nell'ottobre del '90, su provvedimento dell'allora procuratore di Marsala, Paolo Borsellino, che si avvalse delle dichiarazioni della collaboratrice di giustizia Giacoma Filippello. Quest'ultima indicò Miceli come un narcotrafficante di Cosa Nostra. Il boss trapanese è considerato dagli investigatori come uno dei più fidati referenti del boss latitante Matteo Messina Denaro, nonchè intermediario tra i clan di Cosa Nostra e della 'Ndrangheta ed i cartelli colombiani della cocaina. Un altro referente del capomafia, Francesco Termine, pure lui narcotrafficante, fu arrestato, sempre in Venezuela, dalla squadra mobile di Trapani nell'ottobre di due anni fa.
21/06/2009

Fonte: La Sicilia


CARACAS, 21 GIU -Il capomafia di Salemi Salvatore Miceli, fra i 30 latitanti piu' ricercati e arrestato oggi a Caracas ha gia' ammesso la sua identita'. L'operazione e' stata condotta dai carabinieri di Trapani con l' Interpol e coordinata dall'Antimafia di Palermo. Il Boss di Salemi e' stato bloccato quando in Italia erano le 4 del mattino all'uscita del lussuoso albergo Hotel Caracas Cumberland. Agli investigatori parlando in spagnolo ha fornito un nome falso, ma quando il boss ha notato che tra i gendarmi che lo circondavano c'erano carabinieri e' sbiancato in volto e non appena giunto nel piu' vicino posto di polizia Miceli ha ammesso la propria identita'.

Fonte: Ansa

sabato, giugno 20, 2009

3 ordini di custodia cautelare

Palermo, 19 giu. - Tre ordini di custodia cautelare sono stati notificati ai boss Sandro e Salvatore Lo Piccolo e Damiano Mazzola. Ai tre viene contestato il reato di sequestro di persona ed omicidio. La Polizia, infatti, ha fatto piena luce su un omicidio di mafia, commesso nove anni fa a Terrasini, nel palermitano. La vittima era Giampiero Tocco, scomparso il 26 ottobre del 2000. I provvedimenti, emessi dal gip su richiesta della locale Dda, derivano da una complessa attivita' investigativa condotta dalla Squadra mobile anche a riscontro delle dichiarazioni rese dai piu' recenti collaboratori di giustizia, che ha permesso di ricostruire la vicenda.
Fonte: Adnkronos

4 fermi dopo denunce..

PALERMO, 20 GIU - La polizia, dopo denunce di vittime del racket, ha fermato 4 palermitani accusati di tentata estorsione aggravata e continuata. Sono due i tentativi di estorsione continuata e aggravata nei confronti di due esercenti della zona ovest della citta': un panificio e un rimessaggio di barche. I fermati sono Giuseppe Cassaro, di 44 anni, Domenico Romeo, di 48, Gregorio Palazzotto, di 32 e Andrea Semilia, di 31.
Fonte: Ansa

mercoledì, giugno 17, 2009

Dai che se è di nuovo colpevole avrà la promozione nel Parlamento europeo..

PALERMO, 17 GIU - Al via l'interrogatorio in procura del sen.Salvatore Cuffaro (Udc),accusato di corruzione aggravata dall'avere agevolato la mafia. L'ex presidente della Regione ha ricevuto un avviso di garanzia per denaro che avrebbe incassato per agevolare un'impresa del Gas che faceva riferimento a Vito Ciancimino. L'interrogatorio e' condotto dal procuratore aggiunto Ingroia. 'Sono animato da grande serenita' - ha detto Cuffaro al suo arrivo - e non conosco ne' Massimo Ciancimino ne' suo padre'.
Fonte: Ansa

Aspettiamo di vedere quale è il trucco...

ROMA - Ad oggi sono 616 i detenuti (di cui quattro donne) in regime di 41 bis, vale a dire il cosiddetto carcere duro. Il dato aggiornato è stato reso noto dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che nel corso della Festa della Polizia penitenziaria ha ringraziato gli agenti che svolgono "un compito insostituibile" non solo di semplice vigilanza ma anche di "attenta osservazione" che possa impedire la trasmissione di notizie tra l'interno e l'esterno delle carceri.Il Guardasigilli ha, inoltre, sottolineato che il ddl sicurezza, "ormai in dirittura di arrivo con la definitiva lettura del Senato", comporterà un giro di vite sul 41 bis per rendere "ancora più adeguato il regime carcerario speciale all'effettivo grado di pericolosità dei detenuti". "Il ddl sicurezza - ha ricordato Alfano - prevede infatti che la durata del 41 bis sia innalzata da due a quattro anni, che la proroga sia biennale e non più solo annuale, e che si attribuisca al ministro dell'Interno il potere di richiedere al ministro della Giustizia l'emissione del 41 bis".
17/06/2009
Fonte: La Sicilia

Lipera non molla..

CATANIA, 16 GIU - Depositata a Catania la memoria difensiva dall'avvocato di Bruno Contrada che chiede la revisione della sentenza di condanna a 10 anni. Contrada e' stato riconosciuto colpevole di concorso esterno all'associazione mafiosa. 'Nessuna prova a carico dell'imputato, inattendibilita' dei collaboratori di giustizia che parlano di fatti di ''cui non sono a direttamente a conoscenza, ma soltanto per sentito dire' le linee guida della memoria.
Fonte: ANSA


P.S.: l'avvocato di Contrada si chiama avv. Lipera... Ricordate questo nome perchè è molto ricorrente..

Ottimo maresciallo...

TRAPANI - Fra le persone che avevano contatti con alcuni indagati di mafia vi sarebbe l'ex maresciallo della guardia di finanza, Achille Felli, adesso in pensione e collaboratore della segreteria del senatore Carlo Vizzini (Pdl). La polizia di Stato gli ha notificato stamani un avviso di garanzia per favoreggiamento aggravato dall'avere avvantaggiato la mafia. L'ex finanziere è stato in passato la tutela di diversi magistrati della procura di Palermo. Fra gli altri avvisi di garanzia (18 in totale) vi è pure quello di un funzionario della Regione, Girolamo Coppola, fratello di Filippo, indagato per mafia. Il funzionario è accusato di aver pilotato o favorito finanziamenti pubblici a società vicine a indagati per mafia trapanesi. Avvisi di garanzia sono stati notificati anche ai figli dei noti commercianti palermitani di abbigliamento Niceta. Si tratta di Massimo e Piero Niceta accusati, insieme ai figli del mafioso Filippo Guttadauro, Francesco e Maria, di intestazione fittizia di beni. Sono indagati nell'ambito dell'inchiesta "Golem" che riguarda i favoreggiatori del boss latitante, Matteo Messina Denaro. Secondo l'accusa il padre di Massimo e Piero Niceta avrebbe incontrato Filippo Guttadauro con il quale si sarebbe accordato per poter aprire due negozi nel centro commerciale "Belicittà" che si trova nel Trapanese. Per queste nuove attività Guttadauro avrebbe dato il proprio consenso, facendo gestire i negozi ai figli, così come il commerciante di Palermo avrebbe fatto affidandoli ai figli Piero e Massimo Niceta.
16/06/2009
Fonte: La Sicilia

Operazione "Golem".. Non possibile con la nuova legge sulle intercettazioni..

TRAPANI - Favorivano i contatti fra il boss latitante trapanese, Matteo Messina Denaro, e alcuni esponenti di vertice di Cosa nostra palermitana, fornendogli pure falsi documenti. Una fitta rete che da anni copriva il capomafia di Trapani, accusato di omicidi e stragi, ricercato da 16 anni, che avrebbe coperture anche a Roma. Per questi fatti gli agenti del Servizio centrale operativo (Sco) e delle Squadre mobili di Trapani e Palermo hanno eseguito 13 ordini di custodia cautelare in carcere emessi dal gip del tribunale di Palermo. Gli indagati sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, traffico di stupefacenti e trasferimento fraudolento di società e valori. Vengono colpiti i mandamenti mafiosi di Trapani e Castelvetrano, riconducibili a Messina Denaro. Nell'operazione, denominata "Golem", sono impegnati oltre 300 uomini della polizia di Stato. Tra gli arrestati c'è anche l'"ambasciatore" di Messina Denaro. Il boss infatti non ha mai incontrato personalmente i mafiosi palermitani Sandro e Salvatore Lo Piccolo: inviava sempre un suo uomo di fiducia, Franco Luppino. Il latitante insomma non voleva avere contatti diretti con i Lo Piccolo che nel frattempo stavano avanzando su tutta Palermo. Forse perché non li riteneva ancora al suo livello nella scala gerarchica di Cosa nostra. Luppino, insieme a Leonardo Bonafede, anche quest'ultimo arrestato stamani, sono elementi di vertice della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, e forse gli uomini di cui Messina Denaro si fidava maggiormente. Gli indagati, infatti, avrebbero gestito la latitanza del boss, controllando anche gli affari illeciti nel trapanese, mettendo le mani su varie attività economiche e su fondi regionali. In questi affari sarebbe stata coinvolta anche la moglie di Luppino, Lea Cataldo, arrestata. Il boss controllava anche un vasto traffico di droga che arrivava settimanalmente da Roma, gestito da Domenico Nardo, Franco Indelicato e Leonardo Bonafede. Della rete di favoreggiatori che avrebbe coperto la latitanza di Matteo Messina Denaro fa parte pure un cugino del boss trapanese; secondo gli inquirenti, avrebbe anche imposto il pagamento di tangenti a imprenditori. In base alle indagini, inoltre, i boss trapanesi detenuti, molti dei quali sottoposti al carcere duro previsto dal 41 bis, riuscivano a far arrivare all'esterno del carcere messaggi che erano anche diretti a Messina Denaro. Proprio per questo collegamento fra dentro e fuori il carcere, sono in atto perquisizioni in 15 istituti di pena, con la collaborazione del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, nei confronti di 37 detenuti trapanesi, che risultano in contatto con gli indagati dell'inchiesta Golem. Le perquisizioni sono state disposte negli istituti di pena dell'Abruzzo, della Campania, della Calabria e della Sicilia. Fra i boss in cella ci sono Mariano Agate, 70 anni, capo del mandamento mafioso di Mazara del Vallo, detenuto da 15 anni, condannato a diversi ergastoli; Filippo Guttadauro, 58 anni, cognato di Messina Denaro, arrestato nel luglio 2006, indicato nei pizzini che si scambiavano Bernardo Provenzano e Messina Denaro, con il numero '121'. Gli investigatori, durante le prime perquisizioni hanno acquisito diversi elementi importanti, già al vaglio degli inquirenti, e per questo motivo stanno valutando la possibilità di chiedere al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria l'immediato trasferimento di alcuni detenuti in altri istituti di pena. I provvedimenti di custodia cautelare sono stati richiesti dal procuratore aggiunto Teresa Principato e dai sostituti della Dda, Paolo Guido, Roberto Scarpinato e Sara Micucci, e sono stati eseguiti nelle province di Trapani, Palermo, Roma e Piacenza. Oltre all'esecuzione dei 13 ordini di custodia cautelare, gli investigatori della polizia di Stato stanno provvedendo anche al sequestro di beni riconducibili all'organizzazione. I provvedimenti cautelari riguardano: Vito Angelo, di 45 anni, arrestato a Piacenza; Leonardo Bonafede, di 77 anni, di Campobello di Mazara; Giuseppe Bonetto, di 54, imprenditore di Castelvetrano; Lea Cataldo, di 46, di Campobello di Mazara; Salvatore Dell'Aquila, di 48; Leonardo Ferrante, 54 anni; Franco e Giuseppe Indelicato, di 40 e 36; Aldo e Francesco Luppino, di 62 e 53; Giovanni Salvatore Madonia, di 44; Mario Messina Denaro, di 57, imprenditore caseario, cugino del boss latitante Matteo, e Domenico Nardo, di 50, residente a Roma.
16/06/2009

Fonte: La Sicilia

martedì, giugno 16, 2009

RUBRICA ESTERO

Da oggi lancio la nuova RUBRICA ESTERO...Dato che i giornali (se così possiamo chiamarli) italiani sono solo un bel souvenir degli alberi dell'Amazzonia, pubblicherò qualche articolo che tratta di mafia (e non..) provenienti da tutto il mondo..




GRECIA

La mafia riesce ormai a intervenire in ogni attività economica in Italia, essendo in grado di offrire la merce più preziosa del momento: i contanti.
Solo lo scorso anno, gli utili netti dei tre principali gruppi della criminalità organizzata in Italia (Cosa Nostra, Camorra, Ndrangheta) hanno raggiunto i 70 miliardi di euro, come stimato dall’istituto italiano di ricerca Eurispes. Il margine di guadagno ha raggiunto il 54%.
Nello stesso periodo la più grande compagnia del mondo, la multinazionale del petrolio Exxon Mobil Corp, ha registrato profitti pari 45,2 miliardi di dollari (32,5 miliardi di euro)! Le richieste degli imprenditori per accedere al credito bancario sono sempre più frequentemente rifiutate e le organizzazioni criminali accorrono in loro aiuto.
Persino le banche ormai accettano più facilmente il loro denaro chiudendo un occhio e ignorando la rigida legislazione. Come riportato da Bloomberg, dall’inizio dell’anno il procuratore di Palermo Roberto Scarpinato, che da due decenni sta dando la caccia alla criminalità organizzata, ha messo sotto sequestro in Sicilia beni patrimoniali dal valore di 2,7 miliardi di euro.
Solo in una causa ha confiscato 12 società, 220 immobili, 33 terreni edificabili e uno yacht di 25 metri che appartenevano a Giuseppe Grigoli, proprietario di una catena di vendita al dettaglio. Noto in Sicilia come il «re dei supermercati», il cinquantanovenne Grigoli è sotto processo a Marsala con l’accusa di essere un prestanome della mafia. Egli nega di essere un membro della criminalità organizzata.
A differenza delle imprese super-indebitate che sono con l’acqua alla gola nel mezzo del credit crunch, la mafia e il suo modello di funzionamento basato sempre sul denaro liquido e senza prestiti, resistono nonostante le pessime circostanze economiche. Con i giovani, ambiziosi e che studiano all’università per divenire manager, la criminalità organizzata cerca una ulteriore espansione attraverso la creazione di aziende formalmente legali.
I proventi annuali della mafia italiana sono stimati dall’Eurispes pari a 130 miliardi di euro. Molti di questi vengono «puliti» dentro a conti bancari da 500 euro in America Latina. «C’è una crisi del credito che sta mettendo molte società in una posizione molto difficile», dice Scarpinato, che non si separa dalle sue guardie del corpo.
L’usura rappresenta uno dei maggiori proventi della criminalità organizzata. Il prestito con onerosi tassi di interesse per i consumatori e le imprese ha registrato lo scorso anno la maggiore crescita tra le attività illecite in Italia. SOS Impresa stima che sia aumenta del 17% raggiungendo i 35 miliardi di euro. Ci sono stati anche casi di persone escluse dal percorso legale del prestito e che pagano fino al 730% di interesse annuo, come rilevato nella relazione annuale dell’organizzazione. Si tratta della più alta percentuale mai registrata fino ad oggi.
Le autorità giudiziarie hanno avuto un assaggio di come la criminalità organizzata ha cominciato a estendersi finanziariamente nel 2006, quando fu arrestato il «capo dei capi» della mafia siciliana, Bernardo Provenzano. I mercati del credito hanno iniziato a bloccarsi alla fine del 2007. Tuttavia, fino ad allora, Provenzano aveva aiutato una nuova generazione di mafiosi affinché garantissero un adeguato sostegno economico soprattutto alle attività che richiedono una maggiore liquidità, come ad esempio la distribuzione dei prodotti alimentari.

Fonte: Isotimia

Traduzione: italiadallestero


Leggi l'articolo originale (se sai il greco :-)

Dall'estero vedono meglio..

FRANCIA


Lucia Lotti si strozza citando i titoli della stampa italiana: Gela sarebbe la città più mafiosa della Sicilia, la “pattumiera” d’Italia. Per il procuratore capo della procura antimafia, questi “stereotipi soffocanti” che vogliono fare di Gela il “prototipo di un luogo irrimediabilmente perduto” non tengono conto dello scatto energico di cui la città ha dato prova. Uno scatto che rende ancora [più] brutali le pesanti minacce che pesano sulla procura: da qui a settembre, la procura rischia di essere abbandonata in massa dai suoi sostituti.
“Il tribunale di Gela è la sede della legalità dello Stato”, proclama un manifesto delle organizzazioni cattoliche di sinistra, le Acli. “Non si paga”, afferma un grande striscione che barra il portone d’ingresso del municipio. Segue un numero di telefono a cui possono rivolgersi coloro che vogliono denunciare il “pizzo” (in italiano nel testo originale N.d.T.), il racket mafioso. Nel giro di qualche mese, quasi un centinaio di commercianti e piccoli industriali lo hanno fatto arrestare 850 membri della “piovra”. In tempi normali, è necessario un coraggio che sconfina nell’eroismo con l’eroismo per compiere il passo verso la legalità. La mafia ha buona memoria. Non è mai troppo tardi per regolare i suoi conti. Ma in questa città della costa Sud della Sicilia, dove è stato firmato il primo trattato di pace del mondo nell’anno 425 a.C., è nata una formidabile speranza. Su istigazione di magistrati determinati e di un dinamico sindaco di 58 anni, Rosario Crocetta, prende forma un movimento di rivolta civile.
Sarebbe ora. Alla fine degli anni ‘90, Gela meritava ampiamente la sua reputazione di avamposto dell’inferno: una guerra tra due organizzazioni rivali, Cosa Nostra e la Stidda, variante locale, aveva fatto 400 morti prima che le “famiglie” proclamassero la “pace mafiosa”. Gela conta oggi 85000 abitanti, (ciò) che la rende la quinta città della Sicilia. L’urbanistica è anarchica, con i suoi quartieri diroccati, le sue strade senza nome, 14000 costruzioni illegali, un complesso petrolchimico sorto negli anni ‘60 che sfigura spiagge da sogno e decine di carcasse industriali abbandonate. Senza contare la distribuzione erratica dell’acqua, che lascia la città a secco per giorni.
Potere d’infiltrazione
“Gela sta cambiando”, afferma il carabiniere di turno davanti al palazzo di giustizia. Il procuratore arriva ben scortata nella sua BMW 330 blindata e guadagna rapidamente i suoi uffici. Più tardi, scrutata da decine di sguardi, condurrà il corrispondente di Le Figaro in un giro a piedi nella città, senz’altra protezione che una guardia del corpo. Storia che dimostra che una “passeggiata” sul Corso, che si riempie di gente la sera, non è molto più rischiosa che nella sua Genova natale.
Il pericolo, tuttavia, è onnipresente. Ogni anno, Gela conta 150 incendi dolosi, semplici atti di intimidazione. Con la crisi finanziaria, l’usura e il racket sono in piena espansione. Secondo il sindaco Crocetta, la “messa in regola”, altrimenti detto il pagamento del “pizzo”, costa in media 500 euro al mese al commerciante o all’industriale. A Gela, sarebbero 3000 in questa situazione. Gli sfortunati che non possono pagare devono cedere alla mafia, attraverso dei prestanome, unaparte delle loro attività, in cui [la mafia] ricicla i suoi guadagni.
Il potere di infiltrazione dei mafiosi non conosce limiti. A fine marzo, Lucia Lotti ha fatto arrestare sette affiliati alla Stidda così come un ex terrorista. Progettavano di rapire un dirigente di una banca di Ragusa. Uno di loro gestiva il club nautico, luogo d’incontro abituale della migliore società di Gela. Le forze dell’ordine hanno sequestrato kalashnikov ed esplosivi. Le intercettazioni telefoniche sono state decisive.
Altro esempio: il presidente di una grossa cooperativa di Gela, un certo Stefano Italiano, è stato colpito dalla giustizia. Aveva denunciato una banda che lo taglieggiava. Omettendo tuttavia di dire che aveva riciclato per questa banda considerevoli fondi illeciti. Aveva tentato di cambiare facendosi eleggere vice-presidente del comitato locale anti-racket. “Potrebbe essere Pirandello. Non è che una miserabile farsa quotidiana”, insorge la drammaturga Silvia Grasso.
“Né il tempo né i mezzi”
Per Rosario Crocetta, Gela è la prima città d’Italia ad essersi ribellata in massa contro la mafia. “La stiamo liberando”, proclama il sindaco. Personaggio fuori dal comune nell’Italia conformista del Sud, questo sindaco, comunista ed omosessuale, è in carica da sette anni. Nel giugno 2007, è stato rieletto al primo turno con il 65% dei voti. Ha allontanato le imprese mafiose dai mercati pubblici, epurato l’amministrazione dai suoi funzionari sospetti, tra cui la moglie di un boss locale, denunciato pubblicamente i capi dei clan e creato con quattro imprenditori un comitato di lotta contro il “pizzo”. Un “cambiamento epocale” dice. Vive sotto scorta e si sposta in un’auto blindata.
Ma il palazzo di giustizia manca di effettivi. “A breve termine, non ci saranno più sostituti [procuratori] a Gela”, spiega un altro procuratore, Anna Canapa. Una legge votata nel 2007 dalla sinistra impedisce ai procuratori di reclutare magistrati che abbiano meno di quattro anni di anzianità. All’ultimo concorso, su cento candidati, nessuno si è presentato volontario per Gela. A settembre, una volta terminate le sostituzioni temporanee, il giudice Canapa non avrà che un sostituto anziché cinque. Lucia Cotti conoscerà una situazione identica.
Procuratore capo del distretto giudiziario di Caltanissetta (centro della Sicilia) da cui dipende [la procura di] Gela e capo della procura antimafia, Sergio Lari traccia una situazione allarmante: “Salvo che a Palermo e Catania, la maggior parte delle procure siciliane funziona con il 50% dei propri effettivi. Non ho né il tempo né i mezzi per chiudere le inchieste”. Vi si aggiungono le riduzioni dei finanziamenti: ha già esaurito i 70000 euro assegnati per i costi di gestione del 2009; l’anno precedente ne aveva avuti 400000. “Globalmente abbiamo perso i due terzi degli stanziamenti” dice.
A fine pomeriggio, il palazzo di giustizia è stranamente deserto. Corridoi e uffici vuoti. Nessun poliziotto di turno al piano del procuratore, tuttavia dotato di una protezione ravvicinata. La giustizia italiana non ha più i mezzi per pagare. La mafia ne approfitta.

Fonte: Le Figaro

Traduzione: italiadallestero



lunedì, giugno 15, 2009

Per me se l'è autoinviata..

ROMA - Due buste contenenti ciascuna un bossolo di proiettile sono state recapitate stamani al ministero della Giustizia, indirizzate al Guardasigilli Angelino Alfano e al suo vice capo di gabinetto, Roberto Piscitello. Solo nel plico indirizzato a Piscitello (magistrato fino allo scorso anno sostituto procuratore presso la Dda di Palermo), oltre al bossolo di proiettile era allegata una lettera anonima in cui sono riportate anche minacce di carattere personale. Nella lettera, inoltre, si chiede al vice capo di gabinetto di agire sul ministro "perchè non metta i vetri divisori nelle carceri". Il riferimento, se pure non esplicitato, dovrebbe essere alle nuove misure antimafia di inasprimento del 41 bis contenute nel ddl sicurezza che, dopo il via libera della Camera, passa ora all'esame del Senato. Il giro di vite sul "carcere duro" ai mafiosi e agli esponenti della criminalità organizzata prevede, tra l'altro, l'obbligo del vetro divisorio durante i colloqui per evitare anche il passaggio di oggetti tra detenuti e familiari; misura, questa, già prevista dalle attuali norme ma non sempre attuata perchè fino ad ora non vincolante. Dell'arrivo al ministero delle due buste contenenti bossoli e minacce è stata informata la Digos.
15/06/2009
Fonte: La Sicilia

domenica, giugno 14, 2009

Mazzara fuori dal carcere..

TRAPANI - Il tribunale del Riesame di Palermo ha annullato l'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip nei confronti di Vito Mazzara, accusato di avere fatto parte del gruppo di fuoco che, il 26 settembre 1988, uccise a Lenzi (Trapani) il giornalista e sociologo Mauro Rostagno. Lo rendono noto i difensori dell'indagato, gli avvocati Vito e Salvatore Galluffo. Mazzara sconta in carcere una condanna all'ergastolo per diversi omicidi. Per il delitto Rostagno era stata notificata un'ordinanza di custodia cautelare in carcere anche al boss Vincenzo Virga, all'epoca capomandamento di Trapani, ora detenuto. L'inchiesta, condotta dalla Mobile trapanese, è coordinata dalla dda di Palermo. I giudici del tribunale del riesame hanno ritenuto insufficienti le prove a carico di Vito Mazzara. L'accusa avrebbe prodotto elementi che per i giudici non sarebbero gravi da giustificare l'ordinanza di custodia cautelare. Anche se l'arma utilizzata per il delitto di Mauro Rostagno è stata successivamente impugnata da Mazzara in altri delitti compiuti nel Trapanese, per i quali l'uomo è già stato condannato all'ergastolo definitivamente, non sarebbe sufficiente a sostenere un ordine di carcerazione. Da quanto si apprende, i giudici non hanno messo in dubbio che l'omicidio è stato maturato e deciso nell'ambiente mafioso di Trapani. Gli elementi d'accusa, dunque, non vengono meno, per inquadrare il delitto del sociologo come un omicidio di mafia.
13/06/2009
Fonte: La Sicilia

Badalamenti jr scarcerato..

Palermo, 13 giu. - Leonardo Badalamenti, figlio del boss di Cinisi (Palermo) Gaetano, e' stato rimesso in liberta'. L'uomo era stato arrestato in Brasile su ordine del gip di Palermo, nell'ambito dell'operazione "Centopassi" dello scorso maggio. A decidere la scarcerazione e' stato il Tribunale del Riesame di Palermo, accogliendo le richieste dei difensori. Badalamenti Junior, alias Carlos Massetti, era indagato per truffa e corruzione, aggravate dall'aver agevolato Cosa nostra. Secondo l'accusa avrebbe realizzato una serie di operazioni finanziarie in Sudamerica con bond venezuelani falsi. Il figlio del boss di Cinisi ha sempre negato la sua identita' sostenendo di essere un uomo d'affari brasiliano. Le motivazioni della sentenza di scarcerazione non sono state ancora depositate.
Fonte: Adnkronos

Boss depresso.. Ma vaffanculo...

CATANIA - La Procura della Repubblica di Catania ha presentato ricorso contro la decisione della terza sezione penale del Tribunale etneo che il 3 giugno scorso ha concesso gli arresti domiciliari, perchè fortemente depresso, al presunto boss Giacomo Maurizio Ieni, 52 anni, indicato come il capo della cosca mafiosa Pillera, che era detenuto in regime di 41 bis nella clinica medica del carcere di Parma. L'udienza è stata fissata per il prossimo 7 luglio davanti al Tribunale per il riesame di Catania. Una "tempestività" che "coglie di sorpresa" il legale del presunto boss, l'avvocato Giuseppe Lipera. "Vorremmo che la giustizia italiana - sottolinea il penalista - fosse così veloce sempre e con tutti: quando noi presentiamo un appello con otteniamo un'udienza in tempi così rapidi". Il Tribunale di Catania ha concesso gli arresti domiciliari ritenendo che "l'affetto dei familiari appare allo stato insostituibile", e sarà per lui la terapia medica migliore. Ieni è in carcere dal 30 maggio del 2006 quando fu arrestato per associazione mafiosa nell'ambito dell'inchiesta Atlantide della Dda della Procura etnea.
13/06/2009
Fonte: La Sicilia

Scorta ai magistrati no, aerei per Apicella si..Questa è l'Italia..

PALERMO - Non ha più alcuna tutela il pm Franco Lo Voi che per oltre un decennio è stato alla Dda di Palermo e adesso è alla procura generale della Cassazione. Il magistrato che dal 1992 viveva sotto scorta, è rimasto senza protezione. Lo ha deciso la prefettura di Roma. L'unica cosa che dice il pm, forse ironizzando, è: "Se le autorità dicono che non ci sono più pericoli, non posso che esserne contento, specialmente per le mie figlie, che da piccole costringevo ad allontanarsi dalle finestre quando uscivo da casa. Tanto ormai sono maggiorenni e, se mi accadesse qualcosa, sanno chi citare in giudizio per il risarcimento dei danni". Lo Voi ha partecipato alle indagini per arrestare Totò Riina. Poi per quelle che hanno portato alla cattura di Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca, l'uomo che uccise Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta. L'attività di Lo Voi come pm a Palermo ha riguardato anche l'arresto di decine di mafiosi siciliani, che sono stati in gran parte condannati all'ergastolo. I collaboratori di giustizia in passato avevano rivelato ai pm che Cosa nostra voleva uccidere Lo Voi. Una condanna a morte emessa dai mafiosi per la quale i boss si erano procurati un bazooka che sarebbe dovuto servire per un attentato nei suoi confronti. Un'arma che non è mai stata trovata dagli investigatori, di cui parla adesso anche il neo pentito Gaspare Spatuzza, sostenendo che sarebbe ancora nella disponibilità dei mafiosi di Brancaccio. Franco Lo Voi, 51 anni, sposato con una gip del tribunale di Palermo, è refrattario da sempre ai contatti con i giornalisti. Non vuole commentare la sua nuova condizione. Oggi il magistrato si occupa ancora di processi penali alla procura generale della Cassazione, che riguardano molti imputati di mafia, su gran parte dei quali ha già indagato a Palermo, e nuove leve di Cosa nostra, sottoposte al carcere duro previsto dal 41 bis. Per questa attività il procuratore generale della Cassazione aveva richiesto un rafforzamento della protezione nei confronti di Lo Voi. Il magistrato vive a Palermo con la sua famiglia e recentemente qualcuno ha fatto irruzione per due volte nella sua casa di villeggiatura, senza rubare nulla.
13/06/2009
Fonte: La Sicilia

sabato, giugno 13, 2009

In tempo di riabilitazione si trova di tutto..Peppino sempre con noi..


PALERMO - Sono trascorsi più di trent'anni dall'uccisione di Peppino Impastato e il nipote del boss Tano Badalamenti, sostiene oggi che il giovane attivista di Democrazia proletaria, assassinato su ordine di Cosa nostra era "un attentatore", uno che "voleva ammazzare delle persone", mettendo una bomba sulla ferrovia, "e per questo è morto". Il nipote di Badalamenti, condannato per l'omicidio di Impastato, è Gaspare Ofria, arrestato il 22 maggio scorso per mafia dai carabinieri del Ros nell'operazione "Centopassi". L'uomo in una intercettazione definisce Peppino Impastato "l'anticristo", uno che "era contro il sistema", e sostiene che era un attentatore, perché voleva far esplodere un treno. Si tratta della stessa tesi (in realtà un depistaggio) che venne fatta circolare subito dopo l'omicidio. E che a distanza di vent'anni la procura ha smentito con le indagini che hanno portato sotto processo Badalamenti. Nella conversazione registrata dal Ros, Ofria tenta di infangare l'immagine di Impastato, sostenendo pure che "era un politico, e di conseguenza anche lui era un po' sporco". E poi attacca il film "I cento passi" sostenendo che "è una grande stronzata", perché per Ofria "la maggior parte delle scene sono completamente inventate...". Per il nipote di Badalamenti, Peppino "è adesso un fenomeno, un Che Guevara siciliano che la politica si è inventato per strumentalizzare un argomento, e prendere forza per rovesciarla contro altre persone...".
12/06/2009

Bhè, se Peppino è l'anticristo...W Satana :-)

Fonte: La Sicilia

Quel passaggio "..affetti,amicizia.."....Mah...

ROMA - "Semplici frequentazioni per parentela, affetti, amicizia, comune estrazione sociale e ambientale, occasionali contatti, soprattutto in occasione di eventi pubblici (cortei, feste, funerali), in contesti territoriali ristretti, non possono di per sé essere utilizzati come sintomatici dell'appartenenza a sodalizi criminali". Lo sottolinea la sesta sezione penale della Cassazione che ha annullato - con rinvio a un altro giudice, per un nuovo processo - una condanna per associazione mafiosa nei confronti di due persone di Sciacca. I supremi giudici hanno ritenuto non concordanti le motivazioni portate dalla Corte d'appello di Palermo che, sulla base di intercettazioni, aveva accusato di partecipazione ad associazione mafiosa Carmelo B. e Domenico F.. Ricorda la Cassazione, nella sentenza n.24469, che nel qualificare il reato di "partecipazione ad associazione mafiosa", è "partecipe colui che risulta inserito stabilmente e organicamente nella struttura organizzativa criminale" tramite anche "affiliazione rituale, investitura come uomo d'onore, la commissione di delitti-scopo". In un passaggio della sentenza d'appello, i giudici avevano scritto che "l'inserimento nel contesto mafioso degli imputati si desumeva anche dalla frequentazione di persone legate direttamente o indirettamente a Cosa Nostra". I supremi giudici hanno ribadito che "tali frequentazioni possono essere indizio di pericolosità ai fini dell'applicazione di misure di prevenzione" ma per l'accusa di associazione mafiosa servono "indizi gravi, precisi, la cui valutazione deve essere ancora più scrupolosa".
12/06/2009
Fonte: La Sicilia

Ancora calcestruzzo...


PALERMO, 12 GIU - La Dia di Palermo ha confiscato beni per un valore di 5 milioni a un imprenditore ritenuto vicecapo della famiglia mafiosa di Altofonte. La confisca e' stata disposta per Giovanni Francesco Vassallo e riguarda uno stabilimento per la produzione di calcestruzzo ad Altofonte, aziende (alcune intestate fittiziamente a soggetti incensurati), immobili, appezzamenti di terreni e numerosi mezzi industriali.

Fonte: ANSA.it

Speriamo bene...

PALERMO - La Corte d'appello presieduta da Claudio Dall'Acqua, che processa il senatore Marcello Dell'Utri, condannato in primo grado a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa, ha rigettato la richiesta di acquisire alcune intercettazioni telefoniche e ambientali di due indagini svolte a Palermo e Caltanissetta. Si tratta di conversazioni in cui gli indagati delle operazioni "Eos" e "Dionisio" parlavano di Dell'Utri. Letterio Ruvolo, arrestato per mafia a Palermo, diceva che il nome di Dell'Utri non doveva mai essere fatto, mentre Alfio Mirabile e Francesco La Rocca presunti mafiosi nisseni, riferendosi al progetto della realizzazione del parco telematico di Regalbuto, dicevano che era Dell'Utri a decidere a chi devono andare gli appalti. I giudici hanno ritenuto che il pg Antonino Gatto avrebbe dovuto depositare le bobine e i verbali delle forze di polizia che si erano occupati delle intercettazioni. Cosa che il pg si è riservato di fare entro la prossima udienza, fissata per il 19 giugno.
12/06/2009
Fonte: La Sicilia

Sentenze confermate in "Grande Oriente"

CALTANISSETTA - La Cassazione ha confermato le condanne per gli imputati del processo "Grande Oriente", che sono in gran parte familiari e fedeli del capomafia nisseno Giuseppe "Piddu" Madonia. Si tratta del procedimento, la cui sentenza "lumaca" depositata dal giudice Eddi Pinatto dopo otto anni, provocò la scarcerazione degli imputati condannati. La Corte di Cassazione, alla quale gli imputati chiedevano l'annullamento della sentenza d'appello, disattendendo in parte anche le aspettative della procura generale, ha confermato la condanna a 24 anni ciascuno a Giuseppe Lombardo ed a Carmelo Barbieri, quest'ultimo dal 6 marzo scorso collabora con la giustizia. Il Pg, ritenendo che la collaborazione di Barbieri non può intaccare il suo pregresso, aveva chiesto di confermargli la condanna. Istanza poi accolta dalla Corte. Passano in giudicato le condanne a 10 anni e 7 anni inflitte a Giovanna Santoro ed a Maria Stella Madonia, rispettivamente moglie e sorella del boss Madonia. Anche un cugino, Giuseppe Alaimo, deve scontare una condanna a 7 anni. Per le due donne e per Alaimo il pg aveva chiesto l'annullamento della sentenza d'appello.Sono definitive le condanne inflitte a Emanuele Gaspare Famà e al boss mazzarinese Salvatore Siciliano: sconteranno 10 anni e 7 anni per Siciliano in continuazione con un'altra sentenza di condanna. Gli imputati erano già in libertà dal 2001 quando, per i ritardi nel deposito della sentenza di primo grado, lasciarono il carcere dove erano stati rinchiusi nel novembre 1998. La sentenza si intreccia con la vicenda del giudice Edi Pinatto, espulso dalla magistratura per avere depositato con notevole ritardo la sentenza di primo grado. Quest'ultima, infatti, venne depositata solo il 18 marzo dello scorso anno, dopo 8 anni dal processo di primo grado e ciò ha consentito la scarcerazione degli imputati. Il caso venne sollevato e denunciato dal sindaco di Gela, Rosario Crocetta. Sulla vicenda intervenne anche il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e l'ex Guardasigilli Clemente Mastella. Divenuto l'emblema di una giustizia tartaruga, Pinatto recentemente è stato costretto a lasciare la professione, anche se da alcuni anni era in servizio a Milano.
12/06/2009


Fonte: La Sicilia

giovedì, giugno 11, 2009

Di nuovo in libertà ma sotto processo...

TRAPANI - Il Tribunale di Trapani ha rimesso in libertà l'ex assessore regionale al Territorio Bartolo Pellegrino, dall'aprile 2007 agli arresti domiciliari con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione. La revoca dell'ordinanza cautelare era stata chiesta dai difensori Vito Galluffo e Nino Mormino. L'ex assessore e fondatore del movimento politico Nuova Sicilia, è attualmente sotto processo dinanzi al collegio penale del Tribunale di Trapani presieduto da Alessandra Camassa. L'indagine che ha portato al coinvolgimento di Pellegrino è stata condotta dalla Squadra mobile trapanese e coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo.
11/06/2009
Fonte: La Sicilia

Nomi nuovi...

PALERMO - La Procura della Repubblica ha inviato avvisi di garanzia a quattro senatori siciliani perché ritenuti coinvolti nell'inchiesta sul tesoro accumulato illecitamente da Vito Ciancimino. Sono Carlo Vizzini (Pdl), Saverio Romano, Salvatore Cuffaro e Salvatore Cintola (Udc). I pm Antonio Ingroia e Nino Di Matteo accusano i parlamentari di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, aggravato dall'avere agevolato la mafia. L'inchiesta è scaturita dalle più recenti dichiarazioni dell'ultimogenito di Ciancimino, Massimo, già condannato in primo grado a 5 anni e 8 mesi di carcere per riciclaggio dei soldi del padre. Ciancimino avrebbe rivelato di avere utilizzato somme di un conto corrente svizzero riconducibile al padre per pagare politici che avrebbero facilitato l'aggiudicazione di appalti per la concessione del gas ad una impresa di cui il padre era socio occulto. Di questi pagamenti si sarebbe occupato il tributarista Gianni Lapis, condannato anche lui nel processo per riciclaggio.Il denaro prelevato dal conto svizzero da un altro imputato condannato, l'avvocato romano Giorgio Ghiron, sarebbe stato distribuito a Vizzini e, attraverso Cintola, a Romano e Cuffaro. Gli avvisi di garanzia sono stati notificati agli indagati che si trovavano a Palermo ed a Roma. Per martedì sono fissati i primi interrogatori. Secondo l'accusa il denaro proveniente da un conto svizzero in cui affluiva parte del tesoro illecito di Vito Ciancimino, veniva distribuito ai capi partito o ai capi corrente, che poi avevano il compito di agevolare l'aggiudicazione degli appalti e la concessione dei lavori per la metanizzazione nei vari paesi dell'isola. A riscontro delle dichiarazioni di Massimo Ciancimino, ci sarebbero parziali ammissioni del tributarista Lapis, ma anche documenti, intercettazioni ambientali e telefoniche che per essere contestate ai senatori indagati, dovranno prima essere trasmesse al Parlamento insieme alla richiesta di utilizzazione.



ROMA - "Ho ricevuto un'informazione di garanzia per corruzione con l'aggravante dell'art. 7 in relazione alle vicende del cosiddetto 'Gruppo Gas' (Ciancimino-Lapis)". Lo dichiara il senatore del PdL, Carlo Vizzini, presidente della Commissione Affari costituzionali. "Ho la serenità - ha aggiunto Vizzini in una nota - di chi sa di essere estraneo ad ipotesi di reato e di potere compiutamente rispondere ai magistrati. Adesso si potrà fare luce sulle verità, mettendo fine al lungo e spesso velenoso chiacchiericcio che negli ultimi mesi mi ha accompagnato. Ho già detto e non ripeto quali sono stati i miei rapporti e quali le persone mai conosciute, anche presentando formale denuncia". "Vivo, tuttavia, l'amarezza di trovarmi in questa condizione - ha aggiunto - dopo avere contrastato con forza la mafia, i mafiosi ed i comitati d'affari. Ma proprio per questo devo essere rigoroso e coerente con me stesso e dunque ho immediatamente rassegnato le mie dimissioni dalla commissione parlamentare Antimafia, riservandomi di assumere altre decisioni dopo che sarò stato sentito dai magistrati. Ho sempre messo nel conto che la lotta alla mafia avrebbe scatenato risentimenti gravi di cui ho avuto percezione anche di recente, ma sono certo che c'è una sede nella quale si può essere tutelati dalla infamia ed a questa adesso mi affido". "L'avviso di garanzia che ho ricevuto qualche mese fa attraverso i giornalisti di Repubblica e oggi formalmente dalla procura di Palermo mi lascia del tutto sereno perchè so di non avere mai intrattenuto rapporti di alcun genere con Ciancimino, come tra l'altro da lui stesso dichiarato in una intervista telefonica rilasciata a Rai Sicilia, nè tantomeno di avere avuto rapporti con la società della quale, apprendo oggi, lo stesso Ciancimino era socio", ha detto, dal canto suo, il deputato Udc Saverio Romano. "Confido - aggiunge - nella celerità delle indagini che dimostreranno la mia assoluta estraneità ai fatti contestati".


PALERMO - "L'avviso di garanzia che mi hanno notificato, dopo che lo stesso era già stato dato alla stampa, mi lascia sbalordito ed esterefatto. La vicenda, che leggo sulla stampa, è talmente irreale che non so neanche da dove iniziare a smentirla, mi verrebbe da dire 'est modus in rebus'". Lo dice il senatore Udc, Salvatore Cuffaro, commentando l'invio da parte della Procura di un avviso di garanzia nell'ambito dell'inchiesta sul tesoro accumulato illecitamente da Vito Ciancimino. "Confido nella celerità - aggiunge - delle indagini che dimostreranno la mia assoluta estraneità ai fatti contestati. Quando mi saranno resi noti gli elementi su cui si fonda l'ipotesi accusatoria, darò il mio contributo all'accertamento della verità.Resta l'amarezza di essere ancora una volta proposto come una sorta di demone della politica. Ma resta anche il conforto che ci sono tanti siciliani che conoscendoci non si lasciano influenzare e continuano ad avere fiducia in noi e a credere nella nostra azione politica al servizio della Sicilia e dei siciliani".

11/06/2009

Fonte: La Sicilia

Sequestro per oltri 3 mln di euro

PARTINICO (PALERMO) - Beni per oltre tre milioni di euro sono stati confiscati dalla Direzione investigativa antimafia all'imprenditore Gaetano Lunetto. Il provvedimento è stato emesso dai giudici su proposta del direttore della Dia e riguarda immobili ed appezzamenti di terreno a Partinico. Lunetto è detenuto perché accusato di associazione mafiosa, per la quale sta scontando una pena definitiva. L'imprenditore, secondo alcuni collaboratori di giustizia, avrebbe favorito la latitanza del mafioso Giovanni Brusca e sarebbe stato vicino al boss Antonino Geraci, con il quale aveva instaurato rapporti societari occulti, attraverso cui la sua attività d'impresa si è andata via via sviluppando, fino ad occupare una stabile e rilevante posizione nell'ambito dell'imprenditoria.
11/06/2009
Fonte: La Sicilia

Avv. Lipera: Santapaola, Ieni, Contrada...Però...Un ottimo parco clienti...

CATANIA - È stato nuovamente sospeso, per l'incapacità di intendere e volere dell'imputato, il processo ad Antonino Santapaola, fratello del boss Benedetto, che si celebra davanti la quarta sezione penale del Tribunale di Catania. I giudici hanno disposto un confronto tra i periti che sostengono che Antonino Santapaola è in grado di intendere e volere quelli che ritengono il contrario. Le deposizioni dei medici legali sono state disposte per la prossima udienza fissata per il 7 ottobre. Nell'udienza di oggi il legale dell'imputato, l'avvocato Giuseppe Lipera, ha depositato una perizia disposta d'ufficio dalla prima sezione del Tribunale di Catania e redatta dai prof. Carlo Rossitto ed Orazio Antoniuccio, che sostengono l'incapacità del fratello del boss ergastolano.
10/06/2009
Fonte: La Sicilia

3 arresti al mandamento di Caccamo

CACCAMO (PALERMO) - La Squadra mobile di Palermo e gli agenti del Commissariato di Termini Imerese hanno arrestato tre presunti esponenti della famiglia mafiosa di Caccamo. In manette sono finiti: Giorgio Liberto, 72 anni; Gioacchino Priolo, 58 anni e Salvatore Pollina, 51 anni. Sono accusati,a vario titolo, di associazione mafiosa e favoreggiamento aggravato. L'indagine, coordinata dal Pm della Dda, Lia Sava, si basa su intercettazioni telefoniche ed ambientali e dichiarazioni di pentiti che hanno consentito di accertare il ruolo di comando assunto da Liberto sul mandamento di Caccamo. Il boss avrebbe sostituito Antonino Giuffrè, da anni collaboratore di giustizia, alla guida della cosca, rappresentandola anche nei contatti con le "famiglie" di Palermo e Caltanissetta. Priolo e Pollina sono accusati di favoreggiamento aggravato: avrebbero segnalato ad un altro mafioso, consentendogli di sfuggire all'arresto, la presenza di una telecamera installata dagli inquirenti per tenerne d'occhio i movimenti.
10/06/2009

Fonte: La Sicilia

Operazione "Plenum".. Che intrecci.. Da nord a sud..

CATANIA - Rivali nella gestione degli affari criminali ma soci nel riciclaggio dei soldi da reinvestire. Così tre clan che sono "nemici" tra loro, come le "famiglie" Laudani e Santapaola da una parte e la cosca Mazzei dell'altra, si siedono attorno a un tavolo e discutono insieme su come fare diventare "puliti" i proventi delle loro attività illecite. È quanto emerge da un'indagine dei carabinieri di Catania sfociata nell'emissione di un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 13 presunti affiliati a Cosa nostra e di tre imprenditori riconducibili ai tre clan. Nell'ambito dell'operazione denominata "Plenum" i carabinieri hanno arrestato anche Angelo Privitera, 45 anni, noto come "Scirocco". L'inchiesta ha permesso di sgominare il suo gruppo (legato al clan Laudani) che era dedito a estorsioni e rapine e che gestiva un vasto traffico di droga tra Catania e Siracusa. La cosca importava ingenti quantitativi di cocaina da Milano e poi la rivendeva al dettaglio. In questo filone di indagine sono emersi collegamenti con i clan rivali dei Cappello di Catania ed i Cursoti di Milano. I militari, in esecuzione di un ordine di carcerazione emesso dal gip Grazia Anna Caserta, hanno arrestato tre imprenditori: Santo La Rosa ed i fratelli Angelo e Antonino Copia. Dalle indagini dei carabinieri è emerso che, in una totoricevitoria di uno degli imprenditori arrestati, si riunivano segretamente i rappresentanti di spicco dei tre clan per discutere di affari da realizzare insieme. Tra questi la gestione del servizio di bar in occasione di un concerto nel 2002 e di uno spettacolo di uno showman nello stesso anno. Ma anche la gestione del bar in due solarium comunali del lungomare Ognina, sempre nel 2002, e anche quelli delle spiagge libere della Playa. Infine è emerso che i clan avrebbero controllato direttamente la gestione del bar all'interno dello stadio "Massimino" nella stagione calcistica 2002/2003. L'inchiesta, scaturita come uno stralcio delle indagini su tre agguati di mafia compiuti tra il 2001 e il 2002 a Catania, è stata coordinata dal procuratore capo Enzo D'Agata e dal sostituto procuratore Giovannella Scaminaci.

Gli arrestati sono gli imprenditori Santo La Rosa, 44 anni ed i fratelli Angelo e Antonino Copia, di 48 e 47 anni, a quest'ultimo il provvedimento è stato notificato in ospedale dove si trovava ricoverato; il presunto reggente della cosca Mazzei, Angelo Privitera, 45 anni; Agatino Di Mauro, 50 anni; Carmelo Giusti, 44 anni; Alfio Maugeri, 50 anni; Francesco Severino, 32 anni; Carmelo Massimo Tomasello, 39 anni; Cosimo Tudisco, 35 anni e Rosario Vasta, di 41.Il provvedimento in carcere è stato notificato a Daniele Cannavò, 32 anni; Maurizio Miano, 34 anni Pietro Nicolosi, 32 anni ed a Sergio Platania, di 45. Nell'inchiesta è indagato anche il collaboratore di giustizia Armando Raciti, le cui dichiarazioni sono agli atti dell'inchiesta.
10/06/2009


Fonte: La Sicilia

Il boss non molla...

VITTORIA (RAGUSA) - Il figlio del boss non aveva gradito i festeggiamenti da parte di alcuni boy scout di Vittoria per l'assegnazione alla loro associazione di un fondo agricolo con annesso caseggiato di contrada Carnazza che gli era stato confiscato in applicazione della legge antimafia, e per questo ha minacciato i presenti intimando loro di andare via e di non tornare più nella "sua" proprietà. Protagonista della vicenda Gaetano D'Asero, 49 anni, figlio del presunto capomafia Francesco, che è stato arrestato dalla Squadra mobile di Ragusa per estorsione. Secondo l'accusa, il 16 maggio scorso, l'indagato ha minacciato ragazzi e familiari dell'associazione Guide e scout cattolici italiani perché avevano "osato" prendere possesso del terreno e della casa che erano di sua proprietà ma che il Tribunale gli aveva confiscato. Per rendere più convincenti le minacce aveva bloccato la strada d'accesso e intimato a tutti i presenti di non ripresentarsi per evitare rappresaglie. Nei suoi confronti la polizia ha eseguito un ordine d'arresto emesso dal Gip Vincenzo Saito su richiesta del procuratore capo di Ragusa, Carmelo Petralia.
10/06/2009
Fonte: La Sicilia

sabato, giugno 06, 2009

Il tribunale ha deciso cosi'...

























Il tribunale di Milano ha mandato (a me e ad altri bloggers) un ordine di sequestro preventivo per una pagina del mio blog.. Se ingrandite la pagine vedrete a quale pagina si riferisce l'ordine.
Ciao a tutti!...

Tutto torna.. Calcestruzzo, boss, immobile pubblico..

Palermo, 4 giu. - L'immobile destinato ad ospitare il Commissariato di Castelvetrano, grosso centro del trapanese, che ha dato i natali al boss latitante Matteo Messina Denaro, sarebbe stato realizzato da imprese riconducibili a presunti appartenenti a Cosa nostra che avrebbero effettuato le forniture di calcestruzzo depotenziato. E' quanto e' emerso da un'indagine condotta dai Carabinieri del Comando Provinciale di Trapani, sotto la direzione della Dda di Palermo, che all'alba di oggi hanno posto sotto sequestro l'edificio in costruzione, di contrada Giallonghi di Castelvetrano, su un terreno sequestrato alla mafia.
Le indagini dei militari dell'Arma hanno fatto emergere che per la realizzazione dell'immobile sarebbe stato fornito calcestruzzo di qualita' diversa e comunque inferiore rispetto a quella prevista nel capitolato e che anche i lavori di palificazione sarebbero stati effettuati in maniera difforme, con conseguente pregiudizio per la struttura, specialmente in caso di sollecitazioni di natura sismica. L'importo dell'appalto, commissionato dal Ministero delle Infrastrutture, ammonterebbe ad oltre 2 milioni di euro.
Notificate informazioni di garanzia al titolare dell'impresa appaltatrice e di quella che forniva il calcestruzzo; ad entrambi sono stati contestati truffa aggravata ai danni dello stato e frode nelle pubbliche forniture. Sono in corso perquisizioni nelle sedi delle imprese interessate.
All'alba di oggi i Carabinieri del Gruppo di Monreale, guidati dal colonnello Pietro Salsano, hanno arrestato quattro persone che avrebbero creato un monopolio di fatto nel settore del calcestruzzo acquisendo importanti appalti privati e pubblici. Tra i lavori sotto la lente d'ingrandimento alcuni lavori all'aeroporto palermitano Falcone-Borsellino a Trapani Birgi. Un giro di affari, tra valore dei beni sequestrati, appalti acquisiti e fatturato annuo, e' superiore ai 50 milioni di euro.

Fonte: Adnkronos

Spiraglio per i traditori...

Roma, 4 giu. - La Procura della Cassazione apre uno spiraglio per Bruno Contrada, l'ex dirigente del Sisde che sta scontando ai domiciliari, a Palermo, la condanna a 10 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. In particolare, la pubblica accusa di piazza Cavour, ritenendo che non sia motivata la "pericolosita' sociale" del poliziotto, chiede ai giudici della prima sezione penale di sottoporre a nuovo esame la vicenda. Questo perche', lo scorso 24 gennaio, il Tribunale di sorveglianza di Palermo aveva respinto la richiesta della difesa di Contrada di differimento della pena, confermando la misura della detenzione domiciliare.
Secondo il difensore dell'ex dirigente del Sisde la Cassazione dovrebbe accogliere il ricorso in quanto Contrada "e' un quasi 80enne, affetto da una innumerevole serie di malattie che rendono il suo stato di salute calzante con quello indicato nella norma per potersi configurare le condizioni stabilite dalla legge per la concessione del differimento della pena". La decisione nelle prossime ore.

Fonte: Adnkronos

L'ottimo Lipera, avvocato dei mafiosi...

Catania, 3 giu. - Giacomo 'Nuccio' Ieni, ritenuto il capo del clan mafioso Pillera di Catania, passa agli arresti domiciliari perchè in stato depressivo. Il boss era in detenuto ion regime di carcere duro, 41bis. Difeso dall'avvocato Giuseppe Lipera, gli è stato concesso di scontare la pena a casa per decisione della terza sezione penale del Tribunale di Catania, previa lettura del diario clinico. L'uomo durante un'udienza, in videoconferenza dal centro clinico per detenuti di Parma, aveva detto di essere fortemente depresso e disabilitato psicologicamente. La decisione ha provocato eco e forte scalpore tra gli schieramenti politici. Per il presidente dei senatori Pdl Maurizio Gasparri si tratta di "una decisione che ci indigna, crea un pericolosissimo precedente e mina fortemente la credibilita' delle istituzioni". In ambienti diversi per credo politico, il capolista di Sinistra e Liberta' della Sicilia, Claudio Fava ha dichiarato che per i mafiosi di Catania il 41 bis equivale a una vacanza in campeggio. Urlando alla vergogna ha espresso sgomento per la situazione che vede detenuti depressi agli arresti domiciliari, e al contempo Santapaola che pubblica impunemente le sue lettere e le sue minacce sul giornale locale.
Fonte: Adnkronos

1 mln di euro di sequestri

Catania, 5 giu. - Un sequestro patrimoniale del valore di un milione di euro e' stato eseguito dalla Direzione investigativa antimafia di Catania. Il sequestro riguarda beni immobili, societa' e rapporti bancari riconducibili a due esponenti del clan Nardo di Lentini, in provincia di Siracusa, storico gruppo affiliato a Cosa Nostra catanese, alleato al boss Benedetto Santapaola.
Con il sequestro di oggi il totale dei beni sottratti al clan dei Nardo ammonta a 15 milioni di euro.

Fonte: Adnkronos

mercoledì, giugno 03, 2009

Il boss depresso...

CATANIA, 3 GIU - Il presunto boss Giacomo Maurizio Ieni, 52 anni, indicato come il capo della cosca mafiosa Pillera e' depresso e andra' ai domiciliari. Per questo lascera' il regime di 41 bis, anche se scontato nel centro clinico del carcere di Parma. Lo ha deciso il Tribunale di Catania, per 'gravi motivi di salute. Nella precedente udienza di uno stralcio del processo Atlantide,Ieni era scoppiato in lacrime davanti ai giudici sostenendo di 'essere fortemente depresso e di non riuscire a stare in carcere'.
Fonte: Ansa